[MI183] L'ultima estate del mondo

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Traccia 2 - L'orologio
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Lo ricordo come fosse ieri, ma son passati ormai così tanti anni… Quel vecchio, e allora mi pareva assai vecchio, si presentò mite ed affabile alla mia porta. Chiese venia, prima di tutto per non essersi preannunciato, per non avermi chiesto un appuntamento. «Ma non ne ho avuto proprio il modo, vengo da così lontano e per così tanto tempo l’ho cercata…» erano state le sue parole.
Vestito in modo che allora mi parve stravagante, di certo non elegante: maglia a maniche corte di un rosso liso dal tempo e uno strano simbolo ricamato sul petto, grossomodo sopra il cuore. Simbolo che oggi non saprei più descrivere, ma che un noto marchio di abbigliamento sportivo a volte mi ricorda.
Mi porse subito il pacco, avvolto in carta e spago sigillato da un banale piombino bulinato, quindi nient’affatto straordinario.
A parte le sue prime parole, non sono in grado di evocare con precisione quanto mi disse, perché parlava in un modo singolare, cosa di cui era consapevole e per la quale si scusava, e che ho dimenticato, ma che ora ho la sensazione fosse il gergo che oggi usiamo tutti, nel nostro presente.
Ah, se solo avessi capito! Quante domande gli avrei posto! E invece lo lasciai andare, accontentandomi di una spiegazione del tutto insoddisfacente: che il pacco era per me, ma non in quanto me medesimo, bensì per il luogo di cui ero proprietario, questa casa che da generazioni appartiene alla mia famiglia. Provai a domandarne il perché, ma lui mi rispose in modo vago: era prettamente una questione geografica e che proprio lì, dove eravamo in quel momento, nell’ampio salone al pian terreno, avrei dovuto tenere l’oggetto che il pacco conteneva. Conosceva forse mio nonno Arturo, notaio in Modena che nel salone della villa teneva la sua sala di rappresentanza? No, non lo conosceva, né del resto quell’oggetto aveva mai avuto, prima, a che fare con me o miei ascendenti.
Interrompendomi, e di ciò scusandosi in modo più rammaricato di quanto la buona educazione imponesse, mi pregò di aprire l’involto e tirar fuori quel piccolo omaggio solo un po’ dopo che lui se ne fosse andato. C’erano semplici istruzioni d’uso e conservazione all’interno del pacco, non dovevo quindi preoccuparmi di nulla e nient’altro di utile lui poteva aggiungere sulla natura dell’oggetto.  Ricordo che fece, inoltre, una breve ma enfatica dissertazione sul fatto che era proprio un omaggio, per il quale nulla dovevo a chicchessia e che, anzi, avrei dovuto essere, io, ripagato per il servizio che avrei svolto in quanto custode dell’oggetto, ma che, pure per una forma adeguata di ricompensa, proprio non si era trovato il modo…
E così, timido e gentile come si era presentato, si congedò da me e dalla mia casa. E mai più lo rividi, né sentii parlare di qualcuno che gli somigliasse.
 
Ho impiegato anni a comprendere la funzionalità di quell’oggetto, e ancora non ho capito perché sia stato scelto io come custode, e cosa possa, e debba io fare, oggi che in modo così radicale l’Oggetto ha mutato il proprio funzionamento, nonché il suono che di tale funzionamento è assieme principio e natura.
Già: il suono… Quanto mi ha turbato (oggi sono disposto ad ammettere che mi ha anche terrorizzato, e ancora non sapevo a quale più grande terrore sarei stato esposto nel momento in cui avesse smesso di spaventarmi in quella forma).
Quel giorno attesi qualche ora, poi, parendomi trascorso un tempo congruo alla richiesta che lo strano ospite aveva avanzato, tagliai lo spago e aprii l’involto. Conteneva un cubo di materiale che non avevo mai visto prima: bianco, ruvido e stranamente caldo al tatto. Interrotto orizzontalmente a metà da un taglio assiale, che rivelò essere la divisione fra due semi gusci che potei separare facilmente scoprendo all’interno di quella madre perfettamente sagomata sul contenuto, un orologio a pendolo in ottone. Ma era il contenitore che continuava a calamitare la mia attenzione e a strabiliarmi. Ad uno sguardo più attento, nel biancore di quel materiale leggerissimo ne vidi la trama: tante piccole sfere che parevano saldate tra loro. Scoprii successivamente che si trattava di polistirolo espanso. Per molto tempo, in seguito, l’ho creduto “portato dal futuro” dal misterioso ospite di quel giorno. Non era così e queste sono state soltanto suggestioni: sebbene a quel tempo fosse ancora molto di là dall’entrare nell’uso comune, il polistirolo era già stato scoperto almeno un secolo prima, e quell’omino, o chi per lui, aveva potuto, non so come, produrre al tempo della visita che mi fece, quello straordinario involucro usato come conchiglia protettiva per il trasporto dell’orologio.
Rimossi il pendolo dalla matrice che lo conteneva e sotto trovai un piccolo biglietto che in minuscoli caratteri tipografici, riportava:
 
“Porre e mantenere questo segnatempo in posizione verticale
Azionare il pendolo con una leggera spinta laterale e non tentare mai di fermarlo
Non richiede ricarica
Non richiede messa a punto dell’orario
Ascoltare con attenzione ogni suono che emetterà.”
 
