Cinquanta cc d’aria nella siringa. Aria che dà la vita, aria che dà la morte. L’infermiera pratica un minuscolo foro nel tubicino della flebo.
«Rilassati. Fra poco starai bene.»
Esce dalla stanza in punta di piedi per rientrarci poco dopo e lanciare l’allarme.
«Dottore, il paziente è cianotico.»
L’uomo, il braccio penzoloni, ha le labbra di un colore blu cobalto e gli occhi sbarrati fissi al soffitto.
«Ora del decesso…»
Nei corridoi della clinica c’è un sentore di disinfettante che non riesce a coprire quello di urina e malattia. Le colleghe abbassano lo sguardo per non incontrare il suo. Ne è sicura.
Il bianco della divisa le dona. Snella e atletica, gli occhi chiari, i capelli ricci e vagamente ramati raccolti in una coda alta che mette in risalto un collo da modella di Modigliani. E poi, cosa non di poco conto, gode la stima del giovane dottor Fiestri e, prima o poi, conquisterà anche quella della dottoressa Landi, primario del reparto. Il primo incarico dopo la laurea e, dopo neppure un anno, si è già fatta notare più di certe infermiere che lavorano nella clinica da una vita.
Il campanello suona a intermittenza come la luce lampeggiante sopra la porta.
Verifica il carrello delle medicazioni: guanti sterili, disinfettante, siringhe, garze, traverse monouso. Lo spinge verso la camera numero diciotto. L’uomo respira a fatica. Quando la vede entrare le rivolge un mezzo sorriso.
Teresa si avvicina al letto e spegne il dispositivo di chiamata.
«Che succede, Gino?»
«Ho l’affanno, ma il dottore dice che sto meglio. Sarà vero?»
«Certo che è vero! I dottori mica dicono le bugie…»
Nell’ufficio della dottoressa Landi non ci sono finestre. Luce artificiale. Fredda. Aria di piombo. Sulla scrivania, in bella vista, la pagina di cronaca titola in grassetto: “Morti sospette in corsia”.
Apre il fascicolo, sfoglia il curriculum e la scheda di valutazione. Ottimi voti. Puntuale. Ordinata. Efficiente. Ligia alle regole. Proattiva. Sensibile coi parenti, affidabile coi pazienti. Legge tenendo il segno con l’indice e annuendo col capo. Poi, solleva lo sguardo e la invita a sedersi.
«Mi dica, lei ha mai notato qualcosa di strano, l’atteggiamento anomalo di qualche collega. Le sarei davvero grata se avesse qualche informazione da darmi.»
«Io no… non saprei.»
«Guardi, Teresa, non le sto chiedendo di accusare nessuno. Solo di prestare attenzione e riferirmi se vede qualche comportamento inappropriato. Posso contare sulla sua discrezione?»
Pum pum. Pum pum. Pum pum. Ritmo sinusale.
«Certo.»
Le persone che progrediscono nella vita sono coloro che si danno da fare per trovare le circostanze che vogliono e, se non le trovano, le creano.
Teresa ha imparato a memoria la frase di George Bernard Shaw e la lezione insita in quelle parole. Nell’intimità della stanza da bagno, la ripete ogni mattina a voce bassa davanti allo specchio lasciando il rubinetto della doccia aperto. Con la voce attenuata dallo scrosciare dell’acqua, scandisce le parole una a una sgranandole come un rosario mentre i ricordi, densi come vapore, saturano l’ambiente. Si avvicina allo specchio per disegnare un fiore col dito. Resta a fissare l’immagine finché quella di scioglie in lacrime che rigano la superficie.
Aveva solo sedici anni quando incontrò Bernard Show, così lo chiamò, alla stazione centrale durante uno dei suoi pomeriggi “a zonzo senza meta.”
Il barbone sedeva su un cumulo di cartoni in un angolo del piazzale antistante l’ingresso principale. I pantaloni pisciati, la barba lunga non gl’impedivano di mostrare una certa fierezza nello sguardo mentre tendeva la mano. Lei si frugò in tasca, ma non ci trovò altro che il solito panino; una specie di medicina. Se non lo avesse mangiato, sarebbero stati guai una volta davanti alla bilancia: sua madre si comportava come la strega di Hansel e Gretel, contava e registrava quotidianamente il suo peso per riferirlo puntualmente alla doc. Incrociò lo sguardo del senzatetto senza poter fare altro che allargare le braccia impotente.
Con un cenno della mano, l’uomo l’invitò ad avvicinarsi.
