Giulia
L’avvocato Parisi non mi dà nemmeno il tempo di dire buongiorno, sbatte il plico di fogli sulla sua scrivania.
— Manca un documento signorina, non ho parole, se non lo trova saranno guai seri, per tutti.
Si alza, mi gira le spalle, sono mortificata, non ho le prove ma so che non è colpa mia. Prendo un respiro, tento di spiegare ma lui si volta mi punta l’indice sul viso
— Era un documento originale, diavolo! Ma che cos'ha nel cervello?
Trovo un filo di voce.
— Mi dispiace, non so come sia successo, i documenti che le ho portato erano in ordine ieri sera, li ho messi io stessa sulla sua scrivania prima di andare via, e…
— Lei ha combinato solo guai da quando l’abbiamo assunta, Stia più attenta quando svolge il suo lavoro.
Le sue urla saranno arrivate alle orecchie dei miei colleghi, ora dovrò sopportare anche il loro scherno.
— io le giuro…
— Signorina Giulia, è lei che deve controllare il suo operato. Vuole incolpare qualcuno in particolare? Se è così parli, invece di piagnucolare, non si piange in uno studio legale, qui non stiamo giocando. Siamo adulti, il nostro lavoro ha un valore assoluto per i nostri clienti, i documenti non vanno persi, e questo è quanto, ora torni al suo lavoro.
Stringo i pugni, non riesco a trattenere le lacrime, non voglio che lui le veda. Mi giro di scatto per uscire di corsa, togliermi dalla sua vista prima possibile; il sorriso soddisfatto stampato sul viso di Alberto, appoggiato sullo stipite, mi svela l’arcano sul documento perso.
— Avvocato, ho trovato il documento che sta cercando, era sotto la scrivania di Giulia. Devi stare più attenta signorina.
Torno In ufficio, gli sguardi dei colleghi mi tagliano la pelle, li sento senza vederli, non ho il coraggio di alzare lo sguardo, Giada si avvicina, sbatte il palmo sulla mia scrivania.
— Che vuoi, farci licenziare tutti? Lo sai che le cause vanno vinte, vero? Sei un’inetta, inutile…Fosse per me saresti a casa da un bel pezzo.
Non alzo gli occhi, sono pietrificata, loro sanno che io so che sono stati loro e nonostante questo… Oh no, Alberto è tornato, la tortura non è ancora finita.
— Tranquilli, tutto a posto, ci ha pensato il vostro Alberto a sistemare tutto. Per fortuna che la donna delle pulizie non ha buttato via quel foglio, vero Giulietta? Sai quanto tempo ci hai fatto perdere stamattina?
Mi alzo, corro in bagno.
Quella che vedo allo specchio non sono io. Io sono Giulia, allegra Giulia, solare Giulia, divertente Giulia. Io non ero così prima, Giulia è una giovane donna generosa, ha fiducia nel mondo, è una persona empatica.
L’immagine che vedo è quella di una donna sola, disperata.
Sì, sono sola, mi mancano i miei genitori, mi manca la mia città, forse dovrei accettare la sconfitta e tornare a casa.
Quello che mi manca, soprattutto, è il coraggio, lo so, ma non è sempre stato così, non voglio che vincano loro, devo reagire.
Mi lavo il viso, lascio andare l’accaduto e torno in ufficio. Spero che fino a stasera saranno soddisfatti, che mi lascino in pace.
Finalmente a casa.
Mi tolgo le scarpe, indosso una felpa sopra un leggins e ritrovo la sicurezza nella comodità del mio piccolo appartamento.
Metto su l’acqua, mi faccio un tè caldo, magari poi mangio un biscotto, non ho fame stasera.
Mentre aspetto, apro le tende della finestra. Le luci di Roma sembrano così lontane. Quaranta minuti di auto per arrivarci ogni mattina, per vivere in un inferno.
Metto la bustina nell’acqua e apro il pacco di gocciole, sistemo la tazza sopra una tovaglietta, mi siedo. Ho un groppo alla gola. Non voglio piangere di nuovo.
Provo a bere un sorso di tè, il calore scioglie la tensione ma non riesco a…
Mi abbandono al pianto.
Mi soffio il naso, bevo un altro sorso di tè, mi siedo sul letto a commiserarmi.
Che colpa ne ho io…
Non fanno altro che prendermi in giro, sono persone adulte eppure si divertono a denigrarmi continuamente. Giada mi odia, Alberto è un coglione, con le sue battute idiote…Dovrei dare le dimissioni.
Dirlo al capo, nemmeno a pensarlo, lui è come loro, denunciarli per mobbing? Figuriamoci, denunciare uno studio legale…Non restano che le dimissioni. Non è giusto.
