Minuetto celeste
C’è stato un tempo in cui mi sentivo impavido e credevo che la paura fosse un sentimento riservato solo agli animi deboli e alla gente ignorante.
Non ricordo come mi fosse venuta l’idea di puntare il cannocchiale verso il cielo. Pensai che, se la lente dello strumento riusciva a mostrare oggetti lontani sulla Terra, forse poteva farlo anche con quelli che occupavano il firmamento… da quell’istante la mia vita non fu più la stessa.
Notte dopo notte, neppure il gelo che mordeva il volto e irrigidiva le mani avrebbe potuto farmi desistere dai miei propositi: mentre il buio ingoiava ogni tetto delle case di Padova, puntavo il mio tubo verso la volta stellata e mi lasciavo sorprendere dall’immensità.
Mi colava il naso e mi lagrimavano gli occhi per cui, spesso, dovevo fermarmi per asciugare la carta su cui disegnavo con cura ciò che vedevo: i profondi crateri della Luna e le sue ombre, la piccola falce di Venere, l’innumerevole quantità di stelle che, a occhio nudo, non avrei mai potuto ammirare. Guardavo e annotavo con precisione ciò che il limpido cielo invernale mi mostrava.
Il sette di gennaio dell’anno 1610, mentre stavo osservando Giove, notai la presenza di quattro piccoli puntini luminosi, due da un lato e due dall’altro lato del pianeta. Sulle prime credetti che fossero delle stelle fisse che non avevo mai visto nonostante avessi già ispezionato molte volte quella zona del cielo. Pensai che forse, in passato, le lenti del mio cannocchiale erano troppo deboli; le mie mani indolenzite portavano ancora i segni delle molte ore trascorse nel laboratorio per perfezionarle.
La notte seguente tornai a guardare la stessa parte del cielo, e mi accorsi che quelle stelline sembravano essersi spostate, come se si fossero mosse. Che fosse solo un’illusione, un errore della vista, un difetto delle lenti o, forse, era colpa dell’umidità della notte che aveva appannato lo strumento?
Mi allontanai dall’oculare, stropicciai gli occhi, feci qualche passo nel buio e dei respiri profondi prima di ritentare l’osservazione ma, quando misi di nuovo l’occhio sul cannocchiale, mi accorsi che la situazione non era cambiata: i puntini luminosi avevano davvero assunto una formazione diversa da quella della notte prima. Il disegno sul mio taccuino ne era la prova evidente.
Annotai subito la nuova posizione di quegli astri. Da allora, notte dopo notte, ogni volta li trovavo disposti in modo differente. A volte precedevano il pianeta, altre lo seguivano. Come stormi di uccelli cambiavano spesso la formazione obbedendo a una legge di cui mi sfuggiva la regola. Una volta uno dei piccoli lumi sembrava essere svanito nell’oscurità ma, la notte successiva, riapparve.
Col passare dei giorni, mi resi conto che quegli astri non erano affatto stelle lontane e fisse come credevo: si trattava di corpi celesti che ruotavano attorno a Giove.
I loro movimenti sembravano una sorta di danza: seguivano un ritmo e una simmetria prestabilita simile a un minuetto. Era come se il pianeta li facesse volteggiare attorno a lui sostenendoli con mano sicura e invisibile.
Dovetti sdraiarmi per non vacillare perché era come se il mondo stesso si fosse capovolto all’improvviso sotto di me. Secoli di credenze spazzati via da una semplice lente d’ingrandimento.
Quelle piccole lune, brillanti come gemme nel velluto nero del cielo, continuavano a ruotare ignare del tumulto che avevano suscitato nella mia mente.
Mi chiedevo come fosse possibile negare ciò che gli occhi potevano vedere con tanta chiarezza: se quei quattro piccoli mondi non giravano attorno alla Terra ma attorno a Giove, perché mai la Terra doveva ancora essere ritenuta al centro di tutto il creato? Forse il nostro non era che uno dei tanti pianeti che danzavano attorno al Sole.
Nell’oscurità e nel silenzio potevo sentire il fluire del sangue ardere nelle vene, il cuore galoppare fino a mozzarmi il respiro.
