[Lab 17] Il posto vuoto

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Il posto vuoto

Il caldo era arrivato presto quell’estate. Gavino stava seduto fuori, al bar di Trudu, la schiena contro il muro scrostato, una gamba piegata sull’altra. Un sorriso storto gli tagliava il volto, più abitudine che allegria. Sopra di lui una tenda a strisce filtrava il sole. Tra le mani una birra ghiacciata.
Le sedie di plastica intrecciata cigolavano sotto i corpi sudati dei ragazzi. Nessuno parlava molto. Il jukebox suonava “La partita di pallone” e “In ginocchio da te”. Le stesse canzoni di sempre.
Gavino ascoltava, gli occhi socchiusi, accentuando una ruga sulla fronte. Al suo fianco, il tabellone dei gelati colorava l’afa: piaceri ghiacciati mescolati all’odore dell’asfalto e al profumo del forno di ziu Padore . Luisa, sua figlia, passava con il cesto del pane in testa, che portava in un negozio vicino. Gavino la guardava passare atteggiandosi, la bottiglia di birra in mano. Luisa aveva delle belle gambe. A volte sorrideva, a volte no.
Aurelio non si faceva vedere da un po’ .

Lui e Gavino erano cresciuti insieme, simili come due noccioli dello stesso frutto. Correvano nelle strade sterrate del paese, giocavano a biglie, lottavano per ridere, rubacchiavano uva e ciliegie dai campi intorno, si lanciavano nel letto asciutto del Riu Mannu  a cacciare lucertole, visibili da lontano nel bianco accecante delle pietre di fiume.
Ma poi erano cresciuti. E Luisa, come una fioritura improvvisa, stava facendo la sua scelta silenziosa. Quella scelta sembrava oscillare fra loro due, come una pietra sospesa prima di essere lanciata in un fiume in piena.
Fino a poco tempo prima, anche Aurelio era al bar con loro. Poi non si era più visto. Gavino ancora non se lo perdonava del tutto, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Davanti a nessuno. Ma non poteva mentire a se stesso.
Quella mattina, Luisa era passata come al solito con la cesta del pane. E aveva sorriso. Il più bel sorriso del mondo. Ma rivolto ad Aurelio. Che aveva sorriso a sua volta.
Gavino si era pietrificato dalla gelosia. Poi era arrivata la rabbia. Poi l’odio sordo.
Lo aveva affrontato: ─ Dì un po’: ma chi ti credi di essere?
Aurelio era rimasto calmo. Aveva cercato di andarsene, ma qualcuno lo aveva trattenuto. Gavino lo aveva colpito. Più volte. Si era fermato solo quando aveva visto il sangue uscire copioso dal sopracciglio spaccato. Ma non c’era stato onore nel fare questo. Gavino lo capì  dagli sguardi degli altri.
Avevano passato la notte in cella di sicurezza, dai carabinieri. Il maresciallo Tarascu li guardò burbero la mattina, dietro i suoi baffoni grigi.
─ Non è la prima volte che al bar di Trudu fate storie, voi e la vostra cricca ─ disse offrendo loro un caffè  dalla cucina della caserma. ─ Conosco i vostri genitori. Gente onesta, Sempre al lavoro. Voi sempre al bar.  Altre volte ho chiuso un occhio, per rispetto delle vostre famiglie. Se adesso scrivo la denuncia, va avanti.  Bisogna mettere un rimedio.
Gavino e Aurelio avevano ascoltato in silenzio.
─ E  quale sarebbe il rimedio, maresciallo? ─  sbottò Gavino, con tono sprezzante.
─ Arruolatevi nell’Arma. È l’unico rimedio. Vi do un giorno per pensarci. Ho già preparato i documenti. Se accettate, tornate domani.
Uscirono a capo chino, senza guardarsi. Avrebbero voluto parlarsi, come un tempo, ma ognuno di loro era troppo orgoglioso per farlo. Da quel momento presero due strade diverse.
Si era saputo subito in paese che Aurelio era tornato in caserma e aveva firmato la domanda. Da quel giorno non era più venuto al bar di Trudu.
Poco tempo dopo, una mattina sul tardi, Gavino era seduto al bar, masticando una sigaretta spenta, ridendo per qualche storia che si raccontava. Lo vide alla fermata della corriera, con i genitori e  una valigia di cartone.
Nel bar calò il silenzio. I ragazzi  guardavano in attesa, come se dovesse accadere qualcosa di straordinario.
Aurelio baciò sua madre, poi suo padre, e salì sulla corriera, sedendosi in fondo.
Mentre il pullman partiva, i ragazzi lo fischiarono — con la crudeltà e la paura degli adolescenti che vedono uno di loro prendere una strada che non capiscono. Nessuno lo salutò. Gavino lo seguì con lo sguardo finché il bus sparì nella polvere gialla della strada, come nel deserto. All’ultimo istante Aurelio si voltò e incrociò il suo sguardo. Gavino lo abbassò. Rimase immobile in un angolo. Per la prima volta, non riuscì a finire la sua birra.

