[MI 182] Il debito sotto il sole

1
Traccia n° 2 "Rumore impossibile"
Il debito sotto il sole


Ritornare indietro. Antonio Chirchesu aveva sempre avuto paura di tornare al suo paese, Luggestra, (*) buttato come un mucchio di pietre contorte che si protraevano con indolenza  sui fianchi della montagna come una lucertola: Luggestra. 
Cercava di non pensarci ma non poteva. Non era un tarlo ipotetico che lo attanagliava ma un vero, seppur tenue rimbombo che sentiva nella sua testa ormai da un paio d'anni. Tamburi lontani, forse lo erano, lo chiamavano, lo chiamavano. Sapeva di cosa si trattava. Sperava di esserne immune,  aveva scoperto di non esserlo. Non poteva spiegarlo agli altri.
Aveva guardato con affetto sua moglie, era andato a trovare i figli che abitavano in un altro quartiere della città, si era dimostrato insolitamente affettuoso con tutti e la cosa aveva destato curiosità. Non aveva avuto il coraggio di parlare, sapeva che non avrebbero capito, non gli avrebbero creduto. Il suo ostentato affetto era un ultimo saluto.
Aveva inventato una scusa per tornare a Luggestra, seguire la demolizione della casa dei suoi vecchi, ormai in rovina e pericolante. Sarebbe stato via qualche giorno, poteva permetterselo adesso che era in pensione. Sapeva che la moglie non avrebbe avuto nessuna intenzione di accompagnarlo, era stata una sola volta a Luggestra e si era sentita male a vedere tanta desolazione e isolamento. I figli nemmeno a parlarne e forse era meglio così. Per quello che doveva fare meglio essere soli.

Si era abituato al suono in testa, foriero di una antica sentenza. Aveva scoperto che se pensava nel suo arcaico dialetto, cosa che ormai non faceva più da decenni, il suono dentro la  testa pareva assumeva una conformazione diversa, più profonda, come a volerlo rassicurare prima del colpo mortale, come faceva l’Accabadora. (**)
Antonio aveva sorriso amaramente. Sapeva che nessuna medicina, nessuna scienza lo avrebbe mai liberato da quel suono, dal suo significato, dall’adempiersi di questo.
Scese dalla corriera nella piccola piazza di Luggestra, grande come un cortile, con un bar, un tavolo e due sedie fuori sotto un telone a strisce bianche e verdi. Due vecchi bevevano una birra e fumavano il sigaro. Lo guardarono fissi. Gli parve di riconoscerli ed era sicuro che anche loro lo avessero riconosciuto; fece un lieve movimento del capo come saluto, risposero allo stesso modo. Ed era meglio non avviare nessun discorso, non avrebbe giovato a niente, non era una rimpatriata.
Il rumore nella sua testa era appena aumentato d’intensità. Sentiva una vena della tempia pulsare.
Pensò che poteva morire all’improvviso, come era successo a suo padre, ma poi scosse il capo. Si diede un colpetto alla testa, come a rimproverarsi. I due vecchi non staccavano lo sguardo da lui. Antonio li guardò e sorrise annuendo. Loro non sorrisero, rimasero immobili.

