commento 2
In quella parte della città la notte è sempre un po’ più dura. Allunga i suoi tentacoli, fino all’ultimo secondo utile, sui palazzi tirati su negli anni Sessanta da palazzinari decisi a dare un volto moderno alle rive baciate dal mare e a smaltire quanto più cemento possibile; si estende sull’unico grattacielo cittadino, dalla cui sommità infilzata di antenne si può scorgere l’alba in anticipo rispetto a chi osserva l’orizzonte dalle strade del centro storico, soprattutto in inverno, quando il sole seguendo la traiettoria giornaliera smaltisce il suo pallore solo dopo aver superato il Carso, e dunque sembra sorgere direttamente dalle viscere urbane e dai palazzi ottocenteschi, per poi smaltire ciò che resta della notte nel cielo agonizzante e rosso sopra la vecchia ferriera. Da lassù, vedere il mare o le montagne lontane è la stessa cosa.
Poco distante da lì un pazzo senza nome ha tentato il suicidio stendendosi sull’asfalto bagnato di una notte piovosa. Di lui avrebbero detto che era pieno di debiti, o che era scappato dal manicomio, o che aveva bevuto troppo, ma quello era un uomo sostanzialmente solo, così nessuno ha detto niente.
Poi il cielo si è rasserenato.
Tutto quel cielo striato di grigio si perde nel tentativo di abbellire poggioli in vetro e cemento con piante grasse e addobbi floreali. Giù in strada l’ombra del grattacielo fa da meridiana e poveri coloro i quali hanno acquistato casa di fronte a quell’enorme dito medio perennemente sollevato contro l’orizzonte.
Proprio all’ombra di quel grattacielo hanno trovato il corpo senza vita di una donna bionda, con i capelli ricci e il rossetto sbavato sulla guancia. La donna è morta di una morte non violenta. Indossava una pelliccia slavata, un’imitazione di pelliccia. Un capo da poco, così hanno scritto i giornali. La donna è morta di freddo. I suoi pochi conoscenti la chiamavano La Sporca, anche se, rispetto alla maggior parte dei senza tetto in cui puoi imbatterti nei gangli della stazione dei treni, La Sporca era una regina di pulizia e bellezza. Quando l’hanno trovata, hanno detto che è morta assiderata. Il rossetto copriva il viola delle labbra. Hanno coperto il suo corpo con un telo grigio, poi hanno atteso che la venissero a prendere.
Proseguendo lungo la strada e costeggiando il mare ci si imbatte in tanti alberelli spogli, piantati lì più per coprire il porto e le sue brutture, le gru e i montacarichi incombenti sul mare e le navi merci, che per dare un polmone verde a quella sezione catastale, e quegli alberelli privi di foglie ricordano tante persone spogliate di tutto, gente in attesa di salpare per una meta migliore, emigranti con in mano valigie vuote.
Lì ci è morto un ragazzo che si prostituiva. Nessuno conosceva il suo vero nome. Tutti, per così dire, lo chiamavano Jimmy. Era un grande ragazzo di colore, che di giorno faceva l’ambulante e di notte si vendeva per poco. Stava simpatico a molti, ma è morto lo stesso. La sua è stata una morte violenta. Un camion ha travolto il corpo muscoloso, definito, di Jimmy, mentre Jimmy stava attraversando la strada. Che è un modo assurdo per dire che la notte si è portata via Jimmy per sempre.
Proseguendo. Palazzi soffocanti con vetrate dipinte di azzurro e loghi di importanti compagnie assicurative teutoniche, piscine al cui interno bambini imparano a nuotare, a sconfiggere la paura. In quel quartiere è scomparsa una vecchia gattara. Che brutto modo di descrivere in poche parole una persona che ha immolato la sua vita al benessere di altri esseri viventi. La gattara. Così era nota, la vecchia. Capelli grigi, unti. Più che capelli, ciuffi unti, spioventi sul cranio. Un giorno c’era, il giorno dopo non c’era più. Viveva in una casa messa a disposizione dall’Ater. Non aveva figli, o parenti prossimi. Con lei, sono spariti i suoi otto gatti. Le ciotole dei gatti, però, sono rimaste dov’erano: una accanto all’altra, ai piedi del mobile della cucina.
Proseguendo si raggiungono tramonti meccanici. A quelle latitudini la luce riflette sul mare e rimbalza sulle salite scoscese che connettono la parte vecchia della città con le promesse della moderna epopea immobiliare; ci sono case abitate da famiglie senza radici che si accontentano di soffrire ed espiare nel quotidiano prima di godere del silenzio dei cieli, come insegnato loro da avi giunti lì da chissà dove. Qui muore qualcuno ogni giorno, e muore in silenzio.
Proseguendo. In questa parte della città il panorama è una coltre pesante grigio-biancastra e i lampioni visti dalle finestre appannate ricordano le aureole dei santi, anche in autunno, quando il viale è coperto di foglie marce, che donano alla strada il colore della ruggine, e l’aria ha lo stesso odore dei vecchi frigoriferi abbandonati in certi bar sequestrati dall’autorità pubblica, che quando apri lo sportello ti chiedi se non sarebbe il caso di chiamare un esorcista. La settimana scorsa, in uno di quei bar è avvenuta una colluttazione. Alcuni uomini con i capelli grigi e i baffi hanno cominciato a tirarsi bottiglie di birra, finché uno di loro ha ribaltato il tavolo in plastica e si è alzato, e ha afferrato la sedia in plastica su cui, fino a poco prima, era seduto, e l’ha lanciata contro gli uomini che erano con lui. Poi ha fatto uno scatto sulla destra, i suoi mocassini sull’asfalto hanno prodotto scintille. È scattato a destra e poi a sinistra, come una macchia di fumo. L’uomo indossava una maglietta di un gruppo Metal slavo. Gli uomini che erano con lui l’hanno inseguito e l’hanno preso. Non è stato un bello spettacolo. Un uomo preso a calci non lo è mai. Eppure per qualcuno è stato uno spettacolo necessario.
