L'uomo esiste

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«In pratica ne sferri due sulla mandibola e poi uno sul fianco, così...», toglie le mani dal volante e assesta due cazzotti, il clacson suona. Poi tira un gancio sui comandi dei tergicristalli.
«Ma la smetti?»
Quasi non sento la mia voce, questo perché sono rimasto zitto per tutto il tragitto da quando Bilbo è venuto a prelevarmi a casa con la forza da uno stato comatoso al quale mi ero abbandonato da tre giorni circa, dicendomi: eh no, bello mio, tu hai detto di incontrarci per fare il delirio, ora che fai il depresso? Svegliati, dai, dai, svegliati. E quindi ho la gola tutta rinsecchita. Mi schiarisco la voce, e poi di nuovo: «ma la smetti?»
«Sei un ritardato», aggiungo.
Lui rimette le mani sul volante e inizia a fischiettare una canzone che so di conoscere ma non me la ricordo proprio mentre i tergicristalli, che non si è accorto nemmeno di aver attivato con quel colpo circolare, graffiano il parabrezza asciutto generando un ritmo che peggiora di molto le cose e intanto osservo fuori dal finestrino una serie di muri pieni di murales raffiguranti faccioni caricaturali con occhi sgranati e bocche spalancate.
Bilbo accelera; io rallento i pensieri; i volti scorrono veloci; il resto mi passa davanti sfocato; i miei occhi riescono a malapena a registrare qualcosa di indistinto (a parte una scritta che recita: IL MALE ESISTE).

C'è traffico, ma a Bilbo non interessa. Si sente molto criminale oggi e, tra uno slalom e l'altro, fa il pirata della strada figurandosi di guidare un SUV.
Il cielo è terso, lo osservo un po'.
«Ieri mi sono sparato tre ore di incontri di Tyson. È stato un grande, davvero un grande. Lo so, lo so, guardare Tyson è roba da sempliciott- LEVATI DAI COGLIONI, TI DISTRUGGO», un tipo, in una Panda con la moglie accanto, ci passa di fianco a suon di bestemmie e clacson, «e niente, però io me ne frego, ti dico. Ho visto l'incontro dove lui inizia a ringhiare, ok quello lo fa sempre, e morde l'orecchio all'avversario. Imbattibile, è il top. Poi mi sono fatto una maraton- VAFFANCULO, VECCHIO, RIMANI A CASA INVECE DI ROMPERE», altri clacson.
In realtà il cielo non è affatto terso; è ricoperto da un impercettibile strato di nuvole dal quale la luce filtra leggera, al punto da non farti abbassare gli occhi, e per questo mi infastidisce. È insidiosa, ecco.
«Poi mi sono fatto una maratona di coso, quel Conor».
«Mc Gregor», gli faccio credere che lo sto a sentire, in realtà non ascolto mai per davvero ciò che dice. Mi basta riprenderlo ogni tanto, tipo quando non si ricorda qualcosa.
«Mc Gregor?»
Ci fissiamo un attimo, lo osservo con sufficienza; ha la faccia che sembra ciccio bello, brufoli qua e là e due occhi sporgenti che, in questo momento, mi piacerebbe cavargli con due matite belle appuntite.
«Sì, demente, Mc Gregor. Si chiama Conor Mc Gregor». Rituffo lo sguardo al di là del finestrino.
«Ah, ok. Insomma mi sono visto un casino di combattimenti suoi. Meraviglia, davvero. Magro è magro ma farebbe piangere chiunque».
Ieri ho fatto uno strano sogno: mi trovo in un uno studio asettico con uno psichiatra, ci guardiamo per alcuni minuti che a me sembrano ore, dopodiché cedo e sparo la mia cartuccia: “truffatore, voyeurista, maniaco. Dico a te. Insomma, che problemi ho?” Lui continua a guardarmi per un'altra ora buona, poi si alza dicendo: “che vuole che le dica, lei è pazzo”. Mi accorgo che impugna una mazza con la quale inizia a colpire la mobilia. Tra un colpo e l'altro mi guarda tutto sudato e dice: “pazzo, completamente pazzo. Lei è sociopatico, è pazzo”. Fine del sogno.

