[CE24] Check your privilege
Posted: Tue Aug 06, 2024 6:22 pm
Commento:
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Traccia 2: Ma è ovvio no?
CHECK YOUR PRIVILEGE: storia semi-romanzata di una doccia fredda.
Poche volte nella vita ho fatto la doccia fredda. È una cosa che semplicemente non mi piace, ho bisogno che l’acqua sia almeno tiepida. È la mia versione di dormire con il lenzuolo quando ci sono 42 gradi fuori. Su quello non ho problemi: a volte mi stendo in mutande, in diagonale nel letto, o con braccia e gambe spalancate come una stella marina, e mi godo il fresco della notte. Ma la doccia fredda no!
La doccia più gelida che abbia mai fatto è stata di quelle metaforiche: la sensazione di brividi e imbarazzo che solo una gaffe che ti terrà sveglia di notte per i prossimi vent’anni può procurarti.
Primo anno di liceo, ultima settimana di scuola. I professori hanno rinunciato a fare lezione, anche loro non ce la fanno più in attesa delle vacanze, e ci lasciano liberi di fare conversazione, cominciare a nostro piacere i compiti estivi o scegliere un film da guardare in classe. Solo l’odiatissimo prof di Storia e Filosofia continua a proclamare a gran voce: “Si lavora fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno.”
È in questo contesto che avviene la seguente conversazione.
Bea: Il 15 luglio i miei cugini fanno una festa in piscina. Ti va di venire?
Vera: Non so se riesco. In quei giorni partiamo, ma non so di preciso quando. Appena i miei mi dicono che giorno ti faccio sapere.
Bea: Ok!
Vera: Tu quando parti?
Bea: No, rimango a Milano.
Vera: Andate via in agosto?
Bea (dopo avermi fissata per qualche secondo): No. Rimaniamo a Milano.
Vera: Tutto l’estate?
Bea: Mm-hmm.
Vera: E cosa fai?
Bea: Lunedì comincio a lavorare nel negozio con i miei cugini. Poi magari a Ferragosto andiamo a fare la giornata al mare.
Apro la bocca. Poi la richiudo. Guardo la mia amica, ma non so cosa rispondere. Una voce dentro di me mi dice che ci sto mettendo troppo a elaborare la sua risposta. Poi un pensiero si affaccia nella mia mente: toc-toc, ciao piccola borghese, mi dice, lo sai vero che non tutti se ne vanno dalla città durante l’estate per andare in vacanza?
Conosco Bea da esattamente 269 giorni, dal 12 settembre dell’anno scorso, quando la professoressa di Italiano ci stava portando per la prima volta in classe. Io fissavo i ragazzi e le ragazze che camminavano vicino a me, cercando di leggere sui loro volti tutto ciò che avrei scoperto nei mesi successivi. Quale ragazza sembrava quella più studiosa, quella con cui avrei organizzato pomeriggi di ripasso prima delle verifiche? Chi, invece, era quella con cui sarei andata alle feste per fare le matte assieme? Chi sembrava la persona adatta con cui passare una serata tranquilla, con pizza e film? Chi sarebbe stata la prima coppia a fornire un po’ di gossip alla classe? Quando il mio sguardo si è posato su Bea, lei mi ha salutata timidamente, presentandosi. La prima e ultima volta nella mia vita in cui l’ho vista timida. Io ho risposto in modo analogo. Arrivati in classe, mi sono seduta accanto a lei, seconda fila, di fianco al calorifero. In fondo era l’unica persona di cui sapevo il nome. Nei mesi successivi, Bea è diventata la mia migliore amica.
Stiamo assieme tutti i giorni a scuola, quasi ogni domenica, anche solo per il pranzo, e gran parte delle vacanze. Io la aiuto nello studio, lei mi porta a fare shopping e mi insegna a truccarmi; comunichiamo per citazioni di film e ci capiamo con uno sguardo, scoppiando a ridere per motivi che sappiamo solo noi.
Eppure, ora, scoprire che non andrà in vacanza è esattamente come fare una doccia fredda. Ogni singola domanda che mi viene in mente, mi sembra fuori luogo: Ma perché? Non hai bisogno di rilassarti? Ma ti servono soldi? Lo fai tutti gli anni? Non hai parenti da qualche parte che possono ospitarti? Ma anche i tuoi cugini?
Anche rimanere in silenzio è strano e, nel mio tentativo di trovare qualcosa da dire, continuo ad aprire e chiudere la bocca.
