Traccia n°3 Non è così che finirà e lo hai sempre saputo
Ottobre 2024
Bina è seduta con il plaid sulle ginocchia, guarda vecchie foto e sussurra: «Era davvero bella, mia madre.»
Novembre 1952
«Marì, fatemi due etti di mortadella. Ah,» sospira l’uomo, «entrare qui mi mette sempre di buon umore. Marì, ve l’ho già detto che il vostro sorriso per me è un raggio di sole?»
«Don Arturo, me lo dite tutti i santi giorni.» L’affettatrice intanto sibila, zing zing, e le fette di mortadella rosa e dal profumo intenso cascano dolcemente sulla carta oleata.
«Siete la mia croce e la mia delizia», riprende scherzosamente don Arturo.
«Don Artù, eccovi la mortadella. Sono cinquanta lire.»
«Fatemi un altro sorriso, così me ne vado più contento.»
«Don Artù, io il sorriso ve lo faccio, ma tutti questi complimenti è meglio che li andiate a fare a vostra moglie.»
«A mia moglie? A quella sono caduti altri tre denti, e chi la può guardare più? Mamma mia, c’è da prendersi uno spavento.» Ridono insieme della battuta.
«Don Artù, ecco la mortadella. Andate e che Dio vi benedica, voi e vostra moglie.»
«A domani, Marì.»
«Troppi salumi vi fanno male, don Artù. Badate a non esagerare.» E lo accompagna alla porta con il suo solito sorriso gentile.
La salumeria è un porto di mare, sulla piazza, dirimpetto alla chiesa, rende oro.
Maria è la migliore bottegaia che un cliente possa desiderare: pesa tutto onestamente, ha il camice bianco sempre pulito, la pazienza dei santi e prezzi buoni.
Entra Rosa: «Marì, il caciocavallo ti è arrivato?»
«No, Rosa, ma se ti fermi dieci minuti magari arriva. Lo aspetto per stamattina, di solito Nunzio lo porta verso quest’ora.»
«Allora aspetto.»
«Come sta tua sorella?»
«E come deve stare? A suo figlio Vincenzo è arrivata la cartolina militare.»
«Oh Gesù, e come faranno ora?»
«Eh, bella domanda. Chi glielo dice a quelli che Vincenzo è l’unico a portare il pane a casa?
«So che se un ragazzo è l’unico sostentamento della famiglia, lo esonerano dal servizio militare.»
«Vero, ma solo se è figlio unico di madre vedova. Carmela il marito ce l’ha, e se quello beve e non è in grado di guadagnarsi da vivere, allo Stato non gliene frega niente. È la legge, e la legge è uguale per tutti.»
«Già, uguale per tutti, peccato però che non tutti siamo uguali. Guarda, c’è Nunzio.»
«Buongiorno, belle signore.»
«Buongiorno, Nunzio, ti aspettavamo» dice Maria.
«E io non vedevo l’ora di arrivare, che qua dentro si trova il paradiso.» E, posata la cassetta con il formaggio sul bancone, allarga le braccia in un gesto di beatitudine.
Servita Rosa, Maria si mette a fare i conti della settimana con Nunzio. Nemmeno lui si risparmia, come don Arturo, in complimenti, ma Maria a quelli risponde con: «I bambini stanno bene?» Un modo per richiamarlo al suo dovere di padre, pur non risparmiando sorrisi clementi, perché lei non mortifica nessuno. Sa come tenere a bada i corteggiatori, senza bisogno di fare la scontrosa.
È bella, se ne compiace anche, ma Turi e sua figlia Bina sono la cosa che ha più cara al mondo.
Uscito Nunzio, Maria si trova in tasca un biglietto con su scritto Ti aspetto al vecchio mulino alle 13,30. So che in questo periodo non torni a casa perché Turi lavora all’oleificio e la bambina pranza dai nonni.
«Oh Gesù, cos’è sto biglietto?» E lo strappa senza nemmeno rileggerlo.
Spera che non presentarsi all’appuntamento sia già una risposta chiara e inequivocabile.
La giornata trascorre con il ritmo di sempre, quel biglietto, però, l’ha messa in ansia. Maria si rimprovera di non aver fatto in tempo a capire se la scrittura era quella di Nunzio oppure di don Arturo; gli unici uomini entrati nella mattinata. Sebbene non conosca la grafia di don Arturo, conosce bene quella di Nunzio.
