Lascia andare le parole
Lascia andare le parole, lasciale andare come fossero petali da spargere ovunque in terra, per profumare un corridoio nero e ammuffito, per fare meno duro questo camminare sui morti e attutire il rumore delle ossa che si spezzano sotto i piedi. Lasciale andare come fossero un vento che muove la polvere, la spinge in aria, la fa cadere qualche metro più in là, e tutto rimane lo stesso: polvere ovunque, nelle tasche, dietro le orecchie, sotto i denti e le palpebre arrossate. Lascia andare le parole, perché non fanno male a nessuno.
Fa’ che piovano come pioggia sottile e rada, che non lava e non affoga, piccole macchie nere sulla terra dura: fai in tempo a chinarti e già sono vapore, un caldo umido intorno alle caviglie; fai in tempo a scriverle e il foglio si piega, aeroplano di carta direzione cestino, barchetta sfatta sotto un’onda, rana che salta e cade pancia all’aria.
Mettile giù con la tua grafia peggiore, quel corsivo che sembra filo spinato buono a tenere tutto a distanza, a pungere l’occhio curioso, perché queste non sono parole da leggere, parole che danno alle nuvole forma di cane, di nave pirata, di morti ammazzati. Sono vertebre agitate nel sacchetto della tombola, cavate fuori e impilate come vengono, senza un corpo da reggere o carne tiepida appesa.
Lascia andare le parole, perché non le ricorderemo.
Non farne argilla da modellare, pizzicare, accarezzare, ornare, custodire in teca. Non ci tornare. Resti ognuna un pugno di fango contro la parete. Lascia che si moltiplichino senza controllo, un’eco che cade dall’alto, si stende, si spalma sulla valle, diventa ronzio d’insetto, e tutti battono le mani in aria per schiacciare qualcosa che dà un fastidio da nulla, qualcosa che, si sappia, manca di pungiglione: le tue parole.
Le tue parole: lasciale andare. E poi abbandonale su uno scaffale troppo alto, nella tasca di un jeans che non metti più, dietro la stella più lontana che vedi appena.
Lascia che perdano la strada di casa, appassiscano in solitudine, restino in piedi per errore come fari abbandonati, e non riposare nell’ombra lunga sulla roccia bianca: meglio ustionarsi, meglio le vertigini che consegnarsi alle parole.
Lascia che siano gusci d’uovo, torri di sabbia bagnata, difese indifese. Non riporci nulla che abbia valore.
Lascia che le tue parole dicano male di te appena ti allontani.