“Mi spiace, non ho spiccioli.” Tirò fuori dalla tasca il cartoccio unto “Possiamo dividerci questo, se ti va.”
Lo sguardo di lui scivolò dalle sue gambe sottili alle braccia esili fino a raggiungere gli occhi leggermente infossati: due biglie azzurre in un volto pallido. Per tutta risposta, si mise a frugare dentro a una bisaccia lurida custodita sotto a uno dei cartoni.
Teresa lo guardava come ipnotizzata.
“Certe parole sfamano più del pane” le disse, infine, porgendole un quaderno dalle pagine sporche e rigonfie. “Coraggio, prendilo, ne hai più bisogno di me.”
Ricorda che gli sorrise, prese l’oggetto e scappò senza dire niente.
Si trattava di un brogliaccio pieno di pensieri sconnessi scritti a penna ma con una calligrafia insospettabilmente ordinata. Nella prima pagina campeggiava la frase di Bernard Shaw. La lesse così tante volte da imprimerla nell’anima. Se avesse potuto, se la la sarebbe fatta tatuare sul petto. Nei giorni successivi tornò più volte a cercare il barbone per ringraziarlo, ma non lo trovò più.
Teresa chiude la sponda del letto e rimuove il paravento: l’ultimo atto prima di lasciare la camera della signora Ada.
Cammina a passo spedito nel corridoio, il corpo dritto, lo sguardo fiero. La spalla destra irradia ancora il calore buono dell’amichevole pacca che il giovane dottor Fiestri le ha dato di fronte agli altri colleghi. Una sorta d’incoraggiamento, un elogio pubblico all’infermiera accortasi per prima dello strano colorito della paziente. Non che l’allarme sia servito a salvare la povera Ada.
“Fare l’infermiera? Ma cosa ti salta in mente?”
“Potrei aiutare le persone. Non saresti contenta, mamma?
La donna scosse la testa. “Io avrei bisogno di qualcuno che mi desse una mano con te!”
Eppure, dopo la cura, era arrivata a pesare quarantotto chili. Le erano persino tornate le mestruazioni. Il tentato suicidio? Macché! Si era trattato solo di un banale incidente. Possibile che tutti abbiano testimoniato che si era buttata di proposito sotto quell’auto? Ma quale malata di mente! Ma quale depressione! Era solo un po’ triste. Ogni tanto. Forse un po’ strana, quello sì. Glielo dicevano tutti fin da quando aveva memoria e col tempo aveva finito per convincersene anche lei, ma poi era arrivato Bernard Show a darle il coraggio di cambiare.
«No, non ha sofferto.» risponde alla figlia in lacrime.
La donna tira su col naso: «Lo prenda. Sono sicura che mia madre avrebbe piacere che lo avesse lei. L’apprezzava molto, sa? C’è modo e modo di lavorare…» le porge la copia di “Ogni tramonto è un’alba” da cui l’anziana, negli ultimi tempi, non si separava mai.
«Grazie, lo apprezzo molto. Era buona come un angelo la sua mamma. Ha fatto una morte santa, mi creda.»
Sorriso.
«Almeno non è una Bibbia.»
Teresa guarda storto suo marito. «La signora era atea.»
«Certo che negli ultimi tempi avete perso parecchi clienti alla tua clinica.»
«Tutti pazienti anziani. È normale.»
«E quel ragazzo? Quello di una decina di giorni fa…»
Teresa sbuffa, apre il frigorifero e controlla il cassetto della verdura: quattro zucchine e due carote. Solleva lo sguardo al ripiano superiore dove occhieggia un quarto di pecorino stagionato. La cena è assicurata. Ora può rispondere a suo marito.
«Era pieno di metastasi, poveretto. Ha avuto fortuna ad andarsene così, quasi senza accorgersene. Non hai idea di quanto facciano soffrire certe terapie. Vieni a tavola, dai.»
La serranda semi aperta lascia filtrare dai vetri gli ultimi raggi della fredda giornata invernale e le pareti della camera si tingono di un arancione vivido che contrasta col pallore del paziente. Riconosce la bisaccia posata sulla sedia. Sente il battito accelerare.
Gli hanno fatto la barba, lo hanno lavato, ma, anche se sono trascorsi molti anni, è sicura che sia proprio il suo Bernard Show.
Nella cartella non c’è il nome: non aveva documenti.
L’uomo borbotta qualcosa d’incomprensibile.
«Ciao. Mi riconosci?»
Silenzio.
Lei, allora si avvicina e gli sussurra: «Ti ringrazio per avermi dato il tuo quaderno. Mi ha cambiato la vita, sai?»
