[N20-3] Madame Cristine
Posted: Fri Jan 15, 2021 11:00 pm
“Cara, la tuta che hai preso a tua mamma è davvero carina, le sta che è un amore. Dove l’hai presa?”
“C’era una svendita da Tute e Tute, se ti spicci magari ne trovi qualcuna anche tu. Ce n’era una da sera tutta di strass. Quasi quasi vengo con te che me la prendo.”
Sono seduta lì con loro all’ombra del salice, vecchia, rugosa, ma non rincoglionita. Tutina di qui, tutina di là, io non le sopportavo davvero più. E dire che di anni ne ho appena 72 eppure mi trattano come se fossi sempre in punto di morte, sorda, muta e cieca.
Io sono Madame Cristine. Il mio bordello BDSM era il più rinomato di tutta Parigi. Gestivo una scuderia di quaranta ragazze e ragazzi puliti e belli che sapevano soffrire e somministrare sofferenza con classe. Dieci stanze dotate di tutti i marchingegni più interessanti accoglievano i miei clienti 24 ore su 24. Pause pranzo deliziosamente dolorose per dirigenti stressati, casalinghe represse che si sfogavano a scudisciate finendo per farsi scopare dai loro schiavi preferiti. Gli ambienti erano meravigliosi. Potevo offrire una tradizionale sessione di sculacciate piegate sulla cattedra della scuola come anche una segreta medievale dove torturare e punire “vergini” svergognate. Il mio book di mistress, master e slave compariva nei salotti più chic di Parigi e mi facevo pagare di conseguenza.
“Mamma, vado un momento con Mireille a fare shopping. Ti termoregoli tu?”
“Si, Jacotte, vai pure. Smanetto io per la mia salute, non ti preoccupare.”
Che stesse via anche due, tre, millanta momenti. Non sopporto mia figlia Jacotte che si da tutte quelle arie da gran signora grazie al mio conto in banca. È proprio una gran figlia di puttana arrogante. L’unica cosa buona che ha fatto è stato partorire mia nipote Celine, ragazza sveglia e determinata.
Se poi Jacotte sapesse che sotto queste orrende tutine termoregolanti porto sempre il mio bustino preferito in memoria dei vecchi tempi, come minimo mi esporrebbe al sole di mezzogiorno per castigo. Dovessi essere l’ultima decrepita paladina della vanità, io non rinuncerò a questi dettagli.
Che bei tempi quando accoglievo i miei clienti uno per uno, mi informavo sui loro desideri più reconditi per poi esaudirli nei minimi dettagli.
Mi ricordo di un signore che voleva essere rapito e violentato assieme alla moglie da almeno tre uomini ben dotati. Quando hanno lasciato l’appartamento la prima volta tubavano come due piccioncini acciaccati, ma soddisfatti. Adesso la massima perversione è esporre il proprio corpo senza una di quelle malefiche tutine salvavita.
Tutto é iniziato con il vaccino della Painless. “Meno dolore per tutti, piú paradiso per ognuno” recitava lo slogan.
Gli affari andavano benissimo. Non seguivo l’attualità. Non sapevo niente del vaccino che levava il dolore per tre mesi, del successo che aveva, degli ammalati che esultavano. Nemmeno del premio Nobel al dottor Bankimchandra Subramani, creatore del vaccino, avevo sentito qualcosa.
Ero troppo impegnata a ideare nuove torture e deliziose umiliazioni per i miei clienti. E poi mi ero innamorata di Jacques. Il mio cioccolatino elegante e perfido. Lo osservavo attraverso le telecamere come somministrava il dolore ai nostri clienti, come li umiliava e li puniva con maestria. In occasioni speciali si offriva anche come slave con il suo guinzaglietto di strass che risaltava sul suo corpo ebano. Jacques era di origine etiope. Non avevo mai visto un uomo così carismatico, comandava con gli occhi. È stato il mio unico master fin quando non é diventato il padre di mia figlia.
Da quel momento in poi è andato tutto a rotoli.
Avevo ancora in mano il test della gravidanza che Jacques è entrato urlando nel mio ufficio che Claudine era morta durante una seduta con Monsieur Relotin, un master particolarmente sadico.
Il corpo martoriato pendeva immobile dalla croce di Sant’Andrea circondata da una pozza di sangue. Monsieur Relotin continuava a ripetere “Non ha detto la safeword, non l’ha detta, non l’ha detta.”
Le riprese video erano inequivocabili, sembrava che Claudine non si rendesse conto delle condizioni del proprio corpo. Continuava a incitarlo, non riuscivamo a capire cosa fosse successo. Era chiaro che lui l’avesse uccisa.
