Traccia n.3 - "Passaggio dall'adolescenza alla maturità". Ma anche un po'della numero uno
Il mio primo giorno da adulta
La diciassette e quindici, Il treno è in perfetto orario, l'aria spinta dal convoglio mi spettina i capelli.
Mi sistemo il riccioli dietro le orecchie e rido.
Rido col cuore gonfio di pena e di libertà.
La porte del vagone si aprono, sto per fare il passo decisivo, mi basta salire, aspettare che le ante si richiudano e la distanza sarà già abbastanza.
Mi sistemo gli occhiali sul naso, guardo indietro: nessuno, per fortuna o per disgrazia, mi implora di restare. Salgo sul treno.
Sistemo lo zaino sul portabagagli e poi la gonna sui fianchi.
Mi sistemo il riccioli dietro le orecchie e rido.
Rido col cuore gonfio di pena e di libertà.
La porte del vagone si aprono, sto per fare il passo decisivo, mi basta salire, aspettare che le ante si richiudano e la distanza sarà già abbastanza.
Mi sistemo gli occhiali sul naso, guardo indietro: nessuno, per fortuna o per disgrazia, mi implora di restare. Salgo sul treno.
Sistemo lo zaino sul portabagagli e poi la gonna sui fianchi.
Mi siedo vicino al finestrino, la stazione è la stessa ma vista da qui si scompone in vecchie immagini non troppo lantane, sopportabili: l’odore del nespolo in fiore, i rami appoggiati sul rifugio antiaereo, la panchina di travertino dove ho passato pomeriggi da sola, a piangere fino al tramonto. Perfino il capostazione oggi mi sembra un simpatico povero cristo: si ricorda di me, mi guarda con la palettai in mano, il braccio teso a mezz’aria e la bocca aperta.
Quella stessa bocca che sputò parole oscene sulla porta della casa di mio padre.
Solo ieri ho compiuto diciotto anni, sembra siano passati mesi, anni…Solo ieri ero figlia del mio aguzzino e oggi sono mia, soltanto io e il mio cuore a volermi bene.
Il treno si muove, un brivido elettrico mi sale alla schiena, non so nulla di cosa farò per riempire la mia prima giornata di libertà e le altre che verranno, ma conosco ogni cosa che mi resterà dentro, ogni particolare del tempo passato in questa città.
Quella stessa bocca che sputò parole oscene sulla porta della casa di mio padre.
Solo ieri ho compiuto diciotto anni, sembra siano passati mesi, anni…Solo ieri ero figlia del mio aguzzino e oggi sono mia, soltanto io e il mio cuore a volermi bene.
Il treno si muove, un brivido elettrico mi sale alla schiena, non so nulla di cosa farò per riempire la mia prima giornata di libertà e le altre che verranno, ma conosco ogni cosa che mi resterà dentro, ogni particolare del tempo passato in questa città.
Soprattutto mi resteranno certi sguardi di mio padre, le occhiate, i cenni…Poche parole dette, altre sussurrate. Non dimenticherò mai le lame negli occhi ostili di mia madre che, prima di morire, trafissero suo marito. Piccoli dettagli, come Il sole del tramonto che entrava tagliato a fette sulla parete della mia stanza chiusa a chiave e i caratteri dei libri, mai letti, affogati nelle lacrime.
A tredici anni ho sognato per trentasei giorni e una notte. Ho sognato il mare in tempesta, un vento che strappava la pelle e gli alberi dalla terra. All’alba il sogno finì, non venne mio padre ad aprire la porta, c’era qualcun’ altro in casa: erano gli occhi azzurri di un carabiniere. Mi resteranno impressi per sempre, l’odore del suo dopobarba e del cappuccino e cornetto che la cuoca della casa famiglia mi portò quella mattina.
Terrò per me quei cinque anni passati a cercare di diventare grande, come fossero diamanti, nonostante tutto.
Il cartello azzurro annuncia: Monterotondo. Con la macchina, da casa, ci abbiamo messo venti minuti, quella volta, in questo paese ho preso il gelato con mamma e papà e fatto un giro al mercatino. Era una delle rare giornate buone.
Vedo la gente salire, le porte si richiudono. Il treno riparte subito.