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Si volta, la fissa con gli occhi acquosi. [/font]
«Voglio morire... aiutami.» le dice con un filo di voce.
La richiesta è come un lampo che squarcia il buio all’improvviso. Una galleria di volti si affaccia alla memoria. Certo, ne ha aiutati tanti ad andarsene, anche se loro non glielo avevano chiesto. Ma erano andati via felici, senza soffrire. Ne era sicura. Si è fatta notare, è stata brava, tutti la stimano. Sua madre aveva torto a giudicarla male. Non aveva fiducia in lei, ma quello sconosciuto no… Lui l’aveva davvero aiutata e ora avrebbe dovuto ricambiare.
Consapevolezza. Crollo verticale. Perdere Bernard sarebbe come staccarsi dalla parete di una roccia scalata a mani nude e trovare di nuovo il precipizio.
Si avvicina alla finestra e osserva il cielo mentre si spegne. Immaginare Bertrand vivo da qualche parte le ha sempre dato forza. Un giorno lo avrebbe incontrato di nuovo, di questo era certa, ma non doveva succedere in questa camera. Non così.
Forse sua madre aveva ragione: fare l’infermiera non era una professione adatta a lei. Forse era davvero malata…
Lo guarda, allarga le braccia e gli dice: «Non posso farlo… Scusami.»
L’allarme risuona intermittente nel corridoio.
«Dottore, lo salverà, vero?»
Nell’ufficio della dottoressa Landi non ci sono finestre, la luce artificiale è fredda e l’aria è di piombo. Indossa gli occhiali, Apre la busta e legge sottovoce la lettera seguendo le parole con l’indice.
Teresa chiude l’armadietto e, abbandonato il camice sulla sedia, esce senza voltarsi indietro.
Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
2@Monica ha scritto: “Fare l’infermiera? Ma cosa ti salta in mente?”Per il tempo verbale, ci vedo meglio il trapassato.
“Potrei aiutare le persone. Non saresti contenta, mamma?
La donna scosse aveva scosso la testa. “Io avrei bisogno di qualcuno che mi desse una mano con te!”
@Monica ha scritto: Possibile che tutti abbiano avessero testimoniato che si era buttata di proposito sotto quell’auto?Anche qui, ti consiglio il congiuntivo trapassato.
@Monica ha scritto: Lei, allora si avvicina e gli sussurra: «Ti ringrazio per avermi dato il tuo quaderno. Mi ha cambiato la vita, sai?»No la virgola dopo Lei.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Si volta, la fissa con gli occhi acquosi. [/font]
«Voglio morire... aiutami.» le dice con un filo di voce.
Ti faccio notare che, nel testo, la seconda riga è ricca di "font" da fare eliminare.
@Monica ha scritto: Certo, ne ha aiutati tanti ad andarsene, anche se loro non glielo avevano chiesto. Ma erano andati via felici, senza soffrire. Ne era sicura. Si è fatta notare, è stata bravaL'unico appunto alla storia è che si capisce già dal primo colloquio con la primaria che è l'infermiera Teresa la colpevole.
Anoressica, con problemi di stabilità psichica, ha tentato il suicidio. Come può essere stata assunta senza le necessarie indagini sul suo curriculum?
@Monica ha scritto: Immaginare Bertrand vivo da qualche parte le ha aveva sempre dato forza. Un giorno lo avrebbe incontrato di nuovo, di questo era certa, ma non doveva succedere in questa quella camera. Non così.Semplici suggerimenti.
@Monica ha scritto: Nell’ufficio della dottoressa Landi non ci sono finestre, la luce artificiale è fredda e l’aria è di piombo. Indossa gli occhiali, Apre la busta e legge sottovoce la lettera seguendo le parole con l’indice.La primaria la licenzia dopo una lettera anonima di denuncia verso di Teresa? Ecco, qui vuoi dal lettore un po' troppa immaginazione, secondo me.
Teresa chiude l’armadietto e, abbandonato il camice sulla sedia, esce senza voltarsi indietro.
Oppure, vuoi dire che l'unica volta che non voleva uccidere è stata denunciata?
Comunque, @@Monica, brava!

. Sempre un piacere leggerti, e invogli a farlo.

Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
3Poeta Zaza ha scritto: La primaria la licenzia dopo una lettera anonima di denuncia verso di Teresa? Ecco, qui vuoi dal lettore un po' troppa immaginazione, secondo me.Ciao @Poeta Zaza e grazie per la lettura e il commento. Francamente, però, non ho proprio idea di come tu possa aver recepito il finale in questo modo… mi spiace sempre dover spiegare ma in questo caso non posso esimermi. La lettera di dimissioni l’ha scritta la stessa Teresa. Non è stata licenziata, ma ha maturato una scelta. L’altra cosa che riguarda il fatto che si capisca subito che si tratti di Teresa è corretto nelle mie intenzioni.
Oppure, vuoi dire che l'unica volta che non voleva uccidere è stata denunciata?
Non è un giallo o un thriller. Oltretutto, come mia abitudine, ho preso spunto da una storia vera e il passato problematico della ragazza non è stato un limite né per il conseguimento della sua laurea e neppure per l’inserimento nel lavoro.
Grazie ancora per i suggerimenti

Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
4@Monica ha scritto: Ciao @Poeta Zaza e grazie per la lettura e il commento. Francamente, però, non ho proprio idea di come tu possa aver recepito il finale in questo modo… mi spiace sempre dover spiegare ma in questo caso non posso esimermi. La lettera di dimissioni l’ha scritta la stessa Teresa. Non è stata licenziata, ma ha maturato una scelta. L’altra cosa che riguarda il fatto che si capisca subito che si tratti di Teresa è corretto nelle mie intenzioni.Colpa mia.
Non è un giallo o un thriller. Oltretutto, come mia abitudine, ho preso spunto da una storia vera e il passato problematico della ragazza non è stato un limite né per il conseguimento della sua laurea e neppure per l’inserimento nel lavoro.
Grazie ancora per i suggerimenti


Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
5Ciao, @Monica.
Molta carne al fuoco e tutta saporita. Spezie, aromi, sembra ci sia tutto, eppure manca qualcosa, ho faticato non poco a individuarlo, presa dalla consueta grazia della tua scrittura. Poi ho capito.
Due cose.
La prima è il bilanciamento della struttura narrativa, diciamo le proporzioni tra quadro e cornice.
9604 caratteri. Il nodo conflittuale arriva praticamente a tre quarti della storia. In sostanza tutto comincia là dove invece finisce.
La seconda riguarda i nuclei tematici.
Bene hai fatto a tratteggiare il vissuto tormentato di Teresa, ma te ne sei tenuta a margine.
Ci lasci assistere al suo vagare da un letto all’altro dispensando l’estremo sollievo, ma non ci spieghi il nesso con la frase di Bernard Show, tanto che viene da pensare che la poveretta, dalla fase depressiva, sia passata a quella maniacale.
Eppure l’anoressia e la trasformazione in Angelo della Morte di spunti ne avrebbero ben offerti.
Le giornate di Teresa scorrono laboriose, tra un’eutanasia e l’altra, quando rivede il suo benefattore che la implora di porre fine ai suoi tormenti.
Ci si aspetterebbe, non dico un trattamento di favore, ma almeno la stessa pietà che ha avuto per altri. Invece lei si tira indietro.
Un immotivato risveglio, un accorgersi di aver fatto tante cose brutte (?) e di non volerle più fare. Perché?
Teresa non si fa domande.
La sua consapevolezza avrebbe dovuto passare proprio attraverso il massacrarsi mani e coscienza risalendo la parete, dare l’estremo sollievo al suo mentore e allora, solo allora sentirsi autorizzata ad abbandonare il camice sulla sedia per cominciare a vivere davvero.
Insomma, @Monica carissima, di materiale ce n’è. Molto interessante e anche estremamente attuale, in questi tempi in cui la dignità di vivere, come quella di morire, stanno diventando sempre più lusso di pochi.
Aspetto di leggere la versione strabella che sono certa saprai scrivere.

Molta carne al fuoco e tutta saporita. Spezie, aromi, sembra ci sia tutto, eppure manca qualcosa, ho faticato non poco a individuarlo, presa dalla consueta grazia della tua scrittura. Poi ho capito.
Due cose.
La prima è il bilanciamento della struttura narrativa, diciamo le proporzioni tra quadro e cornice.
9604 caratteri. Il nodo conflittuale arriva praticamente a tre quarti della storia. In sostanza tutto comincia là dove invece finisce.
La seconda riguarda i nuclei tematici.
Bene hai fatto a tratteggiare il vissuto tormentato di Teresa, ma te ne sei tenuta a margine.
Ci lasci assistere al suo vagare da un letto all’altro dispensando l’estremo sollievo, ma non ci spieghi il nesso con la frase di Bernard Show, tanto che viene da pensare che la poveretta, dalla fase depressiva, sia passata a quella maniacale.