Sono costretto a girarmi verso Bilbo perché non lo sento blaterare da dieci secondi. È tutto incupito e concentrato. Adesso andiamo a passo d'uomo.
«Senti un po'», dice allungando il braccio in direzione del mio lato indicando una vecchietta carica di sacchi della spesa, «scegliamo lei?»
Mi sporgo, di sbieco butto un occhio sul mio riflesso nello specchietto laterale badando bene che il mio sguardo risulti abbastanza truce, poi analizzo attentamente la donna.
«No, troppo facile», rispondo. Bilbo sbuffa.
Finiamo a girare lentamente attorno a un parco. C'è poca gente.
«Questo qui?»
«No».
«Lei mi sembra buona».
«Nah».
«Cosa “nah”, abbiamo detto che non deve essere per forza un maschio».
«Sei un uomo senza palle, mamma mia, che tristezza», la guardo meglio, «ma poi non vedi che ha un cane al guinzaglio? Niente cani, lo sai».
«Va bene, va bene».
Inizio a sentirmi strano; la mente è ok ma ciò che provo nel corpo è terribile, un po' come la nausea ma che ti scorre per i muscoli fin dentro le ossa.
«'Sti due? Stanno pure isolati, è perfetto».
Lui sembra un ragazzo per bene, lei pare un po' zoccola. Conversano allegramente, chissà le puttanate che si dicono. Sono molto giovani, il tipo ha la faccia di uno con un buon rendimento scolastico e dei genitori fieri (ecco la preda). Passeggiano lenti e vicini, la ragazza sembra perdersi negli occhi di lui e nei suoi discorsi (lei dovrà assistere impotente. Spero che non scappi, spero che lo ami, in qualche modo).
«Va bene», dico.
Bilbo ferma l'auto. Io infilo le mani nelle tasche della giacca dove ho nascosto due tirapugni nuovi di zecca. Esco fuori le mie zanne rivestite da nocche placcate in oro. Stringo bene i pugni davanti agli occhi. Appare una scritta infuocata che recita: due sono meglio di uno. Con quelle parole che vanno a fuoco, e i miei pugni aurei sotto, mi sembra di guardare la locandina di un film. Il breve ma incisivo riff di una chitarra elettrica si sostituisce a tutti gli altri suoni.
«Non toccare la ragazza. Solo lui. Non guardarla neanche, cazzo». E scendo.

Corro come una belva assatanata con Bilbo che prova a starmi dietro. Il ragazzo non fa neanche in tempo a girarsi che gli arriva un calcio sul ginocchio sinistro che lo fa cascare diretto. A quella velocità, e con l'aiuto della punta in ferro del mio scarpone, credo proprio che gli abbia rotto un po' di legamenti. Lei rimane immobile, per fortuna, emette giusto un gemito straziato, credo, visto che le urla del suo uomo mi arrivano fin dentro al cervello. Ora sono a cavalcioni sopra la preda, felice del fatto che non si alzerà tanto facilmente, così Bilbo non avrà occasione di provare le sue mosse da vero fighter.
«Bilbo! Guarda cosa gli combino. Questo non è un volante!» urlo come un forsennato.
Alzo il pugno destro. «Osserva bene», dico al ragazzo: ha occhi solo per me.
Gli sgancio il primo sul naso, con tutta la forza che possiedo. Sento l'osso che si spacca, dalle narici il sangue esce copioso.
La ragazza è come una statua, non potevo chiedere di meglio. Lui si porta d'istinto le mani a coprirsi il volto.
«Bilbo! Aiutami».
Il mio fedele compagno di marachelle è super efficiente; messo a ginocchioni afferra le braccia della preda e gliele immobilizza.
A quel punto non mi fermo più. Il ragazzo viene investito da una serie di colpi, uno dietro l'altro, che sferro urlando come un animale fin quando la sua faccia tumefatta diventa irriconoscibile. Il dettaglio che più apprezzo è la bocca, schiusa a metà e immobile, colma di sangue e i frammenti di denti a mollo. Bilbo è un po' deluso.
«Dai, Bilbo, che fai lì immobile, vai di calci!» Lo incito giusto per farlo divertire un po', sia mai che non partecipi la prossima volta.
Come un vero gorilla senza cervello obbedisce e inizia a sferrare calci, abbastanza deboli devo dire, puntando sempre alla faccia. Ma tanto il ragazzo è morto, penso, che idiota.
Mi alzo, le mani che grondano sangue, mi pianto di fronte alla donzella. Ormai lei non c'è più, constato, è andata, il cervello è andato; il suo corpo è tutto un tremore continuo, la bocca che reitera qualcosa come: aiut-no-lasciate-no-vi preg-no-no.
Merda, penso, non mi basta. Forse non lo amava affatto, è semplicemente terrore puro. No, non va mica bene, qui ci vuole un po' di immaginazione.
Chiudo gli occhi, entro in quella che potrebbe benissimo essere l'abitazione dei genitori della povera vittima: una tipica casa borghese da catalogo. Appena la mamma e il papà osservano le divise dei carabinieri occupare l'uscio della porta d'ingresso, sprofondano nella più totale disperazione. È mio figlio, pensa la donna, si tratta di lui, vero? È successo qualcosa a nostro figlio? Dice il padre, diretto. Forse è meglio che vi sediate, dicono gli sbirri (o almeno credo che direbbero qualcosa di simile. Non ne sono così sicuro. Forse proverebbero a confondergli un po' le idee per sondare il terreno, onde evitarsi crisi isteriche e sincopi varie proprio all'ingresso dell'abitazione, e quindi gli rifilerebbero una balla e intanto si farebbero invitare in soggiorno con tanto di caffè e poi BOOM: vostro figlio è deceduto questa mattina, è stato aggredito selvaggiamente). Ciò che accade dopo la rivelazione è un classico; uno dei due manifesta una sofferenza più pacata (do al padre questo ruolo), rimane seduto e impassibile, i suoni diventano acufeni e i pensieri sembrano formarsi a caso (a parte quelli orribili con protagonista il cadavere del figlio, tra i tanti, con la serotonina che viaggia a manetta, si insinuano robe tipo: dovrei cambiare l'olio all'auto/domani a lavoro non ci vado/ieri sera quell'arbitro non ci stava con la testa). La reazione migliore spetta alla madre, ovvio, con gli occhi sgranati all'inverosimile, con le mani, tremanti, portate alle guance e le unghie che cominciano a graffiarle e le grida diventano quelle di una banshee proprio come avrebbero dovuto essere quelle di questa troia schifosa, di fronte a me, che se ne sta a fissarmi come una scema perché teme che le possa fracassare il cranio e quasi mi viene in mente di farlo se non fosse per Bilbo che mi strattona dicendomi: «oh! Pazzo sciroccato, muoviamoci prima che 'sto posto si riempia di sbirri», mi faccio trascinare in auto e penso all'obitorio in cui dovrà recarsi la donna che la preda chiamava mamma per assicurarsi che sì quel ragazzo con la faccia che sembra un enorme grappolo spappolato d'uva nera è proprio il suo bambino e anche il padre conferma facendo sì con la testa e a quel punto chissà cos'altro pensa.
«Ma piangi? Per Dio, possibile che piangi sempre alla fine? Tu sei malato, lasciatelo dire», dice Bilbo.
Ed è vero, sto piangendo, ché in fin dei conti era quello che speravo accadesse alla fine di tutto quanto.
«Grazie, Signore, grazie! Potevo esserci io al posto di quello lì, grazie», urlo pensando che quella madre avrebbe potuto essere la mia, e diamine quanto avrebbe sofferto.
Scaccio via l'orrenda immagine e urlo a Bilbo: «avanti, cazzo, spingi il chiodo. Accelera, merda, spingi quel maledetto chiodo», come una vera star del cinema action.

