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amore, delitto, splatter
Le lente e calde serate estive sono un ricordo e niente più, ora hanno ceduto il passo a tramonti spesso intrisi di nebbia che in poco tempo si trasformano in buio notturno. Silenzioso, isolante.
Stasera non ho voglia di stare in casa. Fa freddo, ma esco lo stesso a fare due passi.
Magari trovo una Nashira, una stella che possa illuminare di nuovo questi giorni opachi.
Chiudo la porta di casa e mi avvio. Niente nebbia. Meglio così.
– Come hai detto che ti chiami? Forse non ho capito bene.
– Nashira.
– Ma che razza di nome è?
– Di origine araba, significa “fortunata” o “portatrice di buone notizie”.
– Ah… ma tu non sei araba, hai la pelle bianca come il latte.
Ridesti a questa mia affermazione.
– No, araba proprio no. Sono trentina.
Dolce sorriso sovrastato da occhi verdi. Rimasi incantato a osservarti cercando altre parole da dire.
Ti ronzavano intorno in parecchi, ma il dialogo lo accettavi con pochi fortunati e io ero tra questi.
– Di che segno sei? – chiesi.
Mi scrutasti a lungo prima di rispondere: – Sono nata il diciassette gennaio ed era venerdì. Anche per questo mio padre volle darmi quel nome, quasi come fatto scaramantico.
– Sei un capricorno…
– Non va bene? Vuoi che cambi segno?
– No, no… cioè… sì, scusa… non intendevo dire nulla, era una pura affermazione.
– Meno male… – provasti a trattenerti, ma alla fine ti partì una risata dal profondo e mi venne naturale fare altrettanto.
– Senti – dissi una volta che mi fui ripreso – io vado a fare una nuotata. Vieni?
– Perché no? Una rinfrescata non fa certo male.
Ti alzasti dalla sdraio e dopo aver deposto gli occhiali da sole ti incamminasti sulla sabbia rovente accelerando il passo man mano ti avvicinavi al mare. Vi entrasti correndo.
– Beh, non vieni?
– Sì, certo – risposi scuotendomi. Ero rimasto a guardare il tuo corpo avanzare verso l’acqua, dimenticandomi così di seguirti.
Il viale è alberato, ma le piante sono distanti tra loro quanto basta per farmi intravedere fette di cielo stellato. Come tanti piccoli quadri incredibilmente simili tra loro eppure tutti diversi, pezzi di un puzzle cosmico da ricomporre. Non volevo mi salisse la nostalgia, dannazione… e invece mi sta sopraffacendo. Ci fosse qualcuno a spaccare questo incanto, ne sarei felice, ma stasera pare che l’intera popolazione si sia barricata fra le mura di casa. A fare che, poi?
– Meno male che ho deciso di tagliarmi i capelli, altrimenti me li dovrei lavare ogni giorno per togliere sabbia e sale. E soprattutto li dovrei asciugare.
– Vero. Però secondo me staresti bene coi capelli lunghi.
Il tuo sorriso mi diede la conferma prima della voce: – Ti mostrerò una foto dello scorso anno.
– Stasera che fai? Sei qui da sola?
Esitasti un attimo, poi a lente bracciate ti dirigesti verso il largo. Tornai sul bagnasciuga e mi sedetti lasciando che l’acqua mi lambisse i piedi, indifferente a ogni cosa, compresi i bagnanti, che pure non mancavano. Vedevo solo te.
– Perché sei andato via? – chiedesti una volta uscita dall’acqua.
– Non so, mi pareva giusto così.
Il tuo sguardo mi scrutò per qualche istante, poi mi tendesti la mano: – Vieni, andiamo a farci una bella doccia.
Mi alzai, rincuorato ed emozionato al contempo. Mi tenevi per mano…
Raccogliemmo borse e asciugamani, poi venni dietro di te.
– Dove andiamo?
– Nel mio appartamento – rispondesti, sorpresa. – Non è quello che vuoi?
