[MI188] Ogni stramaledettissimo giorno di pioggia

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Traccia: "Il giorno della pioggia"

Ogni stramaledettissimo giorno di pioggia

Forse avrebbe dovuto uscire di casa. 

Fare la spesa, comprare la pappa al gatto; insomma, qualsiasi cosa pur di scuotersi dalla catalessi. Dopo tre giorni davanti al televisore gli facevano male gli occhi, anche se lo schermo era spento da un po’. L’emicrania gli si era incollata alla fronte come un post-it in quello stupido gioco “Indovina chi sono?”. Non che ci avesse mai giocato: l’aveva visto in televisione, in uno di quei programmi demenziali con le risate registrate. Cose da giovani, che a lui non facevano ridere per niente. 

Anche aprire la finestra e respirare un po’ d’aria pulita poteva andare bene, tutto pur di non inalare ancora quel puzzo di gatto e uova fritte che non gli si staccava più dalle narici. 

Ma erano tre giorni che pioveva. 

Bah, pioveva… meglio dire che diluviava: il cielo vomitava goccioloni a secchiate. Sempre con la stessa intensità, come se in Paradiso si fosse rotta la caldaia. Era impressionante. Settantadue ore di fila, dalla mattina di martedì. In tanti anni di vita non aveva mai visto nulla del genere. 

Cambiamento climatico, pensò. Alla fine, aveva ragione quella biondina in televisione, incredibile. Quella che aveva gli occhi spiritati e parlava come un androide. E dire che aveva sempre pensato fossero tutte sciocchezze. La gente non sopportava il caldo solo perché non aveva mai lavorato d’estate in cantiere. Beata gioventù, tutti laureati e nessuno che sapesse piantare un chiodo. 

Bah, lui odiava chi si lamentava del caldo. D’accordo, fanno quaranta gradi, e allora? Cosa c’è di meglio di un bel sole bollente che abbronza la pelle e fa crescere i campi? 

Il problema, semmai, era la pioggia. Solo ai malati di mente poteva piacere. E ai giovani d’oggi. 

A lui la pioggia non piaceva per niente. Anzi, la detestava. Ogni volta si ritrovava pensare a quella notte di cinquant’anni fa; quando, per stupido orgoglio - per dimostrare a sé stesso di essere un vero uomo - decise di mollarla. Lei era stata avvistata nell’auto di un altro. E tanto bastava. 

Le lacrime si confondevano con le gocce di pioggia: “Non è vero, non lo farei mai!” 

“O sei mia o sei degli altri” le aveva detto. Semplice, lineare, lapalissiano. 

Ne troverò un’altra, si disse. Ho tutta la vita davanti.

Il mare è pieno di pesci e le stesse scemenze che gli ripetevano gli amici.   

Gli faceva un po’ male, certo. Ma questi sono dolori di gioventù, il tempo guarisce ogni ferita. 

Pensava. 

Ora annusava il puzzo di lettiera del gatto e si detestava per essere stato così stupido. Un rimorso che lo tormentava da cinquant’anni. Non una settimana, un mese o tre mesi: cinquanta maledettissimi anni. Mezzo secolo, tutta la vita. Almeno per quelli più fortunati. E lui come aveva onorato questa fortuna? Pensando sempre alla stessa persona. Ogni volta che pioveva si flagellava con gli stessi pensieri, un’ossessione! Di donne è pieno il mondo, già. Eppure, nessuna aveva il suo profumo. I suoi occhi, la sua dolcezza. 

E se non fosse salita davvero in macchina con un altro? Dove erano finiti i grandi amici che gli avevano fatto la soffiata? Tutti spariti nel giro di qualche anno. Ne aveva conosciuti di idioti nel corso della sua terribile vitaccia, ma lui li aveva battuti tutti. Per distacco. 

Ogni stramaledettissimo giorno di pioggia. 

See, magari. 

Come se nei giorni di sole, invece, pensasse ad altro. 

A chi vuoi darla a bere, vecchio? Se dobbiamo raccontarci menzogne anche tra di noi, non ne usciamo più. 

Il vetro era appannato, era quasi sicuro che fosse mattina, ma la luce lì fuori era di un colore indefinibile. Ocra? Verde? 

Il gatto lo fissava indignato. Quando si sarebbe deciso a cambiargli la sabbietta e dargli un po’ di pappa buona? Che quei croccantini erano rimasti nella ciotola per due giorni.  

Dlin dlon.

La porta? 

