Stimoli da Erri De Luca e dalla frase di Poldo: "Cercate in ogni caso di comunicarci qualcosa che nasca dal vostro cuore".
Ho nostalgia delle mie vecchie zie. Prozie, a essere precisi. Zitelle e bigotte.
Una volta una di loro si alzò da tavola dicendo: “Io sono cattolica e apostolica romana. Se non se ne va lei, me ne vado io”.
Si riferiva a un’amica d’università di mia sorella, a pranzo con noi. Zia aveva intuito che era ortodossa e non voleva sedere a tavola con un’eretica.
Noi giù a ridere come pazze. Mia madre ci zittì con un’occhiataccia mentre seguiva zia per calmarla.
Era fantastico sentirsi superiori, giovani, aperte e senza pregiudizio alcuno. Ci irrobustiva prendere in giro nella figura delle vecchie zie quella fede che consideravamo roba da scemi.
Diversa la sensazione che ci dava nostra madre. Lei non si metteva i pizzi in testa quando entrava in chiesa, né alzava gli occhi al cielo come Santa Teresa. Era sobria e silenziosa.
Da piccole, tutte le sere ci faceva recitare il Padre Nostro, l’Ave Maria e l’Angelo Custode. Noi facevamo a gara a chi era più veloce, e lei non s'arrabbiava. Quando abbiamo smesso di andare a messa, direi quasi subito dopo la Prima Comunione, ha insistito per un po’ e poi ha lasciato perdere. Aveva una fede tenace, asciutta.
Le mie zie bigotte avevano una fede tenace e fronzoluta, che si prestava ai nostri lazzi.
Un giorno una di loro ci disse che non vedeva l’ora di morire per rivedere la sua mamma. Era però in apprensione, perché temeva che la mamma, morta quando lei era ragazza, non l’avrebbe riconosciuta. Si chiedeva come avrebbe dovuto comportarsi, e se qualche santo si sarebbe preso l'onere di cercarla e presentargliela.
Per noi, che eravamo bambine, la cosa più assurda era che desiderasse di morire.
Che in cielo rivedesse la mamma morta ci sembrava normale. A pensarci bene, lo consideravamo normale come che la notte della Vigilia arrivasse Babbo Natale.
Un po’ come per i medievali: il mondo era permeato di Dio, di streghe, befane e uomini ragno.
Nostro padre si professava ateo. Mia madre non si è mai scomposta per questo: ci diceva che in una coppia uno è sufficiente e a noi bastava.
Non ricordo di aver mai pensato a Dio in tutto quel blocco di anni che va dalle medie al mondo del lavoro.
Ci pensavano per me mia madre, le zie e le prozie. Poi tutte hanno cominciato a morire, una a una.
Ho vissuto nella tiepidezza per tanti anni. Per questo ancora oggi mi meraviglia che Dio abbia pensato a me: Lui odia i tiepidi, li vomita dalla Sua bocca.
Talmente tiepida che, quando seppi che per il funerale di papa Wojtyla avrebbero chiuso le scuole, m’infuriai: i bambini a casa, nessuno a tenerli e il lavoro urgente che mi aspettava.
Mi chiedevo furibonda come fosse possibile in un paese civile chiudere le scuole per il funerale del papa.
Intanto cercavo un canale coi cartoni animati per riuscire a portarmi avanti il lavoro.
Ovunque cercassi, erano in onda i funerali.
Con la matita tra le labbra, infilai nel videoregistratore una cassetta di Tonio Cartonio. Dovevo solo dare il via.
Tutto è successo in quel momento.
La matita tra le labbra e i bambini che cominciavano a chiedere come mai Tonio ancora non si vedeva.
Io col telecomando a mezz’aria.
In tv il funerale: la bara di legno chiaro sul sagrato, le pagine del Vangelo poggiato sulla cassa sconvolte da un vento furioso.
Lo stesso che accartocciava i mantelli dei cardinali e faceva volare via gli zucchetti.
Da qualche parte, nella grande piazza, un cardinale parlava del papa morto.
Riconobbi in costui un teologo visto tanto tempo prima, e mi meravigliai di quanto fosse diventato vecchio.
I bambini spazientiti che chiedevano Tonio Cartonio, io che non riuscivo a staccare gli occhi da quella scena.
Il teologo con un pugno alzato al cielo, i cardinali con gli abiti arrotolati sulle teste, disorientati; la matita stretta fra i denti.
“Guardiamo un po’ questo funerale del papa, giusto per vedere cosa fanno”, dissi ai bambini. “Ve lo chiedo per piacere. Poi mettiamo Tonio”.
Il pomeriggio andai a cercare i libri di quel teologo che aveva officiato i funerali e me li comprai tutti.
E li lessi tutti, uno dopo l’altro.
Mi sentivo fuori di testa. Più leggevo, più volevo leggere e capire. Intanto quel teologo dal pugno alzato era diventato papa.
Mi veniva da ridere: mai in vita mia avevo seguito alcunché di qualsivoglia papa. Ora, addirittura, me n'ero innamorata.
L’anno successivo m’iscrissi a un corso di teologia alla Lateranense.
Per lavoro stavo seguendo dei volumi sulla figura dell'Anticristo, pertanto mi capitava di dover leggere molti passi biblici. Ovunque mettessi le mani, tutto mi pareva sterminato e irresistibile. Su un singolo termine di un singolo versetto cresceva rigogliosa una bibliografia senza misura.
Le letture teologiche mi dettero stimoli nuovi. Il teologo che era diventato papa scriveva di temi a me cari, per averli amati negli autori russi. Scriveva delle potenzialità di questi nostri tempi, non obbligati alla fede e quindi liberi di scegliere. Di una Chiesa che si sarebbe rimpicciolita fino alla fiammella iniziale, e questo, secondo lui, era buono. Della fede come salto nel buio.
Scoprii Bonhoeffer. Circondato fedelmente e tacitamente da benigne presenze, meravigliosamente protetto e consolato, voglio questo giorno vivere con voi.
E Simone Weil. Edith Stein. Etty Hillesum. Lo strazio, la follia, la morte, le sevizie, l'ingiustizia, l'orrore non escludevano Dio: lo manifestavano.
Come tutto era diverso da come me lo ero immaginato! così assurdo e sconvolgente.
Cominciai a non parlarne con nessuno. Non volevo essere trattata come le mie prozie. Anche se avevo letto nel teologo-papa che la fede semplice e tessuta di riti di una vecchia contadina è più solida di quella di molti teologi.
In qualche modo mi nascondevo. Mi sentivo ridicola. Ma l'attrazione che sentivo non potevo negarla.
Cominciai in quei mesi a lavorare a un testo in cui si parlava della figura di Cristo nei detti islamici.
Ecco, riflettei, qui mi potrò distrarre.
Il commento a uno dei primi testi citava il motto di un mistico sufi: "Chi si ammala di Gesù, non può guarire".
Sono persa, pensai.