Un uomo sulla cinquantina si avvicina, accenna un sorriso, il vagone è semivuoto, può scegliere qualsiasi posto, immagino, ma lui si siede tranquillamente di fronte a me: anche lui dalla parte del finestrino. Le sue e le mie ginocchia quasi si toccano. Lui si distende un poco guarda fuori, con noncuranza fa in modo che la sua gamba destra sfiori il mio ginocchio sinistro, istintivamente apro leggermente le gambe per fargli spazio; era quello che voleva, adesso la sua gamba è in mezzo alle mie. Chissà quante volte ha provato la sua tecnica, chissà quante volte gli è capitata una ragazza timida, innocente che non ha saputo reagire, chissà quante volte è andato in bagno a procurarsi soddisfazione. Sto al gioco, voglio vedere fin dove arriva prima di… Appoggio la nuca sullo schienale e abbasso le palpebre.
Tra le ciglia lo vedo, smania, piega la testa e cerca di guardare sotto la mia gonna. Trova le pose più innaturali per farlo, vorrei agire subito ma alcuni suoi gesti mi ricordano mio padre e riaffiora la paura. Apro gli occhi, lui non s'accorge che lo sto fissando, continua la sua indagine perso nelle sue fantasie. Ho diciotto anni, non sono più quella bambina che non sapeva come fermare l’incubo che la sequestrava la notte. Mi puntello sui palmi, alzo di scatto il bacino e con la gamba destra gli mollo una pedata. L'uomo si tiene le parti intime con una mano e con l’altra si tappa la bocca per non gridare. Si contorce, mugola, impreca ma non mi guarda, se ne sta lì, a piangere con la testa contro il vetro. Lo disprezzo con tutta l’anima, come facevo con mio padre quando lasciava la mia stanza, come quando mia madre mi metteva latte e biscotti davanti al naso, senza riuscire a guardarmi negli occhi.
Mi sistemo i ricci scomposti e gli occhiali sul naso, non posso credere di essere riuscita a farlo davvero.
Prendo lo zaino, decido di cambiare vagone.
Vedo la gente salire, le porte si richiudono. Il treno riparte subito.
Un uomo sulla cinquantina si avvicina, accenna un sorriso, il vagone è semivuoto, può scegliere qualsiasi posto, immagino, ma lui si siede tranquillamente di fronte a me: anche lui dalla parte del finestrino. Le sue e le mie ginocchia quasi si toccano. Lui si distende un poco guarda fuori, con noncuranza fa in modo che la sua gamba destra sfiori il mio ginocchio sinistro, istintivamente apro leggermente le gambe per fargli spazio; era quello che voleva, adesso la sua gamba è in mezzo alle mie. Chissà quante volte ha provato la sua tecnica, chissà quante volte gli è capitata una ragazza timida, innocente che non ha saputo reagire, chissà quante volte è andato in bagno a procurarsi soddisfazione. Sto al gioco, voglio vedere fin dove arriva prima di… Appoggio la nuca sullo schienale e abbasso le palpebre.
Tra le ciglia lo vedo, smania, piega la testa e cerca di guardare sotto la mia gonna. Trova le pose più innaturali per farlo, vorrei agire subito ma alcuni suoi gesti mi ricordano mio padre e riaffiora la paura. Apro gli occhi, lui non s'accorge che lo sto fissando, continua la sua indagine perso nelle sue fantasie. Ho diciotto anni, non sono più quella bambina che non sapeva come fermare l’incubo che la sequestrava la notte. Mi puntello sui palmi, alzo di scatto il bacino e con la gamba destra gli mollo una pedata. L'uomo si tiene le parti intime con una mano e con l’altra si tappa la bocca per non gridare. Si contorce, mugola, impreca ma non mi guarda, se ne sta lì, a piangere con la testa contro il vetro. Lo disprezzo con tutta l’anima, come facevo con mio padre quando lasciava la mia stanza, come quando mia madre mi metteva latte e biscotti davanti al naso, senza riuscire a guardarmi negli occhi.
Mi sistemo i ricci scomposti e gli occhiali sul naso, non posso credere di essere riuscita a farlo davvero.
Prendo lo zaino, decido di cambiare vagone.
La prima cosa che ho fatto oggi, da persona adulta, è stato perdere il primo pezzetto di libertà.