Di ciò che è accaduto non ne parla con Turi, non vuole dargli pensieri per una cosa da niente. Se la cosa dovesse ripetersi, non si lascerà sfuggire l’occasione per individuare il colpevole di un’avance tanto sfacciata, senza mettere di mezzo gli uomini di famiglia.
La storia del biglietto si ripete per tre giorni di fila con la stessa dicitura. Deve escludere Nunzio, che nei due giorni a seguire non ha consegnato formaggi, ma deve escludere anche don Arturo, perché il terzo giorno, nemmeno lui è entrato in negozio.
Il quarto giorno il biglietto dice qualcosa di diverso Ti aspetto al solito posto come ogni giorno. Non è così che finirà e lo hai sempre saputo.
Maria ha deciso di parlarne la sera stessa con Turi. Qualcuno la sta importunando ed è ora che la smetta. È in ansia, non è facile spiegare certe cose agli uomini, specie al proprio marito. Deve trovare le parole giuste, soprattutto deve fidarsi dell’amore che provano reciprocamente. Gli ostacoli li hanno sempre avuti; Maria si è trovata contro anche la suocera, Troppo bella per essere anche una buona moglie, ha sempre detto al figlio.
È l’ora di chiusura. Maria ha in tasca l’ultimo biglietto, che mostrerà a Turi. Fuori piove a dirotto e in negozio entra il suocero, don Antonio.
Un uomo burbero con il viso sempre avvampato dalla couperose; comanda ancora a bacchetta i suoi tre figli maschi, nonostante siano diventati uomini sotto le bombe. Proprio Turi, finita la guerra, è stato capace di tornare a piedi da Roma a Palermo.
«Marì, visto il tempaccio, Turi mi ha mandato a prenderti.»
Maria ha già sistemato tutto per la chiusura e ha appeso il camice al gancio: «Vado a lavarmi le mani e usciamo.» Pensa al biglietto che ha lasciato nella tasca e che deve recuperare prendendo le chiavi per chiudere il negozio: anche quelle le tiene sempre nella tasca del camice come gli ha insegnato proprio il suocero: “Non le posare mai, tienile sempre addosso.”
Quando si gira per uscire dal bagno, si spaventa. Trova don Antonio a sbarrarle la strada, ha le braccia aperte e le mani appoggiate agli stipiti della porta; gli occhi ridotti a una fessura, le narici allargate, sembra stia per metterle mani addosso.
Le mani, Maria le nota, in una vede le chiavi del negozio, nell’altra il biglietto anonimo.
«Ho preso le chiavi per chiudere e guarda cosa ho trovato!» dice l’uomo. Poi, con malo garbo, l’afferra per un braccio e la trascina via.
Sarà difficile spiegare che lei non c’entra nulla, che non ha fatto niente. Il temporale infuria, e la difesa di Maria è solo un pianto irrefrenabile.
Quando la cacciano da casa, non le fanno nemmeno abbracciare la sua amata bambina, e suo marito non l’accompagna neppure con uno sguardo.
Bina, oggi.
Accarezza la foto: «Avevo vent’anni e un giorno un’amica mi ha chiesto: “Qual è stato il dolore più grande della tua vita?” Non ci avevo mai riflettuto prima, ma mi venne spontaneo rispondere: “La separazione dei miei.”
Era uno di quei periodi in cui una forma subdola di depressione mi afferrava la testa fingendosi emicrania. Episodi cominciati poco dopo lo strappo da mia madre e che negli anni sono diventati ricorrenti. In forma acuta durano giorni, altre volte solo poche ore.
I miei nonni paterni, con i quali sono rimasta a vivere la mia vita da “orfana”, hanno cercato di riparare con le prediche ciò che loro stessi hanno guastato.
Nel tentativo di offrirmi aiuto dall’esterno, trovavano sempre qualcuno che con “i giusti consigli” avrebbe dovuto guarirmi; in realtà faceva le stesse prediche dei nonni senza farmi progredire di un passo.
Oggi che ho ottant'anni e la vita non mi ha risparmiato difficoltà, pur concedendomi qualche gioia, nulla è cambiato.
