Passava tutte le sere e sempre sull’ora di chiusura.
Era il trucco innocente per averla tutta per se, almeno, per uno striminzito quarto d’ora. Uno dei tanti avventori. Un uomo solo con qualche soldo messo via, niente di più frequente in quell’umanità languida e trasognante costantemente impilata con un bicchiere in mano dietro al bancone. Non era così trascurato considerata la condizione di solitudine e l’età adulta: alto, dinoccolato, con la pelle appena squamata, forse aveva un colorito un po’ troppo cinereo; che lasciava pensare a delle analisi del sangue mai fatte o mai ritirate, questione questa, ben compensata dall’abbigliamento dentro il quale sempre abitava: ottimi abiti di raffinata sartoria italiana. La cosa che dava subito all’occhio di Gianpietro era che ti accorgevi che era un ombroso che si sforzava di apparire brillante. Nascondeva con cura un carattere algido, certamente ti avrebbe messo addosso un temperamento faticoso da sopportare, che presto o tardi con qualche confidenza di troppo sarebbe venuto fuori; con tutte le preoccupanti incognite del caso. Un’ultima peculiarità urticante di quell’uomo, si manifestava nel millantare con modi quasi compulsivi un ceto sociale e uno stile di vita dal quale era chiaro che fosse del tutto estraneo: amava raccontarsi se non ricco altamente agiato.
Alina viveva ormai da dieci anni in Italia e in quel periodo stava prendendo consapevolezza che non era stato un grande affare il trasferimento definitivo a Brescia. Passare inoltre dal lavoro come badante a quello di barista aveva nettamente peggiorato le cose: ora era tutto a carico suo, doveva pagarsi l’affitto e perfino da mangiare; il tempo libero tanto sognato, nelle notti insonni al servizio delle sue nonne, non si stava manifestando proficuo come sperava. Dopo il lavoro non aveva una vita privata e non aveva nemmeno conosciuto un uomo degno di un qualche pensiero immateriale. Il bancone del bar non era quel pulpito di opportunità che aveva tanto sognato; e che a tante ragazze come lei aveva regalato una vita migliore. Quel bar seppur ben frequentato era lo spazio di un’umanità infima, gente ciondolante tra i tempi persi della vita, uomini perennemente di passaggio tra il bancone, la sala scommesse e il supermercato: ignavi naviganti nei grigiori dell’esistenza umana. I clienti erano sempre loro a parlare, raccontando le proprie miserie economiche e familiari: il mutuo da pagare, la moglie ingrassata e traditrice, il figlio tossico o peggio omosessuale; i drammi della provincia eterna. I pochi che ascoltavano Alina con interesse portavano negli occhi la speranza di un secondo fine: un rapporto veloce e brutale. La barista aveva sempre un ché di peccaminoso per alcuni clienti, quest’aspetto spingeva alcuni avventori, i più coinvolti dallo stereotipo in proposte equivoche, spesso oscene, e ogni tanto del tutto palesi venali; proposte che Alina respingeva talvolta con garbo, talvolta con disprezzo, sempre con rassegnazione.
- Ma chi si vede! Gian, sai che mi stavo preoccupando, che ti faccio?
- Long Island, se non stai per chiudere ovviamente. Hai visto l’agenzia immobiliare di Omar?
- Tempi duri mio caro, mica siamo tutti fortunati come te.
- Ti faccio vedere che venderà anche il BMW a breve … . Io non posso avere certi problemi: so farmi i conti, non punto mai una situazione così aleatoria. Questo mio sorriso non me lo gioco ai dadi.
- Purtroppo per farsi una bella vita come si deve oggi bisogna prendersi qualche grosso rischio.
- Voler campar bene è un’aspirazione legittima. Ma il rischio è una cosa che bisogna sempre aver il coraggio di misurare.
- Tu misuri sempre ogni rischio?
- Certo, sempre: per esempio il mio rischio più grande oggi è essere qui con te.
- Addirittura! Sarei così pericolosa?
- Potresti, chi lo sa.
