[MI185] Fratture
Posted: Sun Dec 08, 2024 7:45 pm
(Racconto commentato )
Traccia di Mezzogiorno: “Un ritorno inatteso”
[MI185] Fratture
- Ciao Gerri.
Gerardo alzò gli occhi dal tablet; Francesco era come al solito in ritardo, come al solito trafelato.
- Sì, lo so, scusa, scusa, c’era un traffico della madonna e poi…
- Ma sì, dai, adesso non farmi come Jake Blues nella scena finale, quando inventa scuse per non essersi presentato al matrimonio.
- Chi è Jake Blues?
- Lascia perdere, era una citazione da cinefili. Allora, cosa dovevi dirmi di così importante?
- Bene bene… Tu come stai?
- Ma bene, sto bene! Cosa c’entra?
- Beh, sai, per dire… È un po’ che non ci si vede.
- Senti Franci, mi pari un pochino fuori asse; e sì che per te è normale. Ci siamo visti la settimana scorsa all’assemblea scolastica, non è che sono tornato da un viaggio in Amazzonia. Mi hai chiamato per una misteriosa questione che al telefono non hai voluto dirmi. Quindi: io sto bene, grazie, mi pare anche tu, io avrei un pochino di fretta e vorrei sapere cosa dovevi dirmi. Non ti offendere, eh?
- Ma no, ma no. Scusami tu. È che… insomma… non è facilissimo. Sai, devo riferirti una cosa e non so da dove iniziare, non vorrei dire una cosa sbagliata…
- Diomio. Mi hai già sfinito. Sai qual è il modo migliore per dirmi ciò che mi devi dire? Dillo e basta.
Francesco fece una piccola smorfia, scuotendo la testa su e giù.
- Sì, certo. D’accordo. Allora, mmh… Ecco: giorni fa mi ha telefonato un tipo.
- Ok.
- Questo “tipo” mi ha chiesto di te.
- Sì…
- Mi ha chiesto di te perché sapeva di noi, capisci? Cioè, sapeva che siamo amici e pensava, insomma, ecco…
- Dai Franci, ce la puoi fare.
- Sì. Voleva che l’aiutassi a organizzare un incontro. Tutto qui.
Gerardo, viso immobile, sguardo diritto, fissa per qualche istante Francesco.
- Riepilogo. Posso?
- Eh, hai voglia!
- Un tizio sconosciuto ti ha chiamato perché voleva incontrarmi, e tu hai fatto tutta questa pippa per dirmelo.
- E per organizzare l’incontro.
- Ma questo tizio non poteva chiamare direttamente me?
- Mmh… Sì e no…
- Oh mammamia. E quando si dovrebbe fare questo incontro?
- Ora.
- Cioè? - Gerardo gira la testa a destra e sinistra, per vedere se vede qualcuno in attesa. - È qui adesso?
- Sì, è in macchina che aspetta un mio segnale.
- È uno scherzo?
- Ma no, ci mancherebbe!
- Senti Francesco, incomincio a sentirmi un po’ a disagio; mi sembra di essere in un film di spie o qualcosa del genere. È una cosa seria? Devo preoccuparmi?
- È una cosa serissima e non devi preoccuparti di nulla. Si tratta di una semplice chiacchierata con… con lui. Ho scelto apposta questo locale, qui in questo tavolino, bello e appartato, vi pigliate un tè…
- Non mi piace il tè.
- E ti piglierai qualche altra cosa! Scambi due chiacchiere…
- Guarda. Il mio disagio cresce di momento in momento. Se non ti conoscessi da vent’anni me ne sarei già andato ma ormai sono qui. Chiamalo e fallo venire. Resti anche tu, giusto?
- Mmh… No. Io mi prendo qualcosa al bancone laggiù e leggo il giornale, così non vi disturbo.
- Ecco, Gerri. Questo è il signore che ti voleva parlare. Io adesso vi lascio soli.