Da sempre sogno di incontrare mio padre e mia madre oltre quel tunnel che alcuni hanno intravisto prima di risvegliarsi dal coma; immagino di trovarli ad aspettarmi con il sorriso sulle labbra, prendermi per mano e incamminarci insieme per le vie del paradiso. Finalmente liberi dalle maldicenze che hanno perseguitato mia madre, liberi dal potere che mio nonno ha esercitato su mio padre, liberi dalla mentalità ottusa che negli anni ’50 ci ha obbligati a non essere più famiglia.»
Alza gli occhi, guarda la badante; quella sfaccenda e canticchia distratta.
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
3Adel J. Pellitteri ha scritto: Novembre 1952Un bell'incipit per quel periodo storico. Penso sia ambientato in Sicilia, o comunque nel meridione, vero?
«Marì, fatemi due etti di mortadella. Ah,» sospira l’uomo, «entrare qui mi mette sempre di buon umore. Marì, ve l’ho già detto che il vostro sorriso per me è un raggio di sole?»
Adel J. Pellitteri ha scritto: «Don Artù, ecco la mortadella. Andate e che Dio vi benedica, voi e vostra moglie.»Oltre all'uso del Don, anche l'uso del "voi" me lo fa pensare.
Adel J. Pellitteri ha scritto: La salumeria è un porto di mare, sulla piazza, dirimpetto alla chiesa, rende oro.Dopo "mare" ti suggerisco i due punti, che precedono una spiegazione.
Adel J. Pellitteri ha scritto: «So che virgola se un ragazzo è l’unico sostentamento della famiglia, è esonerato lo esonerano dal servizio militare.»suggerimenti
Adel J. Pellitteri ha scritto: Sa come tenere a bada i corteggiatori, senza bisogno di rendersi antipatica fare la scontrosa.mi pare renda meglio il concetto
Adel J. Pellitteri ha scritto: La giornata trascorre con il ritmo di sempre, quel biglietto, però, l’ha messa in ansia.Per dare una pausa maggiore alla frase nel punto culminante, dopo "sempre" metterei un punto e virgola.
Adel J. Pellitteri ha scritto: non vuole dargli pensieri per una cosa da niente. Se la cosa dovesse ripetersi,Meglio usare un sinonimo per non ripeterti: ad esempio, usare un'inezia nella prima parte.
Adel J. Pellitteri ha scritto: deve escludere anche don Arturo, perché virgola il terzo giorno, nemmeno lui è entrato in negozio.
Adel J. Pellitteri ha scritto: Il quarto giorno il biglietto dice qualcosa di diverso Ti aspetto al solito posto come ogni giorno. Non è così che finirà e lo hai sempre saputo.Brava! Un bel colpo di scena che il lettore non si aspetta!
Adel J. Pellitteri ha scritto: Quando si gira per uscire dal bagno, si spaventa. Trova don Antonio a sbarrarle la strada, ha le braccia aperte e le mani appoggiate agli stipiti della porta; gli occhi ridotti a una fessura, le narici allargate, sembra stia per metterle mani addosso.Tempi duri per i diritti delle donne. Quante ingiustizie come questa si saranno perpetrate... Hai reso molto bene la triste fine di questa storia.
Le mani, Maria le nota, in una vede le chiavi del negozio, nell’altra il biglietto anonimo.
«Ho preso le chiavi per chiudere e guarda cosa ho trovato!» dice l’uomo. Poi, con malo garbo, l’afferra per un braccio e la trascina via.
Sarà difficile spiegare che lei non c’entra nulla, che non ha fatto niente. Il temporale infuria, e la difesa di Maria è solo un pianto irrefrenabile.
Quando la cacciano da casa, non le fanno nemmeno abbracciare la sua amata bambina, e suo marito non l’accompagna neppure con uno sguardo.
Hai scelto di non rivelare il nome di quel vile corteggiatore. Forse non si è mai saputo, chissà. Comunque, la tua scelta è plausibile. Inoltre, con le tue premesse, nessuno si aspetta il lieto fine o la condanna del colpevole.
Adel J. Pellitteri ha scritto: I miei nonni paterni, con i quali sono rimasta a vivere la mia vita da “orfana”, hanno cercato di riparare con le prediche ciò che loro stessi hanno guastato.Ben scritto!