Stordito, balbettai: – Sì, certo – ma ogni certezza era lontana da me, praticamente ipnotizzato.
Dire che ogni cosa passa e può essere rimpiazzata non è vero del tutto. Ho provato spesso a farlo con te senza riuscirci; ogni volta pare quella buona, ma poi finisco sempre a cercare la tua stella, come se le altre non mi dessero luce sufficiente. E stasera è di nuovo così. Mi sento rimpicciolire a ogni passo, schiacciato tra un ricordo e la voglia di dimenticare.
– Non ti ho neppure chiesto come ti chiami – esordisti dopo aver fatto l’amore, – me lo dici?
– Nino. Antonio, veramente, ma qui nessuno tiene buono il proprio nome – risposi, felice per quanto appena accaduto. – Se ti interessa sono del leone.
Bello, il tuo sorriso. Meno le parole: – A letto non ancora. Sei alle prime armi, vero?
Mi sentii infiammare le gote. – Sì. Non…
– Tranquillo, ti impraticherai sul campo. Ho parecchi anni più di te, ci sono passata anch’io.
Ti alzasti prendendo da un mobiletto una bottiglia di whisky e proponendomelo.
– Non bevo.
– Nino, nino… devi imparare tante cose ancora.
Annuii.
– Hai tempo – riprendesti sedendoti accanto a me. Il profumo del liquore mi piaceva e te ne accorgesti.
– Assaggialo, poi ti dico qualcosa su di me.
Bevvi un sorso.
[font=Calibri", "sans-serif] – Buono.
Mentre ne versavi un poco in un altro bicchiere, osservai il tuo corpo e notai dietro la spalla destra un piccolo tatuaggio.
– Cos’è? – e lo indicai.
– Quello di cui ti voglio parlare.
– Cioè?
– Beh, l’origine del mio nome è un po’ più complessa di quanto ti avevo detto.
– Spiegati meglio…
– Ehi, lo sto facendo. Rilassati.
Rimasi in silenzio ad aspettare la tua voce, che puntualmente arrivò.
– Mio padre era un astronomo, lavorava per l’ESA. Quando seppe che mia madre era incinta decise di darmi il nome di una stella. Vi furono discussioni notevoli su questo, prima e dopo la mia nascita, e credo sia uno dei motivi per cui lei lo lasciò.
– Possibile? Per un nome?
– Di certo non fu solo quello, diciamo che fu la scusa principale. In realtà mia madre era una donna amante del sesso mentre lui pensava solo ai corpi celesti e ignorava spesso il suo. Così a un certo punto se ne andò.
– E ti portò con sé…
– No, le sarei stata di peso. Aveva idee tutte sue sulla vita e tagliò ogni ponte recandosi in Costarica, dove sta tutt’ora. In ogni caso, nei giorni precedenti la mia nascita mio padre stava facendo studi sulla costellazione del Capricorno e quando arrivai decise di chiamarmi Nashira. È la stella più luminosa del gruppo e visto la mia data d’entrata al mondo, il significato di quel nome gli parve un ottimo scacciaguai. A me piace, così me lo sono fatta tatuare nella lingua originale.
Rimasi muto. Ti avevo ascoltato tanto volentieri che mi spiaceva avessi terminato. Bevvi un altro sorso e sentii la gola bruciare. Non ero abituato.
– E tu, Nino? Che mi racconti di te?
Deposi il bicchiere e ti baciai.
Sto camminando da almeno mezzora e ancora non so dove andare. Ho passato le vie del paese senza incrociare nessuno, neanche uno come me, neanche un ubriaco. È una sera tutta mia. Vado verso il mare, m’è salita la voglia di vederlo e ascoltarlo.
Fu la prima sbornia della mia vita. Doppia, oltretutto. Sbornia d’amore e di whisky. Non so come, ma riuscii a tornare a casa, pur se devastato. Per fortuna abitavo poco distante, altrimenti sarei rimasto per strada. O forse da te.