Finimmo su tutti i giornali.
Claudine era una delle prime vittime francesi dell’epidemia di CIPA scatenata dai vaccini.
Il vaccino aveva fatto furore finché alcuni pazienti non avevano sviluppato una forma altamente infettiva di CIPA.
Chi veniva colpito diventava insensibile non solo al dolore, ma anche al caldo e al freddo e non sudava nemmeno più. Anidrosi era la parola maledetta che ha bandito tutti deodoranti dai supermercati.
Quando ho partorito Jacotte, metà della popolazione mondiale era già ammalata.
Al suo primo compleanno mia figlia era CIPA positiva e pochi mesi dopo lo era anche Jacques. A me è toccato dopo due anni. Cinque anni dopo tutto il mondo a dispetto della bibbia non sudava e non soffriva più. Semplicemente si moriva senza nemmeno accorgersene.
“Ciao Nonna, come stai!”
“Celine, tesoro, come mai qui?”
“Nonna parlami della natura del dolore, per favore.”
Sono una delle poche che conserva ancora ricordi del dolore. Il dolore del parto, il dolore fisico della morte di Jacques, come se una mano mi avesse estirpato il cuore. Me lo ricordo come se fosse oggi.
Era estate. Jacques era uscito prestissimo per evitare il caldo. Lo avevano aggredito e malmenato per il suo portafogli. Si deve essere seduto sulla panchina per cercare di riprendersi e invece era svenuto sotto il sole cocente di agosto. Pareva che dormisse invece era morto di ipertermia.
Le tute termoregolatrici non erano ancora diffuse e io passavo le mie giornate a misurare la temperatura a Jacotte e farle bagni nell’acqua ghiacciata affinché non facesse la stessa fine di suo padre. Ogni sera le controllavo ogni centimetro quadrato di pelle per cercare ferite. Non la facevo correre, giocare con altri bambini e l’asilo era escluso a priori. Erano troppi i bambini che morivano per una distrazione. Il dottor Marcineau ci aveva consigliato di lasciare Parigi, di andare a vivere in una regione temperata e tranquilla.
La morte di Jacques fu come una catapulta, nel giro di una settimana mi trasferii nella casa che avevamo comperato nei Pirenei. Grazie ai guadagni della mia maison mi potevo permettere di stare a casa a crescere e controllare Jacotte. Probabilmente per questo è diventata così stronza e spocchiosa, era stata troppo a lungo al centro della mia attenzione. Il primo giorno di scuola era l’unica ad avere la nuovissima tuta termoregolatrice a tre valvole, quella che proteggeva dall’ipo- e ipertermia, quella antistrappo per evitare le ferite di cui oramai nessuno si accorgeva più e che erano le cause di morte più diffuse.
Nonostante tutte le mie attenzioni a 16 anni era incinta. Una bella beffa per una madre che del sesso aveva fatto una professione.
Cosí mentre il mondo continuava a cercare di abituarsi a vivere questa nuova dimensione di insensibilità, mia figlia partoriva senza dolore Celine. Il padre, un ragazzo suo coetaneo, era morto un mese prima. Andava di moda fare a gara di tagli. Vinceva chi se ne faceva di più e lui, più furbo degli altri, si era tagliato una vena.
Negli anni ci siamo abituati a non sudare, a non soffrire e a indossare queste tute piene di manopole che regolavano automaticamente la temperatura del corpo oltre a scansionarci regolarmente alla ricerca di eventuali ferite.
“Nonna, ti sei distratta. Ti avevo chiesto del dolore.”
“Celine, è un discorso lungo, l’abbiamo già fatto molte volte.”
“Si, ma, nonna, se possibile, tu vorresti sentire ancora male?”
Certamente lo vorrei. Vorrei sentire la puntura dell’ago, lo spigolo che mi taglia la carne, la botta dell’inciampo. Vorrei che il mio corpo mi avvertisse. Vorrei anche sudare.
Lavorare senza sudare pare di non fare niente. Vuoi mettere l’odore di un corpo sudato dopo il sesso. Vuoi mettere il piacevole brivido di una sculacciata ben assestata. Tanto sono troppo vecchia per questi piaceri, almeno ho ancora i miei ricordi.
“Certo Celine, vorrei sentire il caldo, il freddo e anche il dolore. Senza dolore non si riconosce il piacere, senza il dolore il nostro corpo non riconosce i suoi limiti. Mi piacerebbe da matti asciugarmi la fronte dopo aver lavorato nell’orto.”