Adel J. Pellitteri ha scritto: trovavano sempre qualcuno che con “i giusti consigli” avrebbe dovuto guarirmi; in realtà costui faceva le stesse prediche dei nonni senza farmi progredire di un passo.
Adel J. Pellitteri ha scritto: mar ott 15, 2024 11:55 amOggi che ho ottant'anni e la vita non mi ha risparmiato difficoltà, pur concedendomi qualche gioia, nulla è cambiato.Ecco, nel finale non capisco il fatto che Bina paragoni l'affetto che nutre per il padre (che ha cacciato sua moglie senza colpe) a quello per la madre. Il padre avrebbe dovuto credere alla versione della moglie (se l'avesse amata) e dimostrarsi abbastanza uomo da non subire lo strapotere del nonno (pater familias in carica). Poi, perché dici che la Bina passa coi nonni paterni la sua vita da "orfana". Ma stava anche col padre, vero?
Da sempre sogno di incontrare mio padre e mia madre oltre quel tunnel che alcuni hanno intravisto prima di risvegliarsi dal coma; immagino di trovarli ad aspettarmi con il sorriso sulle labbra, prendermi per mano e incamminarci insieme per le vie del paradiso. Finalmente liberi dalle maldicenze che hanno perseguitato mia madre, liberi dal potere che mio nonno ha esercitato su mio padre, liberi dalla mentalità ottusa che negli anni ’50 ci ha obbligati a non essere più famiglia.»
Alza gli occhi, guarda la badante; quella sfaccenda e canticchia distratta.
Avevano cacciato la madre, sospetta adultera, per indegnità, ma viveva col genitore. O sbaglio?
Cara @Adel J. Pellitteri. Intanto sono contenta che ci sia anche tu, che non sempre riesci a partecipare ai Contest.
Questo è il secondo di fila cui partecipi. Wow!
A me sembra, il tuo racconto, un'ottima idea sullo sviluppo della traccia del biglietto anonimo. Sei stata davvero brava e la tua costruzione originale e in linea coi tempi trattati. Complimenti!
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
4Adel J. Pellitteri ha scritto: «Eh, bella domanda. Chi glielo dice a quelli che Vincenzo è l’unico a portare il pane a casa?Qui vanno chiusi i caporali
Adel J. Pellitteri ha scritto: Troppo bella per essere anche una buona moglie, ha sempre detto al figlio.Occhio al corsivo qui
Ciao @Adel J. Pellitteri e grazie per aver condiviso questo racconto. Non ho molto da dire, lo trovo costruito bene, mi è piaciuto. Personalmente non ho sentito molto l'impatto emotivo, a parte tristezza e amarezza per la situazione. Qual è il punto di vista tematico della storia? Come mai la narrazione segue questo ordine, qual è il legame tra gli elementi raccontati?
Trovo il tuo racconto molto bello per le scene mostrate e per come vengono mostrate; il consiglio è di focalizzarti sul tema della storia.
A presto!
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
5Poeta Zaza ha scritto: Poi, perché dici che la Bina passa coi nonni paterni la sua vita da "orfana". Ma stava anche col padre, vero?Grazie @Poeta Zaza, sempre attenta nelle revisioni, vado a sistemare punteggiatura e altro. Il racconto aveva bisogno di qualche carattere in più, ma io mi ostino sempre a rientrare negli 8.000, piuttosto che sfruttare i 16.000 (con il tempo che passo a snellire farei prima a lasciarmi andare). Se sono riuscita a partecipare è grazie a una coincidenza incredibile. Proprio domenica sono stata a pranzo da Bina (sì hai letto bene: da Bina, che ha 80 anni ma non vive con il paid sulle gambe, fa ancora pranzi memorabili) e parlavamo della storia di sua madre e del biglietto che il suocero le trovò in tasca. Sì, questa è una storia vera che, proprio da domenica, sto pensando di fare diventare un romanzo. Ovviamente il racconto postato è una super sintesi buttatta giù in due giorni. Maria (vero anche il nome dei protagonisti) non è stata creduta da nessuno, nemmeno dai suoi stessi famigliari (genitori e sorelle). Turi, nonostante l'amore che provava per lei (si erano messi d'accordo per scappare insieme con i loro figli, che erano due e non una sola), ha ceduto alle "suppliche della madre" che lo scongiurava di non fidarsi di "quella donna" troppo bella. Ovviamente c'è tantissimo da raccontare. La traccia, ha acceso un faro nella mia testa, mi è sembrato che Maria (che non c'è più) mi stesse spronando verso l'idea del romanzo. Non so spiegarlo bene.
