[H24] Al canto della civetta
Inviato: mar ott 29, 2024 10:05 am
Ad attendermi nella sala c’era una donna velata; mi sussurrava vecchie storie fino allo schiudersi del nuovo giorno per poi dissolversi, dentro la prima luce dell’alba.
Una notte non mi raccontò storie, ma mi diede un compito: di raccogliere ramoscelli sottili, steli d’erba, un po’ di paglia; impastarli col fango e intrecciare un nido di gazza. Impiegai una giornata intera, dopo aver osservato i nidi sul castagno al limitare del bosco, e nella notte portai il nido alla donna velata.
Domani, un’ora prima del mezzogiorno sali sul castagno e ruba un pulcino, prima che la madre ritorni.
Così ordinò.
Le portai il pulcino di gazza dentro il nido che avevo intrecciato, lei ne fu felice e spiegò come avrei dovuto nutrirlo perché crescesse sano; infatti crebbe, e mi volava sempre attorno.
La donna velata si dimenticò poi di quell’uccello, che accompagnava ogni mio giorno; e lei riprese, con la sua voce lenta e sottile, a raccontarmi le vecchie storie del mondo. Ogni notte dopo il canto della civetta, intanto che il nonno soffriva i suoi sogni.
***
Accadde in un pomeriggio di fine ottobre, quando la nebbia del cielo scendeva a confondersi con le spirali di vapore che salivano dall’erba inumidita: accadde che la mia gazza rubò l’orologio del nonno.Lui schiumava di rabbia, prese la carabina e sparò; lei cadde morta, l’orologio ancora stretto nel becco.
Il nonno se lo mise al polso e rimasticando maledizioni andò a tagliar legna; a me non importava, però una morsa tenace aveva iniziato a stringermi il petto.
Quando la civetta cantò, tornai dalla donna velata. Fu con una voce rotta dal pianto che mi spiegò quanto avrei dovuto fare la mattina dopo: aspettare che la pendola suonasse le dieci, salire sul castagno e segare il ramo più a oriente, quello che reggeva l’alveare.
Segai il ramo, l’alveare rovinò in un tonfo sordo; io rincasai.
***
Quando la pendola suonò le otto di sera e già da un po’ di tempo la morsa non stingeva più il mio petto, m’accorsi che il nonno ancora non c’era.
Ma non ci misi molto a trovarlo, lungo il sentiero che portava dritto al castagno: aveva lo sguardo sbarrato dentro il volto rigonfio, le braccia viola, il respiro pesante sostituito dal ticchettio d’un orologio da polso.