La solitudine

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Ma chi è che mi telefona a quest’ora?
Oh mamma. Aspetta che cerco gli occhiali, oddio perché non ho abbassato la suoneria? Adesso si sveglia Paolo, ecco, appunto.
- No amore, dormi tranquillo, i ragazzi sono tutti a letto, deve essere la Roberta.
- La Roberta? Ma lo sa che ora è? Ma cosa caspita…
Non vedo un tubo, dove ho messo gli occhiali, madonna sto telefono, dov’è il telefono? Se non trovo gli occhiali non trovo nemmeno il telefono, eppure devono essere sul comodino, ma porca miseria, ah, meno male, eccoli tutti e due.
- Pronto?
- Valeria?
- Sì, sono io, ma lo sai che ora è? Domani Paolo lavora, cosa ti pr…
- Valeria, l’ho fatto.
Il letto sobbalza mentre l’uomo si gira nervoso nascondendo la testa nel cuscino.
- Oh Dio. Non ci posso credere.
- Senti - interviene con una trattenuta irritazione una voce dalle lenzuola - se non ti dispiace, io domani andrei a guadagnare la pagnotta, che il bar si deve aprire presto, potresti gentilmente continuare questa conversazione notturna, in sala, per esempio?
Valeria si alza, si butta automaticamente una vestaglietta sulle spalle più per fare qualcosa che altro, esce dalla stanza da letto, non parla più al cellulare , si tira su una ciocca di capelli, accende la luce e si accascia sul divano della sala.
Solo in quel momento si rende conto che anche dall’altra parte c’è silenzio. Anzi, non esattamente silenzio, facendo attenzione, ode un pianto sommesso.
- Ehi? Sei sempre li?
- Sì. Sono qui. Che brutto, oh Valeria, avevi ragione, ma come ho potuto, che schifo.
Valeria si alza, va in cucina, apre il frigo e beve a canna una sorsata d’acqua, sì che non sarà una cosa educata o raffinata, ma tanto nessuno la vede, non si accorge nemmeno di essere a piedi nudi, lei che odia che le si appiccichino i peli del cane sulla pelle.
Torna in sala, si risiede, mentre il cane, svegliato da quel andare e venire, le appoggia il muso sulle gambe e lei lo accarezza con gesto automatico.
- Eh, beh, comunque, senti.
Ma cosa mi prende? Sta poveretta mi telefona in questo stato, dopo aver fatto una minchiata galattica e io non riesco a proferire nient’altro che: eh beh?
- Se n’è già andato.
- Ma che ore sono?
- Le due passate.
- Sei sola?
Che domanda scema, come posso fare delle domande tanto stupide, certo che è sola, è tutta la vita che è sola.
Infatti:
- Sì, sono sola
- Ok, mi vesto e arrivo.

La donna torna in camera da letto, sveglia il marito.
- Senti, prendo le chiavi della macchina e vado dalla Roberta, non so a che ora torno, ci vediamo domani, tu continua a dormire.
- Lo sapevo, stai solo attenta, è tardi, vedi di non parcheggiare lontano.
- Parcheggio dove trovo, che cavolo, uh sto reggiseno che non si aggancia, ecco, fatto, ci sono. Bacio, sì sì tranquillo che non mi violenteranno nottetempo, ormai chi vuoi che mi si pigli…

Valeria sale in auto, stranamente fatica un po’ a mettere in moto, non le è usuale guidare da sola a quell’ora di notte, infine si avvia, nessun altra auto intorno a lei.
Nemmeno i semafori funzionano, rimane per un po’ ferma a un giallo lampeggiante prima di rendersi conto che non verrà mai verde, e di ripartire dandosi dell’idiota.
Come starà Roberta, in quella casa da zitella, lei che è sempre stata l’amica sola, lei che non sembrava avere dentro quel vuoto, che viveva fra sua madre e il suo lavoro, lei che non pareva dover arrivare a quella soluzione così estrema?
Valeria mica l’aveva capito, oca che è stata. Quanto vuoto aveva, povera donna, quanto buio, quanto niente. Amiche dai tempi della scuola, e Valeria come un treno in corsa le aveva riversato sopra le sue gioie, i suoi amori, le sue gravidanze i suoi parti, perfino le sue rotture di scatole alle richieste di prestazioni coniugali. Che delicatezza, che tatto, non c’è che dire.
“Roberta, com’è che mio marito c’ha sempre voglia? Io per me avrei chiuso i battenti, ma lui, cheppalle, tutte le sere sta solfa, beata te che non hai da timbrare il cartellino”.
Peccato che Roberta quel cartellino non l’aveva mai avuto, altro che timbrato.
Anni, poveri, miti, secchi, inutili, anni ad appassire così, senza motivi, non così brutta, non così sciocca, non così antipatica o ignorante.
Testimone di nozze, madrina di battesimo del primo figlio, di cresima della terza e meno male che non c’è la cerimonia della posa della medaglietta del cane.
Cazzo, Valeria non hai mai pensato alla sera, a quando lei tornava a casa, a come si sentiva sola?
Mentre tu piena di energia, di biberon, di umori, come una madonna, allattavi ora questo, ora quella, lei rimaneva lì, finita la festa, con i suoi confetti da testimone, e la sua inutile vita arida scorreva, fluiva via sterile, avvizziva dentro di lei.
(Guida bene, Valeria, che anche se è notte e il traffico è poco, le lacrime possono offuscare la vista)