La pensione dove andò era davvero povera, ma pulita.
La ragazza che lo accolse sorridente lo scambiò per un escursionista straniero e gli parlò in inglese, ma il sorriso le scomparve quando Antonio le rivolse la parola in dialetto. Poveretta, l’aveva delusa. Le consegnò i documenti ed era sicuro che appena fosse uscito avrebbe chiesto a qualcuno chi mai fosse. Qualcuno glielo avrebbe detto, forse, se superava la paura.
Camminò per le vie del paese che erano cambiate, ora al posto della polvere c’erano via acciottolate e asfalto. Molte case nella via principale erano palesemente abbandonate e in rovina. Arrivò in piazza di chiesa e si calò in una via piccola e scura, circondata da muretti a secco. Arrivò a un cancello di legno a pezzi, chiuso da un lucchetto arrugginito. Scavalcò a fatica dei detriti e si ritrovò in un cortile  circondato dalle mura cadenti di una costruzione a due piani, dalle porte e finestre in legno sventrate e penzolanti. Era tornato a casa. In quello che da bambino gli era sembrata una piazza, dove entrava e usciva tanta gente e suo padre con il carro aggiogato ai buoi, ora a stento si muoveva per i calcinacci sparsi a ogni passo, travi di legno marce invase da erbacce di ogni tipo che avevano proliferato e invaso tutto negli anni.
Qualcuno lo osservava. In un angolo vicino alle rovine della stalla una donna vecchia, alta, imponente, vestita di nero. Per un po’ finse di non vederla, poi si girò all’improvviso, la donna si avvolse i lembi del fazzoletto intorno alla bocca, chinò riluttante lo sguardo e se ne andò.
Il giorno dopo Antonio ritornò.
Rivide la vecchia. Sembrava aspettarlo.
─ So chi sei ─ disse la donna.
─ Anche io so chi siete, zia Antrioca.
─ Sei Antonio Chirchesu, figlio di Ignazio.
Antonio annuì. In quel momento il lieve martellamento nel suo cervello diminuì. Si portò una mano alla testa.
─ Anche il mio Pascale lo sentiva ─ disse la vecchia.
─ Dov’è?
─ È morto.
─ Mi dispiace. I vostri figli?
─ Stanno bene. Grazie a lui. Sai perché.
─ Gli altri? ─ chiese Antonio.
─ Tutti i discendenti di quel gruppo di scomunicati hanno pagato. E altri ─ aggiunse con uno sguardo cupo ─ sono tornati a saldare il loro debito.
─ Sì. Io sono tornato. Sono stato chiamato.
─ Doveva succedere.
─ Doveva. Chi non è morto come sta?
─ Era meglio se moriva per come è diventato. Non andare a trovarli, non saresti benvenuto.
─ Lo so. Non ci vado, chiedevo. Manco da molto.
─ Credevi che la scomunica non ti avrebbe trovato se te ne andavi?
─ No. Volevo provare a essere felice.
─ Difficile. Ho saputo che hai moglie, figli.
─ Sì.
─ Tu hai il sangue di chi ha agito male a suo tempo, la scomunica cadrà anche sui tuoi figli. Che lo sappiano o meno.
─ Farò come ha fatto zio Pascale. Scioglierò la mia scomunica e loro saranno liberi.
Zia Antrioca annuì sorridendo con tristezza. ─ Il mio Pascale aveva coraggio e voleva il nostro bene. Anche tu sei come lui. Devi sapere che ti ammiro.
─ Spero di essere coraggioso come lui.
─ Devi andare da  prete Gadoni.
─ Allora prete Gadoni è ancora vivo?
─ Ha passato cento anni da poco. Vive nel suo palazzo e ogni giorno recita il rosario dal balcone, guardando a valle il sole che sorge sul mare.

Antonio si recò nel palazzo di prete Gadoni, che chiamarlo palazzo era eccessivo. Una delle più vecchie e rovinate case di Luggestra, con un piano rialzato e balconi barocchi di ferro arrugginito.
La sua vecchia perpetua, zia Dionigia, che lo accudiva da una vita, sembrava spaventata a vedersi davanti un estraneo. Si rassicurò sentendolo parlare in dialetto e saputo che era Antonio capì tutto il resto.
Lo annunciò al vecchio prete che stava seduto come un patriarca su una poltrona con un bastone in mano, immobile come una statua. La perpetua gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Antonio percepì che diceva il suo nome. Don Gadoni lo guardò a fatica, annuì. La perpetua uscì. I due si fissarono in faccia in silenzio.
─ Quel mio predecessore… ha lasciato il segno ─ disse don Gadoni con voce triste. ─ Perché vieni da me, Antonio Chirchesu?
─ Perché sciogliate la scomunica di quel prete prima di voi.
Don Gadoni annuì. ─ Sono passati solo centocinquanta anni. Non sono passate sette generazioni. Perché pensi che io lo farò?
─ Quello che un prete lega in terra  viene legato in cielo. Quello che un prete scioglie in terra viene sciolto in cielo.
Don Gadoni annuì un'altra volta, pensieroso. ─ Sei disposto alle conseguenze?
─ Purché i miei figli non paghino anche loro.
─ Non pagheranno. Pagherai tu. Sei disposto?
─ Si, prete Gadoni.

