Transizione
Assegnato all'assistenza negli incidenti stradali.
Lugo aveva guardato il messaggio sul quadrante dello smart watch più volte. Non aveva battuto ciglio, ma una punta di delusione gli aveva stretto la bocca dello stomaco.
Un incarico vale l'altro, si era sempre detto. Più che altro la questione era averlo o no un incarico.
Guardò l'orologio: le 19.35. Meglio procedere con la medicazione, ché poi la sera è il momento in cui gli incidenti si moltiplicano e rischiava di non avere tempo di disinfettare le ferite. Non bisognava saltare la medicazione neanche un giorno, non avevano fatto altro che ripeterglielo. Chissà perché, poi. Si sarebbero infettate come quelle di ogni comune mortale? Ma allora la faccenda era in contraddizione con quello che gli aveva assicurato il chirurgo. Ossia che la transizione era più che altro una questione estetica.
Andò in bagno a prendere il disinfettante, le garze sterili e il cerotto. Preparò tutto l'occorrente: spiegò le garze, tagliò tanti pezzetti di cerotto e imbevette di abbondante alcol denaturato il cotone idrofilo. Si tolse la maglietta e si posizionò di fronte allo specchio piccolo, sul quale si proiettava il riflesso di quello grande. Vide le fasciature che seguivano la linea delle scapole. Lugo sospirò e iniziò la parte più penosa dell'operazione. Staccò i cerotti che tenevano ferme le garze. La pelle già iniziava a tirare ma il fastidio era sopportabile. Le garze rimasero immobili, attaccate alla pelle. Non era un buon segno. Ne sollevò il lembo superiore. Pelle, ferite e garze erano un'unica poltiglia. Poi iniziò a tirare giù la garza. Per farlo doveva piegare il braccio in modo innaturale, quasi in una contorsione. Il bruciore era vivo, imperioso. Una volta tolte le garze si guardò curioso la schiena nuda, solcata da due righe scure di sangue rappreso, a loro volta attraversate da numerosi punti di sutura. Quei tagli spaventosi sembravano già puntellati da tante piccole escrescenze. Poteva essere già in atto la ricrescita di ciò che era stato asportato? Lugo optò in cuor suo per un'illusione della vista e proseguì con la medicazione.
Aveva appena finito di fasciare con la garza la prima ferita quando si accese la luce rossa del suo smart watch. Sotto la luce lampeggiante compariva la geolocalizzazione. Chilometro 36 dell'autostrada A7 in direzione Milano. Indossò la camicia sulla pelle nuda della scapola destra.
L'automobile era preceduta dai solchi neri delle gomme sull'asfalto, due linee parallele e ricurve disegnavano al suolo le frazioni di secondo anteriori all'impatto. Il muso della Mazda grigio metallizzato era tutt'uno con il guardrail. La carrozzeria, accartocciata come un foglio di carta stagnola, era un tripudio di lamiere arricciate. Lugo guardò l'interno dell'auto dal finestrino spaccato. Un ragazzo, solo. Ripiegato su se stesso, si vedeva la testa ciondoloni ricoperta da una folta chioma castana. Lugo fece un passo indietro, per dare il tempo al ragazzo di tirarsi su e di guardare verso di lui. Aveva gli occhi azzurri, le pupille erano due punte di spillo, abbagliate dall'aura di Lugo.
- È bellissimo, - disse - questa luce è bellissima.
- Vieni - tagliò corto Lugo.
La parte traslucida del ragazzo si staccò dal corpo seduto al posto di guida e si fece prendere per mano. Guardava Lugo negli occhi mentre si dissolveva in minuscole particelle simili a vapore acqueo. E continuava a guardarlo estasiato mentre evaporava via.
Quando si dissolse del tutto, Lugo tornò a osservare il suo corpo terreno. Era più affascinato da quest'ultimo, dalle ferite da cui il sangue sgorgava impetuoso. Dalla carnalità che si celava sotto l'epidermide, così simile alla sue ferite.
Si toccò la scapola destra. La camicia era bagnata, incollata alla pelle. Un'altra luce rossa comparve sul display dell'orologio. Chilometro 114, SS 75. Il tempo di un sospiro e doveva già andare. Le sirene dei soccorsi si annunciavano in lontananza. Fu contento di non aver incrociato altri umani nella scena dell'incidente. Detestava le urla concitate, i pianti dei parenti, lo strazio in generale. L'operazione non aveva scalfito la corazza di indifferenza che lo ricopriva, né c'erano cure ormonali in grado di farlo. L'impassibilità lo avvolgeva come quelll'aura di luce abbagliante che incantava i morti. Aveva letto di trattamenti miracolosi a base di melatonina in grado di scurire il suo contorno luminescente, ma sapeva che erano palliativi, trucchi capaci di mascherare la sua natura per poche ore. E poi non gli importava, non era l'aura di noncuranza ciò che odiava della sua specie, ma la carnalità sbagliata: il candore del piumaggio, la pelle diafana priva di peluria, le ossa cave e, soprattutto, la mancanza dei genitali esterni. Invidiava quegli esseri fragili che accompagnava nel trapasso, ai quali un urto a velocità elevata era fatale, ma dotati di passione. Di quel fuoco cieco che come una fiaccola li guidava nella notte, nel buio di un destino sconosciuto. Tutto il contrario di quello che accadeva a lui, essere impastato di luce ma privo di destino e di morte, fatto di carne e piume sensibili al dolore ma indifferenti alle emozioni. Dotato di ali maestose che si potevano asportare, ma destinate a ricrescere come le code delle lucertole, a cui, sapeva bene, era maggiormente imparentato che agli esseri umani. Nella speciazione evolutiva, dai rettili si erano generati gli uccelli e poi gli angeli, ultimo ramo inerte di un albero genealogico che lo rendeva più simile alla fredda natura di un serpente che a quella di un qualsiasi mammifero superiore.