Era stato un vecchio ginecologo un po’ rimbambito, ad aprire una crepa, solo una piccola frase, poche parole buttate lì e anni di difese che infine cedono.
Erano andate insieme a fare un controllo e lui con fare brusco, scrivendo la cartella clinica, aveva detto a Roberta “Beh, signora, alla sua età è difficile trovare donne vergini, comunque non si preoccupi, c’è lo speculum adatto” e lei era diventata tutta rossa. Poi finita la visita, era iniziato quel tormentone.
- Senti, Valeria, io lo chiedo a Giorgio.
- Ma sarai mica matta, Giorgio è solo il tuo collega di sportello, è sposato e non ha mai dato segni di interesse.
- Sì, ma è gentile, e se glielo chiedo come un favore me lo farà.
Non negare, Valeria, l’hai pure presa in giro, poco, sobriamente, con educazione, perfino con affetto ma come potevi resistere a non raccontare ad altre amiche (tu hai altre amiche, lei ha solo te) una cosa così colossale, così clamorosa, così fuori dal mondo?
Valeria guida nella notte, le mani strette sul volante, gli occhi che si sforzano di vedere oltre le lacrime.
Ci ha messo un po’ a capire, a intendere quale motore di solitudine potesse essere in grado di far partire quel grottesco rapporto, e comunque fino alla fine non ci ha voluto credere, troppo lontano dalla sua vita, troppo impensabile, troppo terribile.
Parcheggia, si asciuga gli occhi e rimane un momento seduta nell’auto chiusa, le mani in grembo, lo sguardo vuoto.
Poi si decide, scende e suona il campanello.
Roberta apre subito al suono del citofono, pochi gradini, la casa è senza ascensore, tanto, lei, mica deve portare su spese furibonde.
Valeria entra e si siede nella piccola cucina. E’ inquieta, si alza e si serve da sola un bicchiere di coca, intanto osserva l’amica, seduta, che la lascia fare, come per una vecchia consuetudine.
Cosa sto cercando?
Roberta se ne sta tranquilla, con un braccio appoggiato al tavolo, mentre con l’altra mano si tormenta un ciuffo di capelli. Si osserva con grande attenzione le punte dei piedi.
- Ma come è andata?
- Niente, gli ho chiesto se veniva qui ad aiutarmi con un problema al computer, poi gli ho spiegato qual era il vero problema e così gli ho detto che avevo scelto lui.
- Ma scusa, non è che uno si sente dire una cosa del genere e rimane lì, uno scappa e se ne va, dico, cerca di farti cambiare idea, non so.
- Sì, ha fatto tutto ciò. Ma io gli ho detto che avevo deciso, e o con lui o lo facevo col primo che incontravo per strada.
Valeria tace. La testa fra le mani, ascolta. Ma mentre ascolta immagina.

- E poi, alla fine, si è alzato, si è vestito, così, mi ha detto ci vediamo domani. Sembrava che avesse fretta.

Senza nemmeno rancore, disgusto, rabbia, pentimento. O un poco di pena.
“Mi ha detto ci vediamo domani”.
Sono queste le parole che suonano nelle orecchie di Valeria quando alza gli occhi verso l’amica.

Come è stato possibile.
Roberta l’osserva silenziosa.
Sono io che ti ho lasciata sola, io che ti ho fatta sentire sola, io, con la mia meravigliosa vita strombazzata davanti a te.
Era amore, quello che volevi ,e io non sapevo fare altro che darti la mia vanità.
Come hai potuto pensare di trovarlo nelle braccia di uno sconosciuto?
Come posso pensarti sola, a cercare con lui, un po’ di tenerezza?
Come posso immaginarti fra le sue braccia, senza pensieri d’amore?

Le mani di Roberta si avvicinano a quelle dell’amica, e in un lampo tutte e due capiscono.

Le mani rimangono intrecciate, Valeria sa che non ci sarà nessuna pretesa, sa che ci sarà solo quella nuova consapevolezza, e quella tenerezza non le da fastidio.
Telefona a Paolo e gli chiede di portare lui la figlia a scuola, rimarrà lì, lei, perché da quella notte Roberta non si senta più sola.


