[CP13] Diceva di amarla

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Traccia n.2 "Nel Segno"
Come seppe che nella mattinata gli studenti di medicina sarebbero ritornati all’ospedale, Raffaella Òsimo pregò la caposala d’introdurla nella sala del primario, dove si tenevano le lezioni di semejotica.
La capo-sala la guardò male.
– Vuoi farti vedere dagli studenti?
– Sì, per favore; prendete me.
– Ma lo sai che sembri una lucertola?
– Lo so. Non me n’importa! Prendete me.
– Ma guarda un po’ che sfacciata. E che ti figuri che ti faranno là dentro?
– Come a Nannina, – rispose la Òsimo. – No?
Nannina, sua vicina di letto, uscita il giorno avanti dall’ospedale, le aveva mostrato, appena rientrata in corsia dopo la lezione là nella sala in fondo, il corpo tutto segnato come una carta geografica; segnati i polmoni, il cuore, il fegato, la milza, col lapis dermografico.
– E ci vuoi andare? – concluse quella. – Per me, ti servo. Ma bada che il segno non te lo levi più per molti giorni, neppure col sapone.
La Òsimo alzò le spalle e disse sorridendo:
– Voi portatemi, e non ve ne curate.
Le era tornato in volto un po’ di colore; ma era ancor tanto magra; tutta occhi e tutta capelli. Gli occhi però, neri, bellissimi, le brillavano di nuovo, acuti. E in quel lettuccio il suo corpo di ragazzina, minuscolo, non pareva nemmeno, tra le pieghe delle coperte.
Per quella capo-sala, come per tutte le suore infermiere, era una vecchia conoscenza, Raffaella Òsimo.
Già due altre volte era stata lì, all’ospedale. La prima volta, per… – eh, benedette ragazze! si lasciano infinocchiare, e poi, chi ci va di mezzo? una povera creaturina innocente, che va a finire all’ospizio dei trovatelli.
La Òsimo, a dir vero, lo aveva scontato amaramente anche lei, il suo fallo; due mesi circa dopo il parto, era ritornata all’ospedale più di là che di qua, con tre pasticche di sublimato in corpo. Ora c’era per l’anemia, da un mese. A forza d’iniezioni di ferro s’era già rimessa, e tra pochi giorni sarebbe uscita dall’ospedale.
Le volevano bene in quella corsia e avevano carità e sofferenza di lei per la timida e sorridente grazia della sua bontà pur così sconsolata. Ma anche la disperazione in lei non si manifestava né con fosche maniere né con lacrime.
Aveva detto sorridendo, la prima volta, che non le restava ormai più altro che morire. Vittima come era, però, d’una sorte comune a troppe ragazze, non aveva destato né una particolare pietà né un particolar timore per quell’oscura minaccia. Si sa che tutte le sedotte e le tradite minacciano il suicidio: non bisogna darsi a credere tante cose.
Raffaella Òsimo, però, lo aveva detto e lo aveva fatto.
Invano, allora, le buone suore assistenti s’eran provate a confortarla con la fede; ella aveva fatto, come faceva anche adesso; ascoltava attenta, sorrideva, diceva di sì; ma si capiva che il groppo che le stringeva il cuore non si scioglieva né s’allentava per quelle esortazioni.
Nessuna cosa più la invogliava a sperare nella vita: riconosceva che s’era illusa, che il vero inganno le era venuto dall’inesperienza, dall’appassionata e credula sua natura, più che dal giovine a cui s’era abbandonata e che non avrebbe potuto mai esser suo.
Ma rassegnarsi, no, non poteva.
Che se per gli altri la sua storia non aveva nulla di particolare, non era per ciò men dolorosa per lei. Aveva sofferto tanto! Prima lo strazio di vedersi ucciso il padre, proditoriamente; poi, la caduta irreparabile di tutte le sue aspirazioni.
Era una povera cucitrice, adesso, tradita come tante altre, abbandonata come tante altre; ma un giorno… Sì, anche le altre, è vero, dicevano allo stesso modo: – Ma un giorno… –e mentivano; perché ai miseri, ai vinti, sorge spontaneo dal petto oppresso il bisogno di mentire.
Ma lei non mentiva.
Giovinetta ancora, lei, certamente avrebbe preso la patente di maestra, se il padre, che la manteneva con tanto amore agli studi, non le fosse venuto a mancare così di colpo, laggiù, in Calabria, assassinato, non per odio diretto, ma durante le elezioni politiche, per mano d’un sicario rimasto ignoto, pagato senza dubbio dalla fazione avversaria del barone Barni, di cui egli era segretario zelante e fedele.
Eletto deputato, il Barni, sapendola anche orfana di madre e sola, per farsi bello d’un atto di carità di fronte agli elettori, la aveva accolta in casa.
Così era venuta a Roma, in uno stato incerto: la trattavano come se fosse della famiglia, ma figurava intanto come istitutrice dei figliuoli più piccoli del barone e anche un po’ come dama di compagnia della baronessa: senza stipendio, beninteso.
Lei lavorava: il Barni si prendeva il merito della carità...
Diceva di amarla

Il corpo
segnato e innocente,
sublimato di disperazione,
che ormai non era più suo,

ucciso.