La luce penetrava dalle fessure della persiana abbassata e un raggio obliquo andò a scaldare una palpebra chiusa di Lugo. Aprì un occhio alla volta, come fanno gli uccelli. Dormiva ancora seduto, accoccolato sulle ginocchia. Il letto matrimoniale in noce era stata una spesa più simbolica che necessaria: dormire sdraiato sulla schiena gli era ancora impossibile. La camicia gli era rimasta appiccicata alla ferita e lo aspettava una medicazione più dolorosa del solito.
La luce rossa dello smart watch iniziò a lampeggiare. Maxi tamponamento tra un mezzo pesante e diverse vetture sul km 97 dell'autostrada del Sole. Sbuffò pensando alla confusione di morti e feriti. Si alzò e andò in bagno a lavarsi il viso. Si sfilò l'orologio dal polso e intravide allo specchio il suo sguardo ostile. "L'angelo caduto dal cielo", mormorò tra i denti, canzonando se stesso. Guardò di nuovo la luce lampeggiante, allarmata e inutile, che gli ammiccava dalla mano. Fu un attimo. Lugo comprese che bastava un attimo a far sì che la transizione si compisse. Con rabbia scagliò lo smart watch sullo specchio. Una ragnatela di crepe gli restituì l'immagine scomposta di quello che era stato un angelo. Fece in tempo a scorgere un lampo di passione nel suo occhio rifratto, quando una nube scura si materializzò alle sue spalle. I corpi traslucidi dei morti del maxi tamponamento erano venuti a cercarlo. Non lo guardavano estasiati, ma furiosi, pronti a dilaniarlo. Doveva fuggire. Fuggire e lottare. Aveva un destino anche lui, finalmente. Il prezzo da pagare perché la transizione fosse completa.
Assegnato all'assistenza negli incidenti stradali.
Lugo aveva guardato il messaggio sul quadrante dello smart watch più volte. Non aveva battuto ciglio, ma una punta di delusione gli aveva stretto la bocca dello stomaco.
Un incarico vale l'altro, si era sempre detto. Più che altro la questione era averlo o no un incarico.
Guardò l'orologio: le 19.35. Meglio procedere con la medicazione, ché poi la sera è il momento in cui gli incidenti si moltiplicano e rischiava di non avere tempo di disinfettare le ferite. Non bisognava saltare la medicazione neanche un giorno, non avevano fatto altro che ripeterglielo. Chissà perché, poi. Si sarebbero infettate come quelle di ogni comune mortale? Ma allora la faccenda era in contraddizione con quello che gli aveva assicurato il chirurgo. Ossia che la transizione era più che altro una questione estetica.
Andò in bagno a prendere il disinfettante, le garze sterili e il cerotto. Preparò tutto l'occorrente: spiegò le garze, tagliò tanti pezzetti di cerotto e imbevette di abbondante alcol denaturato il cotone idrofilo. Si tolse la maglietta e si posizionò di fronte allo specchio piccolo, sul quale si proiettava il riflesso di quello grande. Vide le fasciature che seguivano la linea delle scapole. Lugo sospirò e iniziò la parte più penosa dell'operazione. Staccò i cerotti che tenevano ferme le garze. La pelle già iniziava a tirare ma il fastidio era sopportabile. Le garze rimasero immobili, attaccate alla pelle. Non era un buon segno. Ne sollevò il lembo superiore. Pelle, ferite e garze erano un'unica poltiglia. Poi iniziò a tirare giù la garza. Per farlo doveva piegare il braccio in modo innaturale, quasi in una contorsione. Il bruciore era vivo, imperioso. Una volta tolte le garze si guardò curioso la schiena nuda, solcata da due righe scure di sangue rappreso, a loro volta attraversate da numerosi punti di sutura. Quei tagli spaventosi sembravano già puntellati da tante piccole escrescenze. Poteva essere già in atto la ricrescita di ciò che era stato asportato? Lugo optò in cuor suo per un'illusione della vista e proseguì con la medicazione.
Aveva appena finito di fasciare con la garza la prima ferita quando si accese la luce rossa del suo smart watch. Sotto la luce lampeggiante compariva la geolocalizzazione. Chilometro 36 dell'autostrada A7 in direzione Milano. Indossò la camicia sulla pelle nuda della scapola destra.