Null’altro che questo. Allora mi sembrò scritto in modo strano e di nuovo devo ripetere che ciò che a quel tempo pareva bizzarro, oggi suona in modo perfetto… Ma pure queste sono suggestioni e non è più tempo di perdersi in dettagli simili.
Ispezionai l’orologio, che misurava circa trenta centimetri in altezza su una base di venti per dieci centimetri circa. L’aspetto era quello di un normale orologio a pendolo da soprammobile, probabilmente antico ma molto ben tenuto e che pareva, questo sì, perfettamente conforme alle mode del periodo, senza alcun elemento di quella straordinarietà propria di colui che aveva eseguito la consegna, nonché del leggerissimo contenitore bianco. Il pendolo, però, sembrava fuso o battuto in unico foglio, non aveva aperture di sorta, chiavi di ricarica, né parti in movimento oltre al piccolo pendolo sottostante il quadrante bianco in madreperla con guscio in vetro, ore indicate da numeri romani e le due lancette, a forma di picche diversamente allungate, in metallo brunito.
Decisi di seguire alla lettera quelle scarne istruzioni, senza domandarmi altro e da allora il pendolo si trova qui nel salone, sull’ampia mensola che sovrasta il grande camino, oggi dismesso. Mosso delicatamente, il pendolo partì e tutto ciò che si poteva ascoltare era il delicato battere ritmico ad ogni oscillazione. Ricordo in modo distinto che a quel punto mi sembrò di averne abbastanza e rimandai al futuro i tentativi di comprendere, nonché ogni possibile conclusione sopra gli avvenimenti di quel giorno.
In modo del tutto incongruo m’illusi che fosse finita lì, mentre ancora oggi provo l’eco d’un brivido per ciò che udii quella prima notte.
 
Un rumore sordo, e mi sveglio di soprassalto. Potrei averlo sognato, eppure sento che non è uno dei miei incubi ricorrenti. Tendo l’orecchio mentre mi tocco il volto, e mi pizzico, non fossi anch’io, ora, in forma di uno di quei fantasmi che mi fan visita ogni notte.
Ma posso muovermi, quindi son proprio desto e resto in ascolto, certo che ciò che udirò è reale. Come da un lontano temporale, un rombo cupo e discontinuo giunge e riempie la stanza. Ma non viene da fuori. Mi alzo, vado alla finestra e scosto le tende: la notte è tersa, la luna è quasi piena. Viene da sotto…
 
Già: quei sogni incomprensibili, che da tempo mi tormentavano… Forse anche loro erano una sorta di profezia. Negli anni qualcosa, vagamente, ho compreso. Alcuni di quei fantasmi li ho riconosciuti, ma troppi mi sono rimasti estranei. Sapere, ed esserne proprio certo, che sono tutte persone realmente esistite, e che il loro pianto, il dolore, lo sgomento incredulo e disperato hanno realmente afflitto anime vive, pesa su di me come una montagna.
 
Scendo. E si fa strada in me quella frase di chiusura delle istruzioni: “Ascoltare con attenzione ogni suono che emetterà.”
Viene dal salone, quel rombo di cavalli al galoppo? Quel mormorio sordo di temporale lontano? Quella voce roca e diabolica che mi chiama? Sono davanti alla porta del salone: ancora un istante per desiderare di non essere lì, non aver mai abitato questo luogo, non aver mai ricevuto quella visita. Ancora un secondo per sentire un rivolo di sudore scendermi dalla tempia, una morsa che stringe lo stomaco e le membra che tremano. Spalanco la porta. E il suono è lì che m’attende: proviene dal maledetto pendolo che mi attrae a sé e vince il mio impulso a fuggire. È un suono che è ruggito, ma anche rombo, e anche pianto e stridore di denti. C’è tutto il male del mondo in questo suono, che so mai sentito da orecchio umano.
Maledetto vecchio! Cosa nascondevano i tuoi modi gentili! Dove sei? Che cosa hai portato in questa casa?
 
Io non so perché, non già io, ma proprio questo salone sia stato il luogo dell’Oggetto. Eppure, così è stato e ogni notte, da quella notte, ho atteso nuovi suoni, nuove grida, nuovo pianto. E tuoni, e scoppi, e frastuono di catastrofi, confondendo i miei fantasmi, i miei piccoli fantasmi di uomo da nulla, con i fantasmi del mondo e con le profezie che il mondo attendeva.
Oggi tengo per certo che il Pendolo è lo strumento attraverso cui qualcosa, o Qualcuno, doveva annunciare il destino del mondo, per avvisare gli uomini di guardarsi da tale destino. E io dovevo essere il messaggero di questa profezia.
Ma l’unica cosa che ho saputo fare, fin da subito e per moltissimi anni, è stato appuntare, catalogare minuziosamente, oltre che cercare di comprendere ogni incomprensibile suono. Ho capito che ogni notturno rumore dell'Oggetto era fatto di innumerevoli suoni, che col tempo ho imparato a suddividere, isolando ogni singola fonte. Pianti, risa isteriche, suppliche, rantoli. E bombe, spari, rombi d’aerei in picchiata. E cingoli, e truppe in marcia. Ma anche membra percosse, e lame che penetrano carni, e cuori che di colpo s’arrestano provocando silenzi colmi d’indicibile frastuono.
E qualcosa ho riconosciuto, potendo così dedurre con ragionevole certezza che quell’oggetto sapeva predire il futuro. Il futuro del mondo: una cosa troppo grande per un piccolo uomo come me, ultimo discendente di un’antica famiglia nobile, che desiderava solo vivere una vita appartata, fatta di attento uso delle poche risorse rimastegli, dedicata a poco studio, pace e isolamento dal mondo nell’antica villa di famiglia. Nei dintorni mi chiamano “l’orso”, o “il vecchio decrepito e pazzo”, benché in paese non mi vedano da anni. Ma non m’importa né mai m’è importato.