Celine, a differenza della madre, era una ragazza intelligente e determinata e fin da piccola aveva una morbosa curiosità per il male fisico. Questo sistema di comunicazione del corpo la affascinava a tal punto che fu naturale per lei studiare medicina e specializzarsi in neurologia a pieni voti. Faceva parte di un team internazionale alla ricerca della cura per la CIPA.
Dopo quasi cinquant’anni nessun governo, nessuno scienziato era riuscito trovare una soluzione, era solo un rimpallarsi le responsabilità. La Painless era fallita sommersa di cause e il dottor Bankimchandra Subramani era semplicemente somparso. Soffrire fisicamente era diventato letteratura, vivevamo in una società supercontrollata fatta di spigoli arrotondati, priva di pericoli e terribilmente noiosa. Uscire in maniche corte d’inverno era il nuovo bunjee jumping.
Questo ci aveva trasformato in una società depressa e repressa.
“Abbiamo sintetizzato una proteina, pare funzioni. Le nostre cavie sentono dolore.”
“Stai scherzando?”
“No. Abbiamo inviato tutto al ministero e stiamo aspettando l’autorizzazione a procedere con la sperimentazione su gruppi di volontari.”
“Dimmi quando iniziate, che voglio esserci anch’io. Voglio tornare a provare il piacere di stare bene dopo essere stata male. Tutto questo piattume non mi si addice.”
“Nonna sei troppo vecchia, non verrai mai ammessa. Però io ho pensato a te, e anche a me. Ho due dosi, se vuoi lo facciamo assieme e vediamo cosa succede.”
Non ci penso nemmeno un istante
“Facciamolo subito, Celine, ti prego”
Percepisco la pressione dell’ago che entra sottopelle, lo stantuffo scende e io non sento ancora nulla.
“Appena entra in circolo diventa efficace. Nonna, ho un po’ paura, non so come sará.”
Vedere la grande scienziata preoccupata mi mette in agitazione, il mio cuore accelera e sento le ascelle che si inumidiscono per la prima volta dopo decenni,
Scoppio a ridere e do un pizzicotto a mia nipote che si scosta urlando stupita. Mi fa male la schiena, ma sento anche il calore del sole e questo mi riempie di gioia.
Chissà se c’è ancora qualcuno che produce deodoranti e antidolorifici?
I frustini ce li metto io!
“C’era una svendita da Tute e Tute, se ti spicci magari ne trovi qualcuna anche tu. Ce n’era una da sera tutta di strass. Quasi quasi vengo con te che me la prendo.”
Sono seduta lì con loro all’ombra del salice, vecchia, rugosa, ma non rincoglionita. Tutina di qui, tutina di là, io non le sopportavo davvero più. E dire che di anni ne ho appena 72 eppure mi trattano come se fossi sempre in punto di morte, sorda, muta e cieca.
Io sono Madame Cristine. Il mio bordello BDSM era il più rinomato di tutta Parigi. Gestivo una scuderia di quaranta ragazze e ragazzi puliti e belli che sapevano soffrire e somministrare sofferenza con classe. Dieci stanze dotate di tutti i marchingegni più interessanti accoglievano i miei clienti 24 ore su 24. Pause pranzo deliziosamente dolorose per dirigenti stressati, casalinghe represse che si sfogavano a scudisciate finendo per farsi scopare dai loro schiavi preferiti. Gli ambienti erano meravigliosi. Potevo offrire una tradizionale sessione di sculacciate piegate sulla cattedra della scuola come anche una segreta medievale dove torturare e punire “vergini” svergognate. Il mio book di mistress, master e slave compariva nei salotti più chic di Parigi e mi facevo pagare di conseguenza.
“Mamma, vado un momento con Mireille a fare shopping. Ti termoregoli tu?”
“Si, Jacotte, vai pure. Smanetto io per la mia salute, non ti preoccupare.”
Che stesse via anche due, tre, millanta momenti. Non sopporto mia figlia Jacotte che si da tutte quelle arie da gran signora grazie al mio conto in banca. È proprio una gran figlia di puttana arrogante. L’unica cosa buona che ha fatto è stato partorire mia nipote Celine, ragazza sveglia e determinata.
Se poi Jacotte sapesse che sotto queste orrende tutine termoregolanti porto sempre il mio bustino preferito in memoria dei vecchi tempi, come minimo mi esporrebbe al sole di mezzogiorno per castigo. Dovessi essere l’ultima decrepita paladina della vanità, io non rinuncerò a questi dettagli.