L’uomo introdotto da Francesco era abbastanza anziano; forse non arrivava ai settanta ma non doveva neppure esserci molto lontano. Vestiva semplicemente ma non poveramente; un soprabito pulito ma un po’ sgualcito, un vecchio Fedora color tortora, un po’ consunto nella tesa, una sciarpa di lana dai colori troppo vividi, decisamente fuori tono nell’insieme, scarpe non pulitissime; poteva essere un pensionato né povero né ricco, uno che aveva vissuto comunque a livelli dignitosi. Il viso era affilato, col naso leggermente aquilino. La barba di due giorni. Stava in piedi, davanti al tavolino dove Gerardo, per educazione, si stava alzando per salutarlo.
- No no, la prego. Non si scomodi, - fece l’uomo. Aveva una voce graffiata, bassa, con un’intonazione lenta e profonda. - Mi permette di sedere?
- Ma certo, si accomodi. Io, mi scusi, non so bene…
- Oh, certo. Lo capisco. Tutto questo mistero, quest’incontro imprevisto. Mi scuso profondamente.
- Ma no, si figuri… Immagino che adesso mi spiegherà tutto. Giusto?
- Indubbiamente. Sono qui per questo.
Dopo una pausa di qualche secondo, durante la quale Gerardo cercò di rimanere educatamente composto, al protrarsi del silenzio dell’uomo non poté fare a meno di sbottare: - Quindi?
- Mi perdoni, per me non è affatto facile. Diciamo così: io ho conosciuto suo padre.
Gerardo sentì un tuffo al cuore. Tutto avrebbe potuto pensare, ma non di trovarsi improvvisamente, faccia a faccia, coi suoi fantasmi.
- Ah!
- Già.
- Allora saprà che mio padre ci ha abbandonati; io avevo cinque anni e lui scomparve, così su due piedi. Saprà che mia madre è quasi morta di dolore, che abbiamo avuto ogni sorta di difficoltà. Questo lo sa? Quello stronzo di mio padre glie l’ha riferito?
L’uomo abbassò gli occhi. Piegò le spalle.
- Sì, mi ha detto qualcosa. Sì. Immagino, davvero, capisco che per lei sia stata dura.
- Dura? Un bimbo di cinque anni che viene abbandonato? Lei crede che sia stata, semplicemente, “dura”?
- No, no, ha ragione. Terribile, ecco. Devastante. Sì, devastante. Ma lei sa perché se ne andò?
- Nessuno lo ha capito. Lui non ha lasciato detto nulla. Ma scommetto il mio ultimo Euro che lei è qui per dirmelo.
- Infatti.
- Dopo tutti questi anni. Quel pezzo di merda ha mandato lei a darmi le spiegazioni che lui, vile, non ha saputo dirmi, che non saputo dire in faccia a sua moglie!
- È così. Ma se lei non vuole, guardi, io mi alzo e me ne vado. Lei non è obbligato a sentirmi.
Gerardo era combattuto. La rabbia, la Grande Rabbia Della Sua Vita, la frustrazione, essere abbandonato, una specie di orfano col padre in vita non si sa dove; forse le donne, forse un debito, oppure si era stancato della moglie, era annoiato dal figlio, disdegnava il paese, si sentiva superiore ai parenti e agli amici, lo stronzo, stronzo, stronzo! Ma anche la curiosità; la liberazione dai dubbi, una forse improbabile serenità, intravisibile all’orizzonte, sapere perché il padre, suo padre, l’aveva abbandonato senza una parola.
- Forza, sentiamo.