Perché il grottesco non è l’immagine che qui hanno di me, bensì il fatto che io non abbia capito nulla di utile. Sono solo arrivato a esercitare un tragico potere di riconoscimento postumo di ogni profezia. E in quei suoni notturni, a cadenze apparentemente disordinate, ho riconosciuto, ma solo dopo, stermini, stragi, guerre. Di recente la certezza di aver già udito quei suoni è divenuta totale, allorquando miseri scampoli ho iniziato a riconoscere, perché da qualche decennio è più facile udire il rumore delle catastrofi, riprese in diretta dai mezzi d’informazione. Ora, rumori che io già conosco da tempo accompagnano ogni giorno la cronaca. Da quel pomeriggio dell’undici settembre 2001: mentre le televisioni trasmettevano immagini che paralizzavano il mondo, ciò che stava paralizzando me erano i suoni, che via via riconoscevo. Me li aveva portati, mesi prima, il pendolo! Il maledetto Oggetto che piangeva e urlava; gemeva e ruggiva. Scoppiava, rombava, franava. E nel momento in cui riascoltavo quei suoni in televisione diveniva chiara in tutto il suo orrore la profezia: data, luogo, evento…
Ma non ho imparato subito a interpretare ciò che quel mostruoso Segnatempo annunciava. Mostruoso, eppur grandioso e benevolo, perché doveva pur avere un senso il suo svelare così limpidamente ciò che sarebbe accaduto.
A cosa è servito? – Mi domando. Cosa avrei potuto fare comprendendo in tempo il significato di ogni notturno messaggio? E Chi mandava, qui, tali segnali?
Ultimamente, pur col sonno afflitto quasi tutte le notti dai rombi del salone, mi pareva che quei suoni di guerra e di morte si stessero facendo un po’ più flebili. Guerra è sempre, da tempo immemore, ma, così come ai tempi della Seconda Guerra Mondiale le mie notti di ancor giovane depositario di segreti incomprensibili erano tormentate senza pietà dal fragore continuo e cupo del pendolo, ora, così tanto tempo dopo, mi pareva di poter trarre buoni auspici da suoni che sempre meno parevano tuoni.
Ma poi ho sentito, in modo cristallino, il rumore dei cingoli a Kyiv, e spari, e bombe, e bombe che rispondevano ad altre bombe. Per mesi, poi per anni.
E ancora, tempo dopo, altri spari e scoppi; urla e pianti; fragore di bombe, e altri cingoli, che abbattono case e frollano terre un tempo sacre e che per questo hanno portato uomini a darsi la morte a vicenda, perché in troppi luoghi del mondo la cruda terra viene fatta valere più di tutte le vite che possono abitarla.
Adesso ho imparato a comprendere quella lingua composta da tutti i suoni del dolore e della distruzione, ma non posso fare nulla. Ora so cosa sta per capitare, ma non posso fare nulla. Quando era tempo non ho compreso i segnali che quel Meraviglioso Oggetto propagava. Ora è tardi, troppo tardi. Non c’è più tempo, perché l’orologio si è fermato. Da numerose notti non emette più alcun suono e io so cosa ciò vuol dire.
 
È un’estate calda, questa del 2024, e la gente del paese parte per le vacanze. Famiglie felici, o che cercano d’esserlo, prendono viaggio, sulle loro macchine senza freni, che inquinano e scaricano lenta morte dalle loro marmitte.
Fanno bene, perché tanto non moriremo avvelenati dai nostri gas di scarico, né dai pesticidi con i quali fertilizziamo i nostri alimenti. Non dagli antibiotici con cui imbottiamo la carne viva di cui ci nutriamo, non dai liquami che sversiamo nei fiumi e nei mari.
L’Orologio ormai tace e la gente parte per le vacanze di questa estate.
L’ultima estate del mondo.

Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Che ritorno fantastico, @queffe: uno dei tuoi racconti più riusciti, forse il migliore in assoluto.
A partire dal primo corsivo:
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmnel nostro presente.
riesci a innescare la curiosità nel lettore, che non può più impedirsi di continuare a procedere per capire cosa sia l'Oggetto e quali siano le sue funzioni.
Da lì in poi è un crescendo continuo, sottolineato dei corsivi che seguono. Conduci per mano il lettore, lo trasporti a gran velocità a dire il vero, verso la scoperta delle funzionalità del pendolo, fino al punto in cui crede di essere arrivato al climax
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmE qualcosa ho riconosciuto, potendo così dedurre con ragionevole certezza che quell’oggetto sapeva predire il futuro. Il futuro del mondo: una cosa troppo grande per un piccolo uomo come me,
e qui il lettore inizia, molto erroneamente, a rilassarsi.
Ma guarda cosa ti ha inventato @queffe, pensa: un oggetto che sa predire il futuro del mondo, che ne anticipa ogni calamità senza che il custode possa intervenire in alcun modo per evitare ciò che succederà ineluttabilmente.
E invece, nonostante tu lo avessi annunciato con grande anticipo
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pme ancora non sapevo a quale più grande terrore sarei stato esposto nel momento in cui avesse smesso di spaventarmi in quella forma).
 il vero climax deve ancora arrivare e io, giuro, ho ancora la pelle d'oca mentre scrivo.
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmAdesso ho imparato a comprendere quella lingua composta da tutti i suoni del dolore e della distruzione, ma non posso fare nulla. Ora so cosa sta per capitare, ma non posso fare nulla. Quando era tempo non ho compreso i segnali che quel Meraviglioso Oggetto propagava. Ora è tardi, troppo tardi. Non c’è più tempo, perché l’orologio si è fermato. Da numerose notti non emette più alcun suono e io so cosa ciò vuol dire.
E questa volta, dopo il vero climax, il lettore non ha proprio modo di rilassarsi perché lo scioglimento della vicenda lo lascia agghiacciato sulla poltrona.
È un lavoro che andrebbe portato nelle scuole di scrittura, per insegnare come si scrive un racconto.
Bellissimo e terribile, complimenti @queffe.
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Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Ciao @queffe