Gianpietro aveva ereditato un paio di appartamenti e qualche soldo dal padre prematuramente morto. Gli appartamenti li aveva messi in affitto a persone fidate del luogo, e una parte dei soldi li aveva vincolati in un libretto postale decennale a tasso garantito: si era così tirato fuori così un mensile senza dover far nulla o quasi. Niente di geniale. Diremmo una gestione piccolo borghese del denaro; accurata e avara. Girava a bordo di vecchia Porsche Boxster del novantadue, di un blu ormai slavato e con tutti i fregi sbiaditi, un’auto della quale conosceva ogni aspetto, più per un interesse personale a controllarne le spese che per un’autentica passione motoristica, portava poi sempre al polso lo stesso orologio da anni, un magnifico Rolex dal quadrante nero; sempre un’eredità del padre. Era facile incrociare la sua vita, frequentava più di qualche bar e a volte anche prima dell’ora di pranzo: attraversando il corso principale potevi scorgere la sagoma di Gianpietro in abiti di lino, perfettamente stirati, appena dietro la tenda di un qualsiasi locale. E notare con lui un bicchierone rosso carminio strapieno di ghiaccio, che tra le sue mani ricordava più un accessorio di uso abituale che una bevanda alcolica. Per il resto non aveva vizi strani, niente macchinette mangia soldi o gioco d’azzardo, non frequentava escort o centri massaggi, e non aveva mai un raffreddore fuori stagione: era plausibile che fuori paese coltivasse qualche tresca con qualche donna della sua età non proprio raffinata né di bell’aspetto, della quale preferiva non far conoscere le generalità all’interno della propria cerchia abituale di conoscenze. Viveva certamente intrappolato nella classica routine maniacale delle persone sole, potevi dire dopo averlo conosciuto che era un uomo buono, molto educato ma al quale non avresti mai aperto la porta di casa. Apparteneva a quella categoria di individui che vanno bene fino a un certo punto e confinate in un certo contesto: questo lui lo sapeva e quel ruolo per molti anni gli era andato perfino bene.
Compiuti i cinquant’anni il deserto che hai attorno ti piaccia o meno lo senti tutto: e i drink, le amicizie effimere, la palestra, il mensile che ti sei costruito non sono sufficienti ad allontanarlo; non per tutti almeno. Quando dormire otto ore per notte per Gianpietro divenne un mestiere, i suoi occhi incontrarono nello sguardo di Alina una via d’uscita: lì era germinato il suo amore per la barista.
Alina sentiva anche lei e perfino più di lui tutto il peso del tempo trascorso, i suoi quasi quarant’anni li vedeva nudi davanti allo specchio mutilati di tutti i traguardi non tagliati. La terra natia solo apparentemente ormai straniera non l’avrebbe abbandonata mai: i familiari, i doveri, la cultura contadina, non volevano saperne di cedere il passo a una vita diversa. Alina era certa che il proprio retaggio culturale non le avrebbe dato scampo: non poteva vivere e gioire da donna sola e senza figli, quelle convinzioni erano troppo radicate lei: e non voleva farci i conti a perdere per il resto della vita.
Questi incontri erano a tratti silenziosi e malinconici, dominati da un’aria singolare che pareva prodursi dalle pieghe di quei tendaggi da bar, nei quali l’ombra si raccoglieva tristemente e che parevano sempre un poco muoversi, come dagli atteggiamenti diversi e del pari significativi dei due, la stanza in quell’arco temporale che segnava la fine del giorno era piena di un’aria di malinconica festosità e di incomprensibile disagio.
Gianpietro con garbo ci provava, metteva in scena tutte le sere questa esibizione, claudicante ingenua e provvisoria, perché in cuor suo era certo che di quel poco che lui potesse offrire, Alina si sarebbe alla fine accontentata. Si trattava solo di raccontarla bene, e di mantenere la posa giusta, e di continuare ancora per un po’ questo sgraziato balletto.
- Domenica faccio un giro al lago, ti ho già detto che ho una barchetta?
