[Lab18] Il non-paguro

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«Papà, andiamo! Mi rallenti!»
«Dove stiamo andando, Merricat?» L’uomo annaspava dietro la figlia.
«Laggiù in fondo!» Rispose, saltando da un masso all’altro del frangiflutti. «Dove la terra tocca l'oceano e il cielo! È un triplice confine, come quello tra Norvegia, Svezia e Finlandia. Lo sapevi che dove i loro confini si toccano, in mezzo a un lago, c’è un monumento?»
«No, non lo sapevo».
«Be’, io sì. Però quel punto è come tutti gli altri punti. I confini se li sono inventati le persone, no? Non lo trovi stupido?»
«Le nazioni hanno un impatto reale sulla vita di tutti quanti, tesoro. Quando sarai grande capirai.»
«Capisco benissimo, papà! Ma non sarebbe meglio se ci fosse un'unica, grande nazione? Se le persone non fossero stupide, l'avrebbero già fatto. Renderebbe anche le cose più facili, quando gli alieni contatteranno l'umanità.»
«Hai ragione, Merricat, hai ragione».
«Lo so».
L'uomo rise. «Però dobbiamo restare pronti a qualsiasi cosa. Il mondo di oggi è fatto così, e dobbiamo conviverci. Quindi, dimmi: cosa faresti, se dovessi incontrare un alieno oggi?»
«Non lo so, cosa farei». Saltellò fino all'ultima pietra di fronte all'oceano grigio e si sedette, esposta al vento freddo. «Forse cercherei di capire le sue intenzioni. È intelligente? Vuole farmi del male? Vuole mangiarmi?»
Il padre le si sedette accanto. Lei vide le proprie mani scomparire in quelle calde e ruvide del papà. «Nessuno vuole mangiarti, Merricat».
«Sarà».
Tacquero, stregati dalla musica dell’oceano. Il vento, le onde e i fulmari cancellavano del tutto il vociare della folla in spiaggia. Merricat pensò a come quel baccano fuori dalle finestre l'avesse strappata dal sonno, quella mattina. Rabbrividì, e il papà le strinse le mani più forte.
«Sei pronta a tornare a casa?»
«Ma stavo ascoltando la voce dell’acqua! Non possiamo restare ancora pochino pochino?»
«Pochino pochino, eh?»
«’Ì. Non voglio tornare alla battigia, papà, ci sono i turisti!»
«Ti starò accanto tutto il tempo, te lo prometto. E prima di andare a casa, andiamo a prendere una cioccolata da Huskies, che dici?»
«Va bene...»
«Forza, tesoro. Oplà. In piedi. E allacciati bene la giacca.»
Merricat diede le spalle all'oceano. Lo salutò a bassa voce e senza tante cerimonie, tanto sapeva che dopo la sua morte sarebbero stati assieme per sempre, e avrebbero avuto tutto il tempo per raccontarsi quel che volevano.
Dalla punta del frangiflutti poteva vedere l'intera cittadina. Le luci delle decorazioni si mescolavano in un'unica, grande bolla bianca. Anche di notte l'inquinamento luminoso nascondeva le stelle. Se le persone non fossero state così stupide da trovare bello un mucchio di lampadine, si disse Merricat, avrebbe potuto godersi il cielo invernale in santa pace.
Prese a camminare pian piano dietro il padre, lo sguardo che andava dalla lunga spiaggia grigia, alle montagne innevate dietro la cittadina.
«Quando ero piccolo, c’era un ghiacciaio su quelle montagne, sai, Merricat?»
«Davvero?»
«Davvero. Ma si è sciolto, ora.»
«I ghiacciai non si sciolgono, papà. Fondono.»
«Giusto. Si è fonduto.»
«Fu-»
«Il punto è che il linguaggio è un costrutto. La stessa cosa delle nazioni, come dicevi tu. L’importante è capirsi, no?»
«Ma io capisco il significato di nazione».
Prima di inoltrarsi tra le case, dovevano percorrere un tratto di battigia. Merricat camminava a testa bassa, cercava di respirare il meno possibile e concentrarsi sul suono delle onde. Non voleva guardare tutte quelle persone a fare fotografie coi loro telefoni, o condividere la loro aria, o sentire frammenti dei loro stupidi discorsi. Giocava a spostare con le scarpe le alghe rosse e i cadaveri dei granchi spiaggiati.
Fu mentre camminava così che intravide un movimento nella sabbia umida e si chinò per osservare. Una conchiglia scintillante stava pian piano scavando verso il fondo. Merricat allungò la mano e la afferrò prima che potesse scappare. Era gelida. L'animale si nascose dentro la conchiglia. «Papà, guarda cos'ho trovato!»
Una donna le sorrise.
-Oh! Hai trovato qualcosa sul bagliasciuga, bambina?
«Non si chiama bagnasciuga, ma battigia». Si alzò, tenendo l'animale in pugno. «Il bagnasciuga è la parte delle imbarcazioni compresa tra le linee di immersione massima e minima, mentre la battigia è dove le onde si infrangono sulla spiaggia. Dov'è il papà?» Allungò il collo a guardare oltre la ficcanaso. La spiaggia era lunghissima e le onde strisciavano sottili per decine e decine di metri, lasciando dietro una sabbia compatta simile a fango. Non intravide il giubbotto blu del padre in mezzo alla folla.
-Che bambina intelligente!
Sentì le zampette premere contro il pugno e abbassò lo sguardo sull'animale che aveva catturato. La conchiglia bianca formava una spirale in cui riconobbe la sezione aurea; aveva piccole protuberanze cilindriche che, nonostante le fitte nuvole che coprivano il sole, luccicavano di un argento abbagliante. Dove la conchiglia si apriva, vide uscire la testolina rossiccia dell’essere. Era coriacea come quella di un crostaceo, ma aveva l’aspetto di un rospo. Sbatté le palpebre e fissò gli occhi dorati su quelli di Merricat. Aveva due, tre... quattro zampe, corte e tozze. Aprì la bocca per sbadigliare; al posto della lingua, c’erano tentacoli simili a una anemone. Emise un pigolio acuto che le ricordò il vagito di un neonato.
