Traccia: Ricchezze
«Guardare le stelle mi fa sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che rappresentano le città e i villaggi su una cartina. Perché, mi chiedo, i puntini luminosi del cielo non possono essere accessibili come quelli sulla cartina della Francia?»
Vincent Willem van Gogh, Lettere a Theo
«Willem, mi ricevi?» Theodorus vedeva l’immagine del fratello tremolare davanti al vetro del casco.
«Sì, ciao, Theo».
«Non stavi già dormendo, vero?»
«Come?»
«Stavi dormendo?»
«Ah! No, tranquillo. Comunque la connessione non è molto stabile, dove sei?»
Un sorriso stanco increspò il volto barbuto di Thedorus. «Uno dei miei posti preferiti sulla Luna». Alzò la testa all’immensa cupola di vetro. Quello che vedevano i suoi occhi, lo vedevano anche quelli del fratello. Il cielo scintillava di stelle chiare, verdi, gialle, bianche, rosa chiaro. Oltre il vetro e lo scheletro metallico che lo reggeva, si stagliava il monte Malapert, e dalla sua vetta partiva l’ascensore spaziale, lunghissimo e luminoso. Si perdeva nello spazio fino a sparire alla vista e, oltre, una palla azzurra galleggiava nel nero. La Terra. Theo alzò un dito a indicarla. «Laggiù ci sei tu».
Si sedette sulla piattaforma metallica. Vasto davanti a lui, sotto la cupola e sotto il cielo stellato, un lago d’acqua dolce si stendeva nero e placido. Le lampade di controllo sparse tutte attorno, gialle e verdi, proiettavano sulla superficie lunghe lame di luce.
Theodorus guardò il volto di Willem in trasparenza sul proprio casco: era in ammirazione, la bocca leggermente aperta. Percepiva tutto quello che il fratello stava percependo: la connessione neurale lo trasmetteva direttamente al cervello, grazie ai chip sottopelle.
«Che posto è?»
«È una riserva d’acqua, l’unica accessibile in atmosfera protetta e non direttamente sotto gli specchi solari. Quando le cisterne sono piene ma continuiamo a fondere ghiaccio, è qui che viene mandata l’acqua in eccesso. È Johanna che se ne occupa, mi permette di venire anche quando è chiuso ai nostri colleghi, come favore personale. Mi rilassa: mi ricorda casa, e le luci di Arles che si riflettono nel Rodano.»
Willem annuì. «Non avrei detto che anche tu fossi in grado di rilassarti». Dopo qualche attimo di contemplazione, interruppe il silenzio. «Come va il lavoro?»
Il volto di Theodorus si incupì. «In generale, bene. La domanda di elio-3 continua a crescere; vogliono costruire una nuova centrale a fusione nucleare in Francia, l’avrai letto.»
«Sì, devo avere visto qualcosa».
«Già». Fece per aggiungere altro, poi tacque. «Ma non ti ho chiamato per parlare di me. Dimmi di te, come stai? Hai dipinto qualcosa di nuovo?»
«Sì, qualcosina».
«Poi voglio vedere. Hai comprato gli impianti nuovi per il tuo chip?»
«Non ancora. Ho provato a dipingere un nuovo odore, e riesco anche con gli impianti vecchi. Non riesco a scolpire la musica come vorrei, però.» Willem dipingeva in realtà virtuale: usava la neurostimolazione per dipingere visioni, suoni, odori, gusti e ogni nuovo senso che il chip potesse simulare nella mente umana.
«Sei riuscito a vendere qualcosa?»
«Non ancora, no, niente». Evitò lo sguardo del fratello.
«Ma i miei soldi ti stanno arrivando regolarmente?»
«Sì...»
«E per cosa li usi, se non hai comprato il chip nuovo?»
«Be’, sai, ho comunque una vita, una casa da mantenere, e tutto il resto».
«E tutto il resto».
«Sì. Te l’ho detto tante volte, se non vuoi mandarmi niente, posso guadagnarmi da vivere io, ne sono più che capace.»
«Non è questo il punto. Cosa li terrei a fare? Qui non me ne faccio niente, al villaggio lunare c’è tutto quello di cui ho bisogno.»
Willem espirò rumorosamente e si passò una mano tra i capelli. «Sei proprio fortunato, Theo».
«Fortunato? Sai benissimo quanto ho lavorato per arrivare qui. Se questa è una fortuna... E poi, adesso...»
«Perché io non ho mai fatto niente, vero?» Lo interruppe Willem.
«È che non hai mai avuto abbastanza forza di volontà. Tu potresti ottenere molto di più. Potresti diventare famoso, se sfruttassi il tuo talento.»
«Non ruota tutto attorno a fare carriera e guadagnare sempre più soldi, sai?»
«Già, è molto più importante piangersi addosso e aspettare che il tempo passi da sé, vero?»
«Scusami se non sono intelligente quanto te, o un duro lavoratore quanto te».
«Non è questo il punto. Non puoi restare ad aspettare l’ispirazione, o il miracolo, o il momento magico in cui la vita inizia a ruotare come vuoi tu e tutto quanto si mette a posto da solo. Devi farne qualcosa, il tempo non è clemente. Sei vivo, sei sano, tu, hai una casa, hai tutto quello che ci vuole per farcela.»