- No Giampietro, che bello hai una barca, chissà come ti diverti.
- Per essere onesti non è mia, ma sono dettagli, preferisco non intestarmi più nulla. Ti andrebbe di venire? Però solo se ti piace mangiare all’aperto, voglio cenare in un ristorante che ha una terrazza sul lago, un posto dove si vede tutto il promontorio di Sirmione.
- Magari potessi, sarebbe bellissimo. Purtroppo ho già un impegno, devo fare compagnia a una delle mie nonne: ho promesso che avrei passato la domenica in casa con lei.
- Faremo un’altra volta. Ti prego chiedimelo ancora più avanti.
- Certo cara, ci riusciremo presto. Ora ti lascio chiudere.
Gianpietro sorrideva, e virava con uno sguardo vuoto verso il Long Island; ormai ridotto al ghiaccio. Alina avrebbe trascorso la domenica come sempre: in pigiama dentro casa, a fare i conti con le bollette troppo alte e a video-chiamare i parenti e gli amici in Romania. In giornata avrebbe bussato alla sua porta il corriere - "Bogdan", un amico d’infanzia, che di lavoro faceva la spola tra Brescia e Timisoara: gli avrebbe consegnato un pacco per la madre, oppure portato qualche regalo, qualcosa da mangiare o magari da vestire, certamente qualcosa di carino proveniente da un pacco smarrito e mai reclamato; forse avrebbero perfino fatto l’amore: ma era un dettaglio, una cosa che Alina diceva di fare a tutela della propria salute.
L’odore degli stenti Alina lo aveva inalato da piccola e non lo voleva più sentire, così come aveva brutalmente imparato che i rapporti umani non si costruiscono sulle necessità materiali. Gli era bastato registrare un dettaglio tra i tanti per capire chi era Gianpietro. E anche Gianpietro aveva ben capito chi era lei.
Quella recita continuava serenamente nell’errata convinzione di entrambi che solo uno dei due avesse visto tutte le carte dell’altro.
Alina stava accarezzando l’idea che nonostante tutto, un giorno o l’altro, avrebbe detto di sì a Gianpietro e sarebbe diventata la sua donna. Avrebbe accettato di abboccare a tutte quelle balle e a tutto quello che sarebbe venuto poi: magari a carte scoperte la vita non sarebbe stata poi così male; avrebbero mangiato fuori la sera ogni tanto, facendo un po’ attenzione al costo del menù, e sarebbero perfino andati qualche giorno in ferie, lui l’avrebbe presa dentro casa, dopo un po’ magari, e lei l’avrebbe a poco a poco riempita di colori forti quella casa, cercando di strappare di quel grigiore che l’uomo spargeva naturalmente dietro di se. Sapeva che si sarebbe occupato di lei almeno con la stessa cura che riservava alla Porsche - il pensiero lusingandola la faceva ridere. Dopo qualche mese di certo lo avrebbe insultato per le promesse tradite, le bugie raccontate, per la vita modesta e per i suoi troppi bicchieri bevuti. Sarebbe stato necessario. Non poteva fargli credere che era una stupida facendo finta di niente. La magia stava tutta là dentro, sapeva che sarebbero arrivati nodi, il tempo mediano è il tiranno di tutti i rapporti, e lo si attraversa con le urla di una coltellata allo stomaco, con un colpo viscerale e profondissimo: avendo il coraggio un attimo dopo di curarla quella ferita inferta, con la massima compassione e generosità, per poterla poi dimenticare per sempre.
- Guarda che la barca non mi serve più.
- La porti a lavare lo stesso però; ci ho pescato i lavarelli giovedì e per lasciartela a Sirmione sotto la trattoria non ho fatto in tempo al lavarla io, puzzerà di pesce marcio ormai.
- Non preoccuparti vado domattina e faccio un ottimo lavoro, la lucido anche. Grazie sei stato un amico.
Mancava ancora qualche mese al compleanno di Alina e quei rifiuti, quelle sospensioni, quei rinvii, gli riempivano il cuore. Erano il regalo più grande che potesse farsi.