Eppure l’anoressia e la trasformazione in Angelo della Morte di spunti ne avrebbero ben offerti.
Le giornate di Teresa scorrono laboriose, tra un’eutanasia e l’altra, quando rivede il suo benefattore che la implora di porre fine ai suoi tormenti.
Ci si aspetterebbe, non dico un trattamento di favore, ma almeno la stessa pietà che ha avuto per altri. Invece lei si tira indietro.
@Monica ha scritto: Consapevolezza. Crollo verticale. Perdere Bernard sarebbe come staccarsi dalla parete di una roccia scalata a mani nude e trovare di nuovo il precipizio.Dunque soffri e fottiti. Accidenti! Una botta di egoismo mica male.
Un immotivato risveglio, un accorgersi di aver fatto tante cose brutte (?) e di non volerle più fare. Perché?
Teresa non si fa domande.
@Monica ha scritto: chiude l’armadietto e, abbandonato il camice sulla sedia, esce senza voltarsi indietro.E invece avrebbe dovuto.
La sua consapevolezza avrebbe dovuto passare proprio attraverso il massacrarsi mani e coscienza risalendo la parete, dare l’estremo sollievo al suo mentore e allora, solo allora sentirsi autorizzata ad abbandonare il camice sulla sedia per cominciare a vivere davvero.
Insomma, @Monica carissima, di materiale ce n’è. Molto interessante e anche estremamente attuale, in questi tempi in cui la dignità di vivere, come quella di morire, stanno diventando sempre più lusso di pochi.
Aspetto di leggere la versione strabella che sono certa saprai scrivere.

Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
6aladicorvo ha scritto: Ci lasci assistere al suo vagare da un letto all’altro dispensando l’estremo sollievo, ma non ci spieghi il nesso con la frase di Bernard Show, tanto che viene da pensare che la poveretta, dalla fase depressiva, sia passata a quella maniacale.grazie @aladicorvo per i tuoi utilissimi spunti di rifessione. La “Teresa” in questione (tratta da storia tristemente reale) ha avuto una infanzia piuttosto turbolenta e la frase di Show (sì, diventa maniacale per lei) assume appieno il significato de “il fine giustifica i mezzi”. Il suo fine era farsi apprezzare e notare e il mezzo era quello di provocare “il dolce sollievo” non senza prima aver fatto credere di voler salvare la persona “prescelta”. Non so se mi spiego ma la situazione vera era proprio quella. Eroina negativa nei miei intenti in quanto quando avrebbe potuto esaudire il desiderio del ritrovato mentore, sceglie di non accontentarlo, anzi forse (ma sarà poi diventata davvero “buona”?) di svestire per sempre i panni dell’angelo della morte. Impunita.
Hai ragione quando dici che il nocciolo della faccenda arriva alla fine. Non sai quanto ho lavorato su questo aspetto ma in effetti era meglio se il conflitto arrivava prima. Tenterò di mescolare le carte per riuscire a cavarne qualcosa di meglio. Ancora grazie
Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
7In generale:
Di cosa parla questo raconto? Di una persona psicologicamente problematica (lo si capisce non perché uccida ma perché lasci giustamente filtrare indizi che “spiegano” - ma vediamo poi con quali limiti - la sua personalità disturbata), che a un certo punto ha una sorta di ripensamento e smette. Quindi sì, conflitto (interiore), elaborazione e mutamento. La mia impressione, però, è che tutto galleggi nel vuoto. Inizialmente mi chiedevo: “Ma costei, perché uccide?” Poi ho capito che mi ponevo la domanda sbagliata; non è necessario risalire ad Adamo ed Eva ogni volta che scriviamo una storia, e bastano degli indizi (come tu hai fatto), delle eventuali visioni retrospettive, e tanto deve bastare al lettore che si immedesima; ok, c’è un’infermiera killer. La domanda, l’ho capito pensandoci, non è perché uccida, che è un dato di fatto, ma perché smetta, così repentinamente, così epifanicamente. La soluzione narrativa è il barbone, che però spiega poco, anzi apre ulteriori interrogativi; quel barbone visto una volta, che ha regalato quel pensiero così importante per Teresa, mi pare un elemento troppo labile per reggere il racconto nelle sue motivazioni profonde. Anzi, l’analisi di quella frase getta una luce ambigua sulle motivazioni di Teresa (evito, se no mi infilo in un ginepraio socio-psico-qualcosa) e il lettore, non pago, retroagisce sul perché accada tutto quello che accade.
