Page 1 of 1

[CE 2025] Ora tocca a te

Posted: Fri Aug 01, 2025 4:31 pm
by Alberto Tosciri
Traccia n° 1: "Le lettere ritrovate"

Ora tocca a te

Il paese di Nuracòrra non aveva mai cambiato volto. Le case, di granito scuro, stavano conficcate nella terra come denti sorti. Il vento, quando passava, faceva gemere i tetti e muoveva i fili del bucato come braccia di morti.
Alessandro Lainzu vi tornò dopo vent’anni. Sull’autobus da Cagliari gli era parso di sognare: l’odore di lentischio, la linea seghettata delle montagne, paesi senza nome, sperduti.
Tornava per un funerale, quello del cugino Mariano, morto schiacciato dal suo stesso trattore. Ma sapeva, dentro di sé, che la morte di Mariano non era che un pretesto. Lo aveva chiamato qualcosa di più antico.
Arrivò in paese un pomeriggio di vento e nuvole basse. L’aria sapeva di pioggia vecchia, come se fosse rimasta imprigionata sotto le rocce. Nessuno lo aspettava alla fermata dell’autobus. Il conducente gli mise la valigia accanto senza dire una parola. Attraversò a piedi la via principale, osservando le persiane chiuse e le madonnine scolorite sui muri. Mulinelli di foglie secche trascinate dal vento gli venivano incontro. E una piccola figura nera, don Antioco, il vecchio parroco, che lo riconobbe, lo salutò.
─ Sei tornato, allora, Alessandro.
─ Solo per il funerale di Mariano.
─ Domani. Ma gli uomini non tornano mai per un solo motivo.

Dopo la messa funebre, diede le condoglianze alla moglie, che non conosceva, e ai figli distratti. Le poche persone presenti in chiesa non lo avevano riconosciuto, ma Alessandro sapeva che quegli sguardi assenti non volevano incontrare i suoi occhi.

Salì alla vecchia casa di famiglia. L’aveva venduta anni prima, insieme ai ricordi, ai mobili e all’anima. Ora apparteneva alla signora Ausilia Carta, vedova senza figli, donna alta, severa, con occhi neri e dita nodose come radici. Lo ricevette con la giusta formalità dovuta a chi è scomparso troppo a lungo.
─ Abbiamo trovato questo ─ disse porgendogli un pacchetto legato con uno spago, avvolto in una tovaglia con ricami blu. ─ Durante i lavori al muro della camera da letto. Erano in una nicchia murata.
Dentro, sette lettere. Tutte indirizzate a lui. Nessun mittente. Alessandro guardò la donna che, come leggendogli il pensiero disse: ─ Non ho nemmeno pensato ad aprirle, come vedi. Riguardano te. Ti aspettavano.

Seduto al vecchio tavolo della cucina, Alessandro guardò le piastrelle verdi, sentì l’odore di fumo stantio. Il pavimento di pietra sembrava ricordargli il passo di sua madre. Il silenzio pesava.

“Ti ricordi, Alessandro, quella sera di agosto in cui tua cugina Annalisa dormì da voi, nella stanza dei bambini, dopo la festa del paese? Aveva tredici anni. Tu ne avevi sedici. I tuoi occhi la cercavano, e le tue mani tremavano. Una carezza sul braccio, troppo lunga per essere fraterna. Lei non disse nulla. Le toccasti la pelle sotto le lenzuola. Lei fece finta di dormire. Ma qualcuno vide”.
Alessandro si alzò di scatto. Il cuore gli batteva in gola.
─ Potete portarmi un bicchiere d’acqua, per favore?
La signora Ausilia glielo porse in silenzio. Lo fissava come si  fissa un animale ferito, non per compassione, ma per attesa.
Bevve in silenzio, con la lettera ancora in mano. Il bicchiere tremava sotto le sue dita. Fuori, il paese taceva. Anche il vento pareva aver smesso di passare.
Nei giorni successivi, nella pensione di zia Mercede, Alessandro lesse le altre lettere, una per una. Ognuna scavava più a fondo. Parlavano di fatti che non aveva mai confessato, nemmeno a sé stesso.
“A Marsiglia, la stanza con Ahmed. Il modo in cui lo guardavi mentre si spogliava. Il tuo senso di colpa dopo.
“A Parigi, Serge, quel ragazzo del liceo con cui dividesti tre mesi e un silenzio lungo anni”.
Ogni dettaglio era scritto con una precisione che feriva.
“Hai camminato in città e in mezzo a uomini dove Dio è solo un eco lontano. Ma Lui ti ha visto. Lui non ti ha mai lasciato”.
“Non temere di essere chi sei. Temi solo di fuggire ciò che devi diventare”.
La quinta lettera conteneva una moneta antica, con inciso un volto eroso e una scritta in latino: “Redime te ipsum”.
Antiche storie del paese dicevano che chi trovava una moneta senza tempo doveva redimere una colpa, altrimenti la sua ombra si sarebbe separata da lui e tutti lo avrebbero evitato.
Nella sesta lettera la voce divenne chiara. Non parlava più solo per ferire. Parlava per guidare.
“Non è ricatto, Alessandro. È un invito. Resta a Nuracòrra. Ricompra la casa. Vivi come  esempio. Dovrai scrivere delle lettere anche tu. A chi ha dimenticato. A chi è fuggito. Spezzerai il cerchio che ti ha chiuso. Così salverai la tua anima”.
Alessandro rilesse due, tre volte. L’ultima lettera era firmata: tua madre.
Ma sua madre era morta subito dopo che lui se ne era andato. Seppellita nel cimitero in fondo alla valle. Non sembrava la sua calligrafia, per quanto potesse ricordare. Eppure… il modo in cui la “d” finale si allungava verso sinistra gli era familiare. Il ricordo lo lasciò gelare. Era un suo segno caratteristico. Da bambino, gli aveva insegnato a scrivere il suo nome, su quello stesso tavolo.
Di notte sognò la casa in fiamme. Ma il  fuoco non bruciava. Illuminava. Nel sogno la madre stava sulla soglia e diceva: “Non è mai troppo tardi, figlio mio. Ma anche il tempo si chiude. Come il pane quando rafferma.
Il giorno dopo, tornò dalla signora Ausilia.
─ La casa. Voglio ricomprarla.
Lei annuì.
─ Ve lo aspettavate?
─ Sì. E anche i morti.

