Le Genghe, dicembre 1261

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La Genghe, dicembre 1261

I cani diedero l’allarme e Gauzo uscì dall’ovile impugnando un falcetto.
Barduccio suppose che non li avesse riconosciuti. In mano a un contadino, anche se gracile come un agnello appena nato, un falcetto poteva rivelarsi un’arma mortale, soprattutto su di un povero prete di montagna capitombolato di sella da un mulo ignorante.
Per non dare adito a dubbio alcuno, scoprì il capo ed espose la chierica al sole.
«Ah siete voi?» constatò Gauzo.
«Il Signore sia con te, figlio mio.»
«E con il vostro spirito, domine. Come posso aiutarvi?»
Era un bravo cristiano, almeno all’apparenza. Barduccio smontò e affidò la cavezza a Bonaccorso.
«Tua moglie è in casa?»
«Sì, domine
«Bene» disse Barduccio avviandosi.
«Ma…» provò a intervenire Gauzo.
Il castellano lo interruppe sfilando la daga di un palmo dal fodero: «Taci. Il domino è qui per ordine del conte».
Gauzo imprecò sottovoce qualcosa che aveva a che fare con la Madonna e i Santi, ma mollò il falcetto e chinò il capo in segno di ubbidienza.
La porta cedette senza resistere e Barduccio attese giusto il tempo di abituare gli occhi alla penombra. Il fuoco ardeva in un cantone, dove intravvide una donna inginocchiata.
«Chiudi, ché entra il freddo, e ancora tua figlia non sta bene.»
Barduccio richiuse.
Buccabella reggeva la testa di Aloisa che, distesa sul giaciglio con una coperta sulle spalle, sorbiva da una brocca fumante.
«Figlia mia, mai la paglia vicino al fuoco!» sgridò Barduccio.
La vecchia strillò, e la malata risputò l’infuso nella brocca.
La madre mollò la testa della figlia, che ricadde con un tonfo. Buccabella sgranò gli occhi, con la paura dipinta sul viso, ma si rasserenò distendendo le rughe quando lo riconobbe.
«Aloisa ha contratto un morbo, domine, e deve stare al camino per guarire. Almeno così ha disposto Julia» mormorò.
Barduccio lesse nel suo sguardo il timore di avere parlato troppo e ne approfittò subito, burbero e solenne.
«Che intruglio le stai somministrando? Per che male è la cura? E che c’entra la mammana?»
Buccabella posò la brocca sul pavimento.
Sforzandosi di alzare il capo, Aloisa confessò con un lamento struggente: «Domine, Catelina è morta per colpa mia, e adesso finirò tra le fiamme dell’inferno».
Esausta, si riadagiò e chiuse gli occhi.
Barduccio sedette sulla panca accanto al fuoco. Per non infrangere il sigillo sacramentale, non poteva rivelare come fosse venuto a conoscenza degli eventi, ma l’ammissione della fanciulla avrebbe consentito un approfondimento. E poi, se era stato Gauzo a uccidere i conversi, poco importava cosa avrebbe intuito Buccabella.
La vecchia gli porse la brocca.
«Fiutate, domine. Radiche di genzianèla bollite nel vino» spiegò a mo’ di giustificazione.
«E alla sorella cosa è capitato?» la incalzò Barduccio.
«Ha perso sangue dalla fessa, molto sangue e con dolori al ventre. E poi è morta, e che il Signore l’abbia in gloria. L’abbiamo sepolta nel campo vicino alla pieve.»
Buccabella frignava, ma lui decise di non farsi intenerire.
«Hai chiamato la mammana perché le tue figlie erano pregne? Tu sai di non poter mentire, ché è un peccato grave raccontare frottole a un sacerdote.»
«Domine, perdono! È stato Gauzo a decidere, non io. È tutta colpa sua.»
La testa canuta tra le mani, singhiozzò disperata.
Barduccio attese che si calmasse un po’ prima di insistere.
«Figliola, erano pregne dello stesso seme o di quello di padri diversi?»
«Gauzo dice che la colpa è di quel converso dai capelli rossi, di Rufo della Cella del Monte, e dell’altro infame, che neppure so come si chiami.»
«Tu sai che sono morti entrambi?»
Buccabella smise di piangere. Il viso sconvolto in un ghigno rugoso, si alzò in piedi, e Barduccio ebbe paura che volesse mettergli le mani addosso.
«Il mio Gauzo non è un assassino. E i nostri peccati, e che il Signore ci perdoni, li abbiamo già confessati al domino Martino. Una figlia è morta, e per l’altra c’è mancato poco. Confesso, domine: abbiamo gioito ché qualcuno ha fatto giustizia al posto nostro, e il figlio di Caino e il suo compare adesso bruciano all'inferno.»

Re: Le Genghe, dicembre 1261

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Fraudolente ha scritto: dom nov 19, 2023 8:05 pmBarduccio suppose che non li avesse riconosciuti. In mano a un contadino, anche se gracile come un agnello appena nato, un falcetto poteva rivelarsi un’arma mortale, soprattutto su di un povero prete di montagna capitombolato di sella da un mulo ignorante.
Ho riletto e, a distanza di poche ore, mi sono impuntato subito in un cacofonico poteva rivelarsi.
Così, per non saper né leggere né scrivere :hihi: , suggerirei all'autore (poveraccio!) di correggere in modo più scorrevole:

Barduccio suppose che non li avesse riconosciuti. In mano a un contadino, anche se gracile come un agnello appena nato, un falcetto era un’arma mortale, soprattutto su di un povero prete di montagna capitombolato di sella da un mulo ignorante.