A mio avviso dovevi scavare più su questo punto. Se Teresa - per dire - uccideva per depredare le vittime, poi la catarsi poteva essere giustificata da un evento legato al denaro, alla miseria dei parenti o qualcosa del genere; se uccideva per un distorto senso di pietà (uccidere chi soffre in una malattia terminale, trama piuttosto scontata) poteva trovarsi impotente di fronte a un parente amato (non il barbone dalla fugace presenza), descrivendo il conflitto fra l’amore e la pietà; eccetera. Così, invece, Teresa uccide non si sa perché, e smette non si capisce perché. Il quadro finale è a due dimensioni, e manca assolutamente la terza.
Questioni specifiche:
Diverse osservazioni ortografiche e grammaticali:
“gode la stima”: della stima;
Infine: i dialoghi devono sempre finire con un segno di punteggiatura, come una virgola, anche se la narrazione prosegue.
Alcune riflessioni sull’impianto della trama. A mio avviso aleggia una certa implausibilità. Qualche infermiera assassina, nella cronaca di questi anni, è stata scoperta, ma ci sono due cose che a mio avviso non funzionano: I) questo tipo di serial killer si fa scoprire facilmente incrociando morti con i turni, cosa che fa immediatamente restringere il novero dei potenziali colpevoli; II) non vedo come possa essere la dottoressa Landi a condurre una specie di indagine interna; se la faccenda è già conclamata (colleghe che abbassano lo sguardo, titoli sui giornali) la faccenda sarebbe già in mano a carabinieri o polizia e la vicenda avrebbe uno sviluppo meno lineare. Il marito, che appare fugace in una scena, non c’entra niente, distrae e lo eliminerei (e a mio avviso contrasta col profilo psicologico della donna). Inizialmente non ho capito il penultimo paragrafo, quello che inizia con “Nell’ufficio della dottoressa Landi non ci sono finestre…" Tu lo spieghi a Poeta Zaza, fortunatamente, e così ho capito anch’io. Osservazione: se un brano non viene capito da più lettori, forse è meglio riscriverlo.
Per quanto riguarda lo stile narrativo percepisco, poi, alcune forzature; già l’infermiera bella, ordinata e ligia, la cocca dei primari, che in realtà è una killer è un canone leggermente usurato, almeno da Stevenson in poi; ma prendiamo il barbone, che ha i pantaloni pisciati ma “una certa fierezza nello sguardo”, e regala massime che colpiscono nel profondo la protagonista. Cosa vuoi che ti dica? Ci lavorerei un pochino.
Di cosa parla questo raconto? Di una persona psicologicamente problematica (lo si capisce non perché uccida ma perché lasci giustamente filtrare indizi che “spiegano” - ma vediamo poi con quali limiti - la sua personalità disturbata), che a un certo punto ha una sorta di ripensamento e smette. Quindi sì, conflitto (interiore), elaborazione e mutamento. La mia impressione, però, è che tutto galleggi nel vuoto. Inizialmente mi chiedevo: “Ma costei, perché uccide?” Poi ho capito che mi ponevo la domanda sbagliata; non è necessario risalire ad Adamo ed Eva ogni volta che scriviamo una storia, e bastano degli indizi (come tu hai fatto), delle eventuali visioni retrospettive, e tanto deve bastare al lettore che si immedesima; ok, c’è un’infermiera killer. La domanda, l’ho capito pensandoci, non è perché uccida, che è un dato di fatto, ma perché smetta, così repentinamente, così epifanicamente. La soluzione narrativa è il barbone, che però spiega poco, anzi apre ulteriori interrogativi; quel barbone visto una volta, che ha regalato quel pensiero così importante per Teresa, mi pare un elemento troppo labile per reggere il racconto nelle sue motivazioni profonde. Anzi, l’analisi di quella frase getta una luce ambigua sulle motivazioni di Teresa (evito, se no mi infilo in un ginepraio socio-psico-qualcosa) e il lettore, non pago, retroagisce sul perché accada tutto quello che accade.
A mio avviso dovevi scavare più su questo punto. Se Teresa - per dire - uccideva per depredare le vittime, poi la catarsi poteva essere giustificata da un evento legato al denaro, alla miseria dei parenti o qualcosa del genere; se uccideva per un distorto senso di pietà (uccidere chi soffre in una malattia terminale, trama piuttosto scontata) poteva trovarsi impotente di fronte a un parente amato (non il barbone dalla fugace presenza), descrivendo il conflitto fra l’amore e la pietà; eccetera. Così, invece, Teresa uccide non si sa perché, e smette non si capisce perché. Il quadro finale è a due dimensioni, e manca assolutamente la terza.