-Oh! La bambina ha trovato un paguro!
Altri curiosi si avvicinarono.
«Non è un paguro».
-E allora cosa?
«Non lo so». I suoi occhi saettarono da una parte all'altra, cercando di prevedere i movimenti della folla. «Forse è una nuova specie. Però forse sono io che non la conosco. Secondo il rasoio di Ockham-»
-Che bambina intelligente!
«Non voglio mettere in mostra quello che so. Insomma, è interessante il complicato processo tramite cui-»
-Posso vedere il paguro?
-Anche io voglio vedere il paguro!
«Ho detto che non è un paguro».
-L'hai trovato sul bagnasciuga?
«Battigia», abbassò lo sguardo.
-Oh, che bambina intelligente!
«Dov’è il papà?» Fissò l'animaletto, che ricambiò con curiosità. Doveva mostrarlo al papà. Dove si era cacciato? Aveva promesso che sarebbe stato con lei per sempre.
Bugiardo.
Cercò di non pensare a tutti i curiosi attorno, di ignorare il loro respiro pesante, il modo in cui le particelle dell’aria venissero spostate e riscaldate da quell'alito collettivo che usciva da centinaia di bocche e dal doppio delle narici, le onde sonore che venivano captate dalle ossicina dell’orecchio interno e tradotte nel segnale corrispondente a «rumore di respiro», il modo in cui ciò significasse che la folla le si fosse già insinuata dentro il cervello e ci stesse respirando sopra, il modo in cui le altre persone così plasmassero la sua personalità senza neanche chiedere il permesso, rendendola un burattino guidato dai fili invisibili delle impressioni e degli impulsi che i suoi sensi percepivano in un flusso continuo in uscita dal naso di tutte quelle persone... No! Basta, basta, basta.
Il respiro, concentrati sul tuo respiro, Merricat. Cosa senti? Salsedine. Alghe. Mare. Casa, sì. Doveva portare il suo nuovo amico dal papà. Slacciò la borraccia, la svuotò, la riempì di acqua di mare e ci fece scivolare l'animale dentro. «Va bene, cerchiamo il papà», disse all'animaletto dietro la plastica trasparente. Quello rispose facendo uscire i tentacoli rosa dalla bocca.
-Non trovi tuo padre?
-Ehi, questa bambina non trova suo padre!
-C'è una bambina che cerca il papà!
-Come ti chiami?
-Hai bisogno di aiuto?
-Che cos'hai lì con te? Un paguro?
Si allontanò da quella massa di sconosciuti. Una volta in strada, sgomitò tra i turisti accalcati davanti a bar e negozi. Non avevano freddo? Non sarebbero stati molto meglio, al caldo delle proprie case? Perché si erano presi la briga di andare a infastidire Merricat?
Due uomini fuori da un locale stavano ridendo a voce troppo alta. Conosceva quella voce. Uno dei due era il suo vicino di casa, ed era sicura che anche l'altro fosse un compaesano: doveva averlo visto da qualche parte. Si chiamavano... Ah, chi se ne importa! «Avete visto mio papà?» Sussurrò.
Ridevano e parlavano e fumavano.
«Ehi», tirò la giacca del suo vicino. «Hai visto mio papà?»
Tacquero e si voltarono a guardarla.
-E chi sarebbe tuo papà, scusami tanto?
-Hai bisogno di aiuto?
«Ma come! Siamo i tuoi vicini di casa, io e il papà.»
-Non ti ho mai vista.
-Che cos'hai lì? Sembra pericoloso. Dovresti ammazzarlo.
«Ammazzati tu!» Gli gridò Merricat, e scappò via.
Si sentiva in pericolo, in mezzo a tutta quella gente. Il numero del padre sul cellulare suonava a vuoto.
Bugiardo.
Doveva allontanarsi. Scappare. Vedere un volto familiare. Forse Constance era libera? Forse l’avrebbe aiutata a cercare il papà? Sì, l'avrebbe aiutata. Aprì la rubrica, e: vuota.
Vuota. Tutti i contatti erano spariti. Sbatté un paio di volte le palpebre. La chiuse, la riaprì, rimase vuota. Non era mai successo prima. Fece scivolare il telefono nella giacca e si sedette di fronte una vetrina.
«Sei stata tu?» Chiese alla cosa nella borraccia. «Hai cancellato tu la mia rubrica e fatto scomparire il mio papà?»
L'animale si lisciava i tentacoli con le zampette, gli occhi dorati spalancati su Merricat.
«Era l’unico che mi ascoltava, sai? Perché l'hai fatto sparire? Ora chi ci sarà per me? Tu?»
-Non puoi stare qui, cara.
Una commessa la guardava severa.
«Lasciami in pace. Sto cercando il papà.»
-Be’, cercalo da qualche altra parte- Aspetta, che roba è quel coso? Che schifo!
«Tu fai schifo». Si alzò e fece per allontanarsi.
-Bla bla bla!
Merricat aggrottò le sopracciglia. Aveva detto qualcosa? Non l’aveva capito, in mezzo al brusio della folla. Fece spallucce. Perché stava ancora perdendo tempo in centro? Si incamminò verso casa lungo le strade più secondarie che conosceva.
-Ehi, sembri persa. Posso venderti...
«Vai a farti fottere», non rallentò neppure.
-Bla!
«Perché gli umani sono tutti così stupidi?» Chiese all'animaletto. «Il tuo sguardo è molto più intelligente, sai?»
Accelerò il passo quando finalmente vide sbucare la sua piccola casetta azzurra. C'erano le luci accese e una finestra aperta. Il papà era già a casa? Senza di lei? Altro che cioccolata insieme: quel bugiardo! Tirò fuori le chiavi, scelse quella giusta senza guardare e fece per infilarla nella toppa.
Non entrò.
«Ma che...»
Riprovò. Nulla. Riprovò, ancora e ancora, con tutte le chiavi del mazzo, anche quelle che sapeva fossero sbagliate: nulla. Si arrese a bussare. «Ehi, papà! Papà, apri, sono io!» Suonò il citofono. «Mi hai chiusa fuori!»
«Si può sapere cos’è tutto questo baccano...» La porta si aprì, cigolando. Una vecchietta ingobbita si reggeva alla maniglia e guardava corrugata Merricat. «E tu chi saresti, bambina mia?»
