Traccia 2, "In cucina"
Viversani e belli
Poggio le buste sul tavolo della cucina e aspetto che mi passi il fiatone. L’ascensore è di nuovo rotto. Per centocinquanta euro al mese di condominio la spesa dovrebbero portarmela a casa, e invece mi tocca sempre fare le scale a piedi. Maledetti.
Sfilo le birre dai sacchetti: il vizio è l’unico antidoto contro il moto. Le nascondo sul fondo del frigo, dietro le verdure. Lo so perfettamente che Marzia le scoverà alla prima occhiata e mi farà la morale, rovinandomi il relax alcolico, ma almeno il tentativo lo faccio.
Lei è contenta di salire le scale a piedi. Con l’età le è venuta la fissazione del fisico e del benessere. Si è fatta anche l’abbonamento in palestra.
Finché le fa lei, le scale a piedi, per me va bene; anzi, le delegherei anche il peso di portare la spesa, se ciò non avesse la conseguenza di cederle completamente il potere decisionale sugli acquisti.
Già così, facendo io la spesa, subisco non poche dolorose imposizioni. Dopo le birre e il cavolo cappuccio, ripongo in frigo tofu e seitan, nella credenza la farina di ceci e il latte d’avena. A quarant’anni suonati è diventata vegetariana. Senza darmi alcun preavviso per l’esercizio del recesso.
Così addio salsicce e addio fauna in generale. Dal momento che a nessuno dei due va minimamente di preparare doppio pasto, mangio anche io le sue cose alla plastica. Poi si lamenta che il mio alcolismo è peggiorato.
Accendo il fuoco sotto la pentola. Il mix di legumi e cereali deve cuocere per almeno un’ora, quindi ho il tempo, intanto che lei arriva, di farmi una doccia e levarmi di dosso lo stress del lavoro e della ricerca del seitan “quello buono senza glutine”. Mi sono dovuto far spiegare dalla direttrice del supermercato che il seitan è a base di glutine, che probabilmente mi stavo confondendo, forse volevo quello senza farro.
Speriamo avesse ragione. Ho preso quello senza farro. Se ho sbagliato, Marzia è capace di mandarmi indietro a cambiarlo.
Intanto, per risparmiare tempo, mi cambio io, anzi mi spoglio, lì dove sono, e intanto giro il mestolo. Devo fare presto. Se Marzia mi scopre ad abbandonare i fornelli sono cavoli amari. Lancio il mucchietto di vestiti in nell’angolo della cucina tra il frigorifero e il balcone. Do un’ultima turbinante girata di mestolo alla poltiglia ribollente, nella speranza continui a girare a lungo durante la doccia, faccio per scappare in bagno, quando la porta di casa si spalanca sulla mia nudità.
Marzia sgrana gli occhi e si affretta a richiudere la porta, salutando sbrigativamente Alice, la vicina, dietro di lei sul pianerottolo.
Credo Alice non abbia visto niente. E se ha visto, beh, anche oggi ho regalato un’emozione.
«Che cazzo ci fai nudo in cucina?», fa Marzia. È il suo modo di salutare e di farmi le feste.
«Non volevo sporcarmi i vestiti», abbozzo io.
«Ma se li hai strascicati per terra! Tu stavi andando a farti la doccia con la roba sul fuoco».
«No!».
Marzia mi guarda inquisitoria. E intanto mi scansiona le onde cerebrali.
«Che c’è?», faccio io.
Lei raggiunge il frigo, lo apre e ne cava fuori le birre.
«Lo sapevo!», dice, più con autocompiacimento che con disappunto.
Per prenderle ha dovuto chinarsi. Ha ancora indosso i leggings della palestra.
Devo dire che un po’ questa palestra fa effetto, le è venuto un culetto davvero niente male.
Da quant’è che non facciamo sesso?
Un paio di settimane? Un mesetto?
Più probabile due o tre mesi.
La guardo con un sorriso un po’ malizioso. Vorrei fare il sexy ma un po’ mi
imbarazzo e mi viene da ridere. Devo sembrarle una sorta di Woody Allen. Mi guarda un po’ interdetta e mi chiede se mi sento bene.
Un po’ me la prendo. Cioè, sono nudo davanti a lei, in cucina, alla luce del giorno, e questo non le evoca il benché minimo pensiero erotico.
«Vuoi fare sesso?!», esclama finalmente.
Io mi sento offeso e non rispondo.
Lei adesso sta ridacchiando.
Le coppie che scopano in cucina fino allo sfinimento, travolgendo stoviglie e
suppellettili e scandalizzando il vicinato esistono solo nei film. Nella realtà esiste il reperimento di seitan e il chiedere il permesso per andare in bagno.
«Ma abbiamo i legumi sul fuoco», dice Marzia.
«Lo so», faccio io. «Non è un problema. Mangiamo quelli». Mi sembrava una cosa pacifica.
«No, dico, non possiamo mica lasciarli così».
Oddio, Marzia sta facendo la faccia sexy! A lei viene molto meglio. È mai possibile, si fa l’amore?
«Magari io continuo a girare», dice sfilandosi i leggings.