Alla fine, Bea comincia a ridere e a quel punto mi riprendo.
“Stai bene?” mi chiede.
“Sì, no. Scusa.”
“Non è mica una tragedia, sai’”
“Certo, certo, ma mi dispiace che non vai a fare neanche una settimana da qualche parte.”
“Eh! Sono abituata. Tanto ogni volta che un cugino si sposa andiamo giù al paese di mia mamma.”
“Quanti cugini ti rimangono che devono sposarsi?”
Bea comincia a contare sulle dita e quando supera il numero 9 scuoto la testa smarrita: sono troppo milanese!
In quella breve pausa dovuta al conteggio dei cugini, mi torna in mente una conversazione avuta un paio di giorni fa. Chiacchieravo al telefono dei programmi estivi con un amico torinese e ricordo il fastidio che avevo provato mentre lui mi elencava tutti i posto in cui andrà: sulle Dolomiti con dei nonni, in Sardegna con gli altri nonni, negli Stati Uniti con i genitori, in Grecia con degli amici di famiglia. Mentre i miei affittano ogni anno “solo” una casa in montagna per qualche settimana, che viene divisa tra noi e la nonna, a periodi alterni.
Bea ha perso il conto dei cugini, ma a quel punto riprendo la parola: “Ti va di venire a fare qualche giorno in montagna con me?”
“Con i tuoi genitori?” La punta di preoccupazione nella sua voce è del tutto giustificata, ma questa è una storia per un’altra occasione.
“Possiamo andare su con mia nonna. Te la ricordi? Vi siete conosciute a carnevale.”
“Beh, devo chiedere ai miei, ma sarebbe bello! Grazie!”
Nei giorni successivi riusciamo a convincere i genitori di Bea a lasciarla partire per cinque giorni e a fine agosto saliamo in montagna con mia nonna e la sua Panda. Sono dei giorni bellissimi. Faccio scoprire alla mia migliore amica il mio posto preferito al mondo: il paese vecchio con le sue case di pietra, le baite in quota, le camminata che faccio tutti gli anni, le mie radure segrete nei boschi. E poi alla sera mangiamo i capolavori creati da mia nonna e guardiamo la televisione, alternando film di fantascienza per me e commedie romantiche per lei. Il cielo ci regala una settimana di pieno sole e ogni giorno riesco a portare Bea in un posto nuovo, a sera non voglio mai tornare a casa. È la settimana più bella dell’estate e spero si possa trasformare in una tradizione annuale.
Tornate a Milano, passa qualche giorno senza che riusciamo a vederci: lei lavora di nuovo nel negozio della sua famiglia, per me ricominciano alcuni impegni extra-scolastici, entrambe dobbiamo finire i compiti rimandati ovviamente fino all’ultimo.
Il primo giorno della seconda liceo ci riabbracciamo e confrontiamo quanta abbronzatura ci è rimasta. Lei è ancora perfetta; io sono già tornata Biancaneve.
“Mia nonna ti manda un saluto. Le ha fatto molto piacere che ci fossi anche tu.”
“Oh! Anche a me ha fatto piacere conoscerla meglio. È davvero una grande!”
“Ha detto che l’estate prossima sei la benvenuta. Sarebbe bello tornare su assieme, no? Ci sono un sacco di camminate che non siamo riuscite a fare e ne vale veramente la pena.”
Bea non risponde subito, ma tentenna muovendo la testa a destra e a sinistra.
“Non so lo, tesoro...”
“I tuoi ti hanno fatto problemi?”
“No, no, anzi ringraziano tantissimo tua nonna e ti mandano un abbraccio! È che...”
“È che?”
“Era davvero tutto in salita...”
“Sai com’è, è montagna!”
“E poi non c’è tanto da fare.” Ripenso a tutte le cose che abbiamo fatto, alle passeggiate, i picnic, la giornata all’agriturismo. “A parte camminare... in salita.”
“Ok, l’anno prossimo ti porto in qualche posto più pianeggiante.” Aggiungo una risata un po’ forzata. Pensavo veramente che la vacanza le fosse piaciuta.
Bea mi posa entrambe le mani sulle spalle e mi guarda dritto negli occhi per avere la mia completa attenzione.
“Vera, tesoro mio, mi dispiace dovertelo dire: a me la montagna non piace.”