«Io? Chi sei tu, piuttosto, vecchia strega! Che ci fai in casa mia? Cos'hai fatto al papà?»
«Brutta piccola… Come ti permetti!» La strega picchiò il bastone a terra.
Merricat sentì i peli delle braccia rizzarsi. «Esci da casa mia!»
-Questa è casa mia!
«No, mia! Mia! Questo è il numero sette, vecchiaccia! S-E-T-T-E!!! Ed è la casa mia e del papà, quindi esci subito, oppure...»
-Se è uno scherzo, non è divert-bla! Bla bla bla! Bla.
E le sbatté la porta in faccia.
Merricat aveva gli occhi umidi. Odiava quel groppo alla gola. Lo odiava! Non riusciva a categorizzare se fosse arrabbiata o triste, e questo la rendeva solo più arrabbiata. O triste. Ma non avrebbe pianto, e non avrebbe urlato: non era una scimmia.
Tirò su col naso. «E adesso?» Chiese alla cosa nella borraccia. Quella uscì dalla conchiglia e ricambiò lo sguardo interrogativo.
Dove si era cacciato quel buono a nulla del papà? Forse da Huskies. Dopotutto, le aveva promesso una cioccolata insieme, e magari la stava aspettando lì. Era la sua ultima possibilità. Doveva essere lì. Huskies era vicino al centro; se solo ci avesse pensato prima! Stare in mezzo alla folla la stava rendendo stupida come loro? Si incamminò a testa bassa, mordendosi le labbra e tirandosi i capelli.
Non aveva mai visto Huskies così affollato. E lei sarebbe dovuta entrare là dentro? Tutti i tavoli erano pieni; c'era persino gente in piedi. Valutò l'idea di mettersi in coda, ma no: non era una turista qualunque. Quella era la sua cittadella. Si mise a sgomitare, senza guardare in faccia nessuno. Aveva tutto il diritto di saltare la fila.
Quando riuscì a entrare, vacillò per l'onda di calore e rumore che la travolse. Così tante parole, tutte insieme...! La folla non si rendeva conto di quanto era pericoloso? Considerato il peso che una singola parola aveva - un insieme di suoni prodotti dalle corde vocali dei conspecifici che portava un significato unico dentro il cervello di altri conspecifici - che effetto credevano potesse avere, tutto quel chiasso e quella zuppa di parole, se non qualcosa di paragonabile al caos primordiale? Come facevano a non accorgersene, a sopportarlo?
-Come posso aiutarti?
«Tutti quanti vogliono aiutarmi, oggi», rispose al cameriere.
-Bla?
Lei guardò oltre e cercò il papà. Giubbotto blu, giubbotto blu, giubbotto blu... Giubbotto blu. Laggiù, seduto di spalle. Era il suo, ne era sicura.
Si mise a correre, per  quanto la viscosità della folla lo permettesse. «Papà!» Gridò.
Alcuni clienti si voltarono, incuriositi, ma dopo un'occhiata sbrigativa tornarono ai loro caffè. Bla, commentò qualcuno, e nulla più.
Finalmente. Era lui: i suoi occhi, il suo naso, la sua voce, le sue mani. Sorrise e gli si lanciò al collo in un abbraccio. «Papà, papà! Dove eri andato a finire? Ho avuto così paura!»
Lui si irrigidì. «Ma che... Eh? Scusami, penso- penso tu abbia sbagliato persona.» Rivolse un’occhiata di scusa alle spalle di Merricat.
Seguì gli occhi del padre. All’altro capo del tavolo c’era una donna elegante che alternava lo sguardo da Merricat all'uomo e dall'uomo a Merricat, in cerca di spiegazioni.
«Papà, guarda che animale ho trovato!»
«Io non la conosco, giuro», disse il papà.
«Lei?» Chiesero all'unisono Merricat e la sconosciuta.
-La bambina. Non è mia figlia.
«Ma papà! I-io... Sei un bugiardo!»
-Bla bla.
«Nient'altro che un b-» Un singhiozzo spezzò la frase. Questa volta non riuscì a trattenere le lacrime. Si sentì il corpo tremare per le convulsioni. Cadde a terra, lasciò scivolare la borraccia e si portò le mani fredde agli occhi. Mentre si asciugava le lacrime, le sue nocche erano dure come quelle del papà. «Che succede...» Balbettò, e il pianto crebbe fuori controllo. Urlò, ma la folla non le rivolse nulla più che un’occhiata. Nessuno si propose di aiutarla. «Che cos'hai fatto...» Sollevò la borraccia con l’animale.
Rimase lì, accasciata sul pavimento di Huskies, abbracciata a una bottiglia di acqua marina. La folla le passava accanto. Non la vedeva, la ignorava.
Ci mise un'eternità, a calmarsi.
«Mi hai liberata, non è vero?» Chiese all'animaletto. «Mi hai liberata».
Si alzò. «Addio, papà». Gli carezzò la barba, piano.
L’uomo non cambiò neanche espressione, mentre diceva alla donna bla bla bla.
Uscì dal locale e si fece largo tra la folla. Non guardò nessuno, e nessuno la guardò. Non aveva più nulla a che fare con quell’ammasso di carne maleodorante.
-Bla bla.
-Bla? Bla bla bla!
-Bla. Bla bla, bla; bla bla bla, bla.
I loro occhi spenti erano fissi sul nulla, le bocche aperte vomitavano parole senza senso. Merricat non se ne interessò: erano solo umani.
Tornò al frangiflutti, una linea nera contro un cielo nero. Arrivò laggiù in fondo, di masso in masso. Il vociare si fece lontano, sparì. L'eterna musica delle onde e del vento la attraversò da capo a piedi.
«Eccoci».
Aprì la borraccia e si lasciò scivolare l’essere tra le mani.
«Ora ti libero, va bene? Così come tu hai liberato me.» L'animaletto percorse un paio di passetti sul palmo di Merricat e scivolò tra le rocce bagnate.
«Aspetta».
L’essere si fermò, come se avesse capito, e fissò gli occhi dorati in quelli di Merricat.
Lei si morse le labbra. «Aspetta. Verrò con te, se ti va. Voglio stare nell’oceano con te, per sempre. Va bene? Posso? Ci immergeremo nelle tenebre degli abissi, e nella tana del profondo dimoreremo per sempre, fra la meraviglia e la gloria.»