Non fu facile convincere il giovane prete della chiesa a cedere momentaneamente l’altare al vecchio don Gadoni per una preghiera privata, come gli era stato detto da alcune pie donne, fra le quali zia Antrioca e la perpetua zia Dionigia. Ma alla fine lo convinsero.
─ Purché niente venga spostato come l’ultima volta. In particolare il Santissimo, che deve stare in un angolo.

Quando Don Gadoni, Antonio e pochissime anziane donne entrarono in chiesa sprangarono le porte e la prima cosa che fu fatta fu rimettere il Santissimo al suo posto centrale sull’altare, dove era sempre stato da duemila anni. Don Gadoni recitò una preghiera di riparazione e perdono per i tempi e gli uomini moderni che avevano relegato il Santissimo in un angolo, affinché fosse dimenticato e assieme a lui fosse dimenticata la speranza.
Poi indossò la stola viola del dolore e della Morte e cominciò a pregare in ginocchio, rivolto al Santissimo.
Pregava in latino, le donne rispondevano con un mesto sussurro. Antonio stava in ginocchio al suo fianco e non capiva o meglio, capiva, ma non avrebbe saputo tradurre. E non aveva importanza. Per la prima volta dopo più di due anni sentì la mente liberarsi da quel tenue suono insistente dentro la sua testa, qualcosa usciva dal suo petto, come una pietra, un pegno che era stato deposto nel sangue di un suo trisavolo e che lui sapeva di avere dentro. Un pegno che bisognava restituire.
Antonio era felice. I suoi figli non sapevano niente, non avrebbero avuto quel pegno dentro di loro, non avrebbero sentito nessun suono, perché lui aveva deciso di restituire il pegno, offrendo la sua vita pur di salvare i figli da una condanna di cui erano inconsapevoli.
Un giorno avrebbero saputo. Aveva scritto tutto. Non era sicuro che avrebbero capito, ma sperava di si, con il tempo. E forse sarebbero venuti a vivere a Luggestra, l’ultimo paese del mondo. Aveva scritto anche alla moglie. Parole di perdono per non averle spiegato fin dall’inizio della scomunica che pendeva sul suo capo, questa condanna arcaica che lei non avrebbe potuto concepire né comprendere. Antonio chiedeva perdono per il suo egoismo e per aver cercato di illudersi di poter essere felice.

Ora vedeva tanta luce intorno a sé, una bella giornata di sole come quando era bambino e suo padre che entrava con il carro dentro il cortile della loro casa. Anche suo padre aveva sentito il suono nella sua testa, ne era sicuro, ma aveva voluto comunque vivere con quel tormento, pover’uomo, nonostante fosse morto ancora giovane. Non aveva avuto il coraggio di togliersi il pegno dall’anima e lo aveva condannato a farlo lui. Ma Antonio gli voleva ancora più bene per questo. Suo padre e lui, ognuno a suo modo, si erano comunque sacrificati per i loro figli.
Quella scomunica per sette generazioni si era interrotta. 



(*) Luggestra. Significa lucertola.
(**) Accabbadora. Significa “colei che finisce”. In una Sardegna arcaica, alcuni riferiscono fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, era una donna che aveva la funzione, tacitamente riconosciuta, di porre fine alle sofferenze di malati terminali su richiesta dei familiari e della stessa persona malata.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