Avevano cacciato la madre, sospetta adultera, per indegnità, ma viveva col genitore. O sbaglio?
Cara @Adel J. Pellitteri. Intanto sono contenta che ci sia anche tu, che non sempre riesci a partecipare ai Contest.
Questo è il secondo di fila cui partecipi. Wow!
A me sembra, il tuo racconto, un'ottima idea sullo sviluppo della traccia del biglietto anonimo. Sei stata davvero brava e la tua costruzione originale e in linea coi tempi trattati. Complimenti!
Hai ragione quando dici di non comprendere come Bina possa aver "perdonato" il padre che non ha saputo imporsi contro i suoi; lei, Bina, è vissuta dai nonni. Un singol, a quei tempi, non avrebbe saputo occuparsi fisicamente dei piccoli.
A beneficio del racconto avrei dovuto aggiunere che Bina, nella morte, vorrebbe ritrovarsi all'età di otto anni e incamminarsi con i suoi genitori, per riprendere e proseguire la vita che si è interrotta in quel lontano 1952.
Mina ha scritto: Ciao @Adel J. Pellitteri e grazie per aver condiviso questo racconto. Non ho molto da dire, lo trovo costruito bene, mi è piaciuto. Personalmente non ho sentito molto l'impatto emotivo, a parte tristezza e amarezza per la situazione. Qual è il punto di vista tematico della storia? Come mai la narrazione segue questo ordine, qual è il legame tra gli elementi raccontati?@Mina grazie anche a te per l'attenta lettura. Come avrai letto sopra, l'impulso ha fatto il suo gioco.
Trovo il tuo racconto molto bello per le scene mostrate e per come vengono mostrate; il consiglio è di focalizzarti sul tema della storia.
A presto!
Mina ha scritto: Qual è il punto di vista tematico della storia?qui devi darmi una mano: il mio intento era quello di parlare del dolore irreparabile di Bina, che resta vivo e nostalgico: inascoltato anche oggi. Ho provato a raccontarlo attraverso un "presente storico". Gli eventi dovevano servire a spiegare la fonte di tanta tristezza e malinconia. Se non ci sono riuscita, e ho messo in confusione il lettore, sono nei guai, ma se hai apprezzato le descrizioni, posso anche sentirmi a buon punto. Alla storia ci lavorerò.
Grazie.
Come sempre, i vostri commenti sono di vitale importanza.
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
6@Adel J. Pellitteri
Alla luce delle tue spiegazioni, avrei fatto come te! E davvero, ancor di più se è una storia vera, c'è di che sviluppare per sviscerare tutta la storia, compreso il proseguimento della (di certo triste) vita di Maria, la principale vittima dell'ignorante cattiveria dei suoi suoceri e dei suoi tempi. Hai i mezzi per farcela, e hai un'arzilla signora Bina che può recuperare altro su questa triste storia. Se lei fosse d'accordo, nell'ottica di riabilitare la memoria della mamma, foss'anche solo sulla gazzetta del suo paese, a beneficio dei compaesani e loro eredi. Una bella cosa, in memoria della sfortunata Maria.
Alla luce delle tue spiegazioni, avrei fatto come te! E davvero, ancor di più se è una storia vera, c'è di che sviluppare per sviscerare tutta la storia, compreso il proseguimento della (di certo triste) vita di Maria, la principale vittima dell'ignorante cattiveria dei suoi suoceri e dei suoi tempi. Hai i mezzi per farcela, e hai un'arzilla signora Bina che può recuperare altro su questa triste storia. Se lei fosse d'accordo, nell'ottica di riabilitare la memoria della mamma, foss'anche solo sulla gazzetta del suo paese, a beneficio dei compaesani e loro eredi. Una bella cosa, in memoria della sfortunata Maria.
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
7Ciao @Adel J. Pellitteri, ho letto il tuo racconto e "mi è volato". Ho pensato non raggiungesse nemmeno la metà dei caratteri minimi consentiti. Decisamente mi sarebbe piaciuto saperne di più. Mi hai lasciata con una sensazione di fame, sarà anche per la mortadella, il mio affettato preferito.