Questioni specifiche:
Diverse osservazioni ortografiche e grammaticali:
@Monica ha scritto: Cinquanta cc d’ariaA mio avviso in un testo letterario questa soluzione è brutta, meglio ‘Cinquanta centimetri cubi’; come sarebbe davvero brutto ‘H24’ per dire l’intera giornata (a meno che non sia un dialogo, dove si può usare una formula popolare) e cose simili. Anche più avanti: “riferirlo puntualmente alla doc”; non si scrive ‘la doc’ come voce narrante; e se l’infermiera pensa alla dottoressa come “‘la doc’, dopo avere passato le superiori chiamano ‘prof’ i docenti e ‘raga’ i compagni, beh… Ripeto: lei può parlare come tu credi debba parlare, ma la voce narrante, a mio avviso, deve scrivere in italiano;
“gode la stima”: della stima;
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 aml’atteggiamento anomalo di qualche collega.Poiché è una domanda dovrebbe finire col punto interrogativo.
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 amquella di scioglie in lacrimeSi scioglie.
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 amuno dei suoi pomeriggi “a zonzo senza meta.”Virgolette inutili, e quindi dannose.
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 am“Mi spiace, non ho spiccioli.”Uso questo brano solo come esempio. Tu scrivi i dialoghi fra virgolette (corretto) e in corsivo. Perché? Si chiama “doppio marker” e a mio avviso, in quanto ridondante, è sbagliato. In altri casi puoi differenziare il parlato (fra virgolette) dal pensato (in corsivo e senza virgolette), ma non mi sembra questo in caso.
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 amse la la sarebbe fatta tatuareC’è un ‘la’ di troppo.
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 amNon saresti contenta, mamma?Mancano le virgolette finali.
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 am«No, non ha sofferto.» risponde alla figlia‘Risponde’ con la maiuscola.
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 ame porge la copia di “Ogni tramonto è un’alba” da cui l’anziana, ...L'uso più comune di citazione di libri è in corsivo, non virgolette; che così, fra l’altro, non si confondono col dialogo. Quindi: la copia di Ogni tramonto è un alba da cui l'anziana...
@Monica ha scritto: lun feb 03, 2025 8:44 amImmaginare Bertrand vivoBernard.
Infine: i dialoghi devono sempre finire con un segno di punteggiatura, come una virgola, anche se la narrazione prosegue.
Alcune riflessioni sull’impianto della trama. A mio avviso aleggia una certa implausibilità. Qualche infermiera assassina, nella cronaca di questi anni, è stata scoperta, ma ci sono due cose che a mio avviso non funzionano: I) questo tipo di serial killer si fa scoprire facilmente incrociando morti con i turni, cosa che fa immediatamente restringere il novero dei potenziali colpevoli; II) non vedo come possa essere la dottoressa Landi a condurre una specie di indagine interna; se la faccenda è già conclamata (colleghe che abbassano lo sguardo, titoli sui giornali) la faccenda sarebbe già in mano a carabinieri o polizia e la vicenda avrebbe uno sviluppo meno lineare. Il marito, che appare fugace in una scena, non c’entra niente, distrae e lo eliminerei (e a mio avviso contrasta col profilo psicologico della donna). Inizialmente non ho capito il penultimo paragrafo, quello che inizia con “Nell’ufficio della dottoressa Landi non ci sono finestre…" Tu lo spieghi a Poeta Zaza, fortunatamente, e così ho capito anch’io. Osservazione: se un brano non viene capito da più lettori, forse è meglio riscriverlo.
Per quanto riguarda lo stile narrativo percepisco, poi, alcune forzature; già l’infermiera bella, ordinata e ligia, la cocca dei primari, che in realtà è una killer è un canone leggermente usurato, almeno da Stevenson in poi; ma prendiamo il barbone, che ha i pantaloni pisciati ma “una certa fierezza nello sguardo”, e regala massime che colpiscono nel profondo la protagonista. Cosa vuoi che ti dica? Ci lavorerei un pochino.
Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
8Grazie @bezzicante della lettura approfondita e delle riflessioni
Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
9@Monica ha scritto: Nei corridoi della clinica c’è un sentore di disinfettante che non riesce a coprire quello di urina e malattia.Non so, non mi convince il termine malattia riferito al sentore. Forse meglio carne malata?