sono davvero felice che tu abbia raccolto (l’unico eh, eh) la mia proposta. La storia è di quelle che incute davvero terrore e lo fa con la voce ammaliante del male. La scrittura è travolgente, non si riesce a distaccarsi dal testo neppure quando la paura (quella vera perchè basata su fatti reali e plausibili) ti inviterebbe chiudere la pagina e restare nell’ignoranza. Perché qui c’è la materializzazione delle nostre paure e il suono terrificante dell’Oggetto lo sentiamo ogni giorno, ma le istruzioni parlano chiaro: 
queffe ha scritto: e non tentare mai di fermarlo
assistiamo passivi pur avendo compreso la natura dei suoni che emette. Tutto appare così ineluttabile, così tremendo.
Fantastico. Una lettura che non può lasciare indifferenti. 

Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmChiese venia, prima di tutto per non essersi preannunciato, per non avermi chiesto un appuntamento. «Ma non ne ho avuto proprio il modo, vengo da così lontano e per così tanto tempo l’ho cercata…» erano state le sue parole.
Mi piace molto, e la considero raffinata, questa modalità di agganciare il discorso diretto all'indiretto.
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmmi parve stravagante, di certo non elegante
Eviterei la rima. In mancanza di sinonimo adatto, mi fermerei a "stravagante", che rende bene l'idea ed è già una condizione che esclude l'eleganza. Aggiungerei inoltre, per completezza e per il gusto del lettore, anche la descrizione del vestiario dalla vita in giù.
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmAh, se solo avessi capito! Quante domande gli avrei posto! E invece lo lasciai andare, accontentandomi di una spiegazione del tutto insoddisfacente: che il pacco era per me, ma non in quanto me medesimo, bensì per il luogo di cui ero proprietario, questa casa che da generazioni appartiene alla mia famiglia. Provai a domandarne il perché, ma lui mi rispose in modo vago: era prettamente una questione geografica e che proprio lì, dove eravamo in quel momento, nell’ampio salone al pian terreno, avrei dovuto tenere l’oggetto che il pacco conteneva. Conosceva forse mio nonno Arturo, notaio in Modena che nel salone della villa teneva la sua sala di rappresentanza? No, non lo conosceva, né del resto quell’oggetto aveva mai avuto, prima, a che fare con me o miei ascendenti.
Mi appassiona lo stile adottato nella prima parte del racconto, lussureggiante, maturo e sempre presente a sé stesso, circolare, articolato ma molto preciso, misterioso.
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmOggi tengo per certo che il Pendolo è lo strumento attraverso cui qualcosa, o Qualcuno, doveva annunciare il destino del mondo, per avvisare gli uomini di guardarsi da tale destino. E io dovevo essere il messaggero di questa profezia.
(...)
E qualcosa ho riconosciuto, potendo così dedurre con ragionevole certezza che quell’oggetto sapeva predire il futuro. Il futuro del mondo: una cosa troppo grande per un piccolo uomo come me,
Cassandra, almeno, aveva un pubblico cui riversare le profezie. 
queffe ha scritto: mer set 25, 2024 1:37 pmA cosa è servito? – Mi domando. Cosa avrei potuto fare comprendendo in tempo il significato di ogni notturno messaggio?
Questo è il nodo 'tragico' (inteso qui proprio nel senso di inerente alle tragedie greche) del racconto: avere consapevolezza del male e nessuna possibilità di fermarlo.
Il finale, amarissimo, ci lascia immersi nel tremendo delirio dell'oggi.
Grazie per la lettura, @queffe, e un saluto. 
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Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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@queffe ciao!
 Ma che piacevole racconto!
Mi è piaciuto assai, con tre fasi d’umore diverse nella lettura, che cerco di esprimere:
- mi ha entusiasmato il tuo stile “lovercraftiano” della prima parte. Non so se fa/ha fatto parte delle tue letture, ma quell’avvio pacato e quasi didascalico, che parte da un piccolo evento che muta la quotidianità per un crescendo verso inimmaginabili orrori, è proprio quel che vi ho visto. Però…
- nella parte centrale ho provato un accenno di delusione quando, invece degli orrori di cui sopra, hai cominciato a parlare di suoni di guerra. Una delusione che però è durata giusto il tempo perché io capissi dove stavi andando a parare, ovvero verso il più grande, folle, assurdo e vergognoso orrore del genere umano. Per cui…
- ho goduto nel finale. Dove ci becchiamo (come genere) quel che ci meritiamo: la fottuta fine di tutto!