Oddio, è mai possibile, si fa l’amore in cucina come nei film?
Marzia si volta verso i fornelli e impugna il mestolo. Gira la zuppa sollevandosi
sulle punte. Sì, devo dire che la palestra dà davvero i suoi effetti. Io tentenno.
«Puoi», fa lei.
È un amplesso travolgente. A ogni colpo di lombi è un colpo di mestolo. Lo stiamo facendo cucinando, secondo la più classica delle trame porno, lei la cuoca che cucina di spalle, io che la prendo da dietro. Mi piace un sacco!
Ansimiamo. Marzia anche un po’ perché la spingo contro il vapore della pentola. E infatti, di tanto in tanto, mi strattona indietro.
Poi incomincia a ripetere «Più veloce! Più veloce!».
Io provo a fare più veloce, però obiettivamente la situazione, per quanto eccitante, è scomoda. Non posso spingerla in avanti, che ci sono i fornelli. Provo a farmi più vicino alla sua schiena per stantuffare da sotto in su, ma dopo un po’ mi fanno male le cosce e le ginocchia, e inoltre scivolo.
«Più veloce! Più veloce!», continua lei.
Pare facile. Anche io sono un po’ stordito dal vapore di fagioli. E più mi arrabatto per trovare l’equilibrio più l’eccitazione scema.
«Più veloce! Più veloce!», fa ancora Marzia.
«Stai venendo?», le faccio io.
«Macché, si sta scuocendo la zuppa!», risponde lei. Decidiamo di soprassedere.
Ci rivestiamo e ci mettiamo a tavola.
Tra una cucchiaiata di mix di legumi e l’altra, Marzia percepisce la mia delusione. «Dai, stasera faccio il seitan», dice, e io mi interrogo, ancora una volta nella vita,
sulla sostanziale incomunicabilità delle relazioni umane. Poi fa la faccia sexy che aveva fatto poco prima, e allora capisco che quella del seitan era una sorta di metafora: cucinerà ancora voltandomi la schiena. C’è ancora speranza per la comprensione tra gli esseri umani.
Nel pomeriggio Marzia torna al lavoro. Io no, io rimango a lavorare al mio romanzo. Il che vuol dire ore di cazzeggio su riviste e videogiochi online.
Penso al nostro amore.
Penso che forse in un letto sarebbe andata meglio.
Penso che mi farei volentieri una sega per scaricare l’energia orgonica
accumulata, ma poi penso che se davvero stasera abbiamo un appuntamento “seitan” non è il caso.
Penso queste cose, quando ricevo un messaggio WhatsApp di Alice, la vicina. Dice che suo marito non c'è per un po’, e che le servirebbe una mano d’uomo per svitare dei barattoli.
Sfilo le birre dai sacchetti: il vizio è l’unico antidoto contro il moto. Le nascondo sul fondo del frigo, dietro le verdure. Lo so perfettamente che Marzia le scoverà alla prima occhiata e mi farà la morale, rovinandomi il relax alcolico, ma almeno il tentativo lo faccio.
Lei è contenta di salire le scale a piedi. Con l’età le è venuta la fissazione del fisico e del benessere. Si è fatta anche l’abbonamento in palestra.
Finché le fa lei, le scale a piedi, per me va bene; anzi, le delegherei anche il peso di portare la spesa, se ciò non avesse la conseguenza di cederle completamente il potere decisionale sugli acquisti.
Già così, facendo io la spesa, subisco non poche dolorose imposizioni. Dopo le birre e il cavolo cappuccio, ripongo in frigo tofu e seitan, nella credenza la farina di ceci e il latte d’avena. A quarant’anni suonati è diventata vegetariana. Senza darmi alcun preavviso per l’esercizio del recesso.
Così addio salsicce e addio fauna in generale. Dal momento che a nessuno dei due va minimamente di preparare doppio pasto, mangio anche io le sue cose alla plastica. Poi si lamenta che il mio alcolismo è peggiorato.
Accendo il fuoco sotto la pentola. Il mix di legumi e cereali deve cuocere per almeno un’ora, quindi ho il tempo, intanto che lei arriva, di farmi una doccia e levarmi di dosso lo stress del lavoro e della ricerca del seitan “quello buono senza glutine”. Mi sono dovuto far spiegare dalla direttrice del supermercato che il seitan è a base di glutine, che probabilmente mi stavo confondendo, forse volevo quello senza farro.
Speriamo avesse ragione. Ho preso quello senza farro. Se ho sbagliato, Marzia è capace di mandarmi indietro a cambiarlo.
Intanto, per risparmiare tempo, mi cambio io, anzi mi spoglio, lì dove sono, e intanto giro il mestolo. Devo fare presto. Se Marzia mi scopre ad abbandonare i fornelli sono cavoli amari. Lancio il mucchietto di vestiti in nell’angolo della cucina tra il frigorifero e il balcone. Do un’ultima turbinante girata di mestolo alla poltiglia ribollente, nella speranza continui a girare a lungo durante la doccia, faccio per scappare in bagno, quando la porta di casa si spalanca sulla mia nudità.