Chi è che viene a bussare alla porta di questo vecchio bastardo? Erano anni che non sentiva il suono di quel campanello. Lo aveva quasi dimenticato. Se non fosse stato attutito dal rumore della pioggia, quel dlin dlon gli avrebbe fatto venire un coccolone. 

Forse l’ho soltanto sognato? Alzarsi dalla poltrona era un’enorme seccatura, ma se restava seduto ancora un po’ gli sarebbero venute le piaghe da decubito. Quanto tempo era rimasto imbambolato a fissare il televisore spento? Ogni passo era una pugnalata nel femore, e quando pioveva era peggio. 

“Chi è?” la sua stessa voce lo turbò. Si rese conto che non parlava da giorni. 

Nessuna risposta. 

Oh, al diavolo! Di cosa ho paura, che qualcuno mi accoppi? Magari mi passa pure il mal di testa. 

Sull’uscio c’era solo un marmocchio. Doveva avere meno di dieci anni, era fradicio fino ai calzini. 

Perché aveva bussato alla sua porta? Mica era la festa dei morti o una di quelle fesserie americane dove bisognava dare caramelle ai bimbetti? Beata gioventù, se ne inventavano una ogni anno. Se il moccioso avesse aspettato un pochino gli avrebbe rifilato un paio di croccantini… 

“Oggi piove di nuovo. Vuoi tornare indietro e parlare con lei?” la voce del bambino era un sussurro incerto. 

Il vecchio lo guardò severo, non poteva averlo detto davvero! Gli avrebbe dato una lezione a quel marmocchio, ma sapeva con chi aveva a che fare? Come si permetteva di prenderlo in giro, questi giovani d’oggi non hanno più rispetto per gli anziani! Lo sapeva che aveva il doppio degli anni dei suoi genitori? 

Ma il bambino si era già voltato, con andatura incerta stava scendendo le scale aggrappandosi al corrimano, attento a non scivolare sui gradini bagnati.  

Porco diavolo, pensò il vecchio. Era ancora in ciabatte e pigiama, un pigiama unto e sporco che non cambiava da giorni. Tuttavia, nonostante la pioggia battente, si decise a seguire il ragazzino.  

Vuoi tornare indietro? Vuoi parlare con lei? Oggi piove di nuovo… che ne sapeva quel pischelletto? 

Camminare in strada in pantofole non era il massimo, si sarebbe buscato come minimo una broncopolmonite. 

Che ha da correre quel piccoletto sotto il diluvio universale? Che penserà la gente nel vedere un vecchio in pigiama inseguire un bambino? I più ingenui penseranno che mi sono rimbambito del tutto, i più malevoli avranno già chiamato la polizia. 

“E rallenta un po’, marmocchio della malora! Non lo vedi che sono un povero vecchio?” per la seconda volta si stranì della sua stessa voce, non parlava così forte dall’ultima riunione di condominio. Quando era accaduto? Prima del Covid? 

Maledizione, ho i piedi tutti bagnati, sono zuppo! Dove mi sta portando quel piccolo demonio? Sì, d’accordo, voglio parlare con lei, voglio tornare indietro. Ma mica posso rompermi una gamba per la tua bella faccia! 

Come se lo avesse sentito, il bambino si fermò di colpo. 

La pioggia continuava a cadere ingenerosa. Il moccioso sembrava fissarlo impaziente, con i capelli tutti appiccicati sulla fronte. Le ruote di un’auto sollevarono un’onda di acqua putrida; il vecchio non ebbe modo di sottrarsi agli schizzi. Si guardò i pantaloni del pigiama: erano lerci. 

Le pantofole erano diventate due ventose, producevano un rumore sinistro a ogni passo. Nella fretta non aveva preso gli occhiali e la pioggia gli entrava dritta nelle pupille, ma era quasi certo che il bimbo si fosse fermato davanti al cimitero. Cos’è, uno scherzo di cattivo gusto? 

“Oggi piove di nuovo. Vuoi tornare indietro e parlare con lei?” 

La voce la sentì benissimo, ma il bambino sembrava non avesse nemmeno mosso le labbra. Il vecchio inclinò la testa da un lato per scrutarlo meglio. 

A ben guardare lì non c’era nemmeno il moccioso. 

Solo un povero vecchio in pigiama davanti a un cimitero. 

Ma allora da dove veniva quella voce? Si stava davvero rincitrullendo? 

Ecco, adesso la risentiva di nuovo. 

Sembrava gli stesse dicendo: 

“Peccato, non puoi.” 
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

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