E l’uomo, col suo tono di voce lento e pacato, raccontò di un terribile fatto di sangue. Una faida in cui era incorso, lui incolpevole. Dei morti. Omicidio. Fuga. Suo padre aveva ucciso. Suo padre era fuggito per proteggere la famiglia. Non poteva dire nulla per non compromettere la loro sicurezza e aveva vagato, girato il mondo, fatti i mestieri più stravaganti, magazziniere di supermercato a Toledo, custode degli animali allo zoo di Praga, cambusiere nella rotta per Città del Capo, fabbro a Corfù. E sempre di soppiatto, sempre nell’ombra, sempre spostandosi di quando in quando per far perdere le tracce. Documenti falsi, nessuna carta di credito. Uno strazio insanabile nel cuore al pensiero della giovane moglie sola, del bambino lasciato indietro, senza poter telefonare, senza poter scrivere, perché loro, i maledetti, avrebbero fatto pressioni sulla sua famiglia, su di lui, su chiunque pur di pareggiare i conti.
L’uomo finì il racconto e si drizzò sulla sedia, guardando Gerardo con occhi di una tristezza infinita. Una lacrima scendeva sulla guancia impigliandosi nella barba non rasata.
Gerardo era immobile, di pietra. Il cuore batteva forte, gli era comparso un piccolo tic all’occhio, che sempre arrivava quando era teso.
- E ora?
L’uomo riprese la narrazione.
- Ora? Ora la gente che avrebbe potuto far del male a suo padre, a sua madre e a lei è morta. La faida è chiusa. I vecchi non ci sono più, i giovani non ricordano e non hanno più brame di vendetta. Ora suo padre è salvo, tutti siete salvi.
Gerardo annuì, mentre con pollice e indice si sfregava la base del naso, dove gli occhiali gli avevano scavato due piccole fossette.
- Salvi.
- Sì. Salvi.
- Ma a questa storia, se ho capito tutto per bene, manca un finale, giusto?
- Può darsi. Lei a cosa pensava?
- Dai papà, alzati; ti porto a casa a conoscere tua nuora e i tuoi nipoti.
Francesco li vide uscire; Gerardo teneva un braccio sulle spalle del vecchio. Sorrise fra sé e sé, guardo la barista e disse: - Senti cara, ma un bel Negroni, a quest’ora, che dici? Ci starebbe bene, no?
Traccia di Mezzogiorno: “Un ritorno inatteso”
[MI185] Fratture
- Ciao Gerri.
Gerardo alzò gli occhi dal tablet; Francesco era come al solito in ritardo, come al solito trafelato.
- Sì, lo so, scusa, scusa, c’era un traffico della madonna e poi…
- Ma sì, dai, adesso non farmi come Jake Blues nella scena finale, quando inventa scuse per non essersi presentato al matrimonio.
- Chi è Jake Blues?
- Lascia perdere, era una citazione da cinefili. Allora, cosa dovevi dirmi di così importante?
- Bene bene… Tu come stai?
- Ma bene, sto bene! Cosa c’entra?
- Beh, sai, per dire… È un po’ che non ci si vede.
- Senti Franci, mi pari un pochino fuori asse; e sì che per te è normale. Ci siamo visti la settimana scorsa all’assemblea scolastica, non è che sono tornato da un viaggio in Amazzonia. Mi hai chiamato per una misteriosa questione che al telefono non hai voluto dirmi. Quindi: io sto bene, grazie, mi pare anche tu, io avrei un pochino di fretta e vorrei sapere cosa dovevi dirmi. Non ti offendere, eh?
- Ma no, ma no. Scusami tu. È che… insomma… non è facilissimo. Sai, devo riferirti una cosa e non so da dove iniziare, non vorrei dire una cosa sbagliata…
- Diomio. Mi hai già sfinito. Sai qual è il modo migliore per dirmi ciò che mi devi dire? Dillo e basta.
Francesco fece una piccola smorfia, scuotendo la testa su e giù.
- Sì, certo. D’accordo. Allora, mmh… Ecco: giorni fa mi ha telefonato un tipo.
- Ok.
- Questo “tipo” mi ha chiesto di te.