Marzia sgrana gli occhi e si affretta a richiudere la porta, salutando sbrigativamente Alice, la vicina, dietro di lei sul pianerottolo.
Credo Alice non abbia visto niente. E se ha visto, beh, anche oggi ho regalato un’emozione.
«Che cazzo ci fai nudo in cucina?», fa Marzia. È il suo modo di salutare e di farmi le feste.
«Non volevo sporcarmi i vestiti», abbozzo io.
«Ma se li hai strascicati per terra! Tu stavi andando a farti la doccia con la roba sul fuoco».
«No!».
Marzia mi guarda inquisitoria. E intanto mi scansiona le onde cerebrali.
«Che c’è?», faccio io.
Lei raggiunge il frigo, lo apre e ne cava fuori le birre.
«Lo sapevo!», dice, più con autocompiacimento che con disappunto.
Per prenderle ha dovuto chinarsi. Ha ancora indosso i leggings della palestra.
Devo dire che un po’ questa palestra fa effetto, le è venuto un culetto davvero niente male.
Da quant’è che non facciamo sesso?
Un paio di settimane? Un mesetto?
Più probabile due o tre mesi.
La guardo con un sorriso un po’ malizioso. Vorrei fare il sexy ma un po’ mi
imbarazzo e mi viene da ridere. Devo sembrarle una sorta di Woody Allen. Mi guarda un po’ interdetta e mi chiede se mi sento bene.
Un po’ me la prendo. Cioè, sono nudo davanti a lei, in cucina, alla luce del giorno, e questo non le evoca il benché minimo pensiero erotico.
«Vuoi fare sesso?!», esclama finalmente.
Io mi sento offeso e non rispondo.
Lei adesso sta ridacchiando.
Le coppie che scopano in cucina fino allo sfinimento, travolgendo stoviglie e
suppellettili e scandalizzando il vicinato esistono solo nei film. Nella realtà esiste il reperimento di seitan e il chiedere il permesso per andare in bagno.
«Ma abbiamo i legumi sul fuoco», dice Marzia.
«Lo so», faccio io. «Non è un problema. Mangiamo quelli». Mi sembrava una cosa pacifica.
«No, dico, non possiamo mica lasciarli così».
Oddio, Marzia sta facendo la faccia sexy! A lei viene molto meglio. È mai possibile, si fa l’amore?
«Magari io continuo a girare», dice sfilandosi i leggings.
Oddio, è mai possibile, si fa l’amore in cucina come nei film?
Marzia si volta verso i fornelli e impugna il mestolo. Gira la zuppa sollevandosi
sulle punte. Sì, devo dire che la palestra dà davvero i suoi effetti. Io tentenno.
«Puoi», fa lei.
È un amplesso travolgente. A ogni colpo di lombi è un colpo di mestolo. Lo stiamo facendo cucinando, secondo la più classica delle trame porno, lei la cuoca che cucina di spalle, io che la prendo da dietro. Mi piace un sacco!
Ansimiamo. Marzia anche un po’ perché la spingo contro il vapore della pentola. E infatti, di tanto in tanto, mi strattona indietro.
Poi incomincia a ripetere «Più veloce! Più veloce!».
Io provo a fare più veloce, però obiettivamente la situazione, per quanto eccitante, è scomoda. Non posso spingerla in avanti, che ci sono i fornelli. Provo a farmi più vicino alla sua schiena per stantuffare da sotto in su, ma dopo un po’ mi fanno male le cosce e le ginocchia, e inoltre scivolo.
«Più veloce! Più veloce!», continua lei.
Pare facile. Anche io sono un po’ stordito dal vapore di fagioli. E più mi arrabatto per trovare l’equilibrio più l’eccitazione scema.
«Più veloce! Più veloce!», fa ancora Marzia.
«Stai venendo?», le faccio io.
«Macché, si sta scuocendo la zuppa!», risponde lei. Decidiamo di soprassedere.
Ci rivestiamo e ci mettiamo a tavola.
Tra una cucchiaiata di mix di legumi e l’altra, Marzia percepisce la mia delusione. «Dai, stasera faccio il seitan», dice, e io mi interrogo, ancora una volta nella vita,
sulla sostanziale incomunicabilità delle relazioni umane. Poi fa la faccia sexy che aveva fatto poco prima, e allora capisco che quella del seitan era una sorta di metafora: cucinerà ancora voltandomi la schiena. C’è ancora speranza per la comprensione tra gli esseri umani.
Nel pomeriggio Marzia torna al lavoro. Io no, io rimango a lavorare al mio romanzo. Il che vuol dire ore di cazzeggio su riviste e videogiochi online.
Penso al nostro amore.
Penso che forse in un letto sarebbe andata meglio.
Penso che mi farei volentieri una sega per scaricare l’energia orgonica
accumulata, ma poi penso che se davvero stasera abbiamo un appuntamento “seitan” non è il caso.
Penso queste cose, quando ricevo un messaggio WhatsApp di Alice, la vicina. Dice che suo marito non c'è per un po’, e che le servirebbe una mano d’uomo per svitare dei barattoli.