Il giorno dopo salì sulla montagna, da solo. Da lì, sotto il cielo rovente, guardò il paese. Tutto era al suo posto, tranne uno: il posto di Aurelio. Ed era vuoto. Pensò: Se ne è andato davvero. Come una sedia non occupata a una festa. Anche il bar sembrava vuoto, nonostante la solita gente.

 Il tempo passava uguale a se stesso: giornate di sole e polvere, chiacchiere stanche, sere in cui non succedeva nulla. Gavino ci stava dentro come in un vestito troppo largo. La sua giovinezza era ancora lì, ma già puzzava di muffa. Luisa passava ancora, ma non si fermava. O forse guardava solo l’assenza.
I mesi passarono in silenzio, come si consumano le scarpe dei poveri.

Venne un’altra primavera. Il bar era sempre lì, immobile, come un cane che aspetta un padrone che non tornerà mai. Gavino masticava una sigaretta spenta, guardava la polvere sollevarsi sotto le ruote della corriera. Poco prima era passata Luisa, col cesto del pane, lo sguardo fisso, le labbra strette.
La corriera si fermò. Ne scesero una donna vestita di nero, un vecchio col bastone. Poi, lo videro tutti: Aurelio.
Era tornato in licenza. Divisa nera da carabiniere, scarpe lucide, una valigia nuova. Camminava dritto. Il volto era il suo, ma più scavato, lo sguardo più vigile.
Il bar di Trudu si fermò per un istante. Il jukebox taceva. Si sentiva il ronzio di una mosca intorno a un bicchiere vuoto sul bancone.
Passò la camionetta dei carabinieri, si fermarono. Gli dissero qualcosa, gli sorrisero. Era uno di loro.
Gavino sentì gli occhi inumidirsi. Non voleva sapere perché. Non si asciugò le lacrime. Si alzò, uscì dal bar. Scosse la testa, sorrise, si schiarì la voce: ─ Aure’…
─ Gavì…
─ Ti sei fatto proprio carabiniere, allora.
Aurelio sorrise. ─ Sì. Ma sono sempre io.
Si abbracciarono.
─ Io invece non sono più lo stesso, Aurè. E forse non ero davvero io, quello di prima.
Si guardarono. Dal bar uscirono gli altri ragazzi e tutti si avvicinarono per abbracciare Aurelio.
Passò Luisa, senza il cesto del pane. Aveva saputo che Aurelio era tornato. Passò lentamente, senza fermarsi. Sorrise verso di loro.
─ Era tutto per te ─ disse Gavino all’amico ritrovato. ─ Te lo meriti. È  giusto così. Mi raccomando: chiamami come testimone quando farete il matrimonio.
I due si riabbracciarono ancora, tra l’allegria di tutti.

Quella notte Gavino tornò sulla montagna. Un posto che conosceva bene. L’ albero secco, le pietre calde di sole. Si sedette  e guardò le luci in basso. Il bar, il forno, la strada.
Pensò a com’erano stati. A com’era adesso.
Aurelio era tornato, ma non era più uno di loro.
Si accese una sigaretta. Restò lì finché non arrivò il primo vento freddo. Poi si alzò. Tornando indietro, guardò la strada. Era la stessa. Ma lui, forse, non era più del tutto lo stesso.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab 17] Il posto vuoto

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Caro Alberto
Fino a questo punto ci siamo solo io e te, occhi negli occhi, l’uno l’antagonista dell’altro, pronti a impugnare il revolver al terzo rintocco.
Provo a commentare il tuo testo, anche se le mie analisi vanno sempre prese come il parere di un lettore amatoriale, senza alcun titolo per esprimere concetti assennati.
Mi è piaciuta molto l’ambientazione: si viene proiettati sin dalle prime righe nella Sardegna brulla di oltre mezzo secolo fa, ho respirato le atmosfere crude di Mccarthy mescolate all’oscuro immobilismo di Canne al Vento.
“Ma non c’era stato onore nel fare questo, Gavino lo capì dagli sguardi degli altri.”
Questo passaggio è geniale: in poche parole hai raccontato la psicologia del protagonista, nonché la mentalità dell’epoca (?!?) in cui un sorriso sbagliato è un’offesa che va lavata con il sangue. Solo dopo il pestaggio, Gavino si rende conto che l’atto che considerava doveroso per salvare il proprio onore, viene percepito dai presenti come squallida violenza. Ma il passaggio è anche lo snodo della storia: dalla sonnolenta vita da bar si passa al momento delle scelte, al bivio in cui le strade di Gavino e Aurelio si dividono.
Aurelio cambia vita, ma al suo ritorno giura di essere sempre lo stesso. Anche se Gavino non lo percepisce più come uno di loro.
Gavino, invece, resta intrappolato nella sua vecchia vita, fatta di sole e polvere, sentendosi come in un vestito troppo largo, eppure, non si sente più lo stesso. Perdona l’amico, accettando la sconfitta in amore, e ammette di non riconoscersi più nell’uomo che era un tempo.
Per come l’ho inteso io, Aurelio, è un antagonista positivo. Un rivale in amore che, a causa di Gavino, è costretto ad accettare il ricatto del maresciallo Tarascu. Il protagonista Gavino è, almeno all’inizio, un eroe negativo: geloso dell’amico d’infanzia Aurelio, deve toccare il fondo, fissare a lungo il posto vuoto, prima di comprendere di avere sbagliato.
Non so se l’ho interpretato bene, se mi sono perso qualche passaggio ti prego di correggermi.
Volevo soltanto ribadire, ma te l’ho già detto in altre occasioni, che resto davvero ammirato dal tuo stile. Resta sempre il parere di un profano, ma la tua mi sembra la penna di un professionista.
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [Lab 17] Il posto vuoto