- Sì…
- Mi ha chiesto di te perché sapeva di noi, capisci? Cioè, sapeva che siamo amici e pensava, insomma, ecco…
- Dai Franci, ce la puoi fare.
- Sì. Voleva che l’aiutassi a organizzare un incontro. Tutto qui.
Gerardo, viso immobile, sguardo diritto, fissa per qualche istante Francesco.
- Riepilogo. Posso?
- Eh, hai voglia!
- Un tizio sconosciuto ti ha chiamato perché voleva incontrarmi, e tu hai fatto tutta questa pippa per dirmelo.
- E per organizzare l’incontro.
- Ma questo tizio non poteva chiamare direttamente me?
- Mmh… Sì e no…
- Oh mammamia. E quando si dovrebbe fare questo incontro?
- Ora.
- Cioè? - Gerardo gira la testa a destra e sinistra, per vedere se vede qualcuno in attesa. - È qui adesso?
- Sì, è in macchina che aspetta un mio segnale.
- È uno scherzo?
- Ma no, ci mancherebbe!
- Senti Francesco, incomincio a sentirmi un po’ a disagio; mi sembra di essere in un film di spie o qualcosa del genere. È una cosa seria? Devo preoccuparmi?
- È una cosa serissima e non devi preoccuparti di nulla. Si tratta di una semplice chiacchierata con… con lui. Ho scelto apposta questo locale, qui in questo tavolino, bello e appartato, vi pigliate un tè…
- Non mi piace il tè.
- E ti piglierai qualche altra cosa! Scambi due chiacchiere…
- Guarda. Il mio disagio cresce di momento in momento. Se non ti conoscessi da vent’anni me ne sarei già andato ma ormai sono qui. Chiamalo e fallo venire. Resti anche tu, giusto?
- Mmh… No. Io mi prendo qualcosa al bancone laggiù e leggo il giornale, così non vi disturbo.
- Ecco, Gerri. Questo è il signore che ti voleva parlare. Io adesso vi lascio soli.
L’uomo introdotto da Francesco era abbastanza anziano; forse non arrivava ai settanta ma non doveva neppure esserci molto lontano. Vestiva semplicemente ma non poveramente; un soprabito pulito ma un po’ sgualcito, un vecchio Fedora color tortora, un po’ consunto nella tesa, una sciarpa di lana dai colori troppo vividi, decisamente fuori tono nell’insieme, scarpe non pulitissime; poteva essere un pensionato né povero né ricco, uno che aveva vissuto comunque a livelli dignitosi. Il viso era affilato, col naso leggermente aquilino. La barba di due giorni. Stava in piedi, davanti al tavolino dove Gerardo, per educazione, si stava alzando per salutarlo.
- No no, la prego. Non si scomodi, - fece l’uomo. Aveva una voce graffiata, bassa, con un’intonazione lenta e profonda. - Mi permette di sedere?
- Ma certo, si accomodi. Io, mi scusi, non so bene…
- Oh, certo. Lo capisco. Tutto questo mistero, quest’incontro imprevisto. Mi scuso profondamente.
- Ma no, si figuri… Immagino che adesso mi spiegherà tutto. Giusto?
- Indubbiamente. Sono qui per questo.
Dopo una pausa di qualche secondo, durante la quale Gerardo cercò di rimanere educatamente composto, al protrarsi del silenzio dell’uomo non poté fare a meno di sbottare: - Quindi?
- Mi perdoni, per me non è affatto facile. Diciamo così: io ho conosciuto suo padre.
Gerardo sentì un tuffo al cuore. Tutto avrebbe potuto pensare, ma non di trovarsi improvvisamente, faccia a faccia, coi suoi fantasmi.
- Ah!
- Già.
- Allora saprà che mio padre ci ha abbandonati; io avevo cinque anni e lui scomparve, così su due piedi. Saprà che mia madre è quasi morta di dolore, che abbiamo avuto ogni sorta di difficoltà. Questo lo sa? Quello stronzo di mio padre glie l’ha riferito?