Un po’ di sano ottimismo, no?

Ciao!
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Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Ciao @queffe 
e grazie di essere tra noi. Dopo aver letto il tuo racconto ti lascio le mie semplici impressioni  :D

Lo ricordo come fosse ieri, ma son passati ormai così tanti anni… Quel vecchio, e allora mi pareva assai vecchio, si presentò mite ed affabile alla mia porta. Chiese venia, prima di tutto per non essersi preannunciato, per non avermi chiesto un appuntamento. «Ma non ne ho avuto proprio il modo, vengo da così lontano e per così tanto tempo l’ho cercata…» erano state le sue parole.  
Vestito in modo che allora mi parve stravagante, di certo non elegante: maglia a maniche corte di un rosso liso dal tempo e uno strano simbolo ricamato sul petto, grossomodo sopra il cuore. Simbolo che oggi non saprei più descrivere, ma che un noto marchio di abbigliamento sportivo a volte mi ricorda.
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Parto da qui. Chi è questo uomo? Benché il tuo protagonista (non gli hai dato un nome) abbia cercato di capire e dargli una collocazione, nel racconto nulla traspare. In ogni racconto di stampo apocalittico colui che porta la profezia, in qualsiasi modo essa sia divulgata, con qualsiasi mezzo essa venga resa disponibile, è sempre un angelo o qualcuno mandato da una entità superiore: qualsiasi religione essa sia. Il tuo messaggero scompare, al punto che rimane un vuoto stesso nel racconto; un tassello che non è stato riposto nel completamento del puzzle.
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Mi porse subito il pacco, avvolto in carta e spago sigillato da un banale piombino bulinato, quindi nient’affatto straordinario.
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Ho notato pure il continuo ricorso agli incisi che rendono il dialogo in prima persona rivelatore di quello ansioso stato d'animo del protagonista.
Anche un certo approcciarsi alle tecniche, o stile, alla Umberto Eco.
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Già: il suono… Quanto mi ha turbato (oggi sono disposto ad ammettere che mi ha anche terrorizzato, e ancora non sapevo a quale più grande terrore sarei stato esposto nel momento in cui avesse smesso di spaventarmi in quella forma).
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Anche qui metti idem...
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 che si trattava di polistirolo espanso.
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Mi pare di capire che l'epoca sarebbe a cavallo degli anni 30/40? 
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Rimossi il pendolo dalla matrice che lo conteneva e sotto trovai un piccolo biglietto che in minuscoli caratteri tipografici, riportava:
 
“Porre e mantenere questo segnatempo in posizione verticale
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A questo punto la questione apocalittica scivola via, prendendo una direzione verso una interpretazione fantastica, surreale.
 

Ispezionai l’orologio, che misurava circa trenta centimetri in altezza su una base di venti per dieci centimetri circa. L’aspetto era quello di un normale orologio a pendolo da soprammobile, probabilmente antico ma molto ben tenuto e che pareva, questo sì, perfettamente conforme alle mode del periodo, senza alcun elemento di quella straordinarietà propria di colui che aveva eseguito la consegna, nonché del leggerissimo contenitore bianco. 