2
Ciao @Alberto Tosciri dici di aver scritto di fretta… ma non si vede affatto! Il racconto è bello e coinvolgente. Ricco di suggestioni e di immagini che ti fanno “sentire” partecipe dell’ambiente e dei fatti raccontati. Potresti descrivere l’elenco del telefono e sono convinta che riusciresti a dare vita e spessore a tutti gli utenti.  Molto bella e vera questa scena
Alberto Tosciri ha scritto: Scese dalla corriera nella piccola piazza di Luggestra, grande come un cortile, con un bar, un tavolo e due sedie fuori sotto un telone a strisce bianche e verdi. Due vecchi bevevano una birra e fumavano il sigaro. Lo guardarono fissi. Gli parve di riconoscerli ed era sicuro che anche loro lo avessero riconosciuto; fece un lieve movimento del capo come saluto, risposero allo stesso modo. Ed era meglio non avviare nessun discorso, non avrebbe giovato a niente, non era una rimpatriata.
il “rumore” richiesto da @bestseller2020 lo hai portato su un piano metafisico. Il protagonista può sentirlo e forse anche la vecchia zia. Questo ha un taglio da realismo magico che ben si sposa con l’ambientazione di Luggestra.
Mi è rimasta la curiosità di sapere quale fosse il motivo che, a suo tempo, aveva scatenato la “maledizione” della scomunica.
Comunque la tua storia mi ha convinta. Complimenti!

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

4
Grazie @@Monica
Sì, scritto in poco tempo, ma avevo presente ambientazione, personaggi e come dovevano muoversi, bisognava cercare di rappresentare il tutto, alla buona.
@Monica ha scritto: Potresti descrivere l’elenco del telefono e sono convinta che riusciresti a dare vita e spessore a tutti gli utenti.  
È una buona idea. Anzi, la prossima traccia sarà qualcosa del genere. Un elenco del telefono equivale a una Bibbia di storia locale. Sai quanta roba ne viene fuori, Proust ne sarebbe affascinato.
@Monica ha scritto: Mi è rimasta la curiosità di sapere quale fosse il motivo che, a suo tempo, aveva scatenato la “maledizione” della scomunica.
Comunque la tua storia mi ha convinta.
Il motivo esiste davvero, incredibile da raccontare, specie ai giorni nostri, me ne rendo conto.
A parte il rumore in testa, funzionale alla traccia si tratta davero una "scomunica", che poi non è propriamente una scomunica, che dà il Papa, ma una sorta di maledizione comunque perpetuata da un uomo di chiesa alla fine dell'Ottocento per qualcosa che qualcuno ha fatto di sbagliato e che colpirà l'autore e la sua discendenza per sette generazioni.  Ho romanzato, ma mi sono ispirato a storie reali che conosco molto bene. È stato facile scriverne.
Almissima ha scritto: L'ho letto tutto d'un fiato e quello che mi è piaciuto di più è stato ciò che non hai scritto, ma hai fatto percepire.
Grazie @Almissima
Molto bello quello che hai detto. Non è facile far percepire il non detto attraverso le righe. Forse questa volta mi sono avvicinato.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

5
Alberto Tosciri ha scritto: Aveva inventato una scusa per tornare a Luggestra, seguire la demolizione della casa dei suoi vecchi, ormai in rovina e pericolante.
Dopo "Luggestra", ti consiglio i due punti esplicativi.
Alberto Tosciri ha scritto: Camminò per le vie del paese che erano cambiate, ora al posto della polvere c’erano via acciottolate e asfalto.
Dopo "cambiate", ti consiglio un punto e virgola.
Alberto Tosciri ha scritto: e suo padre con il carro aggiogato ai buoi, ora a stento si muoveva per i calcinacci sparsi a ogni passo, travi di legno marce invase da erbacce di ogni tipo che avevano
Anche qui sopra, dopo "buoi", ci sta meglio un punto e virgola.
Alberto Tosciri ha scritto: Non fu facile convincere il giovane prete della chiesa a cedere momentaneamente l’altare al vecchio don Gadoni per una preghiera privata, come gli era stato detto da alcune pie donne, fra le quali zia Antrioca e la perpetua zia Dionigia. Ma alla fine lo convinsero.
─ Purché niente venga spostato come l’ultima volta. In particolare il Santissimo, che deve stare in un angolo.
Terribile decadenza del "sacro" quella sopra  narrata. Ovvio, a fini letterari. 
Alberto Tosciri ha scritto: mer lug 10, 2024 5:26 pm─ Quel mio predecessore… ha lasciato il segno ─ disse don Gadoni con voce triste. ─ Perché vieni da me, Antonio Chirchesu?
─ Perché sciogliate la scomunica di quel prete prima di voi.
Don Gadoni annuì. ─ Sono passati solo centocinquanta anni. Non sono passate sette generazioni. Perché pensi che io lo farò?
─ Quello che un prete lega in terra  viene legato in cielo. Quello che un prete scioglie in terra viene sciolto in cielo.
Don Gadoni annuì un'altra volta, pensieroso. ─ Sei disposto alle conseguenze?
─ Purché i miei figli non paghino anche loro.
─ Non pagheranno. Pagherai tu. Sei disposto?
─ Si, prete Gadoni.