Sul finale noto una trama meno attenta:
Mi sfugge.
Trovo il racconto scorrevole e interessante.
Traccia fedelmente rispettata.
Buon contest
Sul finale noto una trama meno attenta:
Adel J. Pellitteri ha scritto: Nel tentativo di offrirmi aiuto dall’esterno, trovavano sempre qualcuno che con “i giusti consigli” avrebbe dovuto guarirmi; in realtà faceva le stesse prediche dei nonni senza farmi progredire di un passo.A chi ti riferisci? Psicologici? Persone di chiesa? È un' inserzione che stride, non mi dà nessuna informazione e mi chiedo perché il padre non figuri per nulla nella crescita della bambina.
Adel J. Pellitteri ha scritto: Da sempre sogno di incontrare mio padre e mia madre oltre quel tunnel che alcuni hanno intravisto prima di risvegliarsi dal coma
Adel J. Pellitteri ha scritto: Alza gli occhi, guarda la badante; quella sfaccenda e canticchia distratta.Qui sono andata in confusione. Perché citi il coma? Per un attimo ho pensato che Bina si trovasse in questo stato, ma inizi dicendo che è seduta guardando le foto e concludi con lei che guarda l'assistente.
Mi sfugge.
Trovo il racconto scorrevole e interessante.
Traccia fedelmente rispettata.
Buon contest
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
8@Modea72 grazie per il commento, il racconto avrebbe avuto bisogno di un maggiore respiro, me ne rendo conto.
Non ho citato il padre perchè volevo raccontare il dolore di Bina per essere strappata alla madre, e in fondo anche al padre, visto che lei rimane con i nonni. Ma sono d'accordo con te, la figura paterna meritava qualche frase dedicata.
Modea72 ha scritto: Qui sono andata in confusione. Perché citi il coma? Per un attimo ho pensato che Bina si trovasse in questo stato, ma inizi dicendo che è seduta guardando le foto e concludi con lei che guarda l'assistente.In grassetto ho evidenziato la parte che forse ti è sfuggita.
Mi sfugge.
Non ho citato il padre perchè volevo raccontare il dolore di Bina per essere strappata alla madre, e in fondo anche al padre, visto che lei rimane con i nonni. Ma sono d'accordo con te, la figura paterna meritava qualche frase dedicata.
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
9Poeta Zaza ha scritto: @Adel J. Pellitterispero di riuscire a farlo
Alla luce delle tue spiegazioni, avrei fatto come te! E davvero, ancor di più se è una storia vera, c'è di che sviluppare per sviscerare tutta la storia,
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
10Ciao @Adel J. Pellitteri .
Il tuo racconto è scritto dannatamente bene, al netto dei troppi don Arturo, Don Artù con cui fai cominciare il dialogo d'inizio.
Perfetta la pizzicheria anni '50, si vede e si sente chiaro il profumo della mortadella. Intrigante il guaio che metterà fine al paradiso, col suo velo di malinconia e mistero, con appena qualche indizio sparso qua e là, giusto per lasciarci la voglia di saperne di più.
Già, 7852 caratteri, ce n'erano ancora un mucchio ma tu niente, ti sei fermata. Perché?
Va bene, Hitchcock diceva che la suspense è tutta basata sull'uso di...
Però, lasciatelo dire, sei stata brava, ma proprio cattiva
Il tuo racconto è scritto dannatamente bene, al netto dei troppi don Arturo, Don Artù con cui fai cominciare il dialogo d'inizio.
Perfetta la pizzicheria anni '50, si vede e si sente chiaro il profumo della mortadella. Intrigante il guaio che metterà fine al paradiso, col suo velo di malinconia e mistero, con appena qualche indizio sparso qua e là, giusto per lasciarci la voglia di saperne di più.
Già, 7852 caratteri, ce n'erano ancora un mucchio ma tu niente, ti sei fermata. Perché?
Va bene, Hitchcock diceva che la suspense è tutta basata sull'uso di...
Però, lasciatelo dire, sei stata brava, ma proprio cattiva
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
11aladicorvo ha scritto: Ciao @Adel J. Pellitteri .Grazie per il tuo commento, sì la ripetizione di don Artù don Artù infastidisce un po', il fatto è che quando scrivo recito la scena e mi veniva spontaneo ripetere "don Artù", don Artù; mi veniva fuori con il tono di un leggero rimprovero e sentivo che poteva starci, invece...
