Ho ritrovato questo mio scritto di ormai dieci anni or sono e ve lo lascio.
Tutti ormai conosciamo il neopresidente degli Stati Uniti, acclamato imprenditore, impareggiabile showman, grande anfitrione e imbonitore, più volte fallito e con un debito, si dice oggi, di parecchi miliardi di dollari sul groppone
Ma Alvin Hansen, invece, chi era costui?
Un modesto economista americano del gruppo di Keynes, morto nel 1975, il quale, negli anni ‘30 del secolo passato, credeva che la Grande Depressione iniziata nel 1929 stesse avviando le economie capitaliste dell’epoca verso una stagnazione secolare. E perciò teorizzò, per gli anni a venire, dei cicli economici caratterizzati da una serie di deboli crescite economiche a cui sarebbero seguite durature recessioni, e tutto in un quadro di crescente disoccupazione e bassa inflazione o addirittura deflazione.
La causa, spiegò Hansen nel 1938 nel suo discorso alla AEA (American Economic Association), era dovuta alla fine dell'espansione geografica, iniziata nel XV secolo e terminata nel XIX, alla diminuzione della popolazione attiva e all'utilizzo di tecnologie sempre più evolute nella produzione industriale, tali da ridurre in modo crescente l'intensità di capitale necessario.
In particolare, quest'ultima evenienza col tempo avrebbe provocato la diminuzione degli investimenti e determinato un eccesso di risparmio; fattori che, collegati tra loro, avrebbero spinto l'economia verso un equilibrio di bassa crescita ed elevata disoccupazione, forze che avrebbero a loro volta fatto crollare la domanda aggregata di beni innescando una spirale al ribasso dell'economia mondiale.
Anche John Maynard Keynes la pensava nello stesso modo, ma i fatti li smentirono entrambi, perché le cose andarono diversamente.
Nel 1939 la Germania invase la Polonia e iniziò la Seconda Guerra Mondiale. Nei cinque anni seguenti il continente euroasiatico, dall'Atlantico al Pacifico, autodistrusse in modo quasi completo la propria capacità industriale e produttiva, e circa un decimo della popolazione mondiale morì per causa diretta o indiretta delle vicende belliche.
Nel ventennio che va dal 1950 al 1970 si assistette di conseguenza a uno sviluppo impetuoso della produzione industriale, complice la ricostruzione postbellica, con tassi di crescita annua vicini o superiori al 10% in Europa e Giappone, e leggermente inferiori in Nord America. La popolazione mondiale riprese ad aumentare (il famoso baby boom) e la domanda aggregata riprese a volare.
Tutti, a quel punto, si dimenticarono della profezia di Hansen.
L'epoca d'oro durò vent'anni, poi la popolazione in Occidente cominciò nuovamente a decrescere e l'economia a contrarsi. La tendenza delle economie capitaliste alla sottoproduzione e al sottoconsumo predetta dai teorici marxisti e dai keynesiani ricominciava a mostrarsi, nel lungo periodo, esatta.
Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, per ovviare alla grave caduta della domanda aggregata, si sostenne l'economia con l'implementazione dei debiti pubblici e privati (con i risultati che oggi tutti conosciamo) e negli anni Novanta, fino al 2007, con la finanziarizzazione sempre più spinta dell'economia (con i risultati che oggi tutti conosciamo).
Si scatenò nel 2008 una forte recessione (detta La Grande Recessione) che, per certi versi, dura tuttora.
Nel 2013 l'ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ed ex rettore della Harvard University, Larry Summers (tra parentesi nipote di due premi Nobel per l'economia), annunciò l'avvento di una Stagnazione Secolare.
Allo stesso modo il Governatore della FED, Janet Yellen, parlò nel 2015 di New Normal, una nuova era di tassi bassi, bassa inflazione e scarsa crescita economica, riprendendo lo stesso termine usato da Alvin Hansen nel descrivere la Stagnazione Secolare.
Nel 2014 Larry Summers considerava la Grande Recessione il culmine di un lungo processo, in cui l'incremento dei debiti pubblici e privati, e un abnorme sviluppo finanziario, avevano sostenuto la crescita economica supplendo alla cronica carenza di domanda aggregata tipica delle economie capitaliste.
Come scrisse Hansen nel 1938, disse Summers, ci troviamo nel New Normal, un'era caratterizzata da bassa crescita, disoccupazione e sottoutilizzo delle risorse.
In più, in maniera sempre crescente, Summers notava che si rafforzava l'altro elemento previsto da Hansen, e che contribuiva alla perdita di posti di lavoro: la crescente automazione e robotizzazione dei processi produttivi, non solo più quelli manuali, come nel secolo passato, ma anche quelli intellettuali.
In definitiva, all'aumentare della ricchezza complessiva, delle risorse disponibili, del reddito pro-capite, della produttività, si accompagna una complessiva diminuzione del lavoro disponibile e della sua qualità con la conseguenza, per quanti hanno solo il proprio lavoro come mezzo di sostentamento e non altre forme di rendita, di un progressivo e inarrestabile impoverimento.
Le soluzioni, inutile storcere il naso, vanno, a mio parere, in un'unica direzione: una efficace redistribuzione della ricchezza, dall'alto verso il basso (e non il contrario come oggi avviene), mediante una tassazione che colpisca i grandi capitali, il grande risparmio, i grandi patrimoni, i grandi utili societari, tutti aumentati a dismisura grazie ai processi di diminuzione degli investimenti e automazione del processo produttivo. Se ciò non avverrà a breve credo che si scateneranno grandi ondate di voto populistico e di protesta nei paesi dove ancora si vota (vedi l'elezione di Trump in America, e quella probabile della Le Pen in Francia, di Grillo in Italia, di Frauke Petri in Germania il prossimo anno) o di sanguinose rivolte e guerre civili (dove la silenziosa invasione della Crimea sembra essere una premonizione per l’Europa), dove il dissenso e la rabbia non si possono esprimere democraticamente.
Novembre 2015