Proseguendo. Nelle mattinate più ventose l’aria ondeggia disperdendo i fumi carichi di benzopirene esalati dalla ferriera, creando strani effetti luminosi. Alcuni, tra gli abitanti della zona, giurano di vederci volti umani, tra quei fumi, qualcun altro parla di visioni mistiche e di UFO. La ferriera ricorda una città apocalittica partorita dalla mente di uno scrittore di fantascienza, in cui non esistono giorni perfettamente limpidi e il grigio predomina sul mare. I fumi trasportano polveri sottili ovunque e la bora è una di quelle benedizioni contro cui si alzano le voci degli ottusi dalla notte dei tempi a oggi. In certi giorni passati, prima della chiusura degli alti forni, le polveri accumulate sulle vecchie auto abbandonate a bordo delle strade che avvolgono le case popolari facevano pensare alle conseguenze di una tempesta nel deserto, o a un olocausto nucleare. Le case popolari sono una colata di cemento sfuggita direttamente dalle mani di Dio e poi modellata da artisti ciechi. I cartelli stradali, lì, sono quasi tutti scrostati. La superficie di certi cartelli stradali sono crivellate di fori che fanno pensare a pallottole, o a una forma di formaggio su cui si sia abbattuta un’orda di vermi.
È lì che quel minorenne ha accoltellato il ragazzo più grande, reo confesso di essere andato a letto con la donna sbagliata. È successo lì, almeno nelle intenzioni, anche se i telegiornali hanno parlato di una camera d’albergo. La camera d’albergo fa più notizia. La verità non fa notizia. Il coltello sporco di sangue non è mai stato rinvenuto. Il minorenne l’ha lanciato tra i detriti della ferriera, il coltello ha compiuto la sua parabola, prima di scomparire nella notte.
Proseguendo. Le stradine in asfalto crepato avvolgono le case popolari in spire soffocanti, e vista dall’alto quella porzione di periferia fa pensare al parto di una civiltà rurale priva di capacità geometriche. Per via di qualche effetto strano talvolta il rumore della bora ricorda un temporale o un’esplosione o uno sparo di arma da fuoco, o anche un grosso cane che abbaia.
Il sole è ancora forte, su nel cielo. Qui vivono persone la cui pelle è stata inesorabilmente condannata dalla troppa esposizione alla luce solare, la cui abbronzatura perpetua è ora una condanna. Non c’è tempo, non ci sono soldi per un dottore, anche se il sistema sanitario nazionale è pagato dallo Stato. Qui è la storia di un ragazzino nato con una grave deformazione, indiagnosticabile. Il ragazzino, lui lo chiamano Stampella, ma non perché usi una stampella per trascinarsi per le vie scorticate dai fumi tossici. Il ragazzino ha iniziato a prendersela con le persone sbagliate; la sua famiglia è in apprensione. La sua famiglia, brava gente, teme il giorno in cui Stampella non farà ritorno a casa.
Un soffio di vento trasporta odore di mare. E poi in quella zona non è tutto da buttare. I tramonti rappresentano uno spettacolo indescrivibile, l’acqua intorbidita dagli scarichi, man mano che si fa buio, diventa un tutt’uno con il cielo, e quando il sole viene inghiottito dal mare e cala la notte sembra ci sia un unico cielo enorme, per metà coperto di stelle e per metà pura e semplice volta celeste. Dall’alto, il buio è totale e profondissimo e anche la città sembra avvolgersi in una pace rinnovata.
Chiedete di Eric. Chiedete di Michael. Chiedete di Giovanna. Chiedete pure.
Ci sono certi spiazzi di asfalto su cui qualche anima pia ha piantato canestri o ha costruito porte da calcio, e adesso i ragazzini frequentano quei campi improvvisati con la gioia nel cuore, come se calcassero gli stadi più importanti d’Italia. Tirano, segnano, alzano le braccia al cielo. Anche se non parlano italiano. Poche cose riempiono il cuore come la possibilità di condividere pomeriggi di spensieratezza. Ginocchia sbucciate, denti scheggiati, pisciare sangue, bere una Coca Cola. Ci sono ragazzine biondissime che si esercitano in balletti ritmici. Una di loro finirà male. È solo questione di quando.
E ancora. Ricordi si fondono con il presente. Cancelli aperti che oscillano al passare del vento e famiglie che d’estate piazzano sulla strada tavoli e sedie di plastica e mangiano piatti di pasta fumanti, tutti assieme, tre generazioni strette in pochi metri quadrati. Guardali, una manifestazione di gioia. Ma quando bevono troppo poi si chiudono in casa e volano schiaffi, e gli schiaffi non sono nemmeno il peggio che possa capitare. Gli schiaffi sono negoziati; tutto precipita quando gli effetti del vino iniziano a sfumare e cala la notte.
E ancora: chiese, edicole, strisce pedonali, piccoli negozi di quartiere e panifici, il profumo del pane fresco. Si sentono certi strilli di madre che hanno le intonazioni delle madri di ogni dove. Strilli da farti venire voglia di scappare più veloce che puoi. Solo che non puoi.
Ormai ci siamo. In quello scorcio di città, l’aria ti spruzza negli occhi frammenti di vetro microscopici provenienti da altre dimensioni o da qualche bottiglia frammentata. Ma è come essere a casa, o quasi.