Non per odio, beninteso.

Re: [CP13] Diceva di amarla

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Ciao @Mid comincio commentando la tua poesia, come ti hanno già detto: splendida. Ma, visto che dobbiamo anche cavillare, cavilliamo. Eliminerei il che

MidTraccia n.2 "Nel Segno"
Come seppe che nella mattinata gli studenti di medicina sarebbero ritornati all’ospedale, Raffaella Òsimo pregò la caposala d’introdurla nella sala del primario, dove si tenevano le lezioni di semejotica.
La capo-sala la guardò male.
– Vuoi farti vedere dagli studenti?
– Sì, per favore; prendete me.
– Ma lo sai che sembri una lucertola?
– Lo so. Non me n’importa! Prendete me.
– Ma guarda un po’ che sfacciata. E che ti figuri che ti faranno là dentro?
– Come a Nannina, – rispose la Òsimo. – No?
il corpo tutto segnato come una carta geografica; segnati i polmoni, il cuore, il fegato, la milza, col lapis dermografico.
– E ci vuoi andare? – concluse quella. – Per me, ti servo. Ma bada che il segno non te lo levi più per molti giorni, neppure col sapone.
La Òsimo alzò le spalle e disse sorridendo:
e non ve ne curate.lei per la timida e sorridente grazia della sua bontà pur così sconsolata. Ma anche la disperazione in lei non si manifestava né con fosche maniere né con lacrime.
che non le restava ormai più altro che morire. Vittima come era, però, d’una sorte comune a troppe ragazze, non aveva destato né una particolare pietà né un particolar timore per quell’oscura minaccia. Si sa che tutte le sedotte e le tradite minacciano il suicidio: non bisogna darsi a credere tante cose.
Raffaella Òsimo, però, lo aveva detto e lo aveva fatto.
Invano, allora, le buone suore assistenti s’eran provate a confortarla con la fede; ella aveva fatto, come faceva anche adesso; ascoltava attenta, sorrideva, diceva di sì; ma si capiva che il groppo che le stringeva il cuore non si scioglieva né s’allentava per quelle esortazioni.
Nessuna cosa più la invogliava a sperare nella vita: riconosceva che s’era illusa, che il vero inganno le era venuto dall’inesperienza, dall’appassionata e credula sua natura, più che dal giovine a cui s’era abbandonata e che non avrebbe potuto mai esser suo.









agli elettori, la aveva accolta in casa.
beninteso
Diceva di amarla

Il corpo
segnato e innocente,
sublimato di disperazione,
che ormai non era più suo,

ucciso.

Non per odio, beninteso.


Il motivo è che rallenta (ovviamente è solo una mia impressione), mentre senza la congiunzione risuona meglio la conferma: "il corpo non era più suo". 
Trovo, invece, perfetto il verso "sublimato di disperazione". Hai messo a confronto due apici: il sublime – che punta alla vetta più alta  – e la disperazione – che invece scaglia negli abissi; così facendo, hai creato un'immagine forte e convincente.
Ottima anche la chiusa, suona dissacrante, in contrapposizione al concetto di poesia stessa. Un'ironia che colpisce e rende la conclusione ancora più amara e reale. 
In conclusione: Un grido asciutto e forte che esprime appieno ciò che viviamo attualmente. 

Se Giulia potesse vedere ciò che la sua morte sta suscitando!

Re: [CP13] Diceva di amarla

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Grazie mille a @Ippolita e @Poeta Zaza per i loro gentilissimi commenti. :) 

E ad @Adel J. Pellitteri  per l'analisi.
Adel J. Pellitteri ha scritto: mar nov 28, 2023 10:11 amIl motivo è che rallenta (ovviamente è solo una mia impressione), mentre senza la congiunzione risuona meglio la conferma: "il corpo non era più suo". 
Ora che l'hai detto risulta così evidente. :facepalm: 
Non ci avevo proprio fatto caso. Concordo con te, il "che" è davvero superfluo.

Re: [CP13] Diceva di amarla

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 La poeia che hai tirato fuori dal testo rappresenta un po' la solita storia e non mi ha soddisfatta. Spiego i miei motivi. Guardo se il testo sta in piedi, metricamente intendo e poi deve smuovere. Qui, sull'argomento, non dici nulla di nuovo e da chi scrive mi aspetto molto di più. Encomiabile la tua sensibilità e l'essersi messi in gioco. La metrica va bene, a parte quel che, ma il contenuto, segue l'onda del processo mediatico creato attorno al caso di Giulia. Da chi scrive Il gevacchio, mi aspetto altro. Forse, come lettrice di poesia, sono troppo pretenziosa e, magari, mi sbaglio. Mi piace pensare che la poesia  sia  conosciuta da pochi e, mi ci metto anch'io, sia estremamente difficile da rendere e da esprimere. Siamo qui per imparare?