Che bei tempi quando accoglievo i miei clienti uno per uno, mi informavo sui loro desideri più reconditi per poi esaudirli nei minimi dettagli.
Mi ricordo di un signore che voleva essere rapito e violentato assieme alla moglie da almeno tre uomini ben dotati. Quando hanno lasciato l’appartamento la prima volta tubavano come due piccioncini acciaccati, ma soddisfatti. Adesso la massima perversione è esporre il proprio corpo senza una di quelle malefiche tutine salvavita.
Tutto é iniziato con il vaccino della Painless. “Meno dolore per tutti, piú paradiso per ognuno” recitava lo slogan.
Gli affari andavano benissimo. Non seguivo l’attualità. Non sapevo niente del vaccino che levava il dolore per tre mesi, del successo che aveva, degli ammalati che esultavano. Nemmeno del premio Nobel al dottor Bankimchandra Subramani, creatore del vaccino, avevo sentito qualcosa.
Ero troppo impegnata a ideare nuove torture e deliziose umiliazioni per i miei clienti. E poi mi ero innamorata di Jacques. Il mio cioccolatino elegante e perfido. Lo osservavo attraverso le telecamere come somministrava il dolore ai nostri clienti, come li umiliava e li puniva con maestria. In occasioni speciali si offriva anche come slave con il suo guinzaglietto di strass che risaltava sul suo corpo ebano. Jacques era di origine etiope. Non avevo mai visto un uomo così carismatico, comandava con gli occhi. È stato il mio unico master fin quando non é diventato il padre di mia figlia.
Da quel momento in poi è andato tutto a rotoli.
Avevo ancora in mano il test della gravidanza che Jacques è entrato urlando nel mio ufficio che Claudine era morta durante una seduta con Monsieur Relotin, un master particolarmente sadico.
Il corpo martoriato pendeva immobile dalla croce di Sant’Andrea circondata da una pozza di sangue. Monsieur Relotin continuava a ripetere “Non ha detto la safeword, non l’ha detta, non l’ha detta.”
Le riprese video erano inequivocabili, sembrava che Claudine non si rendesse conto delle condizioni del proprio corpo. Continuava a incitarlo, non riuscivamo a capire cosa fosse successo. Era chiaro che lui l’avesse uccisa.
Finimmo su tutti i giornali.
Claudine era una delle prime vittime francesi dell’epidemia di CIPA scatenata dai vaccini.
Il vaccino aveva fatto furore finché alcuni pazienti non avevano sviluppato una forma altamente infettiva di CIPA.
Chi veniva colpito diventava insensibile non solo al dolore, ma anche al caldo e al freddo e non sudava nemmeno più. Anidrosi era la parola maledetta che ha bandito tutti deodoranti dai supermercati.
Quando ho partorito Jacotte, metà della popolazione mondiale era già ammalata.
Al suo primo compleanno mia figlia era CIPA positiva e pochi mesi dopo lo era anche Jacques. A me è toccato dopo due anni. Cinque anni dopo tutto il mondo a dispetto della bibbia non sudava e non soffriva più. Semplicemente si moriva senza nemmeno accorgersene.
“Ciao Nonna, come stai!”
“Celine, tesoro, come mai qui?”
“Nonna parlami della natura del dolore, per favore.”
Sono una delle poche che conserva ancora ricordi del dolore. Il dolore del parto, il dolore fisico della morte di Jacques, come se una mano mi avesse estirpato il cuore. Me lo ricordo come se fosse oggi.
Era estate. Jacques era uscito prestissimo per evitare il caldo. Lo avevano aggredito e malmenato per il suo portafogli. Si deve essere seduto sulla panchina per cercare di riprendersi e invece era svenuto sotto il sole cocente di agosto. Pareva che dormisse invece era morto di ipertermia.
Le tute termoregolatrici non erano ancora diffuse e io passavo le mie giornate a misurare la temperatura a Jacotte e farle bagni nell’acqua ghiacciata affinché non facesse la stessa fine di suo padre. Ogni sera le controllavo ogni centimetro quadrato di pelle per cercare ferite. Non la facevo correre, giocare con altri bambini e l’asilo era escluso a priori. Erano troppi i bambini che morivano per una distrazione. Il dottor Marcineau ci aveva consigliato di lasciare Parigi, di andare a vivere in una regione temperata e tranquilla.