È sera. Sono a casa. Accendo la tv.
Mi butto sul divano e mi concedo un po' di sano zapping. Tra un canale e l'altro adocchio lo specchio da parete alla mia sinistra, il mio riflesso mi fa ciao con la mano.
Incappo nell'ennesimo talk show, prima un telegiornale, poi un talk show. Ancora parlano di tizi pestati a sangue all'uscita di qualche discoteca. Se ne stanno belli comodi a sproloquiare su cosa è giusto e cosa è sbagliato. Si domandano perché, come è potuto accadere? Penso a quel poveraccio massacrato da un manipolo di uomini. Sì, sono uomini, bella merda, vero? Il mio riflesso sembra essere sorpreso da questa verità; si porta la mano alla bocca ridendo sotto i baffi.
Poi arriva il consueto teatro grottesco: gli altri uomini, quelli che ancora ci credono, si vestono di sani principi e sfoghi inquisitori: dobbiamo risolverla questa brutta, brutta, cosa.
Sì, risolvetela. Penso.
Attorno a me inizia a volteggiare una frase: non dargli importanza.
Vengo assalito da un terrore senza nome e comincio a sfregarmi le tempie. Dovrei parlarne con uno bravo, mi dico, come nel sogno. Dubito della mia onestà, mi immagino come un narratore inaffidabile, e l'impulso di chiamare Bilbo al cellulare (per chiedergli cosa abbiamo fatto nel pomeriggio, se ho davvero pestato un tipo) è forte. Ma non lo faccio, magari si spaventa e non mi rivolge più la parola, meglio non rischiare.
Qualcuno, nel talk show, fa riferimenti vari a tutto ciò che è violento, ne spara tante.
Allora sbraito rivolgendomi a 'sto stronzo: «Bravi, stolti, bravissimi. Toglieteci pure i nostri guerrieri con i guanti al posto delle mani, Rambo e Grand Theft Auto, e inizieremo a imitare Beep Beep e Willy il coyote. Non so quanto vi convenga, onestamente». Rido come una iena,dopodiché mi asciugo la bava dalla bocca.
Il mio riflesso applaude molto convinto.
L'orrore prende di nuovo il sopravvento perché mi ritrovo a pensare che, molto probabilmente, in tv, Beep Beep e Willy il coyote non viene trasmesso da parecchio.

Sono stufo. Spengo la tv. Mi alzo. Prendo il cellulare. Chiamo Bilbo.
«Pronto, B, che mi dici?»
«B?»
«Sì, B, cazzo, B che sta per Bilbo».
«Ma non mi hai mai chiamato B», dice lui.
«Possibile che non capisci mai nulla? Mi fai venire i nervi», quasi scoppio a piangere, trattengo le lacrime.
«Senti, è tardi, non rompermi i coglioni, ok?»
«Domani facciamo qualcosa?»
«Cosa?»
«Boh, qualcosa di divertente, ti va?»
«Va bene», risponde.
«Ok, B, a domani allora».
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