Re: [Lab18] Il non-paguro

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@Mina 
Il racconto fluisce come un sogno, e come un sogno io non mi ci raccapezzo.
Non so se mi sono persa qualcosa lungo la strada della lettura, ma non capisco perché questa bambina viene rigettata dalla realtà, non capisco perché non ritrovi più le sue cose e le sue persone.
Il suo estraniarsi, così ben descritto, assieme al disprezzo che prova per il genere umano, non è sufficiente, così come non è sufficiente il non-paguro.
La storia in sé mi è piaciuta, ma mi da la sensazione di incompletezza, come se mancasse un apice esplicativo, una vera direzione a questo disorientamento.
Ammetto che non riesco a prendere in considerazione il suicidio di una bambina, e che comunque con l'accenno agli extraterrestri ( la famosa pistola di Cechov) mi viene da attribuire qualche qualità speciale allo strano animaletto, ma, ad essere sincera, non mi basta per soddisfare la mia curiositá narrativa. 
Può essere che tu abbia sottinteso diverse cose che non ho capito?

Re: [Lab18] Il non-paguro

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Ciao,@Mina , sono davvero felice di rileggerti!
 Il tuo racconto mi è piaciuto moltissimo per  le immagini che mi ha lasciato. 
  wrote:MinaDalla punta del frangiflutti poteva vedere l'intera cittadina. Le luci delle decorazioni si mescolavano in un'unica, grande bolla bianca. Anche di notte l'inquinamento luminoso nascondeva le stelle. Se le persone non fossero state così stupide da trovare bello un mucchio di lampadine, si disse Merricat, avrebbe potuto godersi il cielo invernale in santa pace.
  wrote:MinaLa conchiglia bianca formava una spirale in cui riconobbe la sezione aurea; aveva piccole protuberanze cilindriche che, nonostante le fitte nuvole che coprivano il sole, luccicavano di un argento abbagliante. Dove la conchiglia si apriva, vide uscire la testolina rossiccia dell’essere. Era coriacea come quella di un crostaceo, ma aveva l’aspetto di un rospo.
Ecc. 
Anche se la narrativa resta incompiuta e non c’è un vero arco narrativo tradizionale, come ha notato anche Almissima.
Trovo davvero struggente il rifiuto e il progressivo distacco dalla realtà e dalla la società della bambina, perfino dal padre. 
Questo distacco cresce mano mano che le immagini si susseguono e sulle prime mi ha lasciata di stucco. Ma…
Ho pensato a qualcosa che riguardasse il suo aspetto, la sua sensibilità smisurata, o la provenienza da un altro universo della sua coscienza, ma poi ho creduto di aver capito. Dimmi tu.