Ti rividi in spiaggia il pomeriggio successivo.
– Nashira…
– Ciao, Nino. Che c’è, non ti senti bene? – dicesti ridacchiando.
– Ho un po’ di mal di testa. Al lavoro ho reso poco, oggi.
– Passerà, non temere.
– Non bevo più, sta sicura.
Il tuo sguardo parlava diversamente. – Vedremo, Nino, vedremo.
Passammo insieme ogni sera, sempre nella tua camera, sempre a divertirci e amarci. Almeno credevo.
– Domani parto.
Rimasi allibito. Non avevo considerato questo fatto, cioè che prima o poi te ne saresti andata. Del resto eri qui in vacanza, non per lavoro.
Fu un attimo: – Vengo con te.
Ridesti, e la risata aveva un che di beffardo. Magari non voluto, ma c’era.
– Non dire sciocchezze, Nino. Non sai neppure che lavoro faccio, dove vivo. Non sai se sono sposata…
– Ma io ti amo.
Mi guardasti con tenerezza. – Io no, Nino. Ho passato con te tante belle serate, niente più.
– Credevo…
– Cosa? Non devi credere, devi fare. Nino, hai poco più di vent’anni e io ho passato i trenta. Avrai storie con altre donne e poi troverai quella della tua vita, forse. Io non cerco legami, sono una stella che vaga nel cosmo di questa terra e ogni tanto incontra altre stelle, come te. Ma sono incontri fugaci, attimi della vita e non fermate definitive.
– Non puoi farmi questo.
– Non ti sto facendo un bel niente, Nino.
– Ma dove andrai?
– Non ti deve importare. Comunque torno a casa.
– Vengo con te, Nashira.
– Piantala, da bravo. Ho detto no e basta. Piuttosto, siccome è l’ultima sera, dimostrami quanto sei migliorato a letto. Vieni qua, dai…
Lo feci e la mia delusione divenne a poco a poco rabbia, che sfruttai con violenza sul tuo corpo, tanto da lasciarti soddisfatta e sorpresa.
Come ogni volta prendesti poi la bottiglia, versando due dita in ogni bicchiere.
– Cin cin, Nino. Piacere d’averti conosciuto.
– Il piacere è stato mio. Grazie di tutto, Nashira.
– Vedo che hai capito. Bene, così non avrò rimpianti.
– Buono, questo whisky. Mi passi la bottiglia?
– Se ricordo bene qualche giorno fa hai detto che non avresti più bevuto – dicesti mentre me la passavi.
– Sbagliavo.
Presi la bottiglia e osservai l’etichetta. Scozzese.
La presi per il collo, mi alzai e ti colpii alla testa.
– No… cosa fai?
Ancora, ancora, ancora… fino a mescolare il tuo sangue, il whisky e le mie lacrime, fino a vederti morire.
Ah, t’avessi ascoltata, stella mia, t’avessi capita. Ero giovane, innamorato e deluso. Non l’ho fatto e ora è inutile pentirsi.
Negli anni passati in galera ti ho pensata spesso, piangendoti e maledicendo quel che avevo fatto. Ero convinto che prima o poi te ne saresti andata, come una cometa che attraversa il cielo, ma allo stesso modo periodicamente ritorni e mi torturi.
Del resto hai ragione a farlo. Ti piaceva la vita e io te l’ho tolta.
Sono arrivato al molo e l’odore di salsedine è forte, come sempre. Di solito mi inebria, stasera no.
Stasera sa di solitudine.
Di stelle ce ne sono parecchie lassù, chissà quale sei tu, Nashira.
Mi perdo un poco, poi chiudo gli occhi e ascolto. Lo sciabordio delle onde tende a ipnotizzarmi e mi ispira pessime intenzioni. Sarà tanto fredda l’acqua?
Meglio tornare a casa a farsi un goccio del tuo buon whisky.[/font]
[N2022R] Nashira
1Non si può toccare l'alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.
Kahlil Gibran
Kahlil Gibran