Dunque, ben ragionava Messer Copernico nel dire che le cose del cielo funzionavano in modo diverso da quello che ci avevano sempre insegnato...
Questo fatto non si poteva più ignorare. Io ne avevo ottenuto la prova.
Sotto la grande volta stellata, mi sentivo parte del mistero della natura, un piccolo ingranaggio di un antico meccanismo che stava iniziando a svelare i suoi segreti.
I miei pensieri vagavano altalenanti come un vascello sbattuto dalla furia delle onde, a volte vedevo gli antri bui e dolorosi delle torture che avrei potuto subire dalla Santa Inquisizione per le mie scoperte, altre volte mi vedevo protetto dalla bonaccia di una baia, osannato come accade solo ai grandi uomini.
Conoscevo bene i rischi che avrei corso se avessi rivelato ciò che ormai non poteva e non doveva essere più essere taciuto al mondo. La verità divampava dentro di me come un fuoco che divorava le paure e l’orgoglio e la frenesia mi accecavano.
Di giorno insegnavo, di notte osservavo e scrivevo cercando di utilizzare le parole del popolo. Tutti coloro che sapevano leggere dovevano capire, o quantomeno intuire, la portata di ciò che avevo scoperto. “Sidereus Nuncius”: così volli intitolare la mia opera.
C’è stato un tempo in cui credevo che il potere del denaro e delle lusinghe mi avrebbe fornito la chiave per aprire qualsiasi porta. Anche quella della Chiesa.
Mi servivano denaro e protezione, sapevo bene che qualcuno avrebbe cercato di farmi tacere. Ma dilaniarsi nel dubbio non sarebbe stato utile ad alcuno. Allora l’ingegno venne di nuovo in mio soccorso: la battaglia contro l’ignoranza dovevano combatterla altri al posto mio. Potenti contro potenti.
Forte di questa illuminazione mandai il mio giovane assistente ad acquistare la carta più preziosa e, lontano da occhi indiscreti, vergai la lettera indirizzata al Granduca di Toscana Cosimo II di cui, a quei tempi, godevo la stima.
Ricordo ancora la cura con cui scelsi ogni parola e verbo:
“Considerando quanto il nome della Vostra Altezza Serenissima sia glorioso e come voi irradiate virtù divina e fortuna legale, mi è parso parso giusto associare questa nuova rivelazione astronomica al nome della vostra eccelsa famiglia, affinché gli astri appena scoperti, prendano il loro posto nei cieli eterni col nome di “Astri Medicei…”
C’è stato un tempo in cui ho dovuto nascondere il rossore del volto chinando la testa senza poter più rivolgere lo sguardo al cielo.
“Veemente sospetto di eresia” questo fu il verdetto del Tribunale della Santa Inquisizione contro di me.
Io, Galileo Galilei, fui considerato eretico e costretto ad abiurare. Se la paura è un sentimento riservato agli uomini deboli, ebbene, io fui debole.
Forse, se fossi stato condannato al rogo non mi sarei piegato, probabilmente avrei scelto il martirio in nome della Verità, ma l’idea di dover passare il resto dei miei giorni rinchiuso in un carcere della Chiesa, lontano dai miei strumenti e dai miei studi, mi sembrò mille volte peggiore della morte stessa. Per questo abiurai e ottenni di trascorre il resto dei miei giorni recluso nella mia casa ad Arcetri.
C’è un tempo in cui i sensi perdono il loro potere e mostrano al nostro intelletto una realtà altrimenti invisibile. È ciò che, adesso, capita a me che sono vecchio e stanco, ormai. Oggi la strada mi appare chiara come non mai, ma ho bisogno dei miei bastoni per percorrerla dritta fino alla fine. E, per questo, mi sento fortunato. Ho due validi bastoni in carne e ossa che si occupano di me.
Mi muovo a tentoni tra le pareti. Del cielo e del movimento dei suoi astri mi resta solo il ricordo impresso nella memoria, una fitta coltre di nebbia mi vela gli occhi.