Per me, è un racconto sull’alienazione, sulla fragilità dei legami familiari e sull’illusione di un rifugio nell’immaginazione o nell’elemento naturale.
La narrazione procede come un incubo lucido: la realtà si sfalda ma senza mai perdere il contatto con i dettagli reali, tutto resta concreto.

Merricat per me è l'emblema della ribellione e dell'estraneità estrema.  E la capisco benissimo.

Lei vive un progressivo distacco dalla realtà: il padre scompare, la folla diventa ostile e indistinta, la casa non la riconosce più… 
Questo smarrimento si ingigantisce dopo l'incontro con l’animale misterioso: il “non-paguro”, che diventa simbolo di liberazione e di passaggio verso un altrove.

Il non-paguro è un simbolo, né animale noto, né alieno, né minaccia né salvezza. Funziona come catalizzatore del distacco definitivo di Merricat dal mondo umano.

L'originalità del tuo racconto sta tutta in questo animaletto. 
La sua funzione ci regala un testo davvero originale e ben scritto. Chi legge cerca la storia, il climax e il resto, ma io, quando ho visto gli occhi del non-paguro mi sono resa conto di far parte della storia, di essere parte della folla che non riconosce Merricat.  Mina. Siamo noi i personaggi della storia. E da questo punto di vista tutto cambia. È davvero Merricat a isolarsi? O siamo noi a non riconoscere lei? La sua sensibilità, la sua diversità ecc.
La banalità delle parole che la gente le rivolge è la trama da sciogliere. Qui sta l'arco narrativo: il conflitto tra singolarità e massa/mandria,  Questo è il vero motore emotivo del testo e non una sequenza di eventi causali.

Dovresti ammazzarlo, fa schifo

Posso vedere il paguro?

Anche io voglio vedere il paguro!

L'hai trovato sul bagnasciuga?

Oh, che bambina intelligente!

Be’, cercalo da qualche altra parte- Aspetta, che roba è quel coso? Che schifo!

Perché si comportano così? Non sono loro gli alienati a guardare bene? Cos'è che infastidisce e incuriosisce queste persone? Merricat non è una che si adegua alle norme, e allora, vivere, diventa difficile.


Il finale, invece, è ambiguo, tua la scelta di lasciare che sia viva solo l'idea di tuffarsi. Al lettore la scelta di interpretare la scena.
  wrote:MinaI loro occhi spenti erano fissi sul nulla, le bocche aperte vomitavano parole senza senso. Merricat non se ne interessò: erano solo umani.
Tornò al frangiflutti, una linea nera contro un cielo nero. Arrivò laggiù in fondo, di masso in masso. Il vociare si fece lontano, sparì. L'eterna musica delle onde e del vento la attraversò da capo a piedi.
«Eccoci».
Aprì la borraccia e si lasciò scivolare l’essere tra le mani.
«Ora ti libero, va bene? Così come tu hai liberato me.» L'animaletto percorse un paio di passetti sul palmo di Merricat e scivolò tra le rocce bagnate.
«Aspetta».
L’essere si fermò, come se avesse capito, e fissò gli occhi dorati in quelli di Merricat.
Lei si morse le labbra. «Aspetta. Verrò con te, se ti va. Voglio stare nell’oceano con te, per sempre. Va bene? Posso? Ci immergeremo nelle tenebre degli abissi, e nella tana del profondo dimoreremo per sempre, fra la meraviglia e la gloria.»

lo rivela la concretezza dei dettagli, quelli che riguardano la liberazione del non-paguro:
[li] si fece largo[/li]
[li] arrivò laggiù in fondo, di masso in masso [/li]
[li] aprì la borraccia[/li]
[li] percorse un paio di passetti sul palmo [/li]
[li] scivolò tra le rocce bagnate[/li]

ma mancano del tutto le azioni del tuffo:
 L'acqua gelata sul corpo 
 il respiro trattenuto 
 le prime bracciate, ecc.

Il “Verrò con te” resta una promessa o un desiderio, non un atto narrativamente compiuto.
E insomma, sei arrivato piano piano, di notte,  sul limite del tempo necessario
 che io avevo già il mio trio da votare. Ora mi tocca riconsiderare tutto.
Grazie, @Mina . Sei stato bravissimo complimenti!

Re: [Lab18] Il non-paguro

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@Mina il racconto è scorrevole anche se la trama è difficile da seguire. Non riesco a collocare correttamente i soggetti e i loro ruoli: il papà non papà, la bambina "liberata", il non-paguro, animale magico (anche se non ho elementi sufficienti per definirlo tale). Detto questo ti do la mia interpretazione ( di certo assurda e troppo personale) per inquadrare la difficile trama. La bambina è stata abortita, il padre l'ha rifiutata e lei è diventata parte dell'universo, la sua intelligenza sa di onniscenza, riconosce i difetti dell'umanità, l'assurdità dei confini, l'affollamento di voci...), la casa non è mai stata sua. Da tutto questo deduco che la bambina non sia mai esistita, il fatto che non sia nata (sia stata rifiutata) mi consente di giustificare anche l'odio che nutre verso gli esseri umani. Infine, il rapporto che descrivi con il mare mi permette di identificare l'oceano con il liquido amniotico.
Mi dirai "ma cosa ci azzecca"? Eppure, fuori da questa logica non trovo altri indizi per dare un senso alla tua storia.
Comunque grande fantasia, belle immagini e buona scrittura.