Alessandro cominciò a vivere nella casa. In silenzio. Restaurò le stanze, lucidò i mobili. Piantò un olivo nel cortile. Ogni notte accendeva una candela davanti alla finestra della camera da letto.
Il sabato andava a su Onnurale, una sorgente sacra appena fuori dal paese, in un antico bosco di lecci,  dove ancora si facevano voti in silenzio. Vi lasciava il pane che si cuoceva per gli sposalizi e fogli bianchi.
Un giorno don Antioco gli parlò.
─ Sai che a su Onnurale, una volta, si lavavano le anime? Prima che la chiesa vietasse quei riti.
─ Le anime?
─ I sensi di colpa, se vuoi. Le madri ci portavano i figli irrequieti che sognavano fuoco, mostri o peccati. Ci andavano gli uomini che amavano nel modo sbagliato. Le donne che amavano nel modo sbagliato. Gli uomini e le donne che sapevano troppo. Quelli che non sapevano niente.
Alessandro non disse nulla. Ma quella sera bevve l’acqua della sorgente per la prima volta.

Nel paese cominciò a circolare una voce: la casa dei Lainzu era tornata viva. E con essa, qualcosa si era rimesso in moto. Le campane suonavano sempre con un secondo di anticipo. I gatti si fermavano davanti alla porta di Alessandro. Alcuni bambini, passando, dicevano di sentire il rumore di una penna che scriveva, anche se dentro non c’era nessuno. Lui cominciò a scrivere. Lettere brevi. A mano. Le sigillava in buste gialle, nessun mittente. Solo il destinatario. Le lasciava nella vecchia cassetta postale accanto alla chiesa.
Un giorno, arrivò un giovane da Torino. Si chiamava Davide, era un architetto, nipote di una donna di Nuracòrra emigrata negli anni Sessanta. Disse che era venuto soltanto per vendere un terreno di famiglia. Ma dopo una notte passata a parlare con Alessandro sotto le stelle, ricevette una lettera infilata sotto la porta, nella pensione di zia Mercede dove alloggiava.
Il giorno dopo, non partì più.

Alessandro visse ancora ventidue anni. Non parlava mai delle lettere che scriveva. Ogni Natale accendeva sette candele rosse sulla soglia di casa, una per ciascuna delle lettere ricevute.
Col tempo, la sua figura divenne familiare e misteriosa insieme. Lo si vedeva camminare tra i lecci della sorgente sacra, al tramonto, o seduto in silenzio sul muretto davanti alla chiesa, con una busta in tasca. Alcuni dicevano che parlasse con i morti. Altri, che li ascoltasse soltanto.
Quando morì, il paese entrò in lutto e silenzio per tre giorni. Nessuno si prese la libertà di entrare in casa sua. Non per paura. Per rispetto.
Fu Davide un giorno a varcarne la soglia. La casa odorava di pulito, di cera e incenso. Sembrava che Alessandro fosse uscito solo per un momento. La figlia di Davide, passando nel cortile, trovò una busta su una pietra piatta, accanto all’olivo.
Era indirizzata a suo padre. Dentro, un foglio. Poche parole: “Ora tocca a te”.
Davide, senza dire nulla, la ripose con cura. Quella sera, a casa sua, accese una candela. Poi prese carta e penna.
Cominciò a scrivere.