Ma chi è che mi telefona a quest’ora?
Oh mamma. Aspetta che cerco gli occhiali, oddio perché non ho abbassato la suoneria? Adesso si sveglia Paolo, ecco, appunto.
- No amore, dormi tranquillo, i ragazzi sono tutti a letto, deve essere la Roberta.
- La Roberta? Ma lo sa che ora è? Ma cosa caspita…
Non vedo un tubo, dove ho messo gli occhiali, madonna sto telefono, dov’è il telefono? Se non trovo gli occhiali non trovo nemmeno il telefono, eppure devono essere sul comodino, ma porca miseria, ah, meno male, eccoli tutti e due.
- Pronto?
- Valeria?
- Sì, sono io, ma lo sai che ora è? Domani Paolo lavora, cosa ti pr…
- Valeria, l’ho fatto.
Il letto sobbalza mentre l’uomo si gira nervoso nascondendo la testa nel cuscino.
- Oh Dio. Non ci posso credere.
- Senti - interviene con una trattenuta irritazione una voce dalle lenzuola - se non ti dispiace, io domani andrei a guadagnare la pagnotta, che il bar si deve aprire presto, potresti gentilmente continuare questa conversazione notturna, in sala, per esempio?
Valeria si alza, si butta automaticamente una vestaglietta sulle spalle più per fare qualcosa che altro, esce dalla stanza da letto, non parla più al cellulare , si tira su una ciocca di capelli, accende la luce e si accascia sul divano della sala.
Solo in quel momento si rende conto che anche dall’altra parte c’è silenzio. Anzi, non esattamente silenzio, facendo attenzione, ode un pianto sommesso.
- Ehi? Sei sempre li?
- Sì. Sono qui. Che brutto, oh Valeria, avevi ragione, ma come ho potuto, che schifo.
Valeria si alza, va in cucina, apre il frigo e beve a canna una sorsata d’acqua, sì che non sarà una cosa educata o raffinata, ma tanto nessuno la vede, non si accorge nemmeno di essere a piedi nudi, lei che odia che le si appiccichino i peli del cane sulla pelle.
Torna in sala, si risiede, mentre il cane, svegliato da quel andare e venire, le appoggia il muso sulle gambe e lei lo accarezza con gesto automatico.
- Eh, beh, comunque, senti.
Ma cosa mi prende? Sta poveretta mi telefona in questo stato, dopo aver fatto una minchiata galattica e io non riesco a proferire nient’altro che: eh beh?
- Se n’è già andato.
- Ma che ore sono?
- Le due passate.
- Sei sola?
Che domanda scema, come posso fare delle domande tanto stupide, certo che è sola, è tutta la vita che è sola.
Infatti:
- Sì, sono sola
- Ok, mi vesto e arrivo.

La donna torna in camera da letto, sveglia il marito.
- Senti, prendo le chiavi della macchina e vado dalla Roberta, non so a che ora torno, ci vediamo domani, tu continua a dormire.
- Lo sapevo, stai solo attenta, è tardi, vedi di non parcheggiare lontano.
- Parcheggio dove trovo, che cavolo, uh sto reggiseno che non si aggancia, ecco, fatto, ci sono. Bacio, sì sì tranquillo che non mi violenteranno nottetempo, ormai chi vuoi che mi si pigli…

Valeria sale in auto, stranamente fatica un po’ a mettere in moto, non le è usuale guidare da sola a quell’ora di notte, infine si avvia, nessun altra auto intorno a lei.
Nemmeno i semafori funzionano, rimane per un po’ ferma a un giallo lampeggiante prima di rendersi conto che non verrà mai verde, e di ripartire dandosi dell’idiota.
Come starà Roberta, in quella casa da zitella, lei che è sempre stata l’amica sola, lei che non sembrava avere dentro quel vuoto, che viveva fra sua madre e il suo lavoro, lei che non pareva dover arrivare a quella soluzione così estrema?
Valeria mica l’aveva capito, oca che è stata. Quanto vuoto aveva, povera donna, quanto buio, quanto niente. Amiche dai tempi della scuola, e Valeria come un treno in corsa le aveva riversato sopra le sue gioie, i suoi amori, le sue gravidanze i suoi parti, perfino le sue rotture di scatole alle richieste di prestazioni coniugali. Che delicatezza, che tatto, non c’è che dire.
“Roberta, com’è che mio marito c’ha sempre voglia? Io per me avrei chiuso i battenti, ma lui, cheppalle, tutte le sere sta solfa, beata te che non hai da timbrare il cartellino”.
Peccato che Roberta quel cartellino non l’aveva mai avuto, altro che timbrato.
Anni, poveri, miti, secchi, inutili, anni ad appassire così, senza motivi, non così brutta, non così sciocca, non così antipatica o ignorante.
Testimone di nozze, madrina di battesimo del primo figlio, di cresima della terza e meno male che non c’è la cerimonia della posa della medaglietta del cane.
Cazzo, Valeria non hai mai pensato alla sera, a quando lei tornava a casa, a come si sentiva sola?
Mentre tu piena di energia, di biberon, di umori, come una madonna, allattavi ora questo, ora quella, lei rimaneva lì, finita la festa, con i suoi confetti da testimone, e la sua inutile vita arida scorreva, fluiva via sterile, avvizziva dentro di lei.
(Guida bene, Valeria, che anche se è notte e il traffico è poco, le lacrime possono offuscare la vista)