Re: [Lab18] Il non-paguro

5
  wrote: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]«’Ì. Non voglio tornare alla battigia, papà, ci sono i turisti!»[/font]
Qui dev'esserti scappata una "S"

Non so come interpretare questo racconto perché non ci trovo quello che hanno commentato gli altri. Io mi sono bloccato su questa frase come chiave del tuo racconto:
  wrote: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]«Il punto è che il linguaggio è un costrutto. La stessa cosa delle nazioni, come dicevi tu. L’importante è capirsi, no?»[/font]
Ed è questa frase che mi è ritornata in mente durante tutto il racconto, quando la bambina non solo non è più riconosciuta, ma la comunicazione diventa un bla bla incoerente. La bambina perde la possibilità di comunicare con gli altri, ma comunica con il non paguro. 
Ed è un lento processo perché prima:
  wrote: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]«Era l’unico che mi ascoltava, sai? Perché l'hai fatto sparire? Ora chi ci sarà per me? Tu?»[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]-Non puoi stare qui, cara.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Una commessa la guardava severa.[/font]
Una sorta di trapasso dalla comunicazione verbale al pensiero, dove nella battuta successiva il pensiero diventa qualcosa di detto da un'altra persona. Una sorta di sovrapposizione delle comunicazioni, che porterà al travaso da un tipo di comunicazione a un altro.
E poi mi sono fissato su questo scambio di battute:
  wrote: [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]«Non lo so, cosa farei». Saltellò fino all'ultima pietra di fronte all'oceano grigio e si sedette, esposta al vento freddo. «Forse cercherei di capire le sue intenzioni. È intelligente? Vuole farmi del male? Vuole mangiarmi?»[/font]
E mi sono chiesto se la bambina non abbia trovato un alieno tra noi, solo non da un altro pianeta, ma dallo stesso, dal mare. E quindi letteralmente l'alieno la "divora" dentro il suo mondo.

Non solo un racconto, quindi, ma anche un rompicapo. In questo sta la tua originalità: nell'aver seminato lungo lo svolgimento più tracce, su diversi livelli.
O forse ho capito male io...?
Mi è piaciuto, la narrazione è gestita bene. Forse sono fatto male io e arrivato in fondo mi dispiace non sapere cosa succederà. La sua incompletezza mi dà da pensare: io avrei cercato una volta teso l'arco della tensione di rilasciarlo, ma ovviamente il mio è un gusto personale da lettore.
A rileggersi.

Re: [Lab18] Il non-paguro

6
@Mina 
Non vedo l'ora di leggere le tue risposte ai commenti, perché comunque sia il tuo racconto è fonte di riflessione e discussione e potrei essere d'accordo con qualsiasi interpretazione data.
Ma mi interessa l'intenzione dell'autore, il divenire del tuo racconto.

Re: [Lab18] Il non-paguro

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Un racconto splendido e con una struttura che evidenzia la perizia dell'autore. Ad esempio:
Mina wrote: Due uomini fuori da un locale stavano ridendo a voce troppo alta. Conosceva quella voce. Uno dei due era il suo vicino di casa, ed era sicura che anche l'altro fosse un compaesano: doveva averlo visto da qualche parte. Si chiamavano... Ah, chi se ne importa! «Avete visto mio papà?» Sussurrò.
Ridevano e parlavano e fumavano.
Voce narrante, pensiero libero indiretto, discorso libero diretto voce narrante. Il racconto è organizzato per intero in questo modo. Magnifico!
Se la struttura è solidissima, non da meno lo è la trama. L'impressione è quella di trovarsi in una spiaggia nel periodo estivo. 
Mina wrote: Prese a camminare pian piano dietro il padre, lo sguardo che andava dalla lunga spiaggia grigia, alle montagne innevate dietro la cittadina.
E invece siamo in inverno. Epperò la spiaggia è piena di gente che passeggia
Mina wrote: Si allontanò da quella massa di sconosciuti. Una volta in strada, sgomitò tra i turisti accalcati davanti a bar e negozi. Non avevano freddo? Non sarebbero stati molto meglio, al caldo delle proprie case? Perché si erano presi la briga di andare a infastidire Merricat?
Già, cosa ci fa tutta quella gente in spiaggia in pieno inverno? Ma è stato questo passo a mettermi sull'avviso:
Mina wrote: Merricat diede le spalle all'oceano. Lo salutò a bassa voce e senza tante cerimonie, tanto sapeva che dopo la sua morte sarebbero stati assieme per sempre, e avrebbero avuto tutto il tempo per raccontarsi quel che volevano.
Merricat cerca il padre, incontra persone che conosce e non la riconoscono, persino il suo papà.