Bussano alla porta. Mi pare quasi di vederli, i miei fedeli amici Vincenzo Viviani ed Evangelista Torricelli; due anime nobili che sfidano la sorte, la Santa Inquisizione e i miasmi del mio corpo ogni volta che mi vengono a trovare.
Riconosco l’incedere dei loro passi nel corridoio.
Oggi loro sono la mia vista e la mia penna e grazie al loro coraggio la scrittura de “Il dialogo sopra due nuove scienze” è quasi ultimata.
Finché avrò respiro non smetterò di combattere l’ignoranza.
Non si può fermare la Terra, non si possono fermare le idee con una carta di tribunale.
Esse sono come l’acqua: datele un po’ di tempo e scaverà la roccia.
Re: [Lab 15] Minuetto celeste
2@Monica ha scritto: C’è stato un tempo in cui mi sentivo impavido e credevo che la paura fosse un sentimento riservato solo agli animi deboli e alla gente ignorante.Un buon incipit, in grado di intrigare il lettore e convincerlo a proseguire.
@Monica ha scritto: C’è stato un tempo in cui credevo che il potere del denaro e delle lusinghe mi avrebbe fornito la chiave per aprire qualsiasi porta. Anche quella della Chiesa.L'argomento era troppo "in alto" e la serratura era "blindata" dalle autorità ecclesiastiche di quell'epoca oscurantista. Lo spieghi bene con la lettera all'alto intermediario cui Galileo chiese di intercedere col Vaticano per supportare la visione copernicana del sistema solare che lui poteva dimostrare.
@Monica ha scritto: C’è stato un tempo in cui ho dovuto nascondere il rossore del volto chinando la testa senza poter più rivolgere lo sguardo al cielo.Ecco, questo contrassegno del periodo in cui Galileo, bollato come eretico, scelse l'abiura che gli consentiva di non restare lontano dai suoi studi astronomico, sua ragione di vita, invece di languire e spegnersi in un carcere, non lo capisco.
Perché scrivi "senza poter più rivolgere la sguardo al cielo?" Lui non è ancora diventato cieco, lo diverrà in tarda età, anche se studierà ancora e ancora, e quindi, pur chiuso in casa, con o senza cannocchiale, poteva comunque osservare il cielo, almeno per una decina di anni. Mi sbaglio?
@Monica ha scritto: C’è un tempo in cui i sensi perdono il loro potere e mostrano al nostro intelletto una realtà altrimenti invisibile. È ciò che, adesso, capita a me che sono vecchio e stanco, ormai. Oggi la strada mi appare chiara come non mai, ma ho bisogno dei miei bastoni per percorrerla dritta fino alla fine. E, per questo, mi sento fortunato. Ho due validi bastoni in carne e ossa che si occupano di me.Anche cieco, anche con i cinque sensi appannati, la mente del grande astronomo lavora alacre a una realtà che prima non riusciva a intravedere appieno. Bella questa tua asserzione, la mia preferita tra tutte) che vale a titolo universale per noi umani, quando la ricerca dei beni materiali e del piacere dei sensi cede il posto a una realtà che prima era offuscata da questi. Si acuisce la mente e lo spirito. Si cammina decisi verso il proprio vero appagamento.
Sei stata brava a presentare al lettore un Galileo vincente e propositivo nella china finale della sua vita.
@Monica ha scritto: Non si può fermare la Terra, non si possono fermare le idee con una carta di tribunale.Il Galilei sa di avere ragione e che il mondo intero, prima o poi, lo riabiliterà. Assieme alle scuse della Chiesa moderna per quegli alti ecclesiastici ignoranti e chiusi alla realtà della logica e della matematica. Eppur si muove...
Esse sono come l’acqua: datele un po’ di tempo e scaverà la roccia.
Non potendo, il vasto argomento, articolare più di così le grandi scoperte e il processo sùbito dal grande Galileo Galilei, mi complimento con te per avere fatto questo excursus efficace e coinvolgente.