Apro la bocca. Poi la richiudo. Guardo la mia amica, ma non so cosa rispondere.
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Traccia 2: Ma è ovvio no?
CHECK YOUR PRIVILEGE: storia semi-romanzata di una doccia fredda.
Poche volte nella vita ho fatto la doccia fredda. È una cosa che semplicemente non mi piace, ho bisogno che l’acqua sia almeno tiepida. È la mia versione di dormire con il lenzuolo quando ci sono 42 gradi fuori. Su quello non ho problemi: a volte mi stendo in mutande, in diagonale nel letto, o con braccia e gambe spalancate come una stella marina, e mi godo il fresco della notte. Ma la doccia fredda no!
La doccia più gelida che abbia mai fatto è stata di quelle metaforiche: la sensazione di brividi e imbarazzo che solo una gaffe che ti terrà sveglia di notte per i prossimi vent’anni può procurarti.
Primo anno di liceo, ultima settimana di scuola. I professori hanno rinunciato a fare lezione, anche loro non ce la fanno più in attesa delle vacanze, e ci lasciano liberi di fare conversazione, cominciare a nostro piacere i compiti estivi o scegliere un film da guardare in classe. Solo l’odiatissimo prof di Storia e Filosofia continua a proclamare a gran voce: “Si lavora fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno.”
È in questo contesto che avviene la seguente conversazione.
Bea: Il 15 luglio i miei cugini fanno una festa in piscina. Ti va di venire?
Vera: Non so se riesco. In quei giorni partiamo, ma non so di preciso quando. Appena i miei mi dicono che giorno ti faccio sapere.
Bea: Ok!
Vera: Tu quando parti?
Bea: No, rimango a Milano.
Vera: Andate via in agosto?
Bea (dopo avermi fissata per qualche secondo): No. Rimaniamo a Milano.
Vera: Tutto l’estate?
Bea: Mm-hmm.
Vera: E cosa fai?
Bea: Lunedì comincio a lavorare nel negozio con i miei cugini. Poi magari a Ferragosto andiamo a fare la giornata al mare.
Apro la bocca. Poi la richiudo. Guardo la mia amica, ma non so cosa rispondere. Una voce dentro di me mi dice che ci sto mettendo troppo a elaborare la sua risposta. Poi un pensiero si affaccia nella mia mente: toc-toc, ciao piccola borghese, mi dice, lo sai vero che non tutti se ne vanno dalla città durante l’estate per andare in vacanza?
Conosco Bea da esattamente 269 giorni, dal 12 settembre dell’anno scorso, quando la professoressa di Italiano ci stava portando per la prima volta in classe. Io fissavo i ragazzi e le ragazze che camminavano vicino a me, cercando di leggere sui loro volti tutto ciò che avrei scoperto nei mesi successivi. Quale ragazza sembrava quella più studiosa, quella con cui avrei organizzato pomeriggi di ripasso prima delle verifiche? Chi, invece, era quella con cui sarei andata alle feste per fare le matte assieme? Chi sembrava la persona adatta con cui passare una serata tranquilla, con pizza e film? Chi sarebbe stata la prima coppia a fornire un po’ di gossip alla classe? Quando il mio sguardo si è posato su Bea, lei mi ha salutata timidamente, presentandosi. La prima e ultima volta nella mia vita in cui l’ho vista timida. Io ho risposto in modo analogo. Arrivati in classe, mi sono seduta accanto a lei, seconda fila, di fianco al calorifero. In fondo era l’unica persona di cui sapevo il nome. Nei mesi successivi, Bea è diventata la mia migliore amica.
Stiamo assieme tutti i giorni a scuola, quasi ogni domenica, anche solo per il pranzo, e gran parte delle vacanze. Io la aiuto nello studio, lei mi porta a fare shopping e mi insegna a truccarmi; comunichiamo per citazioni di film e ci capiamo con uno sguardo, scoppiando a ridere per motivi che sappiamo solo noi.
Eppure, ora, scoprire che non andrà in vacanza è esattamente come fare una doccia fredda. Ogni singola domanda che mi viene in mente, mi sembra fuori luogo: Ma perché? Non hai bisogno di rilassarti? Ma ti servono soldi? Lo fai tutti gli anni? Non hai parenti da qualche parte che possono ospitarti? Ma anche i tuoi cugini?
Anche rimanere in silenzio è strano e, nel mio tentativo di trovare qualcosa da dire, continuo ad aprire e chiudere la bocca.