Non fu facile convincere il giovane prete della chiesa a cedere momentaneamente l’altare al vecchio don Gadoni per una preghiera privata, come gli era stato detto da alcune pie donne, fra le quali zia Antrioca
Caro @Alberto Tosciri  devo farti una domanda importante per me.
Questa volta, e lo dimostra lo stralcio del tuo racconto che cito qui sopra, hai mischiato sacro e profano. Perché?

Tra l'altro, col rischio di ingenerare equivoci ulteriori sulla nostra fede.
Infatti, lo sai bene, la scomunica è individuale e si estingue, se non cancellata, con la morte dello scomunicato.
Non può certo ricadere su sette generazioni o quant'altro. 
Non limitarti a dire che è un'opera di fantasia. Purtroppo, tra chi legge e leggerà questo brano, ci saranno tanti che penseranno a un dato di fatto della Dottrina della Chiesa cattolica. Ci sarà chi farà dell'ironia sul fatto che, se affibbiata a un prelato, questi non dovrebbe avere (sic) sette generazioni di discendenti.

Ad ogni buon conto, secondo me, avresti dovuto fare un riferimento, un link, sotto spoiler o anche no, per spiegare la divergenza del tuo racconto dal reale. Per dire che hai "giocato" di fantasia sull'istituto della scomunica.

Come questo chiarimento, che ho trovato sul Web:

https://www.chiesedisicilia.org/2018/11 ... nseguenze/
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

6
Alberto Tosciri ha scritto:
Il motivo esiste davvero, incredibile da raccontare, specie ai giorni nostri, me ne rendo conto.
A parte il rumore in testa, funzionale alla traccia si tratta davero una "scomunica", che poi non è propriamente una scomunica, che dà il Papa, ma una sorta di maledizione comunque perpetuata da un uomo di chiesa alla fine dell'Ottocento per qualcosa che qualcuno ha fatto di sbagliato e che colpirà l'autore e la sua discendenza per sette generazioni.  Ho romanzato, ma mi sono ispirato a storie reali che conosco molto bene. È stato facile scriverne.
Qui hai spiegato il tuo intento, @Alberto Tosciri.
Cioè, una sorta di maledizione data da un uomo di chiesa che colpisce "davvero" qualcuno per sette generazioni?
Storie reali?  :aka:

(Seguito del mio commento delle ore 11,30)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

7
Poeta Zaza ha scritto: Qui hai spiegato il tuo intento, @Alberto Tosciri.
Cioè, una sorta di maledizione data da un uomo di chiesa che colpisce "davvero" qualcuno per sette generazioni?
Storie reali?  :aka:
Il link lo metto perché io ho letto alcuni libri della Deledda e l'Accabbadora della Murgia.
A me è saltato subito in mente che si trattava di credenze popolari, di qualcosa di antico innescato in un contesto molto diverso dai giorni di oggi.
https://www.contusu.it/le-maledizioni-d ... ei%20sardi.
Insomma, forse @Alberto Tosciri avrebbe dovuto chiamarla maledizione e non scomunica, ma tant'è che erano frati o preti a lanciarla.
Però ha ragione @Poeta Zaza , andava specificata la differenza.
 

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

8
Albascura ha scritto: Il link lo metto perché io ho letto alcuni libri della Deledda e l'Accabbadora della Murgia.
A me è saltato subito in mente che si trattava di credenze popolari, di qualcosa di antico innescato in un contesto molto diverso dai giorni di oggi.
https://www.contusu.it/le-maledizioni-d ... ei%20sardi.
Insomma, forse @Alberto Tosciri avrebbe dovuto chiamarla maledizione e non scomunica, ma tant'è che erano frati o preti a lanciarla.
Però ha ragione @Poeta Zaza , andava specificata la differenza.
Ho modificato il link; il primo non funzionava.