Re: Le Genghe, dicembre 1261

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E niente, @Fraudolente (fa anche rima).
Se dovessi avere bisogno di un alpha o un beta reader, sappi che hai appena trovato un volontario. :si:

Ero già incuriosito per i brevissimi spezzoni che avevi postato in queste settimane, ma dopo aver letto questo frammento sono ancora più convinto.

Il tuo stile è esattamente quello che piace a me: preciso, non una parola fuori posto, adatto al contesto e, in questo caso, all'epoca.

Non ho trovato refusi e non ho notato problemi né nella prosa né nella costruzione delle frasi. Dialoghi puliti, scorrevoli, incalzanti. Descrizioni essenziali ma soprattutto funzionali.

A una prima lettura direi che si nota un lavoro di lima eccezionale.

Se proprio devo trovare dei margini di miglioramento, direi che a livello linguistico puoi lavorare sul ritmo, e a livello strutturale sulla caratterizzazione.

Partiamo dal ritmo "linguistico".
La tua prosa è scorrevole ma prevedibile, se mi passi il termine.
Per dare un tono più "antico" al testo, fai largo uso di apposizioni, attributi e complementi per meglio dipingere una figura. Così il prete diventa "un povero prete di montagna", la smorfia vendicativa diventa un "viso sconvolto in un ghigno rugoso".
Tutto bene, in fondo la prosa più antica abbondava in questo genere di descrizioni.
Tuttavia, anche se l'idea è quella di rifarsi a una prosa più classica, la tua opera avrà comunque lettori moderni. E per interessare i lettori moderni ci vuole varietà. Se ogni scena un po' più lenta si sviluppa con la stessa prosa (sostantivo + aggettivi + complementi descrittivi), rischia di diventare monotona. Dovresti cercare alternative per variare un po' il ritmo. Elenchi, per esempio (nel medioevo gli elenchi erano di moda). O figure retoriche che non siano solo la similitudine.

Per quanto riguarda la caratterizzazione, quello che ho notato è che la tua prosa è così pulita da essere quasi asettica. I personaggi, come le persone, vivono di emozioni. Tanto più inusuali le vicende, tanto più le emozioni dovrebbero trasparire chiare.
Da quel che ho capito, qui c'è un indagine in corso, una famiglia che ha perso una figlia, accuse velate di stregoneria, accuse meno velate di omicidio, gente morta chissà come, il tutto condito con un accompagnatore che si comporta come i bravacci del Manzoni.
Ora, mi rendo conto che a quell'epoca la morte fosse molto più comune e quotidiana di oggi, ma la morte di una figlia è pur sempre un lutto. Eppure, né Gauzo, né Buccabella, né Aloisa sembrano provare dolore, e se lo provano non viene trasmesso a sufficienza. Gauzo impreca e bestemmia contro un piccolo sopruso, ma non si percepisce la sua rabbia. Barduccio indaga su un crimine efferato, ma non si percepisce alcuna urgenza né alcuna pressione nel suo inquisire e nei suoi pensieri. Bonaccorso mostra la daga con fare arrogante ma non si sente la pressione del suo status.
Forse è solo dovuto alla brevità del frammento, ma sento che la storia viene raccontata in maniera troppo asciutta, e non riesco a provare empatia per nessuno dei personaggi.
Se non fosse dovuto solo al fatto che il brano è troppo breve, questo è forse un elemento su cui si potrebbe lavorare.

In ogni caso, una prova superba. Spero di vedere altri brani in questa sezione. E perché no, magari di leggere il romanzo intero. ;)

A rileggerti.

Re: Le Genghe, dicembre 1261

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Mid ha scritto: mar nov 21, 2023 12:51 amPer dare un tono più "antico" al testo, fai largo uso di apposizioni, attributi e complementi per meglio dipingere una figura. Così il prete diventa "un povero prete di montagna", la smorfia vendicativa diventa un "viso sconvolto in un ghigno rugoso".
Siamo nel punto di vista del parroco, che è un bravo prete, ma che soffre perché il suo paese e la sua parrocchia stanno per essere abbandonati a causa di una frana. Il nostro è avvilito e, dato che siamo nella sua testa, si autodefinisce "un povero prete di montagna".

Il viso sconvolto in un ghigno rugoso corrisponde alla caratterizzazione del personaggio, e così il volto della vecchia viene visto dal parroco.
Mid ha scritto: mar nov 21, 2023 12:51 amI personaggi, come le persone, vivono di emozioni. Tanto più inusuali le vicende, tanto più le emozioni dovrebbero trasparire chiare.

Cerco di fare vedere l'azione con gli occhi del parroco e non entro, o almeno cerco di non entrare, nella testa degli altri personaggi, che hanno un loro vissuto che nel frammento non compare. Estrapolare un frammento dal contesto può dare l'impressione di "incompleto".

Le figlie, come nella maggior parte delle famiglie povere dell'epoca, sono viste come un problema, in quanto vanno "collocate". E le figlie di Gauzo e Boccabella, che non sono due santi, hanno già dato parecchi problemi ai genitori. 

@Mid, ti ringrazio per l'attenzione che hai dedicato alla lettura del frammento, e per i consigli, dei quali terrò conto. Se vuoi, sarò lieto di approfittare della tua offerta come alpha o beta reader. Ma ci vorrà parecchio tempo per arrivare alla fine del romanzo... 
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