Le lacrime non servono a niente, sono una sciocca, non voglio mollare.
Mii alzo e torno a guardare il panorama dalla finestra.
Scaccio la tristezza, cerco di non pensarci.
Lavo la tazza e rimetto i biscotti nell’armadietto, lo sfogo, però, mi ha fatto bene, mi sento meglio, avevo bisogno di farle uscire queste lacrime.
Il tè è diventato freddo, È tardi, non ho sonno, magari mi metto a lavorare.
Apro il PC e mi siedo sul letto a gambe incrociate.
Leggo la posta, ho mandato alcune mail per avere informazioni su casi simili a quello che stiamo cercando di risolvere in studio, tra le risposte ci sono diversi casi ma nessuno è stato risolto in modo positivo. Gli indagati sono risultati sempre colpevoli.
Il nostro cliente è innocente, lo sappiamo tutti in studio. È la vittima di una truffa, ma non ci sono elementi per provarlo. Se perdiamo la causa licenzieranno e io sono la prima della lista, non voglio perdere anche questo lavoro.
Apro la cartella degli atti, ricomincio dal duemilaventuno, rileggo con pazienza certosina ogni parte dell’intricato caso, è tutto quello che posso fare, perderemo la causa se non troviamo qualcosa che possa aiutare il nostro cliente.
Sono le due di notte, comincio a cedere, le palpebre si chiudono. Meglio che mi metta a dormire, ricontrollo i dati anagrafici e poi…
Cavoli! Il timbro della cancelleria riporta una data sbagliata, è un vizio di forma! Non mi sembra possibile, non posso crederci.
Controllo, torno indietro, la cronologia dei documenti è esatta, ma il timbro ha la data sbagliata.
Un vizio di forma annulla gli atti, è tutto da rifare, ci vorranno altri tre o quattro anni, nel frattempo potremmo trovare le prove che…
La paura di essermi sbagliata mi assale, dovrei inviare subito una mail all’avvocato ma…Se poi trovano qualcosa che mi è sfuggito farò l’ennesima figuraccia.
Spengo tutto ci dormirò sopra.
Non ci riesco, dormire è impossibile, devo fidarmi di me stessa, la data è sbagliata, ne sono certa!
Riapro il PC, controllo di nuovo, che cosa aspetto? Ho le mani sudate, il cuore mi batte forte.
Apro la posta:
Oggetto: Vizio di forma sul caso Bonelli
Scrivo la mail, carico la foto del documento in allegato e premo invio.
Ferma al semaforo di san Basilio, ricevo la risposta del mio capo.
Mentre aspetto il verde, dal cellulare leggo:
Mi congratulo con lei, Giulia. L’aspetto in ufficio, ho un nuovo incarico per lei.
Mi sento bene, ho fiducia, non può essere uno scherzo, la mail mi è stata inviata dalla sua posta privata, non da quella dello studio, ho controllato.
Sono un po’ in ritardo, proprio stamattina.
Quasi correndo, percorro il corridoio, sulla porta dell'ufficio dell’avvocato mi blocco, riprendo fiato, busso con calma.
— Avanti!
— Buongiorno, mi scusi per…
— Buongiorno, Giulia. Ottimo lavoro! Ho già mandato i documenti alla procura, ma lascia pure la porta aperta, voglio parlarti del nuovo incarico che sto per affidarti, non abbiamo segreti con i colleghi vero?
Mi dirigo alla mia postazione, il sorriso sulle mie labbra svanisce appena li vedo, tutti mi fissano.
Mi siedo alla scrivania, Giada e Alberto mi guardano in tralice.
I loro sguardi parlano chiaro; non se l’aspettavano da me.
Li ignoro, abbasso lo sguardo, apro il PC e comincio a leggere i documenti del nuovo caso.
Trascorro la giornata in totale serenità, per la prima volta.
È quasi l’ora di tornare a casa, decido di fermarmi ancora un po’, di aspettare che loro se ne vadano tutti, non voglio che mi facciano domande.
Guardo fuori dalla finestra, lascio vagare lo sguardo su piazza San Giovanni, la gente è ancora in maniche corte, si gode la meravigliosa luce dell’ottobrata romana.
Il sole di Roma sta tramontando, raggi delicati illuminano lo studio.
Da troppo tempo non vedevo la luce, un timido raggio inatteso mi colpisce le iridi, lo prendo come un segno, sorrido.
Non sarà facile ma devo trovare il coraggio. Prendo la mia borsa, un bel respiro, mi alzo e seguo i miei perfidi colleghi.