@Monica ha scritto: Il bianco della divisa le dona. Snella e atletica, gli occhi chiari, i capelli ricci e vagamente ramati raccolti in una coda alta che mette in risalto un collo da modella di Modigliani. E poi, cosa non di poco conto, gode la stima del giovane dottor Fiestri ( cosa non di poco conto) e, prima o poi, conquisterà anche quella della dottoressa Landi, primario del repartoEliminerei questa parte oppure la inserirei dopo dottor Fiestri
@Monica ha scritto: Il primo incarico dopo la laurea e, dopo neppure un anno, si è già fatta notare più di certe infermiere che lavorano nella clinica da una vita.Mi sembra che non giri benissimo, suggerirei: Al suo primo incarico dopo la laurea, passato appena un anno, si è già fatta notare più di certe infermiere che lavorano nella clinica da una vita.
@Monica ha scritto: «Guardi, Teresa, non le sto chiedendo di accusare nessuno. Solo di prestare attenzione e riferirmi se vede qualche comportamento inappropriato. Posso contare sulla sua discrezione?»Ho un dubbio: forse volevi evidenziare una tachicardia o una frequenza cardiaca veloce? Oppure l'impassibilità di Teresa che di fronte ai fatti non si fa coinvolgere emotivamente? Mi sembra di aver letto che il ritmo sinusale può significare un normale battito cardiaco
Pum pum. Pum pum. Pum pum. Ritmo sinusale.
@Monica ha scritto: Teresa ha imparato a memoria la frase di George Bernard Shaw e la lezione insita in quelle parole. Nell’intimità della stanza da bagno, la ripete ogni mattina a voce bassa davanti allo specchio lasciando il rubinetto della doccia aperto. Con la voce attenuata dallo scrosciare dell’acqua, scandisce le parole una a una sgranandole come un rosario mentre i ricordi, densi come vapore, saturano l’ambiente. Si avvicina allo specchio per disegnare un fiore col dito. Resta a fissare l’immagine finché quella di scioglie in lacrime che rigano la superficie.Molto bello.
@Monica ha scritto: Lei si frugò in tasca, ma non ci trovò altro che il solito panino; una specie di medicina.Non ho compreso bene il punto e virgola che precede la frase. Forse sarebbe meglio aggiungere: e una specie di medic... oppure se la medicina è riferita al panino vedrei i due punti dopo panino.
@Monica ha scritto: Mi spiace, non ho spiccioli.” Tirò fuori dalla tasca il cartoccio unto “Possiamo dividerci questo, se ti va.”Sostituirei con soldi, non avere spiccioli potrebbe anche lasciare intendere che si possiedono solo banconote di grosso taglio
@Monica ha scritto: La donna tira su col naso: «Lo prenda. Sono sicura che mia madre avrebbe (avuto) piacere che lo avesse lei.
@Monica ha scritto: L’apprezzava molto, sa? C’è modo e modo di lavorare…» le porge la copia di “Ogni tramonto è un’alba” da cui l’anziana, negli ultimi tempi, non si separava mai.Il fatto che avesse questo libro lascia intendere che la signora si stava preparando alla fine, però donarlo alla infermiera mi sembra un po' forzato. Gusto personale.
«Grazie, lo apprezzo molto. Era buona come un angelo la sua mamma. Ha fatto una morte santa, mi creda.»
@@Monica piacere di rileggerti. Un racconto molto denso di stimoli e riflessioni. Scritto molto bene con delle belle atmosfere. L'idea del quaderno regalato con la frase di Shaw è efficace anche se eccezionale, come il fatto che le abbia cambiato la vita. (Se penso ai sedicenni di oggi...) Ma considerando la particolarità di Teresa, il suo disagio e sensibilità che la distingue dalla norma, è affascinante l'idea del suo cambiamento.
Una dolce serial killer convinta di porre fine alle sofferenze dei pazienti ormai in fase critica? Ma di fronte all'eventualità di riproporrre lo stesso gesto con la figura dell'uomo che le ha cambiato la vita, va in crisi.
Un racconto che fa pensare ed è molto plausibile che si ispiri a una storia vera.
Forse il fatto che si sospettino delle morti in corsia e poi la situazione sembra cadere nel nulla risulta un po' strano. Spesso le persone più insospettabili sono le potenziali colpevoli e credo che la polizia lo sappia. In questi casi, quando c'è un sospetto vengono piazzate microcamere dappertutto, per monitorare tutti. Ma lei fa in temo ad andarsene prima. Potrebbe esserci un seguito?
Sempre bello leggerti.
Re: [Lab16] Mentre il cielo si spegne
10Grazie @Kasimiro per le tue utilissime segnalazioni. Diciamo che il racconto non è “maturo”, ci devo lavorare ancora 