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Quanto mi ricordi la micidiale e forsennata ostentazione dei minimi particolari che Eco fece nel "Il pendolo di Foucault"  :D
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Scendo. E si fa strada in me quella frase di chiusura delle istruzioni: “Ascoltare con attenzione ogni suono che emetterà.”
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Ecco la boa che hai dovuto affrontare. A me piace l'uso del flash forward, è un modo per rendere più istantanea l'idea del fatto.
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Oggi tengo per certo che il Pendolo è lo strumento attraverso cui qualcosa, o Qualcuno, doveva annunciare il destino del mondo, per avvisare gli uomini di guardarsi da tale destino. E io dovevo essere il messaggero di questa profezia.
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Ecco che lui si pone la domanda su cosa sia lui! Oramai messo da parte l'identità, il ruolo del vecchio, mero postino.
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Ma l’unica cosa che ho saputo fare, fin da subito e per moltissimi anni, è stato appuntare, catalogare minuziosamente, oltre che cercare di comprendere ogni incomprensibile suono. 
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, risa isteriche, suppliche, rantoli. E bombe, spari, rombi d’aerei in picchiata. E cingoli, e truppe in marcia. Ma anche membra percosse, e lame che penetrano carni, e cuori che di colpo s’arrestano provocando silenzi colmi d’indicibile frastuono.
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E qualcosa ho riconosciuto, potendo così dedurre con ragionevole certezza che quell’oggetto sapeva predire il futuro. Il futuro del mondo: una cosa troppo grande per un piccolo uomo come me, ultimo discendente di un’antica famiglia nobile, che desiderava solo vivere una vita appartata, fatta di attento uso delle poche risorse rimastegli, dedicata a poco studio, pace e isolamento dal mondo nell’antica villa di famiglia. Nei dintorni mi chiamano “l’orso”, o “il vecchio decrepito e pazzo”, benché in paese non mi vedano da anni. Ma non m’importa né mai m’è importato.
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Insomma, lui è diventato vecchio catalogando i rumori, studiandoli, per comprenderli e dargli una collocazione. A tal punto da essere considerato un  "il vecchio decrepito pazzo". Ma perché le persone che vivono questa sorta di compito messianico devono essere sempre viste e rappresentate come dei folli?
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Ora, rumori che io già conosco da tempo accompagnano ogni giorno la cronaca. Da quel pomeriggio dell’undici settembre 2001: 
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 Me li aveva portati, mesi prima, il pendolo! Il maledetto Oggetto che piangeva e urlava; gemeva e ruggiva. Scoppiava, rombava, franava. 
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Noto un continuo ritornare alle caratteristiche del pendolo, che hai già ad abundantiam descritto. Lo fai per tenere saldo il finale?
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Ma poi ho sentito, in modo cristallino, il rumore dei cingoli a Kyiv, e spari, e bombe, e bombe che rispondevano ad altre bombe.
 Per mesi, poi per anni.
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 Non c’è più tempo, perché l’orologio si è fermato. Da numerose notti non emette più alcun suono e io so cosa ciò vuol dire.
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L’ultima estate del mondo.
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Eccoci arrivati al finale. Il pendolo si è fermato e lui intuisce che è la fine. La cosa che noto è il finale al presente, al di fuori della fase degli eventi previsti. Parli di anni ancora che il protagonista avrebbe vissuto di continue guerre anche dopo Kyiv. A questo punto non può essere stata l'estate del 2024 l'ultima. Almeno che tu parli del 2022. Ma a parte questo piccolo particolare, hai saputo tenere salda l'idea del "protagonista profeta". Mai un minimo incidente tale da far passare il racconto come quello di un malato folle, come tanti, che pensano di vivere la fine del mondo: quella che mai avverrà. E sì! La fine del mondo non esiste. Esiste solo nei pensieri degli uomini di poca fede. Esiste come paura del genere umano consapevole dell'enorme potere distruttivo di cui si ha a disposizione.
Mi ha colpito molto che tu abbia iniziato con "l'undici settembre" la sequela di fatti che porterebbero alla fine. Non so se sia frutto di una tua idea personale, ma se volessimo parlare di "eventi segnale" dovrei segnalarti il primo tra tutti...  "La caduta del muro e l'uscita dei tre spiriti immondi a radunare gli eserciti per l'ultima battaglia..." . Certo, è una visione tratta dalla Apocalissi, quindi una visione non contemplabile data la natura "fantastica" sulla fine del mondo, quella che, ripeto, non è contemplata secondo la profezia cristiana. Esiste la "fine dei tempi concessi ai devastatori" e della grande tribolazione. Quella che porterà sull'orlo della distruzione totale l'umanità. Ma che Dio ha stabilito un termine prima che questa avvenga: "Avverrà una tribolazione tale che se Dio non abbreviasse, nessuno si salverebbe. Ma a causa degli eletti così sarà." Quindi niente fine del mondo: anche quest'anno potremo andare al mare. :asd: Ciao 
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Ciao @queffe
è la prima volta che ti leggo, penna raffinata, complimenti.
Hai un' indubbia capacità di scrittura, hai sviluppato una trama interessante con una traccia che ho reputato difficile, forse, a mio personalissimo parere, in alcuni punti ti sei dilungat@ un po' troppo.

Alcune considerazioni:
queffe ha scritto: era prettamente una questione geografica e che proprio lì
Non dai più spiegazioni a riguardo.
queffe ha scritto: perché sia stato scelto io come custode, e cosa possa, e debba io fare, oggi che in modo così radicale l’Oggetto ha mutato il proprio funzionamento, nonché il suono che di tale funzionamento è assieme principio e natura.
Un po' farraginoso, soprattutto considerando che alla fine scopriamo che al momento in cui pensa questa frase, in realtà il pendolo si è fermato.
queffe ha scritto: E io dovevo essere il messaggero di questa profezia
In realtà all' inizio gli viene detto che si tratta di una scelta geografica e non personale.
Diciamo che di questo racconto, che veramente trovo scritto benissimo, mi sfugge l'esatta trama. Alla fine capisce che ormai è arrivata la fine del mondo, ma a cosa serve che lui lo sappia in anticipo?
Come giustamente dice, è tardi. Ho gli stessi dubbi del protagonista, cosa avrebbe dovuto/potuto fare?
Sicuramente non ho capito io, se ti va, fammi sapere.
queffe ha scritto: diveniva chiara in tutto il suo orrore la profezia: data, luogo, evento…
Posso immaginare la data, perché potrebbe manifestarsi sempre con il medesimo anticipo, l'evento, perché ormai ha catalogato tutti i suoni, ma il luogo? Come lo hai pensato?

In definitiva, ti rinnovo i complimenti per la splendida scrittura, per il racconto coraggioso, molto, molto difficile da sviluppare, secondo proprio per questo, in diversi punti, poco chiaro.