Re: [CE 2025] Ora tocca a te

Posted: Sat Aug 02, 2025 4:54 pm
by Poeta Zaza
Alberto Tosciri wrote: Fri Aug 01, 2025 4:31 pmIl paese di Nuracòrra non aveva mai cambiato volto. Le case, di granito scuro, stavano conficcate nella terra come denti sorti. Il vento, quando passava, faceva gemere i tetti e muoveva i fili del bucato come braccia di morti.
I tuoi incipit valgono quanto quelli di grandi Autori!  (y)
Alberto Tosciri wrote: Fri Aug 01, 2025 4:31 pmDopo la messa funebre, diede fece le condoglianze alla moglie vedova, che non conosceva, e ai figli distratti.
consigli
Alberto Tosciri wrote: Fri Aug 01, 2025 4:31 pmVi si lasciava il pane che si cuoceva per gli sposalizi e fogli bianchi.
Un giorno don Antioco gli parlò.
dimenticanza
Alberto Tosciri wrote: Fri Aug 01, 2025 4:31 pmMa virgola dopo una notte passata a parlare con Alessandro sotto le stelle, ricevette una lettera infilata sotto la porta, nella pensione di zia Mercede dove alloggiava.
Per aprire l'inciso
Alberto Tosciri wrote: Fri Aug 01, 2025 4:31 pm“Non temere di essere chi sei. Temi solo di fuggire ciò che devi diventare”.
Non capisco il senso dell'invito a fuggire "ciò che devi diventare". Forse volevi scrivere: "ciò che non devi diventare"?
Cioè,  una brutta persona?
Alberto Tosciri wrote: Fri Aug 01, 2025 4:31 pmAlessandro visse ancora ventidue anni. Non parlava mai delle lettere che scriveva. Ogni Natale accendeva sette candele rosse sulla soglia di casa, una per ciascuna delle lettere ricevute.
Col tempo, la sua figura divenne familiare e misteriosa insieme. Lo si vedeva camminare tra i lecci della sorgente sacra, al tramonto, o seduto in silenzio sul muretto davanti alla chiesa, con una busta in tasca. Alcuni dicevano che parlasse con i morti. Altri, che li ascoltasse soltanto.
Quando morì, il paese entrò in lutto e silenzio per tre giorni. Nessuno si prese la libertà di entrare in casa sua. Non per paura. Per rispetto.
Fu Davide un giorno a varcarne la soglia. La casa odorava di pulito, di cera e incenso. Sembrava che Alessandro fosse uscito solo per un momento. La figlia di Davide, passando nel cortile, trovò una busta su una pietra piatta, accanto all’olivo.
Era indirizzata a suo padre. Dentro, un foglio. Poche parole: “Ora tocca a te”.
Davide, senza dire nulla, la ripose con cura. Quella sera, a casa sua, accese una candela. Poi prese carta e penna.
Cominciò a scrivere.
Il finale me lo aspettavo, @Alberto Tosciri  :libro:  

Alessandro deve la vita e la sua conoscenza del vivere alla madre, che, con l'eredità dei suoi scritti (sette lettere ma lei firma solo l'ultima, perché, Alberto?) lascia al figlio consigli e moniti per realizzarsi nella vita. Lui, che li ha assorbiti, decide di trasmetterli, a persone cui Alessandro pensa che servano.
Tra questi, decide (non avendo figli), di scegliere Davide, un giovane aiutato da lui a una decisiva scelta di vita: ci ha visto giusto, perché Davide accetterà di continuare quella missione.
Alberto Tosciri wrote: Fri Aug 01, 2025 4:31 pm“Non è ricatto, Alessandro. È un invito. Resta a Nuracòrra. Ricompra la casa. Vivi come  esempio. Dovrai scrivere delle lettere anche tu. A chi ha dimenticato. A chi è fuggito. Spezzerai il cerchio che ti ha chiuso. Così salverai la tua anima”.
Complimenti per lo svolgimento della traccia!  :)

Re: [CE 2025] Ora tocca a te

Posted: Sat Aug 02, 2025 5:45 pm
by Alberto Tosciri
Ti ringrazio @Poeta Zaza per il tuo commento e apprezzamento.

In questo appunto
Poeta Zaza wrote: Sat Aug 02, 2025 4:54 pmVi si lasciava il pane che si cuoceva per gli sposalizi e fogli bianchi.

dimenticanza
Intendevo dire che era proprio Alessandro che lasciava il pane eccetera, riferito a lui che compiva l’azione, come tempo imperfetto, terza persona singolare.

Questo: 
Poeta Zaza wrote: Sat Aug 02, 2025 4:54 pm
Non capisco il senso dell'invito a fuggire "ciò che devi diventare". Forse volevi scrivere: "ciò che non devi diventare"?
Cioè,  una brutta persona?
È inteso come il non aver paura, non avere più paura, di quello che Alessandro è stato fino a quel momento, la sua vita passata, che probabilmente gli è stato perdonato.
Ma che deve avere paura soltanto di fuggire il futuro, ciò che è stato chiamato a diventare, cioè, quasi una sorta di santo o di esempio.
Non deve più preoccuparsi o temere di essere stato un peccatore. La vera preoccupazione o timore deve essere quella di rinunciare alla redenzione.
Poeta Zaza wrote: Sat Aug 02, 2025 4:54 pmAlessandro deve la vita e la sua conoscenza del vivere alla madre, che, con l'eredità dei suoi scritti (sette lettere ma lei firma solo l'ultima, perché, Alberto?)
Volevo che Alessandro, e un po’ anche il lettore, stessero sulle spine. Conoscendo fin dalla prima lettera chi ne era l’autore, secondo me, si sarebbe perduta un po’ della sorpresa.