L’uomo abbassò gli occhi. Piegò le spalle.
- Sì, mi ha detto qualcosa. Sì. Immagino, davvero, capisco che per lei sia stata dura.
- Dura? Un bimbo di cinque anni che viene abbandonato? Lei crede che sia stata, semplicemente, “dura”?
- No, no, ha ragione. Terribile, ecco. Devastante. Sì, devastante. Ma lei sa perché se ne andò?
- Nessuno lo ha capito. Lui non ha lasciato detto nulla. Ma scommetto il mio ultimo Euro che lei è qui per dirmelo.
- Infatti.
- Dopo tutti questi anni. Quel pezzo di merda ha mandato lei a darmi le spiegazioni che lui, vile, non ha saputo dirmi, che non saputo dire in faccia a sua moglie!
- È così. Ma se lei non vuole, guardi, io mi alzo e me ne vado. Lei non è obbligato a sentirmi.
Gerardo era combattuto. La rabbia, la Grande Rabbia Della Sua Vita, la frustrazione, essere abbandonato, una specie di orfano col padre in vita non si sa dove; forse le donne, forse un debito, oppure si era stancato della moglie, era annoiato dal figlio, disdegnava il paese, si sentiva superiore ai parenti e agli amici, lo stronzo, stronzo, stronzo! Ma anche la curiosità; la liberazione dai dubbi, una forse improbabile serenità, intravisibile all’orizzonte, sapere perché il padre, suo padre, l’aveva abbandonato senza una parola.
- Forza, sentiamo.
E l’uomo, col suo tono di voce lento e pacato, raccontò di un terribile fatto di sangue. Una faida in cui era incorso, lui incolpevole. Dei morti. Omicidio. Fuga. Suo padre aveva ucciso. Suo padre era fuggito per proteggere la famiglia. Non poteva dire nulla per non compromettere la loro sicurezza e aveva vagato, girato il mondo, fatti i mestieri più stravaganti, magazziniere di supermercato a Toledo, custode degli animali allo zoo di Praga, cambusiere nella rotta per Città del Capo, fabbro a Corfù. E sempre di soppiatto, sempre nell’ombra, sempre spostandosi di quando in quando per far perdere le tracce. Documenti falsi, nessuna carta di credito. Uno strazio insanabile nel cuore al pensiero della giovane moglie sola, del bambino lasciato indietro, senza poter telefonare, senza poter scrivere, perché loro, i maledetti, avrebbero fatto pressioni sulla sua famiglia, su di lui, su chiunque pur di pareggiare i conti.
L’uomo finì il racconto e si drizzò sulla sedia, guardando Gerardo con occhi di una tristezza infinita. Una lacrima scendeva sulla guancia impigliandosi nella barba non rasata.
Gerardo era immobile, di pietra. Il cuore batteva forte, gli era comparso un piccolo tic all’occhio, che sempre arrivava quando era teso.
- E ora?
L’uomo riprese la narrazione.
- Ora? Ora la gente che avrebbe potuto far del male a suo padre, a sua madre e a lei è morta. La faida è chiusa. I vecchi non ci sono più, i giovani non ricordano e non hanno più brame di vendetta. Ora suo padre è salvo, tutti siete salvi.
Gerardo annuì, mentre con pollice e indice si sfregava la base del naso, dove gli occhiali gli avevano scavato due piccole fossette.
- Salvi.
- Sì. Salvi.
- Ma a questa storia, se ho capito tutto per bene, manca un finale, giusto?
- Può darsi. Lei a cosa pensava?
- Dai papà, alzati; ti porto a casa a conoscere tua nuora e i tuoi nipoti.
Francesco li vide uscire; Gerardo teneva un braccio sulle spalle del vecchio. Sorrise fra sé e sé, guardo la barista e disse: - Senti cara, ma un bel Negroni, a quest’ora, che dici? Ci starebbe bene, no?