Alla prossima.
<3

Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Mammamia @queffe ! Lasciami giocare con tutti i sinonimo di Quanto m'è piaciuto.
Racconto ipnotico, intriga, affabula, inquieta, ottimo il titolo riproposto nel finale.
Seducente il lessico retrò, che il Vecchio decrepito pazzo ci regala fino all’ultimo, degno di un manoscritto trovato chissà dove, magari a Saragozza. 
E il fatto che l’Oggetto sia un orologio, anzi un pendolo, con tutte le implicazioni del caso, da Poe a Umberto Eco, aggiunge spezie al racconto.
Racconto che ci trascina, insieme al protagonista, nel maelstrom della consapevolezza. Che ci obbliga a rivedere la nostra idea di Tempo e con essa quella di Mondo, inutilmente scansato dall’Orso e, per beffardo contrappasso, impostogli invece come enigma.
Che dirti? Bravo. Anche se, me ne rendo conto, è un po’ poco.
E allora consentimi un pensiero. Proprio riguardo al lessico, punto di forza e insieme baricentro mobile della storia.
Forse l’avrei mutato un po’ alla volta, insieme all’avvicinarsi dell’inevitabile soluzione. Forse l’avrei reso più aspro, un passo dopo l’altro, sempre più imbarbarito dalla ferocia degli eventi, valorizzando così un gioco di specchi a tre: il narrato, il narratore e noi.
In ogni caso Chapeau.
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Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Ciao @queffe
Una lettura  accattivante fin dall'inizio, scritta magistralmente.
Nella prima parte regna il mistero anche se le descrizioni sono minuziose, quasi scientifiche. Mi ha ricordato qualcosa di Eco.
C'è una particolare precisione nel descrivere tutte le possibili sfumature del pendolo nell'interpretare le tragedie. Per quanto si possano immaginare secondo me rimane però inverosimile fare questo collegamento. L'esempio dell'undici settembre non so quanto possa essere lampante. Boati, urla, incendi sono presenti ogni secondo in ogni angolo del mondo. Lo stesso vale per i cingolati, mine antiuomo ecc. Ma immagino che l'intento fosse più simbolico.
O forse (più probabilmente) è tutto frutto delle allucinazioni del vecchio protagonista che vede il genere umano protratto all'estinzione. Vede come mano a mano venga distrutto tutto, fino a quando anche il suo cuore finisce di battere?
Rimane il mistero dell'uomo che consegna l'oggetto e del perché venga consegnato proprio a lui.
Ottima lettura

Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Per il momento grazie di cuore a tutti per la lettura e gli apprezzamernti.
Tornerò senz'altro a spiegare (spero) tutti i punti che vi sono rimasti oscuri. Ho voluto riempire il racconto di metafore e questo lo ha reso complicato, me ne rendo conto. La sfida, per me, era quella di mantenerlo leggibile (e godibile al di là di una lettura metaforica), Mi sembra di esserci abbastanza riuscito, dopotutto.

Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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Eccomi.
Premessa: sono convinto che quando un autore deve spiegare qualcosa, è lui ad essere in difetto, non è colpa del lettore. Quindi avrete la mia piena comprensione se non avrete animo di leggere il pippone che segue. :asd:
 
Chiaro a tutti che ad un primo livello di lettura c'è un mesh-up fra il distopico-apocalittico e il mistery. Ero tentato di calcare un po' di più la mano su visioni, fantasmi e mistero, ma il mio obiettivo era diverso e l'ho messo in un secondo e più profondo livello, essenzialmente metaforico.
L'Oggetto (che, sempre enfatizzando con il corsivo, ho aggettivato come "meraviglioso", "grandioso", ma anche "mostruoso") è il nostro intelletto, del quale "qualcosa" (l'evoluzione) o "Qualcuno" (Dio) ci ha fatto dono.
Quel qualcosa/Qualcuno è il vecchio, che arriva e pare essere "fuori dal tempo" (vero, come reclama @Ippolita che avrei potuto descrivene meglio aspetto e vestiario, dal momento che l'ho reso un elemento importante della storia e non l'ho utilizzato solo per obbligo della traccia).
La villa/casa di famiglia è l'uomo, e, all'interno della casa, il salone è la testa: come raccomanda il donatore, l'intelletto deve risiedere lì, cioè l'uomo dovrebbe ragionare con la testa. Sottinteso: non con il cuore o con lo stomaco, tanto meno con il proprio organo sessuale, cosa che spesso fa l'uomo (qui con stretta accezione di genere perché, al di là di ogni moralismo, persino diversi nostri uomini politici dimostrano quanto ciò capiti e non sia frutto della mia fantasia, o dell'ironia con cui ora cito la possibile parte "pensante").
L'intelletto ci manda dei segnali chiari (i suoni notturni che la traccia imponeva) ed è fuori di dubbio che ci rende capaci di prevedere con buona approssimazione, per deduzione, inferenza o altri strumenti del pensiero logico, il futuro. Solo che noi non capiamo tali segnali.
A questo punto, alla luce di queste (ahimé) spiegazioni dell'autore, al lettore dovrebbe essere chiara l'interpretazione delle istruzioni che accompagnano il meraviglioso Oggetto: nella "posizione verticale" in cui porre l'Oggetto, ci ho messo la postura eretta dell'uomo evoluto; il "non tentare mai di fermarlo" è, sì, in prima lettura, l'ineluttabilità a cui si riferisce @@Monica , ma anche, nella metafora, la raccomandazione di non smettere mai di farlo lavorare, l'intelletto. "Non richiede ricarica" e "Non richiede messa a punto dell'orario" stanno a significare che la mente dell'uomo non è un organo meccanico, né meccanicamente egli dovrebbe agire. Infine, "ascoltare con attenzione..." è, appunto, la consegna che ci è data: ascoltiamolo 'sto benedetto intelletto. :asd: Perché ci parla, ci manda segnali, anche se ci pare di non capirli, anche se spesso rischiamo di capirli in ritardo. Cerchiamo almeno d'imparare!).
Nel finale, sotto quest'ottica, cosa può essere la macchina senza freni? È il nostro modo di vivere, come specie, facendo finta di nulla. E le vacanze il nostro modo di continuare a comportarci, cercando di essere comunque felici, ma senza renderci conto che arriveremo a cercare di frenare e non potremo più fermarci.
Poi, nelle conclusioni mi sono ritrovato ad esagerare con la sfiducia: sono un carnivoro, che usa l'automobile e dà il proprio quotidiano contributo all'incremento dell'inquinamento, acquista prodotti per produrre i quali facciamo disastri, stragi e stupidaggini varie. Non è la mia morale quella del finale, non sono io che parlo. È solo un'amara constatazione conclusiva. Forse è il mio intelletto che mi manda quei segnali d'allarme, e io, semplicemente, li scrivo in un racconto, ma non li capisco (perché se li capissi, non potrei coerentemente continuare a vivere come vivo e quel po' di sensibilità per i problemi ambientali e per il nostro futuro, che comunque ho, non potrebbe essere così, lasciatemelo dire: "superficiale". Parlo per me, naturalmente, ma chiedo a chiunque sia arrivato a leggere fin qua di farsi un piccolo esame di coscienza).