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

9
@Albascura

Estrapolo dal tuo link:

Ne La scomunica di Ollolai 2 i frati Minori Osservanti, cacciati dal borgo a seguito di un presunto delitto da loro effettuato (fu ritrovato nel pozzo dell’orto del convento il cadavere di un bambino), “…prima di andarsene scagliarono le loro più formidabili scomuniche sugli abitanti del villaggio e sui loro discendenti. Infatti, da allora in poi, la maledizione gravò su questo villaggio: le pestilenze, le carestie, le disgrazie più inaudite piombarono in ogni tempo su di esso, e ciò non bastando, gli abitanti, rosi dagli odi e dalle inimicizie più funeste, si dilaniarono tra loro, massacrandosi a vicenda. Due soli giorni dopo la partenza (correva l’anno 1490) scoppiò a Ollolai un violentissimo incendio che distrusse tutte le case”

Anche questo non mi piace. Fa credere a una sorta di causa-effetto che invece non è dimostrata. Le pestilenze, gli incendi, i terremoti, ci sarebbero stati (e per altre cause) ANCHE senza quelle maledizioni di cui sopra.
Non bisogna confondere il vero (e lasciare che la gente si confonda) tra i mille rivoli della fantasy-religione.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

10
  ha scritto:Ne La scomunica di Ollolai 2: "prima di andarsene scagliarono le loro più formidabili scomuniche sugli abitanti del villaggio e sui loro discendenti. Infatti, da allora in poi, la maledizione gravò su questo villaggio: le pestilenze, le carestie, le disgrazie più inaudite piombarono in ogni tempo su di esso, e ciò non bastando, gli abitanti, rosi dagli odi e dalle inimicizie più funeste, si dilaniarono tra loro, massacrandosi a vicenda. Due soli giorni dopo la partenza (correva l’anno 1490) scoppiò a Ollolai un violentissimo incendio che distrusse tutte le case”
È una citazione tratta dalla leggenda, scritto non chiaro sul sito.  Credo proprio da uno dei libri della Deledda. È chiaro che una leggenda non riporta la realtà ma una visione a volte unilaterale di ciò che è accaduto. Credo che  l'incendio sia veramente accaduto, l'odio, l'invidia, il rancore, le inimicizie e tutto quello che nasce da questi sentimenti invece è reale, troppo reale che supera la fantasia.

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

11
Albascura ha scritto:
È una citazione tratta dalla leggenda, credo proprio da uno dei libri della Deledda. È chiaro che una leggenda non riporta la realtà ma una visione a volte unilaterale di ciò che è accaduto. Credo che  l'incendio sia veramente accaduto, l'odio, l'invidia, il rancore, le inimicizie e tutto quello che nasce da questi sentimenti invece è reale, troppo reale che supera la fantasia.
Supera la fantasia e corrode la realtà.  @Albascura 
Il problema è scrivere in quel modo: causa-effetto, come se fosse l'assoluta verità nel contesto storico di cui si fa narrazione fantastica. 
Se volessi, potrei far succedere la distruzione di Pompei dopo una maledizione fatta da un religioso a un pompeiano dell'epoca. Senza prove, senza documentazioni storiche, così germinano leggende e credenze che si tramandano come verità. E, guarda caso, sono tutte scritte "a posteriori".
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

12
  ha scritto:Poeta Zazal problema è scrivere in quel modo: causa-effetto, come se fosse l'assoluta verità nel contesto storico di cui si fa narrazione fantastica. 
Sul sito forse è confuso, non è chiaro. Ma se apro un libro di leggende e leggo, La leggenda della  scomunica di Ollolai, è cosi che mi verrà raccontata, come se fosse reale. Io che leggo sono consapevole del fatto che sto leggendo una favola, non si rompe il patto con il lettore

Ultima modifica di Albascura il ven lug 12, 2024 3:05 pm, modificato 1 volta in totale.

