Capitolo 1
Luciano era un tipo fuori dalla norma. Salutava chiunque gli passasse vicino o incrociasse il suo sguardo: “N'giorno”.
Una sola parola. Gentilezza non comune tra persone di passaggio che non si conoscono. I più ricambiavano, altri non capivano e giravano il capo indietro per vedere a chi fosse destinato il saluto.
Dopo questo cenno di cortesia, se contraccambiato, continuava: “Come va?” Poi si fermava, aspettava la risposta e proseguiva con la passeggiata.
Di solito incontrava persone cordiali, ma c'era anche chi non era affatto dello stesso avviso.
Quel giorno al supermercato un signore si era, del saluto, alquanto adirato: “Ma chi ti conosce!” gli rispose con tono duro. Ma non finì lì: le parole si fecero più minacciose e portarono il signore sentitosi offeso a seguire quello dal saluto facile per vedere se era in compagnia. E lo era, di Enzo, che anche lui esordì: “N'giorno”.
Il signore arrabbiato non aveva un aspetto stravagante o atteggiamenti strani da lasciar presagire una reazione così scorbutica. Era vestito in maniera sobria: una camicia grigia a maniche corte, pantaloni scuri e occhiali d'altri tempi; stempiato, con il resto della chioma pettinato all'indietro. Forse solo le scarpe (senza forse) stonavano con tutto il resto: marroni, vecchiotte e rovinate sulle punte.
****
Quel sabato mattina, dopo la sua solita sveglia giornaliera, (che rimaneva attiva anche nel weekend) per un attimo gli venne il dubbio che dovesse andare a lavorare; poi, resosi conto, non ne fu comunque rallegrato. Ormai doveva alzarsi e probabilmente annoiarsi. Se avesse dovuto rispondere alla domanda: meglio andare a lavorare o restare a casa? Avrebbe fatto una pausa per poi scegliere di tirare a sorte.
Il lavoro era poco interessante: controllare conti e fatture di un'azienda che fabbrica tappi per bottiglie. Quel poco più d'attrattiva era data da Giovanna, la sua collega addetta alla promozione e vendite: sposata, leggermente sovrappeso; aveva superato la cinquantina e non degnava di attenzione il suo unico collega se non per questioni di lavoro. Non era una donna che lo attraeva per la sua bellezza e neanche per le sue doti intellettive, ma la noia e l'alienazione lo portavano a immaginare situazioni che potessero stimolarlo nei momenti di solitudine; per esempio quando faceva le operazioni: sussurrava i numeri con le sue labbra morbide e questo gli bastava per fantasticare con la mente.
Tolto il dubbio sul sabato, si apprestava a consumare la stessa colazione di tutti i giorni: latte con caffè liofilizzato e una manciata di biscotti.
Andava sempre in biblioteca a leggere il quotidiano. Una consuetudine così radicata che trovava la seggiola libera insieme al suo giornale preferito, quasi gli spettassero. Anche perché quella volta in cui trovò il posto impegnato, il suo sguardo funereo e quella frase: “Scusi, le manca molto?” fecero quasi sentire in colpa l'occupante che si alzò lasciando la biblioteca.
Un discreto inizio di weekend, si potrebbe pensare.
Si concentrava soprattutto sulle notizie di cronaca nera e di tutte le gradazioni a essa vicine. E se non c'era qualcosa di efferato, rimaneva deluso. L'impiegata lo salutava con sufficiente gentilezza, senza lasciarsi andare a slanci amichevoli, anche se lavorava da dodici anni in quel luogo di libri. (Il signore invece lo frequentava da quasi trent'anni).
Ma di quel nano non si capacitava.
Apparso un anno prima, stava in un ufficio, in disparte, addetto alla documentazione. Ma più assurdo gli sembrò come questo colloquiasse tranquillamente con l'impiegata dalla sufficiente gentilezza, che in questo caso raggiungeva livelli di gentilezza sublimi: questo lo mandava ancora più in bestia, provocandogli una forma di insofferenza che andava oltre la razionalità.
Quando quel signore, affetto da quella malattia rara detta acondroplasia, entrava nella sala lettura, nessuno faceva caso al suo aspetto e alla sua andatura altalenante. Lui invece lo fissava senza imbarazzo, per poi scoprire che oltre alle gambe aveva corte le braccia.