«E allora qual è, il punto? Se mi hai chiamato per farmi questi discorsi, davvero, riprenditi i tuoi soldi e riattacca».
«Ma che c’entra? Ti ho chiamato per farti vedere questo posto. Sia mai che ti venga qualche idea per dipingere. Ora stai zitto un attimo e goditi questo silenzio. Pensa a dipingere questo freddo, e dipingere questa umidità. Volevo solo ricordarti quanto è bello essere vivi.» Fece una breve pausa, poi aggiunse, in un sussurro: «Non ti ho chiamato per litigare. Non oggi.»
Tacquero entrambi e guardarono le luci colorate che ballavano sull’acqua sotto la notte stellata. Poi, lento e con fatica, Theodorus riprese a parlare: «I medici dicono che è stata la radiazione del vento solare. Pensano che c’entri anche la polvere lunare, ma non sono sicuri.»
«Che cosa?»
«Mi vogliono rispedire sulla Terra per le cure. Ma non voglio tornare.»
«Di che stai parlando?»
«Cosa tornerei a fare? Sono stati chiari, è incurabile.» Le parole avevano preso a fuoriuscire come l’acqua del Rodano che rompe gli argini, e Theodorus rischiava di annegarvi. «Vorrebbe dire solo vedere la mia vita prolungata un po’, e per cosa? Vedere i miei soldi venire buttati in cure inutili? È per questo che ho lavorato tutti questi anni? La gioia che avevo quando ho iniziato non so più dove sia finita. Speravo di ritrovare in questo lago il bambino che sognava le stelle quando da piccoli io e te giocavamo sulla riva del Rodano. Non voglio morire, Willem. Avevo così tanti sogni, e ora niente ha più importanza. Tutto quello che ho messo da parte... Tutto quello che sono... Andrà a te. È già scritto nel testamento.» Si alzò in piedi. «Tu non hai dei sogni che hai paura di perdere? Dei sogni per cui vuoi lottare?»
Gli occhi di Willem erano arrossati dalle lacrime. «Theo... Torna a casa, ti prego. Se i medici possono curarti, allora...»
«Smettila». Provò a sorridere per rassicurare il fratello, ma non ce la fece più e scoppiò in lacrime, e distolse lo sguardo da Willem. «Non prenderti in giro». Tirò su col naso. «È questo che mi ha sempre fatto arrabbiare di te. Non accetti la realtà, e quando ti si presenta davanti, tu non reagisci. Non ci sono vie di uscita, ormai ho deciso.» Alzò le mani a togliersi il casco. «Ti sto per regalare una visione unica nell’universo. Vedi di dipingerla bene, e vedi di diventare famoso.» Si tolse la tuta.
«Theo, aspetta!»
L’aria era fredda e umida. Oltre la cupola di vetro, oltre il cratere Shackleton, oltre il monte Malapert, c’era la Terra, e il Rodano che luccicava sotto le stelle, e Willem nella sua casa dalle pareti gialle affacciata sul tratto di fiume incanalato ad Arles. Theodorus saltò, e il suo corpo ruppe la superficie perfetta dello specchio d’acqua, che si chiuse sopra la sua testa, gelida e nera.
Fece qualche possente bracciata, dritto verso il fondo. Uno, due, tre. L’orecchio interno scricchiolava per la pressione. Giù. L’ossigeno iniziava mancare, ma Theodorus non ne voleva sapere di tornare in superficie. Giù, giù, ancora più giù. Il cervello voleva aria, e lo fece inspirare in modo irrazionale, e i polmoni si riempirono d’acqua e presero a bruciare. Le gambe si mossero e iniziarono gli spasmi, ma era troppo tardi. Poi si fermò. Prima che la realtà si annebbiasse del tutto, il dolore svanì, e Theo smise di condividere la morte con Willem, mentre Willem condivideva i suoi sensi con Theo.
Theodorus vedeva la camera da letto del fratello. La finestra aperta, da cui il vento caldo di fine settembre soffiava dolce, portando l’odore di Arles e del Rodano che scorreva placido oltre la strada. Udì il vociare sommesso dei passanti, turisti, coppiette e ubriachi. Oltre lo smog della città, un mare di stelle, e la Luna quasi piena, identica a decenni prima, quando quella non era la casa di Willem ma dei loro genitori, e lui passava la notte a sognare con il naso all’insù, mentre Willem giocava con la tela e le tempere e dipingeva nuove sensazioni con il chip.
Ma oltre a tutto questo, Willem gli stava trasmettendo qualcos’altro. Era caldo, struggente, e pulsava lento. Faceva male, un abisso di dolore, insopportabile per non poter raggiungere il fratello e salvarlo con le proprie mani. E calda e morbida, come seta, confortevole e profonda, la gratitudine nei confronti di Theo. Ma soprattutto, sconfinato, rovente, caleidoscopio di tutte le sfumature che può avere il cielo, dello stesso odore che ha un abbraccio fraterno dopo una lunga separazione o la coperta sotto cui da piccoli si mettevano in due quando il padre leggeva loro le storie, silenzioso ma per questo costante, l’amore nei confronti di Theo.
Le emozioni del fratello furono l’ultima cosa che Theodorus vide.
Sitografia
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