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

13
Albascura ha scritto:
Sul sito forse è confuso, non è chiaro. Ma se apro un libro di leggende e leggo, La leggenda della  scomunica di Ollolai, è cosi che mi verrà raccontata, come se fosse reale. Io che leggo sono consapevole del fatto che sto leggendo una favola, non si rompe il patto con lo scrittore.
Condivido al 100%. Ma io non parlo di un libro di leggende che apro e leggo. Vado un po' oltre, @Albascura:si:

Ma se non riesco a farmi capire da te, rinuncio.

Chiedo scusa per l'O.T.  Qui mi fermo.  :sss:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

14
@Poeta Zaza
  ha scritto:Poeta ZazaTerribile decadenza del "sacro" quella sopra  narrata. Ovvio, a fini letterari. 
Sì, anche letterari se vogliamo. Ma è una cosa diffusa nella realtà. In molte chiese, specie quelle moderne, il Santissimo, che da sempre stava al centro dell’altare, è stato messo in un angolo. Il prete quando prende l’Ostia si sposta, cammina fuori dell’altare, mentre prima si girava e basta. Ci sono dei motivi. Uno l’ho detto nel racconto.
  ha scritto:Poeta ZazaCaro @Alberto Tosciri  devo farti una domanda importante per me.
Questa volta, e lo dimostra lo stralcio del tuo racconto che cito qui sopra, hai mischiato sacro e profano. Perché?
La vita degli uomini è sempre stata mischiata da sacro e profano. Oggi  si è più propensi al profano.
  ha scritto:Poeta ZazaTra l'altro, col rischio di ingenerare equivoci ulteriori sulla nostra fede.
Gli equivoci non sussistono se si segue la fede di sempre, non edulcorata o trasformata per contentare certa gente e certe idee. Metto in spoiler, per non appesantire,  una citazione di San Paolo, mai abbastanza divulgata. L’ho presa da una Bibbia che consulto spesso, edita nel 1958 dall’abate Giuseppe Ricciotti con tanto di imprimatur ecclesiastico dell'epoca, tradotta da precedenti testi originali, pertanto il linguaggio è duro, non edulcorato dalle versioni più “morbide”  e  adattate ai tempi post Concilio Vaticano II.
Dalla lettera ai Galati di San Paolo Apostolo (1, 6-10) Mi meraviglio che così presto voi passiate, da quel Vangelo che vi ha chiamato nella grazia di Cristo ad uno diverso. Ma non esiste un altro Vangelo; soltanto vi sono alcuni che vi disturbano, e vorrebbero sovvertire il Vangelo di Cristo. Ma anche se noi stessi o un angelo del Cielo venisse ad annunziarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato noi, sia egli anàtema. Già l’abbiamo detto e lo ripeto ora: se qualcuno evangelizza contro l’annunzio che avete ricevuto, sia anàtema. Perché ora ho io a conciliarmi gli uomini o Dio? Cerco forse di piacere agli uomini? Se ancora cercassi piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo.
  ha scritto:Poeta ZazaInfatti, lo sai bene, la scomunica è individuale e si estingue, se non cancellata, con la morte dello scomunicato.
Non può certo ricadere su sette generazioni o quant'altro. 
Tu parli della scomunica papale. Quella che io chiamo scomunica, quella che dalle mie parti chiamano "scomuniga" e "scommenigau" - scomunicato chi ne è copito, è un'altra cosa.
Ma ti do ragione che avrei dovuto spiegare, l’ho fatto in un commento successivo che ho scritto a @@Monica
Non mi sembrava funzionale dire nel racconto che quella gente non era “scomunicata” con bolla papale ma bensì secondo una credenza popolare  era maledetta eccetera. Non se ne usciva da uno spiegone che non amo inserire nel testo. Però potevo inserirlo in appendice, quello si.
Quella che chiamo scomunica, che dalle mie parti chiamano “scomuniga”  è assolutamente risaputo da tutti che non è una scomunica ufficiale della chiesa ma una maledizione che gravava su qualcuno, derivante da colpe di generazioni addietro di suoi consanguinei e che doveva essere scontata per sette generazioni. Chi faceva questa “scomuniga” era quasi sempre un uomo di chiesa che ne aveva il potere. Non tutti gli uomini di chiesa lo facevano, ma alcuni erano permalosi e suscettibili pur essendo sacerdoti e venivano temuti per questo loro potere. Del resto, anche Giuda era un apostolo di Cristo e non era certo persona alla quale affidarsi credo, come nei secoli successivi non furono uomini buoni altri ministri del Signore. Ma avevano quel potere. Come alcuni avevano e hanno il potere di fare esorcismi. Ma non tutti ce l’hanno.
  ha scritto:Poeta ZazaPer dire che hai "giocato" di fantasia sull'istituto della scomunica.
A dire il vero non ho “giocato” su questa cosa. Andrei contro me stesso, perché io credo a queste cose.
Non voglio approfondire, ma per me storie  come quella che ho raccontato, a parte il rumore in testa che ho cercato di trascendere, che non c'entra niente, sono assolutamente vere e ancora da guardare con timore.
  ha scritto:Poeta ZazaPurtroppo, tra chi legge e leggerà questo brano, ci saranno tanti che penseranno a un dato di fatto della Dottrina della Chiesa cattolica. Ci sarà chi farà dell'ironia sul fatto che, se affibbiata a un prelato, questi non dovrebbe avere (sic) sette generazioni di discendenti.
La gente ha ben altro a cui pensare. Non credo che nessuno si farà influenzare da quello che scrivo, e in particolare sulla fede cristiana. Se avessi questa capacità sarei un grande e lo farei. 