La morte di Jacques fu come una catapulta, nel giro di una settimana mi trasferii nella casa che avevamo comperato nei Pirenei. Grazie ai guadagni della mia maison mi potevo permettere di stare a casa a crescere e controllare Jacotte. Probabilmente per questo è diventata così stronza e spocchiosa, era stata troppo a lungo al centro della mia attenzione. Il primo giorno di scuola era l’unica ad avere la nuovissima tuta termoregolatrice a tre valvole, quella che proteggeva dall’ipo- e ipertermia, quella antistrappo per evitare le ferite di cui oramai nessuno si accorgeva più e che erano le cause di morte più diffuse.
Nonostante tutte le mie attenzioni a 16 anni era incinta. Una bella beffa per una madre che del sesso aveva fatto una professione.
Cosí mentre il mondo continuava a cercare di abituarsi a vivere questa nuova dimensione di insensibilità, mia figlia partoriva senza dolore Celine. Il padre, un ragazzo suo coetaneo, era morto un mese prima. Andava di moda fare a gara di tagli. Vinceva chi se ne faceva di più e lui, più furbo degli altri, si era tagliato una vena.
Negli anni ci siamo abituati a non sudare, a non soffrire e a indossare queste tute piene di manopole che regolavano automaticamente la temperatura del corpo oltre a scansionarci regolarmente alla ricerca di eventuali ferite.
“Nonna, ti sei distratta. Ti avevo chiesto del dolore.”
“Celine, è un discorso lungo, l’abbiamo già fatto molte volte.”
“Si, ma, nonna, se possibile, tu vorresti sentire ancora male?”
Certamente lo vorrei. Vorrei sentire la puntura dell’ago, lo spigolo che mi taglia la carne, la botta dell’inciampo. Vorrei che il mio corpo mi avvertisse. Vorrei anche sudare.
Lavorare senza sudare pare di non fare niente. Vuoi mettere l’odore di un corpo sudato dopo il sesso. Vuoi mettere il piacevole brivido di una sculacciata ben assestata. Tanto sono troppo vecchia per questi piaceri, almeno ho ancora i miei ricordi.
“Certo Celine, vorrei sentire il caldo, il freddo e anche il dolore. Senza dolore non si riconosce il piacere, senza il dolore il nostro corpo non riconosce i suoi limiti. Mi piacerebbe da matti asciugarmi la fronte dopo aver lavorato nell’orto.”
Celine, a differenza della madre, era una ragazza intelligente e determinata e fin da piccola aveva una morbosa curiosità per il male fisico. Questo sistema di comunicazione del corpo la affascinava a tal punto che fu naturale per lei studiare medicina e specializzarsi in neurologia a pieni voti. Faceva parte di un team internazionale alla ricerca della cura per la CIPA.
Dopo quasi cinquant’anni nessun governo, nessuno scienziato era riuscito trovare una soluzione, era solo un rimpallarsi le responsabilità. La Painless era fallita sommersa di cause e il dottor Bankimchandra Subramani era semplicemente somparso. Soffrire fisicamente era diventato letteratura, vivevamo in una società supercontrollata fatta di spigoli arrotondati, priva di pericoli e terribilmente noiosa. Uscire in maniche corte d’inverno era il nuovo bunjee jumping.
Questo ci aveva trasformato in una società depressa e repressa.
“Abbiamo sintetizzato una proteina, pare funzioni. Le nostre cavie sentono dolore.”
“Stai scherzando?”
“No. Abbiamo inviato tutto al ministero e stiamo aspettando l’autorizzazione a procedere con la sperimentazione su gruppi di volontari.”
“Dimmi quando iniziate, che voglio esserci anch’io. Voglio tornare a provare il piacere di stare bene dopo essere stata male. Tutto questo piattume non mi si addice.”
“Nonna sei troppo vecchia, non verrai mai ammessa. Però io ho pensato a te, e anche a me. Ho due dosi, se vuoi lo facciamo assieme e vediamo cosa succede.”
Non ci penso nemmeno un istante
“Facciamolo subito, Celine, ti prego”
Percepisco la pressione dell’ago che entra sottopelle, lo stantuffo scende e io non sento ancora nulla.
“Appena entra in circolo diventa efficace. Nonna, ho un po’ paura, non so come sará.”
Vedere la grande scienziata preoccupata mi mette in agitazione, il mio cuore accelera e sento le ascelle che si inumidiscono per la prima volta dopo decenni,
Scoppio a ridere e do un pizzicotto a mia nipote che si scosta urlando stupita. Mi fa male la schiena, ma sento anche il calore del sole e questo mi riempie di gioia.
Chissà se c’è ancora qualcuno che produce deodoranti e antidolorifici?
I frustini ce li metto io!