Alla fine, Bea comincia a ridere e a quel punto mi riprendo.
“Stai bene?” mi chiede.
“Sì, no. Scusa.”
“Non è mica una tragedia, sai’”
“Certo, certo, ma mi dispiace che non vai a fare neanche una settimana da qualche parte.”
“Eh! Sono abituata. Tanto ogni volta che un cugino si sposa andiamo giù al paese di mia mamma.”
“Quanti cugini ti rimangono che devono sposarsi?”
Bea comincia a contare sulle dita e quando supera il numero 9 scuoto la testa smarrita: sono troppo milanese!
In quella breve pausa dovuta al conteggio dei cugini, mi torna in mente una conversazione avuta un paio di giorni fa. Chiacchieravo al telefono dei programmi estivi con un amico torinese e ricordo il fastidio che avevo provato mentre lui mi elencava tutti i posto in cui andrà: sulle Dolomiti con dei nonni, in Sardegna con gli altri nonni, negli Stati Uniti con i genitori, in Grecia con degli amici di famiglia. Mentre i miei affittano ogni anno “solo” una casa in montagna per qualche settimana, che viene divisa tra noi e la nonna, a periodi alterni.
Bea ha perso il conto dei cugini, ma a quel punto riprendo la parola: “Ti va di venire a fare qualche giorno in montagna con me?”
“Con i tuoi genitori?” La punta di preoccupazione nella sua voce è del tutto giustificata, ma questa è una storia per un’altra occasione.
“Possiamo andare su con mia nonna. Te la ricordi? Vi siete conosciute a carnevale.”
“Beh, devo chiedere ai miei, ma sarebbe bello! Grazie!”
Nei giorni successivi riusciamo a convincere i genitori di Bea a lasciarla partire per cinque giorni e a fine agosto saliamo in montagna con mia nonna e la sua Panda. Sono dei giorni bellissimi. Faccio scoprire alla mia migliore amica il mio posto preferito al mondo: il paese vecchio con le sue case di pietra, le baite in quota, le camminata che faccio tutti gli anni, le mie radure segrete nei boschi. E poi alla sera mangiamo i capolavori creati da mia nonna e guardiamo la televisione, alternando film di fantascienza per me e commedie romantiche per lei. Il cielo ci regala una settimana di pieno sole e ogni giorno riesco a portare Bea in un posto nuovo, a sera non voglio mai tornare a casa. È la settimana più bella dell’estate e spero si possa trasformare in una tradizione annuale.
Tornate a Milano, passa qualche giorno senza che riusciamo a vederci: lei lavora di nuovo nel negozio della sua famiglia, per me ricominciano alcuni impegni extra-scolastici, entrambe dobbiamo finire i compiti rimandati ovviamente fino all’ultimo.
Il primo giorno della seconda liceo ci riabbracciamo e confrontiamo quanta abbronzatura ci è rimasta. Lei è ancora perfetta; io sono già tornata Biancaneve.
“Mia nonna ti manda un saluto. Le ha fatto molto piacere che ci fossi anche tu.”
“Oh! Anche a me ha fatto piacere conoscerla meglio. È davvero una grande!”
“Ha detto che l’estate prossima sei la benvenuta. Sarebbe bello tornare su assieme, no? Ci sono un sacco di camminate che non siamo riuscite a fare e ne vale veramente la pena.”
Bea non risponde subito, ma tentenna muovendo la testa a destra e a sinistra.
“Non so lo, tesoro...”
“I tuoi ti hanno fatto problemi?”
“No, no, anzi ringraziano tantissimo tua nonna e ti mandano un abbraccio! È che...”
“È che?”
“Era davvero tutto in salita...”
“Sai com’è, è montagna!”
“E poi non c’è tanto da fare.” Ripenso a tutte le cose che abbiamo fatto, alle passeggiate, i picnic, la giornata all’agriturismo. “A parte camminare... in salita.”
“Ok, l’anno prossimo ti porto in qualche posto più pianeggiante.” Aggiungo una risata un po’ forzata. Pensavo veramente che la vacanza le fosse piaciuta.
Bea mi posa entrambe le mani sulle spalle e mi guarda dritto negli occhi per avere la mia completa attenzione.
“Vera, tesoro mio, mi dispiace dovertelo dire: a me la montagna non piace.”
Apro la bocca. Poi la richiudo. Guardo la mia amica, ma non so cosa rispondere.