@albascura

Contento che conosci Grazia Deledda.
Ogni paese della Sardegna ha storie del genere che hai trovato tu.


@Poeta Zaza
  ha scritto:Poeta Zaza

Supera la fantasia e corrode la realtà.  @Albascura 
Se qualche storia antica corrode una realtà come quella odierna, ben venga.
“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”.
Shakespeare, Hamlet.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

16
Ciao collega @Alberto Tosciri

Storia che ho sentito in altre tue salse!  :D :D :D

Sei troppo attaccato alle nostre leggende, ti sono sempre care. Storie di uomini che abbandonano la loro terra col corpo ma mai col cuore e la mente.

Difficile strapparsi di dosso radici e storia di una terra antica quasi l'universo. Chissà mai chi sarà passato dalle nostre parti e lasciato una traccia, una storia, una leggenda. Condivido pure io, il fatto che la stessa chiesa cattolica, fondi la sua religione, su fatti che potrebbero essere leggende. Conosco e distinguo bene il significato di maledizione, quello arcaico delle nostre parti. Spesso maledizione in cui si chiama Dio a testimone. Niente di blasfemo, niente contrasto con la religione. da prendere e giudicare secondo i crismi della vita vissuta, dai nostri antenati, da noi. Quindi tutto bene, ma...
Anche tu non hai seguito la traccia... mannaggia. Tutti e tre, benché abbiate apprezzato la traccia propostavi, avete cercato il racconto originale, invece di sforzarvi a seguire le indicazioni. Credo che devo anche ringraziarti per aver partecipato, e dato il tuo contributo. Io pure ho fatto quello che potevo, poche righe, però attaccate alla traccia con il super attak.. ciao a presto.. (y) aiooohh
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 182] Il debito sotto il sole

17
bestseller2020 ha scritto: Condivido pure io, il fatto che la stessa chiesa cattolica, fondi la sua religione, su fatti che potrebbero essere leggende. Conosco e distinguo bene il significato di maledizione, quello arcaico delle nostre parti. Spesso maledizione in cui si chiama Dio a testimone. Niente di blasfemo, niente contrasto con la religione. da prendere e giudicare secondo i crismi della vita vissuta, dai nostri antenati, da noi.
Si era quello che intendevo e ovviamente tu conosci ambientazione e vecchie storie di Sardegna.
bestseller2020 ha scritto: Storia che ho sentito in altre tue salse! 
Si lo so. Vorrei scriverne altre di storie con altre ambientazioni, ne ho anche scritto cambiando nomi e alterando luoghi di altri posti, poche cose, ma non mi posso addentrare più di tanto. Sono storie vere e chi era coinvolto decenni fa, oltre a me, potrebbe prendersela.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
Rispondi

Torna a “Racconti lunghi”