La spiaggia sembra una sorta di limbo sospeso tra la vita e la morte. E il paguro, alla fine, l'aiuta ad attraversarlo. In mezzo chiacchiere e riflessioni sui confini, sull'importanza degli stati, sugli alieni, sulla loro cattiveria, sui telefonini e la stupidità di chi li tiene sempre davanti agli occhi, sulle spirali, sul funzionamento dell'udito. E poi la riflessione su bagnasciuga e battigia, meravigliosi paronimi, e i fulmari. Eh, già. L'autore la sa lunga.
Con leggerezza, una cosa che tira l'altra e non annoia e ne vuoi sapere di più. Alla fine Merricat oltrepassa il suo confine, non quello che sta in un lago tra Norvegia Svezia e Finlandia. 
Vorrei averlo scritto io. Da dieci. 

Re: [Lab18] Il non-paguro

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Ciao @Mina . Un racconto che appare un turbinio di pensieri di questa bambina alle prese col mondo indifferente. Per certi versi, mi appare come l'esposizione traumatica del pensiero di questa bambina. Una immersione di pensieri dolci, come quelli verso la natura e soprattutto verso la figura del padre. Penso di vedere il caos dei sentimenti di lei, e tutto questo bla bla bla... parole inutili per una bambina alle prese con un grave problema familiare, che si rifugia nella sua fantasia, o tenta di evadere da qualcosa che non vuole accettare..  Bello! Per il tipo di percorso che hai scelto. Ci noto anche un taglio scientifico, quello che so appartenere al tuo lavoro. Ciao.
Viaggio sconsolato tra i ricordi dello Stato.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio.
Io malata in fuga.

Re: [Lab18] Il non-paguro

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Mina wrote: «Laggiù in fondo!» Rispose rispose, saltando da un
Qualunque punteggiatura compaia sul finale del discorso diretto, il discorso indiretto che lo segue collegandovisi comincia con la minuscola.

E così andrebbe applicato qui:
Mina wrote: «Ammazzati tu!» gli Gli gridò Merricat, e scappò via.
e qui:
Mina wrote: «Sei stata tu?» chiese Chiese alla cosa nella borraccia.
Spero di esserti  stata d'aiuto riguardo il lato formale, peraltro perfetto nella tua squisita prosa.  :si:

Vengo al magistrale contenuto sulla storia di una bambina perduta:
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pm«’Ì. Non voglio tornare alla battigia, papà, ci sono i turisti!»
S
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pm«Giusto. Si è fonduto.»
«Fu-»
«Il punto è che il linguaggio è un costrutto. La stessa cosa delle nazioni, come dicevi tu. L’importante è capirsi, no?»
«Ma io capisco
so
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pm,-Se è uno scherzo, non è divert-bla! Bla bla bla! Bla.
ente

No, la pista delle lettere mancanti non porta a nulla...