Il tuo racconto è scritto dannatamente bene, al netto dei troppi don Arturo, Don Artù con cui fai cominciare il dialogo d'inizio.
Perfetta la pizzicheria anni '50, si vede e si sente chiaro il profumo della mortadella. Intrigante il guaio che metterà fine al paradiso, col suo velo di malinconia e mistero, con appena qualche indizio sparso qua e là, giusto per lasciarci la voglia di saperne di più.
Già, 7852 caratteri, ce n'erano ancora un mucchio ma tu niente, ti sei fermata. Perché?
Va bene, Hitchcock diceva che la suspense è tutta basata sull'uso di...
Però, lasciatelo dire, sei stata brava, ma proprio cattiva
Che sono cattiva lo so lascio il lettore sempre affamato, come i cuochi della nuovelle cousin
Grazie davvero
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
12Ciao @Adel J. Pellitteri mi è piaciuta tantissimo la parte del racconto Novembre1952, mentre ho trovato la parte finale un po’ monca. Mi spiego, la storia è talmente scritta bene e coinvolgente che avrei voluto viverla ancora un po’. Forse un po’ troppo spiegata la tirata finale di Bina! Splendida la frase finale. Bravissima, come sempre.
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
13@Monica ha scritto: Forse un po’ troppo spiegata la tirata finale di BinaSì, avrei potuto sfruttare meglio le altre 8000 battute a disposizione. Grazie per l'apprezzamento
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
14Ciao @Adel J. Pellitteri , sono rimasto clamorosamente indetro con i commenti di questo MI, ma piano piano voglio lasciare il mio parere a tutti.
Eccomi finalmente anche da te, pertanto.
Bello, davvero bello il nucleo principale del racconto, ambientato nel 1952. Atmosfere giuste e tutto molto visivo, secondo me.
Hai usato la frase imposta sfruttandola al meglio per creare la suspense che suggeriva.
Molto espressivo questo passaggio:
E, insomma, un racconto al quale manca un tassello fondamentale (ammesso che non ci sia già e sia io a non averlo colto): quello che faccia della vera storia di Maria un ricordo proprio di Bina. Forse ottomila caratteri erano davvero troppo pochi, ma servirebbe una trovata per far sì che quei fatti del novembre '52 siano patrimonio della memoria di Bina. Tipo (scusa se è banale, ma al volo non mi vengono idee migliori) che quelle vecchie foto facciano parte di un diario, o di un "grumo" di ricordi, o di una lettera con il racconto diretto della madre, scritto senza speranza alla figlia che ha dovuto abbandonare, dei quali Bina viene in possesso (ma in che modo?). Allora sì, la ferita mai davvero rimarginata si potrebbe riaprire con prepotenza e la parte "Bina, oggi" diverrebbe, narrativamente, il racconto in diretta del riaccendersi di tutto il dolore, di tutte le "emicranie", e le due parti di racconto risulterebbero una l'inevitabile conseguenza dell'altra all'interno di uno stesso racconto che coerentemente le contiene.
Non so se sono riuscito a spiegarmi, né se tu possa condividere queste elucubrazioni.
Nonostante alla fine mi manchi qualcosa, questo è un racconto che mi è piaciuto e la cui esclusione mi ha fatto soffrire al momento della scelta dei voti da assegnare.
A rileggerti.
Eccomi finalmente anche da te, pertanto.
Bello, davvero bello il nucleo principale del racconto, ambientato nel 1952. Atmosfere giuste e tutto molto visivo, secondo me.
Hai usato la frase imposta sfruttandola al meglio per creare la suspense che suggeriva.
