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Ossessione al funerale
Nel 1915 le motivazioni per cui vivere – se donna - erano prettamente due: crescere i figli per far in modo di vederli come ometti grandi e cresciuti, come frassini piantati in tempi dimenticati, o per aspettare il proprio uomo al ritorno da un campo di battaglia, per poterlo accogliere come se non se ne fosse mai andato, tra lacrime e contentezza. La nostra Miranda, protagonista della storia che andrò a narrare, non possedeva nessuna delle due cose, o meglio: bambini non ne aveva avuti, né frassini; però un marito l’aveva, da ormai molti anni. Sfortunatamente perse la vita: non nei campi di battaglia o durante un viaggio in capo al mondo, ma a casa, nella quiete e nel silenzio di quattro gelide mura. Poco dopo la scomparsa dell’uomo, la vedova organizzò rapidamente il rito funebre, così da poter lasciare tutto quel dolore alle spalle: invitò gli amici di una vita, quelli con cui il marito giocherellò da giovane e tutte le varie conoscenze disperse per il piccolo borgo in cui abitavano.
I presenti rimuginavano sulla vita passata che non tornerà più: ai momenti di gioia e tristezza passati con il defunto, al significato di perdere un caro amico non poi così in avanti con l’età; il loro animo si fletteva costantemente sotto la forza del dolore e fiumi di lacrime tracciarono le loro guance, mentre caldi abbracci come di quelli che non vogliono sottomettersi alla morte furono dati.
Miranda rimaneva in piedi, in una simmetria a dir poco deliziosa, con il capo chino a guardare la fossa ai suoi piedi con il velo che le copriva il volto. Ovviamente qua stiamo esperendo un evento in cui io, oggettivamente, conosco e posso raccontare, ma ovviamente i presenti non potevano minimamente immaginare tutto quello che ella stava pensando. La componente interiore della nostra essenza risulta talmente personale e soggettiva che è estremamente difficile poter cogliere precisamente quello che una persona stia provando: si può generalmente comprendere il lato più esteso dello stato d’animo, delineando su per giù una riga abbozzata e superficiale, ma mai si potrà capire la somma di essi e come possono venire in realtà percepiti. La vedova dunque, salutò ogni persona in quel funerale; ringraziò ogni singola anima che concedeva a lei la comprensione del lutto e si perdeva in chiacchiere più o meno impegnate atte a ricordare lo spirito divertente e rigoglioso del marito. Chiaramente alcuni pensieri si rivolsero anche alle difficoltà degli ultimi tempi: Miranda e il marito stavano ormai, da alcuni anni, riscontrando pesanti difficoltà economiche e vista l’ormai lontananza di lui dal mondo terreno, una sua amica le ricordò che poteva chiedere l’indennizzo della vedova, almeno per sostentarsi nel breve periodo. Miranda accolse ogni consiglio e conforto, ringraziò ogni sua conoscenza e si sfogava della dolorosa perdita con pianti e singhiozzi, nonostante questo, non perdeva occasione di ricordare anche momenti splendidi condivisi con il compagno, per poter alleviare, o cercar di alleviare, una condizione irreparabile.
Questo fu sicuramente quello che tutti gli amici e conoscenti videro, ma io sapendo, capii quanto l’apparenza fosse potente, soprattutto con amici di lunga data.
Mentre Miranda stringeva mani, abbracciava e si appoggiava con il viso sulle spalle degli amici, lei dentro ardeva di un’insana contentezza: quando sapeva di non poter essere vista, quasi non riusciva a trattenere un ghigno, la sola possibilità di essere colta in quella dissonante azione lo rendeva irresistibile per lei. Nel profondo della sua anima era focosamente felice, con il suo spirito rideva di gran gusto e crebbe in lei la convinzione che non sarebbe riuscita a resistere a lungo.
Alienandosi dall’esterno, dunque, incominciò una conversazione con sé stessa, atta a mettere ordine nei suoi pensieri.
“Ah-Ah stupido vecchio! Ti ho sempre disprezzato, come Elettra e Oreste odiano Clitennestra, il più nero odio ha sempre ribollito in me. Nei tuoi confronti ho forse, in qualche caso, provato una scintilla di leggera amicizia, ma ogni tua azione, anche la più piccola espressione della tua essenza, del tuo modo di fare, di qualsiasi cosa comprendesse il tu, mi provocava nausea e volta stomaco.
Sono rimasta con te per pura e semplice necessità personale: è molto più facile essere accasata che zitella, sia socialmente che per opportunità, sicuramente di questo ti devo ringraziare! Ah-Ah.
Quante volte ti guardavo dormire e fantasticavo su come poterti togliere la vita, questo capriccio mi ha coccolato sensibilmente e mi ha accompagnato insieme all’odio che ho sempre provato nei tuoi confronti: mi sarebbe piaciuto stritolarti il collo, pugnalarti al cuore così da renderti conscio dell'atto, per un breve attimo, durante tua dipartita; avrei voluto sedarti e murarti vivo tanto è l’odio che come un vulcano era impaziente di esplodere. Ora sento una frenesia senza pari e da donna quale sono, capii che l’unica arma che potesse fondere quello che provavo per te e la mia indole comunque riconosciuta come posata e rispettosa fosse unicamente il caro e antico veleno. Così ho fatto, ti ho avvelenato brutto maiale!
Il piacere che ho provato vedendoti spirare è incomprensibile, è genuino, perfetto. Più forte di qualsiasi cosa io abbia mai provato. Ah-Ah stupido cadavere avvizzito, per me risultavi decrepito nei tuoi trent’anni, quante emozioni ho tenuto da parte per arrivare a questo momento, quanta ira e profondo rancore ho soppresso nel nome dei miei bisogni: rido dentro e non smetterò per molto, moltissimo tempo. Rido interamente di te e continuerò anche quando ti raggiungerò nell'oltretomba!”
Questo susseguiva ossessivamente nella sua testa, lo ripeté più volte come per compiacersi di quello che aveva fatto e per passare in rassegna al gesto, alla splendida esplosione di sentimenti che le provocava. Ricominciava e ricominciava, non riusciva a non crogiolarsi in questo circolo infinito mentre contemplava la salma del marito. Continuava ancora e ancora, perdendo il conto di quante volte ricalcò gli stessi pensieri.
Miranda poco dopo, tornò inevitabilmente alla realtà: appoggiata sulla sua spalla una mano grande e robusta la stringeva. Era la legge. Stava, a sua stessa insaputa, urlando tutto quello che pensava e, le persone presenti, stavano ascoltando.