Quella mattina però, in procinto di uscire di casa, fu attanagliato da un caldo soffocante anche se erano passate da poco le otto. Sfilò dalla buchetta della posta un volantino pubblicitario e venne così a conoscenza che la settimana prima avevano inaugurato un nuovo centro commerciale poco distante. Decise di farci un salto, con lo scopo principale di trovare un po' di frescura condizionata.
Si accese la sua MS, ereditata dal padre, accumulatore seriale andatosene via troppo presto, presa da un pacchetto che faceva parte di una delle miriadi di stecche trovate all'interno di scatoloni accatastati nell'angolo della cantina. Lui, che era riuscito a convincere il padre a fargli interrompere quel vizio malsano, da ragazzo non sopportava il fumo; ora, da adulto, era diventato un accanito fumatore.
Non si ricordava più di quand'era stata l'ultima volta che aveva mancato l'appuntamento del sabato mattina in biblioteca. Un evento eccezionale, come la giornata che si preannunciava.
****
Non si capisce il motivo per cui quei due ragazzi gentili gli provocarono una reazione così irruenta. Forse era solo invidioso del loro sorriso o, probabilmente, del fatto che intorno a loro c'era un clima solidale. Sensazioni che non aveva mai provato. Ma l'istinto era più forte e dopo aver visto Enzo pronunciare quel buongiorno mangiato di alcune lettere, ebbe la tentazione di avventarsi anche su di lui; ma si trattenne solo perché notò una guardia addetta alla sorveglianza, che stazionava poco distante: “Scusi agente, ci sono due persone alquanto strane che disturbano la quiete pubblica, la prego di intervenire. Si tratta di quei due individui”.
“Ho capito, non si preoccupi, vado a verificare. “N'giorno” disse la guardia.
“N'giorno” rispose Luciano.
“N'giorno” proseguì Enzo.
“Sarebbero loro che disturbano la quiete pubblica?” si rivolse con un sorriso gentile.
“Agente, non faccia finta di niente... va bene. Basta! Me ne vado! Questo paese sta diventando sempre peggio”.
“Ha proprio ragione” replicò la guardia.
“Buongiorno, Enzo. Buongiorno Luciano, avete già fatto colazione? Non fa niente, venite che vi offro un succo” disse la signora Matilde.
“Io di mela”.
“Io d'ananas”.
“Eccoli qui i due campioni!” esordì il barista “I soliti?”
“Certo” risposero.
Non era sarcastico. I due, lo erano veramente campioni: di tressette. Sintonia, empatia e memoria per i numeri, le doti che li portavano a sbaragliare tutti. Al bar Lucio improvvisavano tornei pomeridiani con in palio succulenti aperitivi, e la coppia non era mai rimasta a digiuno. Se non fosse per il fatto che avevano due mamme e due cognomi diversi, chiunque avrebbe detto che erano fratelli, se non gemelli.
viewtopic.php?p=52930#p52930
Re: [lab9] Il terrore corre sul filo della normalità cap 1 di 3
2Kasimiro wrote: Di solito incontrava persone cordiali, ma c'era anche chi non era affatto dello stesso avviso.Non mi convince questa espressione. Ti suggerirei:
Di solito incontrava persone cordiali, ma alcuni deludevano le sue aspettative.
Kasimiro wrote: Quel giorno al supermercato un signore si era, del saluto, alquanto adirato: “Ma chi ti conosce!” gli rispose aveva risposto con tono duro. Ma non finì era finita lì: le parole si fecero erano fatte più minacciose e portarono avevano portato il signore sentitosi offeso a seguire quello dal saluto facile per vedere se era in compagnia. E lo era, di un tale di nome Enzo, che anche lui esordì: “N'giorno”.Vedo meglio il trapassato prossimo per il singolo episodio, al posto del passato remoto.
Inoltre, l'inizio mi pare contorto. Ti consiglierei:
Quel giorno, al supermercato, al suo saluto un signore si era addirittura alterato: "Ma chi ti conosce!"
Kasimiro wrote: E virgola se non c'era qualcosa di efferato, rimaneva deluso.per aprire l'inciso
Kasimiro wrote: anche se lavorava da dodici anni in quel luogo di libri. (Il signore invece lo frequentava da quasi trent'anni).Non ci va quel punto dopo "libri"
Kasimiro wrote: Lui, che era riuscito a convincere il padre a fargli interrompere quel vizio malsano, da ragazzo non sopportava il fumo; ora, da adulto, era diventato un accanito fumatore.Superfluo quel "fargli".