Perché tutta questa gente su una spiaggia d'inverno?
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pmIl vento, le onde e i fulmari cancellavano del tutto il vociare della folla in spiaggia. Merricat pensò a come quel baccano fuori dalle finestre l'avesse strappata dal sonno, quella mattina.
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pmMerricat diede le spalle all'oceano. Lo salutò a bassa voce e senza tante cerimonie, tanto sapeva che dopo la sua morte sarebbero stati assieme per sempre, e avrebbero avuto tutto il tempo per raccontarsi quel che volevano.
Il padre muore sulla battigia? No, visto che dialoga ancora con lei, dopo. Ma allora chi saluta Merricat? Qui ti rimprovero una mancanza di chiarezza necessaria...
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pmNon voleva guardare tutte quelle persone a fare fotografie coi loro telefoni, o condividere la loro aria, o sentire frammenti dei loro stupidi discorsi. Giocava a spostare con le scarpe le alghe rosse e i cadaveri dei granchi spiaggiati.
Il fenomeno che attirava turisti pare una distruzione dell'ecosistema.
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pm«Dov’è il papà?» Fissò l'animaletto, che ricambiò con curiosità. Doveva mostrarlo al papà. Dove si era cacciato? Aveva promesso che sarebbe stato con lei per sempre.
Bugiardo.
Cercò di non pensare a tutti i curiosi attorno, di ignorare il loro respiro pesante, il modo in cui le particelle dell’aria venissero spostate e riscaldate da quell'alito collettivo che usciva da centinaia di bocche e dal doppio delle narici, le onde sonore che venivano captate dalle ossicina dell’orecchio interno e tradotte nel segnale corrispondente a «rumore di respiro», il modo in cui ciò significasse che la folla le si fosse già insinuata dentro il cervello e ci stesse respirando sopra, il modo in cui le altre persone così plasmassero la sua personalità senza neanche chiedere il permesso, rendendola un burattino guidato dai fili invisibili delle impressioni e degli impulsi che i suoi sensi percepivano in un flusso continuo in uscita dal naso di tutte quelle persone... No! Basta, basta, basta.
La confusione della bambina, conscia di avere perduto il suo punto di riferimento, e l'essere nel contempo inghiottita dal mostro estraneo della folla.... Bravo bravo @Mina
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pmDoveva allontanarsi. Scappare. Vedere un volto familiare. Forse Constance era libera? Forse l’avrebbe aiutata a cercare il papà? Sì, l'avrebbe aiutata. Aprì la rubrica, e: vuota.
Vuota. Tutti i contatti erano spariti. Sbatté un paio di volte le palpebre. La chiuse, la riaprì, rimase vuota. Non era mai successo prima. Fece scivolare il telefono nella giacca e si sedette di fronte una vetrina.
«Sei stata tu?» Chiese alla cosa nella borraccia. «Hai cancellato tu la mia rubrica e fatto scomparire il mio papà?»
Persino la sicurezza del mondo digitale viene meno e la stordisce, in un progressivo stato di confusione, sino a chiederne conto all'animaletto trovato...
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pmLa porta si aprì, cigolando. Una vecchietta ingobbita si reggeva alla maniglia e guardava corrugata Merricat. «E tu chi saresti, bambina mia?»
«Io? Chi sei tu, piuttosto, vecchia strega! Che ci fai in casa mia? Cos'hai fatto al papà?»
«Brutta piccola… Come ti permetti!» La strega picchiò il bastone a terra.
Merricat sentì i peli delle braccia rizzarsi. «Esci da casa mia!»
-Questa è casa mia!
«No, mia! Mia! Questo è il numero sette, vecchiaccia! S-E-T-T-E!!! Ed è la casa mia e del papà, quindi esci subito, oppure...»
-Se è uno scherzo, non è divert-bla! Bla bla bla! Bla.
E le sbatté la porta in faccia.
Le streghe ci sono sempre, anche nelle favole moderne: l'angoscia è la stessa, per i bambini di ogni epoca.
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pmFinalmente. Era lui: i suoi occhi, il suo naso, la sua voce, le sue mani. Sorrise e gli si lanciò al collo in un abbraccio. «Papà, papà! Dove eri andato a finire? Ho avuto così paura!»
Lui si irrigidì. «Ma che... Eh? Scusami, penso- penso tu abbia sbagliato persona.» Rivolse un’occhiata di scusa alle spalle di Merricat.
Seguì gli occhi del padre. All’altro capo del tavolo c’era una donna elegante che alternava lo sguardo da Merricat all'uomo e dall'uomo a Merricat, in cerca di spiegazioni.
«Papà, guarda che animale ho trovato!»
«Io non la conosco, giuro», disse il papà.
«Lei?» Chiesero all'unisono Merricat e la sconosciuta.
-La bambina. Non è mia figlia.
«Ma papà! I-io... Sei un bugiardo!»
-Bla bla.
«Nient'altro che un b-» Un singhiozzo spezzò la frase. Questa volta non riuscì a trattenere le lacrime. Si sentì il corpo tremare per le convulsioni. Cadde a terra, lasciò scivolare la borraccia e si portò le mani fredde agli occhi. Mentre si asciugava le lacrime, le sue nocche erano dure come quelle del papà. «Che succede...» Balbettò, e il pianto crebbe fuori controllo. Urlò, ma la folla non le rivolse nulla più che un’occhiata. Nessuno si propose di aiutarla. «Che cos'hai fatto...» Sollevò la borraccia con l’animale.
Rimase lì, accasciata sul pavimento di Huskies, abbracciata a una bottiglia di acqua marina. La folla le passava accanto. Non la vedeva, la ignorava.
Ci mise un'eternità, a calmarsi.
Il peggio del peggio è essere rifiutati dal proprio padre, così platealmente e senza colpe, tranne quella di avere perso prima la propria madre.
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pm «Ora ti libero, va bene? Così come tu hai liberato me.» L'animaletto percorse un paio di passetti sul palmo di Merricat e scivolò tra le rocce bagnate.
«Aspetta».
L’essere si fermò, come se avesse capito, e fissò gli occhi dorati in quelli di Merricat.
Lei si morse le labbra. «Aspetta. Verrò con te, se ti va. Voglio stare nell’oceano con te, per sempre. Va bene? Posso? Ci immergeremo nelle tenebre degli abissi, e nella tana del profondo dimoreremo per sempre, fra la meraviglia e la gloria.»
Lasciarsi andare con l'unico essere che sembra comprenderla senza conoscerla e senza essere simile a lei.

Bellissimo e originale questo racconto sull'iabbandono,  anche se non spiega tante cose, lasciandole alla fantasia dei lettori.

Trovo solo una pecca nel finale:
Mina wrote: Sun Nov 30, 2025 11:24 pmCi immergeremo nelle tenebre degli abissi, e nella tana del profondo dimoreremo per sempre, fra la meraviglia e la gloria.»
Perché la bambina, tra tante emozioni, sceglie di voler vivere  fra "la meraviglia e la gloria"'?

E non "fra la meraviglia e la gioia", per esempio? Perché una bambina preferirebbe la gloria alla gioia?

Comunque, un gran bel pezzo, @Mina   (y)

Grazie di avercelo fatto leggere!  :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab18] Il non-paguro

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Ciao @Mina
Lessi anche un altro tuo racconto qui sul forum, ricordo che mi lasciò la stessa - infame - sensazione di incompletezza
Hai scritto un racconto volutamente criptico, in cui ognuno ci ha visto qualcosa: chi ha pensato agli alieni, chi ha pensato all'aborto, io per un attimo ho pensato anche alla possibilità della crescita di Merricat. Boh, chissà, non pretendo di capire per forza; anzi, a volte una cosa ti piace anche se non la comprendi al 100% 
Mi è piaciuta molto l'ambientazione e la scrittura, il lettore riesce a vivere il senso di dissolvenza, con quei blablabla che si fanno via via sempre più assordanti, anche l'immagine dell'alito collettivo mi è rimasta impressa. Bello. 
Però devi dirci che significa, sennò ci mandi tutti dallo psicologo
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

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