L'automobile era preceduta dai solchi neri delle gomme sull'asfalto, due linee parallele e ricurve disegnavano al suolo le frazioni di secondo anteriori all'impatto. Il muso della Mazda grigio metallizzato era tutt'uno con il guardrail. La carrozzeria, accartocciata come un foglio di carta stagnola, era un tripudio di lamiere arricciate. Lugo guardò l'interno dell'auto dal finestrino spaccato. Un ragazzo, solo. Ripiegato su se stesso, si vedeva la testa ciondoloni ricoperta da una folta chioma castana. Lugo fece un passo indietro, per dare il tempo al ragazzo di tirarsi su e di guardare verso di lui. Aveva gli occhi azzurri, le pupille erano due punte di spillo, abbagliate dall'aura di Lugo.
- È bellissimo, - disse - questa luce è bellissima.
- Vieni - tagliò corto Lugo.
La parte traslucida del ragazzo si staccò dal corpo seduto al posto di guida e si fece prendere per mano. Guardava Lugo negli occhi mentre si dissolveva in minuscole particelle simili a vapore acqueo. E continuava a guardarlo estasiato mentre evaporava via.
Quando si dissolse del tutto, Lugo tornò a osservare il suo corpo terreno. Era più affascinato da quest'ultimo, dalle ferite da cui il sangue sgorgava impetuoso. Dalla carnalità che si celava sotto l'epidermide, così simile alla sue ferite.
Si toccò la scapola destra. La camicia era bagnata, incollata alla pelle. Un'altra luce rossa comparve sul display dell'orologio. Chilometro 114, SS 75. Il tempo di un sospiro e doveva già andare. Le sirene dei soccorsi si annunciavano in lontananza. Fu contento di non aver incrociato altri umani nella scena dell'incidente. Detestava le urla concitate, i pianti dei parenti, lo strazio in generale. L'operazione non aveva scalfito la corazza di indifferenza che lo ricopriva, né c'erano cure ormonali in grado di farlo. L'impassibilità lo avvolgeva come quelll'aura di luce abbagliante che incantava i morti. Aveva letto di trattamenti miracolosi a base di melatonina in grado di scurire il suo contorno luminescente, ma sapeva che erano palliativi, trucchi capaci di mascherare la sua natura per poche ore. E poi non gli importava, non era l'aura di noncuranza ciò che odiava della sua specie, ma la carnalità sbagliata: il candore del piumaggio, la pelle diafana priva di peluria, le ossa cave e, soprattutto, la mancanza dei genitali esterni. Invidiava quegli esseri fragili che accompagnava nel trapasso, ai quali un urto a velocità elevata era fatale, ma dotati di passione. Di quel fuoco cieco che come una fiaccola li guidava nella notte, nel buio di un destino sconosciuto. Tutto il contrario di quello che accadeva a lui, essere impastato di luce ma privo di destino e di morte, fatto di carne e piume sensibili al dolore ma indifferenti alle emozioni. Dotato di ali maestose che si potevano asportare, ma destinate a ricrescere come le code delle lucertole, a cui, sapeva bene, era maggiormente imparentato che agli esseri umani. Nella speciazione evolutiva, dai rettili si erano generati gli uccelli e poi gli angeli, ultimo ramo inerte di un albero genealogico che lo rendeva più simile alla fredda natura di un serpente che a quella di un qualsiasi mammifero superiore.
La luce penetrava dalle fessure della persiana abbassata e un raggio obliquo andò a scaldare una palpebra chiusa di Lugo. Aprì un occhio alla volta, come fanno gli uccelli. Dormiva ancora seduto, accoccolato sulle ginocchia. Il letto matrimoniale in noce era stata una spesa più simbolica che necessaria: dormire sdraiato sulla schiena gli era ancora impossibile. La camicia gli era rimasta appiccicata alla ferita e lo aspettava una medicazione più dolorosa del solito.
La luce rossa dello smart watch iniziò a lampeggiare. Maxi tamponamento tra un mezzo pesante e diverse vetture sul km 97 dell'autostrada del Sole. Sbuffò pensando alla confusione di morti e feriti. Si alzò e andò in bagno a lavarsi il viso. Si sfilò l'orologio dal polso e intravide allo specchio il suo sguardo ostile. "L'angelo caduto dal cielo", mormorò tra i denti, canzonando se stesso. Guardò di nuovo la luce lampeggiante, allarmata e inutile, che gli ammiccava dalla mano. Fu un attimo. Lugo comprese che bastava un attimo a far sì che la transizione si compisse. Con rabbia scagliò lo smart watch sullo specchio. Una ragnatela di crepe gli restituì l'immagine scomposta di quello che era stato un angelo. Fece in tempo a scorgere un lampo di passione nel suo occhio rifratto, quando una nube scura si materializzò alle sue spalle. I corpi traslucidi dei morti del maxi tamponamento erano venuti a cercarlo. Non lo guardavano estasiati, ma furiosi, pronti a dilaniarlo. Doveva fuggire. Fuggire e lottare. Aveva un destino anche lui, finalmente. Il prezzo da pagare perché la transizione fosse completa.