Tutto qua (e scusate se è poco...).

Per rispondere a qualche vostra nota:
@Marcello a parte un (altro) tuo commento che posso stampare e mettere in cornice, sì, devo dire che su di te il racconto ha fatto proprio l'effetto che cercavo. Grazie e  <3 <3 <3 (e tu sai quanto io sia restio a usare i couoricini...).

@L'illusoillusore : sì Lovecraft è fra le mie letture e ancora non mi ero reso conto di aver assorbito qualcosa anche da lui, ma è inevitabile che finiamo a scrivere come abbiamo adorato leggere (nel senso che non ho alcun merito di aver costruito un mio stile in questo modo: è qualcosa che mi sono ritrovato di riflesso).

@bestseller2020 : dal primo tentativo d'invasione russa, con i carriarmati arrivati quasi fino alla capitale Ucraina, ad oggi sono passati due anni: l'estate che intendevo è poroprio quella che abbiamo appena vissuto. L'idea di partire dall'11/9/01 mi viene dall'esperienza personale: quel pirmo aereo che si vede - e si sente! - passare sopra Manhattan, preso al volo da un cameraman improvvisato e poi si schianta contro la torre nord del WTC, a me si è fissato nella memoria anche per il terribile audio: quando mi capita di sentir passare sopra la testa un aereo a bassa quota, con l'effetto doppler che cambia la frequenza del suono dei motori, la mia reazione emotiva è ancor oggi molto intensa. Così ho pensato di far riconoscere al mio protagonista a partire da quell'indimenticabile evento i suoni che aveva catalogati.

@Modea72 : spero, con questo spiegone, di aver chiarito alcuni dei tuoi dubbi. Per la comprensione dei suoni catalogati come precise profezie ci ho messo un po' di magia: come se avendo compreso la chiave d'interpretazione di un primo suono (quello del primo aereo dell'11/9), tutto di quella profezia divenisse chiaro al mio protagonista. La scoperta che il pendolo si è fermato, cioè ha mutato i suoi segnali in silenzio, è proprio l'indizio narrativo che ho posto in quella frase del racconto, e che terrorizza ancor più dei misteriosi suoni di un tempo il mio protagonista.

@aladicorvo "...magari a Saragozza." :asd: 
Per tutto il resto: grazie infinite: hai davvero colto tutto. E pure saputo scovare qualcosa, nel registro narrativo, che andava pensato meglio, e fatto "evolvere" in modo più funzionale ai contenuti della storia (ma, ne fossi stato capace, sarei stato uno scrittore, non un lettore con la mania di scrivere. La mia prossima sfida, comunque, è provare a seguire il tuo consiglio. Anche se, me lo riconoscerai, è più facile coglierlo, quel punto, che risolverlo in modo adeguato :aka: ).

@Kasimiro : spero che anche a te lo spiegone sia satato utile per interpretare il ruolo del donatore e del perché il dono sia andato al mio protagonista.

Un grazie particolare a @Poeta Zaza , che con il suo essenziale ma graditissimo commento mi fa sentire un po' in colpa di aver trascurato CdM per così tanto tempo (ma, credimi, l'assenza è stata causata da eventi di forza maggiore, non certo da noia per l'ambiente o per la vostra compagnia!).

Infine, rileggendo, ho colto da me un errore nel testo: "da tempo immemore" è una forma sbagliata. Avrei dovuto usare "da tempo immemorabile".

Grazie ancora a tutti.

Re: [MI183] L'ultima estate del mondo

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@queffe  wow. 
L'idea è geniale, una di quelle che mi fa imbestialire e salire l'invidia perché non è venuta a me. Il fatto che il futuro possa essere letto (ascoltato) nei suoni di un orologio (futuro = orologio). Solo per questo, è meraviglioso. 
Secondo me potresti affinare ancora un po' lo stile, però. Alcuni colpi di scena arrivano smorzati, non li metti abbastanza in risalto: la scoperta che l'orologio predica il futuro, per esempio, arriva un po' sottotono rispetto al climax che hai costruito. Così il titolo, purtroppo, anticipa lo svelamento finale in maniera troppo ovvia. 
Per il resto, nulla da segnalare. Per certi versi sei riuscito a usare uno stile che crea tensione come i romanzi horror alla Lovecraft o Poe, con quello stile un po' ampolloso ma efficace nel suscitare angoscia, D'altro canto, per l'idea e il tema, mi ha rimandato anche molto ai giochi letterari e combinatori di Borges.
Complimenti davvero, bellissimo testo.
Scrivere è necessario
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