Kasimiro wrote: Ma l'istinto era più forte e virgola dopo aver visto Enzo pronunciareper aprire l'inciso
Kasimiro wrote: Forse il signore arrabbiato era solo invidioso del loro sorriso o, probabilmente, del fatto che intorno a loro c'era un clima solidale. Sensazioni che non aveva mai provato.Secondo me occorre indicare il soggetto a scanso di equivoci.
Bravo @Kasimiro
Sul titolo, ti suggerisco di mettere un trattino prima dell'indicazione tecnica del singolo capitolo (che non fa parte del titolo!)
Re: [lab9] Il terrore corre sul filo della normalità cap 1 di 3
3Vado ex abrupto. Lascio stare la sintassi che mi sembra ben curata dalla poeta Zaza. Presterei attenzione agli spazi doppi, che non ho notato se te li ha segnalati. Questo racconto ha due problemi però. I tempi di lettura. Mi sembra di capire che il terrore dev'essere dato dal disagio della normalità. Ma qua il disagio l'ho provato io leggendo il pezzo. Il continuo saltare interrompendo qualsiasi contatto tra una storia e l'altra da una sensazione di disagio al lettore, che immagino sia anche prevista, ma se sfocia in confusione e mal di testa, come in questo caso, non credo sia buono. Forse dovresti cercare di avvicinare un po di più i brani. In modo che passare dalle informazioni dell'uno e dell'altro sia più agevole. In particolare nel terzo brano quasi non si capisce che il signore aggressivo sia l'uomo del secondo racconto. Ho dovuto rileggere i due pezzi due volte per intero per essere sicuro. Altro problema, non mi sembra che questo sia un racconto fantasy. Mi sembra che voglia avere una buona dose di realismo. Allora come è possibile che il tipo polemico si fumi le sigarette del padre? Fossero state rubate quello pomeriggio, benissimo. Ma se il padre le ha lasciate in cantina 10-20 anni prima... Beh, perdonami, ma se non è tutto muffito è tutto polvere. Oppure è una bella e buona licenza poetica o sospensione dell'incredulità letteraria con scopo narrativo. Tipo, questo si fuma muffe che lo fanno diventare uno dei mostri lovecraftiani o cose del genere? Comprendi bene che c'è un problema. In tal caso, spiegherebbe il suo razzismo, tipico di lovecraft. E poi lo stile non sembra molto da "terrore". E neanche da critica sociale. Lo stile non suggerisce molto dove stai andando a parare. Non lasci immagini non descritte o descritte solo liminalmente perché se le immagini il lettore in preda al terrore, ne delinei delle situazioni in modo che il lettore possa empatizzare con o contro. Sembra una semplice raccolta di racconti, abbastanza slegati tra loro, se non quando arrivi al terzo. Momento in cui ti viene il sospetto che ci sia un collegamento e tenti di capirci qualcosa con difficoltà. Ci sono grossi problemi, a mio avviso
Re: [lab9] Il terrore corre sul filo della normalità cap 1 di 3
4@ruyrus, perdona ma forse sei stato un po' aggressivo nell'esprimere il tuo commento.
Ok la sincerità, ma ti ricordo lo spirito del forum, a questo link:
viewtopic.php?t=482
In particolare:
Buon proseguimento.
Ok la sincerità, ma ti ricordo lo spirito del forum, a questo link:
viewtopic.php?t=482
In particolare:
wrote:Gli autori dell'Officina si confrontano tra loro per aiutarsi vicendevolmente, con onestà e cortesia.Frasi come:
ruyrus wrote: Ma qua il disagio l'ho provato io leggendo il pezzo.
ruyrus wrote: Ci sono grossi problemi, a mio avvisoPotrebbero essere espresse con un po' più di tatto.
Buon proseguimento.
Re: [lab9] Il terrore corre sul filo della normalità cap 1 di 3
5no, scusatemi voi. mille scuse allo scrittore e al forum
Re: [lab9] Il terrore corre sul filo della normalità cap 1 di 3
6@ruyrus di nulla. È normale, all'inizio, dover prendere un po' "le misure". 