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Ciao caro @NanoVetricida
NanoVetricida wrote: Fino a questo punto ci siamo solo io e te, occhi negli occhi, l’uno l’antagonista dell’altro, pronti a impugnare il revolver al terzo rintocco.
Ahh! Mi piace. Come in certe leggendarie sequenze dei film western di Sergio Leone, sotto un bel sole caldo.
NanoVetricida wrote: si viene proiettati sin dalle prime righe nella Sardegna brulla di oltre mezzo secolo fa
brulla è ancora oggi, specie dove vivo io. La definirei “rurale”, un termine quasi scomparso.
NanoVetricida wrote: le atmosfere crude di Mccarthy mescolate all’oscuro immobilismo di Canne al Vento.
Amo quelle atmosfere, infatti.
NanoVetricida wrote: Ma non c’era stato onore nel fare questo, Gavino lo capì dagli sguardi degli altri.”
Questo passaggio è geniale: in poche parole hai raccontato la psicologia del protagonista, nonché la mentalità dell’epoca (?!?) in cui un sorriso sbagliato è un’offesa che va lavata con il sangue.
Purtroppo, in certi contesti, ancora oggi.
Però, a volte, c’è una sorta di “onore”, in pratica un antico codice, il codice Barbaricino, mai scritto, ma in vigore da secoli, che ormai sono in pochi ad attuare, che taluni comunque conoscono, compreso il sottoscritto, che permette di decodificare molti atteggiamenti come quelli di Aurelio e Gavino altrimenti incomprensibili, analizzati esaminando solo i fatti nudi e crudi.
È la storia di due amici fraterni che entrano in contrasto per una donna, — la cosa potrebbe finire male, molto male — ci sono degli esordi, ma i tempi hanno cominciato a cambiare; sia Gavino che Aurelio decidono di non “impuntarsi”.
In questo codice ci sono dei limiti comportamentali,  nei casi più cruenti, come in quelli più “lievi”, e molto risalto viene dato all’onore.
Ecco perché Gavino, pur passando inizialmente per il più forte, ammette a se stesso, lo sa benissimo, di non avere agito con onore a colpire un avversario che i suoi amici tenevano fermo.
Non so se Aurelio sia davvero un antagonista positivo, tutto è molto soggettivo, conosce il codice anche lui. Ma non reagisce, non ritiene di dover lavare “l’onta” di essere stato colpito a  tradimento. Spesso le faide iniziavano per cose del genere.
NanoVetricida wrote: Per come l’ho inteso io, Aurelio, è un antagonista positivo. Un rivale in amore che, a causa di Gavino, è costretto ad accettare il ricatto del maresciallo Tarascu.
Il maresciallo Tarascu, a mio modo di vedere, avrei fatto anche io così, non attua un ricatto proponendo l’arruolamento. Essendo della stessa terra dei due ragazzi, conosce come vanno le cose, sa come potrebbero andare a finire. Lui permette che ci sia la possibilità di un cambiamento, di un’altra possibilità e la attua nelle sue possibilità, nei suoi poteri, che in questo caso, a mio parere, mette davvero al servizio della comunità.
Aurelio accetta, ma Gavino no, pur rinunciando alla contrapposizione. Non so spiegare i motivi della scelta di Aurelio e di Gavino: orgoglio, apatia, paura di cambiare…
Gavino sentirà la mancanza di Aurelio, ad ogni modo. Non cova più risentimento, accetta che Luisa, per lui ormai è chiaro, ma lo ha sempre saputo, scelga il suo amico.
I due ragazzi sono cresciuti. Non torneranno più ai tempi spensierati dell’infanzia e della fanciullezza a vivere avventure epiche in quella sperduta parte di mondo.
È normale. È drammatico.
NanoVetricida wrote: Volevo soltanto ribadire, ma te l’ho già detto in altre occasioni, che resto davvero ammirato dal tuo stile. Resta sempre il parere di un profano, ma la tua mi sembra la penna di un professionista.
Gentilissimo. Ti ringrazio del complimento. Ma sono solo uno che ama scrivere fin da bambino.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

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