  

Re: [CP13] Diceva di amarla

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@confusa, grazie per il commento. :)

Hai perfettamente ragione, d'altra parte io di poesia non conosco un fico secco. :asd:

Giusto qualcosa di metrica e ritmo perché la mia prof al liceo era ossessionata. A parte quello che si studia a scuola, e forse un po' di Montale (che mi era piaciuto molto), il nulla cosmico. :fuma: 

Quindi capisco perfettamente se mi dici che il contenuto non ti soddisfa, o che il tema non è originale.
Semplicemente, non so di che scrivere. :) La poesia non è il mio mezzo, ma volevo comunque provare.

Grazie per il feedback!

Re: [CP13] Diceva di amarla

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Mid ha scritto: lun nov 27, 2023 7:47 pmDiceva di amarla

Il corpo
segnato e innocente,
sublimato di disperazione,
che ormai non era più suo,

ucciso.

Non per odio, beninteso.


Continuo a considerare la tua intuizione strepitosa: il cortocircuito finale illumina con la luce fredda del neon i versi precedenti. 
Personalmente trovo eccellente anche l'utilizzo del pronome relativo. Non solo non mi ha mai disturbato, ma dà un senso all'ellissi di parte del verbo, il passato prossimo passivo: "Il corpo ... che ormai ... è stato ucciso.
Grazie e un saluto. 
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Re: [CP13] Diceva di amarla

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@Mid

Mi è piaciuta. Il fatto che la poesia sia breve non toglie nulla anzi aggiunge alla drammaticità di quanto rappresentato.
Io non ci vedo l'attualità: hai descritto una situazione vecchia come il mondo, che c'è sempre stata e sempre ci sarà. Non c'è rimedio. Agli uomini non c'è rimedio.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [CP13] Diceva di amarla

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@Ippolita, grazie per le parole gentili.
Sarei disonesto se ti dicessi di aver inserito il "che" per il motivo che hai evidenziato.
Sono contento che suoni bene al tuo orecchio (suonava bene anche al mio, prima che me lo facessero notare :asd: ), in realtà l'avevo usato solo per evitare versi tutti accavallati gli uni sugli altri. La relativa aggiungeva un po' di varietà e "aiutava" a progredire fino al verso successivo.
O almeno così mi pareva.

@bestseller2020, sono contento che ti piaccia la chiusa. In effetti è la parte che soddisfa di più anche me.

@Alberto Tosciri:
Alberto Tosciri ha scritto: ven dic 01, 2023 5:19 pmNon c'è rimedio. Agli uomini non c'è rimedio.
Questa è una poesia a sua volta.
Cioè, tu mi lasci un commento, e poi sganci una bomba come questa. :fuma:
Se ti vengono naturali, ti invidio molto. Dico sul serio.
Sei riuscito a farmi venire i brividi con un commento. Hai un dono, te lo hanno mai detto? :)

@L'illusoillusore:
L'illusoillusore ha scritto: ven dic 01, 2023 6:19 pm:rebrilla:
  Questo è uno dei migliori commenti che abbia ricevuto qui su CdM o sul vecchio WD. :asd:

Grazie a tutti. :D

Re: [CP13] Diceva di amarla

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Mid ha scritto: ven dic 01, 2023 11:04 pmQuesta è una poesia a sua volta.
Cioè, tu mi lasci un commento, e poi sganci una bomba come questa. :fuma:
Se ti vengono naturali, ti invidio molto. Dico sul serio.
Sei riuscito a farmi venire i brividi con un commento. Hai un dono, te lo hanno mai detto? :)
Ti ringrazio, ma penso di non meritare tanta considerazione, non credere.
Ho semplicemente, tragicamente, una visione della vita amareggiata dal comportamento umano. 
Non che io sia migliore, beninteso; volevo esserlo,  ma ho dovuto mio malgrado  vivere in certe circostanze e situazioni che non auguro a nessuno e che mi hanno reso disilluso su tutto.  Da qui certe mie "uscite".

Un personaggio di un'opera teatrale di August Strindberg dice una frase che mi ha sempre profondamente emozionato, perché l'ho sentita far parte del mio essere.
Dice:
"Oh Eterno, non lascio la tua mano, la tua dura mano, prima che tu mi abbia benedetto. 
Benedici me, tua umanità che soffre, soffre per il tuo dono della vita. Me per primo che tanto ho soffero per il dolore di non poter essere quello che volevo".

Comunque ogni tanto faccio finta di essere allegro, dico io.  :)
La verità è che sono fuori posto. Anche qui.
Non fare caso a quello che dico.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
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