Molto espressivo questo passaggio:
Adel J. Pellitteri ha scritto: comanda ancora a bacchetta i suoi tre figli maschi, nonostante siano diventati uomini sotto le bombe.Il salto all'oggi, pur ben fatto, mi ha lasciato un po' perplesso per motivi di costruzione narrativa (perdonami se faccio un po' il pignolo): la parte che riguarda Maria è raccontata con grande precisione e, proprio per questo, si scolla un po' da quella su Bina che non può conoscere la storia della madre con così tanto dettaglio. Ecco: non so se è solo la mia lettura, ma non mi pare che Bina possa averla appresa dalla madre, anche se, lo ammetto, nulla di ciò che hai scritto consente al lettore di supporre che Bina non abbia mai più incontrato Maria. Però è proprio questa la sensazione che mi lasci: a Bina non sono rimaste che poche foto e pochi (ma intensi) ricordi di bambina, riguardo sua madre. È l'incipit a lasciarmi questa sensazione. Vero anche che essendo Bina già molto anziana, è perfettamente lecito supporre che abbia avuto modo di vivere, da adulta, una volta affrancatasi dalla famiglia paterna, anche con la madre e che ora Maria non ci sia più per ovvi motivi anagrafici e biologici. Però l'esordio del racconto, con il riferimento (chiaramente carico di nostalgia) a vecchie foto (che a me fanno presupporre che Bina non ne possegga di più recenti, ergo non abbia mai potuto scattarne alla propria madre in tempi successivi), mi ha spinto a interpretare la separazione come definitiva e irreparabile. Ecco perché, secondo me, Bina non può conoscere la vera storia di Maria, ecco lo "scollamento" che percepisco: sono due racconti distinti, nei quali io, lettore, beneficio di un'onniscienza che trovo poco utile, se non per "gustarmi", separatamente, le due storie che sono il dramma di Marì e il dramma di Bina (che è "solo" quello della separazione dalla madre, della rottura dela famiglia e dell'aver subito menzogne più o meno indistinte, che però non le rivelano la crudele ingiustizia che il racconto di Maria svela al lettore). Che me ne faccio (di questa onnisicenza)? Non mi sento più vicino a Bina, non sento nemmeno troppo realistico il racconto nel suo complesso, sebbene sia intriso di forte e per altro credibile realismo (il finale amarissimo, con il tema del narrare, per necessità, senza nemmeno essere ascoltati mi ha colpito davvero tanto).
E, insomma, un racconto al quale manca un tassello fondamentale (ammesso che non ci sia già e sia io a non averlo colto): quello che faccia della vera storia di Maria un ricordo proprio di Bina. Forse ottomila caratteri erano davvero troppo pochi, ma servirebbe una trovata per far sì che quei fatti del novembre '52 siano patrimonio della memoria di Bina. Tipo (scusa se è banale, ma al volo non mi vengono idee migliori) che quelle vecchie foto facciano parte di un diario, o di un "grumo" di ricordi, o di una lettera con il racconto diretto della madre, scritto senza speranza alla figlia che ha dovuto abbandonare, dei quali Bina viene in possesso (ma in che modo?). Allora sì, la ferita mai davvero rimarginata si potrebbe riaprire con prepotenza e la parte "Bina, oggi" diverrebbe, narrativamente, il racconto in diretta del riaccendersi di tutto il dolore, di tutte le "emicranie", e le due parti di racconto risulterebbero una l'inevitabile conseguenza dell'altra all'interno di uno stesso racconto che coerentemente le contiene.
Non so se sono riuscito a spiegarmi, né se tu possa condividere queste elucubrazioni.
Nonostante alla fine mi manchi qualcosa, questo è un racconto che mi è piaciuto e la cui esclusione mi ha fatto soffrire al momento della scelta dei voti da assegnare.
A rileggerti.
Re: [MI 184] Ti aspetto al solito posto
15@queffe
Ben trovato, meglio tardi che mai. Ci tenevo al tuo commento (oltre a quello di tutti, ovviamente), quindi un super grazie. Ti sei spiegato più che chiaramente. La colpa dello scollamento è solo mia. Come ho già detto, si tratta di una storia vera. In effetti Bina, diventata adulta e affrancatasi dalla famiglia di origine del padre, ha avuto modo di ascoltare la verità dalla stessa bocca di Maria; solo che io, peccando di estrema parsimonia nello spendere i caratteri a disposizione, ho confinato la storia entro gli 8000. Voglio salvare il racconto, che avete apprezzato, quindi aggiungerò un paio di frasi al fine di rendere più comprensibile e credibile l'onniscienza.
Ormai ho deciso di farlo diventare un romanzo, la storia ha dei risvolti incredibili (non tutti positivi) per i tanti personaggi che si sono manifestati anche in seguito.