Era stato un vecchio ginecologo un po’ rimbambito, ad aprire una crepa, solo una piccola frase, poche parole buttate lì e anni di difese che infine cedono.
Erano andate insieme a fare un controllo e lui con fare brusco, scrivendo la cartella clinica, aveva detto a Roberta “Beh, signora, alla sua età è difficile trovare donne vergini, comunque non si preoccupi, c’è lo speculum adatto” e lei era diventata tutta rossa. Poi finita la visita, era iniziato quel tormentone.
- Senti, Valeria, io lo chiedo a Giorgio.
- Ma sarai mica matta, Giorgio è solo il tuo collega di sportello, è sposato e non ha mai dato segni di interesse.
- Sì, ma è gentile, e se glielo chiedo come un favore me lo farà.
Non negare, Valeria, l’hai pure presa in giro, poco, sobriamente, con educazione, perfino con affetto ma come potevi resistere a non raccontare ad altre amiche (tu hai altre amiche, lei ha solo te) una cosa così colossale, così clamorosa, così fuori dal mondo?
Valeria guida nella notte, le mani strette sul volante, gli occhi che si sforzano di vedere oltre le lacrime.
Ci ha messo un po’ a capire, a intendere quale motore di solitudine potesse essere in grado di far partire quel grottesco rapporto, e comunque fino alla fine non ci ha voluto credere, troppo lontano dalla sua vita, troppo impensabile, troppo terribile.
Parcheggia, si asciuga gli occhi e rimane un momento seduta nell’auto chiusa, le mani in grembo, lo sguardo vuoto.
Poi si decide, scende e suona il campanello.
Roberta apre subito al suono del citofono, pochi gradini, la casa è senza ascensore, tanto, lei, mica deve portare su spese furibonde.
Valeria entra e si siede nella piccola cucina. E’ inquieta, si alza e si serve da sola un bicchiere di coca, intanto osserva l’amica, seduta, che la lascia fare, come per una vecchia consuetudine.
Cosa sto cercando?
Roberta se ne sta tranquilla, con un braccio appoggiato al tavolo, mentre con l’altra mano si tormenta un ciuffo di capelli. Si osserva con grande attenzione le punte dei piedi.
- Ma come è andata?
- Niente, gli ho chiesto se veniva qui ad aiutarmi con un problema al computer, poi gli ho spiegato qual era il vero problema e così gli ho detto che avevo scelto lui.
- Ma scusa, non è che uno si sente dire una cosa del genere e rimane lì, uno scappa e se ne va, dico, cerca di farti cambiare idea, non so.
- Sì, ha fatto tutto ciò. Ma io gli ho detto che avevo deciso, e o con lui o lo facevo col primo che incontravo per strada.
Valeria tace. La testa fra le mani, ascolta. Ma mentre ascolta immagina.

- E poi, alla fine, si è alzato, si è vestito, così, mi ha detto ci vediamo domani. Sembrava che avesse fretta.

Senza nemmeno rancore, disgusto, rabbia, pentimento. O un poco di pena.
“Mi ha detto ci vediamo domani”.
Sono queste le parole che suonano nelle orecchie di Valeria quando alza gli occhi verso l’amica.

Come è stato possibile.
Roberta l’osserva silenziosa.
Sono io che ti ho lasciata sola, io che ti ho fatta sentire sola, io, con la mia meravigliosa vita strombazzata davanti a te.
Era amore, quello che volevi ,e io non sapevo fare altro che darti la mia vanità.
Come hai potuto pensare di trovarlo nelle braccia di uno sconosciuto?
Come posso pensarti sola, a cercare con lui, un po’ di tenerezza?
Come posso immaginarti fra le sue braccia, senza pensieri d’amore?

Le mani di Roberta si avvicinano a quelle dell’amica, e in un lampo tutte e due capiscono.

Le mani rimangono intrecciate, Valeria sa che non ci sarà nessuna pretesa, sa che ci sarà solo quella nuova consapevolezza, e quella tenerezza non le da fastidio.
Telefona a Paolo e gli chiede di portare lui la figlia a scuola, rimarrà lì, lei, perché da quella notte Roberta non si senta più sola.
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