Brava @@Monica
Re: [Lab 15] Minuetto celeste
3Poeta Zaza ha scritto: Perché scrivi "senza poter più rivolgere la sguardo al cielo?" Lui non è ancora diventato cieco, lo diverrà in tarda età, anche se studierà ancora e ancora, e quindi, pur chiuso in casa, con o senza cannocchiale, poteva comunque osservare il cielo, almeno per una decina di anni. Mi sbaglio?Ciao @Poeta Zaza e grazie infinite per il tuo commento approfondito e per l’apprezzamento.
Cerco di rispondere alla tua domanda. La mia intenzione in questa frase era quella di sottolineare il profondo senso di fallimento e sconfitta provato da Galileo. Un senso di vergogna anche nei confronti del cielo stesso. Quindi l’interpretazione non dovrebbe (almeno nei miei intenti) essere letterale ma suggerire l’idea del peso che gravava nel cuore dello scienziato per la scelta che aveva fatto. Certo poi che ossservare il cielo da recluso èe senza poter usare strumenti non è la stessa cosa, ti pare? Ma non è il senso letterale che volevo dare. Se non ti è arrivato, vuol dire che dovevo scriverlo meglio!
Re: [Lab 15] Minuetto celeste
4@Monica ha scritto: Ciao @Poeta Zaza e grazie infinite per il tuo commento approfondito e per l’apprezzamento.Hai ragione e tu l'hai scritta bene la situazione del nostro. Sono io che spesso ragiono con una visione ristretta rispetto a quello che leggo. Scusami
Cerco di rispondere alla tua domanda. La mia intenzione in questa frase era quella di sottolineare il profondo senso di fallimento e sconfitta provato da Galileo. Un senso di vergogna anche nei confronti del cielo stesso. Quindi l’interpretazione non dovrebbe (almeno nei miei intenti) essere letterale ma suggerire l’idea del peso che gravava nel cuore dello scienziato per la scelta che aveva fatto. Certo poi che ossservare il cielo da recluso èe senza poter usare strumenti non è la stessa cosa, ti pare? Ma non è il senso letterale che volevo dare. Se non ti è arrivato, vuol dire che dovevo scriverlo meglio!
Re: [Lab 15] Minuetto celeste
5@Monica ha scritto:Questo incipit suggerisce un conflitto e conseguente cambiamento interiore del personaggio, pertanto stimola alla lettura al fine di scoprire: chi (Galilei), come (osservando il cielo notturno), quando (nel 1610), dove (a Padova) e perchè (per la paura di una condanna che gli avrebbe impedito di continuare a studiare) tutto ciò sia accaduto.
C’è stato un tempo in cui mi sentivo impavido e credevo che la paura fosse un sentimento riservato solo agli animi deboli e alla gente ignorante.
Pertanto ottimo incipit.
Altra storia vera, vedo che ti stai immergendo nel filone dei personaggi storici. Ti chiedo: come mai?
Ho letto tutto il racconto, ma come per @Poeta Zaza ti chiedo di accontentarti del commento solo sull'incipit.
Re: [Lab 15] Minuetto celeste
6Adel J. Pellitteri ha scritto: Altra storia vera, vedo che ti stai immergendo nel filone dei personaggi storici. Ti chiedo: come mai?In realtà è proprio il filone dei personaggi storici quello di cui preferisco scrivere. Qui nel forum ci sono molti stimoli che aiutano ad ampliare gli orizzonti e provare generi letterari diversi e dunque cerco per quanto possibile di provare un po’ di tutto. Alcune cose riescono accettabili, altre meno, ma, quando è possibile, uno spunto dalla realtà cerco d’inserirlo.
Grazie della lettura e del commento
Re: [Lab 15] Minuetto celeste
7@@Monica
Dimenticavo e aggiungo ora:
- anche i titoli che precedono, oltre l'incipit, i vari eventi della vita di Galilei, aiutano la lettura e caratterizzano il brano, come succo e contrassegno dei contenuti.
Dimenticavo e aggiungo ora:
- anche i titoli che precedono, oltre l'incipit, i vari eventi della vita di Galilei, aiutano la lettura e caratterizzano il brano, come succo e contrassegno dei contenuti.