Il Pettirosso

1
 
Il Pettirosso 
Chiesa di san Simeone Grande. 1898 

Il piccolo pettirosso, dopo aver svolazzato per poco intorno alla facciata della chiesa, aveva scorto, nella tenda posta a difendere il luogo sacro dal freddo invernale, un piccolo pertugio attraverso cui entrare. Ci si era infilato dentro senza esitazioni, forse in semplice esplorazione, forse alla ricerca di un luogo caldo in cui deporre le uova, oppure solo spinto da un istinto di cui nemmeno lui conosceva bene il significato.

 La chiesa era vuota. La luce filtrava dalle finestre dando ritmo ai chiaroscuri di sculture e colonne. L’atmosfera sacra, di perenne penombra e umidità divina ricordava al pettirosso il fresco habitat del sottobosco. Così si era mosso con agilità e fermezza tra i pertugi, i capitelli e le cornici sporgenti dei dipinti. Aveva rubato delle briciole di ostia dall’altare, beccato qualche tarlo dai piccoli fori nelle travi del soffitto, e si era diverto a sentire l’eco dei suoi svolazzi mentre si gettava a capofitto tra i banchi vuoti e lucidi della chiesa. 

Muovendosi tra una navata e l’altra, aveva trovato, nell’angolo più luminoso della pala centrale, dove la cornice dorata toccava il marmo della cappella, un piccolo ragno saltatore. Nei numerosi occhi dell’insetto brillava il riflesso spento della tempera settecentesca. Nonostante la sua agilità, il ragno non riuscì a sfuggire al becco acuminato del pettirosso, che lo trafisse in una veloce stoccata, come fosse anche lui uno spadaccino dipinto sullo sfondo della tela. 

Subito dopo l’uccello si posò sulla statua del San Simeone, che giaceva supino e congelato nell’immobilità della roccia. Aveva saltellato beccando dei piccoli grani di polline che si erano invischiati nel saliscendi della barba scolpita del santo, per poi ripartire con slancio verso l’alto, dove aveva sentito il colpo di una mosca battere con insistenza contro il piccolo rosone della navata centrale.

 Intorno a lui, pareva quasi che gli angeli alati, immobili e duri, rinchiusi nella pietra, guardassero con invidia il pettirosso che invece si muoveva frenetico, di salti lunghi e svolazzi, per quel luogo dove il cielo era solamente ambizione dei fedeli. Al suonare delle campane la chiesa aveva iniziato a riempirsi, poco poco, come di sole al mattino che insegue i riflessi, e i primi fedeli, trascinando i piedi, avevano lucidato le pietre, intinto le mani nella fredda acquasantiera e salutato con un veloce gesto il loro signore. 

Poco dopo era comparso anche il prete della Diocesi. Le gote dell’uomo presentavano la stessa sfumatura sabbiosa delle piume pettorali del pettirosso. I suoi occhi erano nascosti da un nugolo di rughe, come se qualcuno ve li avesse spremuti dentro con le dita, e il cordone del suo saio scivolava fino a terra, strusciando sul pavimento, come si trattasse della coda di un animale mitologico. 

Lentamente aumentò il ritmo con cui entravano le persone, che si facevano sempre più variegate, a rappresentare i tanti volti di chi vede in cristo il suo salvatore. C’erano militari e vedove, madri con i bambini, delle suore e anche il macellaio che sull’abito portava gli sbaffi rubino di un taglio fatto di fretta, prima di chiudere bottega, e recarsi nella casa del signore. 

La folla si fece così fitta che il bel pavimento a scacchi era rimasto ormai sepolto sotto i piedi dei fedeli, e solo qualche angolo di rosso sbirciava tra le gonne delle suore e gli stivalacci dei gendarmi. Poi una musica solenne riempì la stanza. Al pettirosso parve quasi di sentire lo scrosciare di un temporale improvviso, ma dalla porta, al posto della pioggia, entrarono quattro uomini, reggendo una pesante bara in legno. Vista dall’alto, al pettirosso pareva quasi un tronco di fiume, che si faceva strada ondeggiando tra i fedeli che disordinati si premevano fra i banchi.

 Tutti, vedendo la bara, si misero a piangere. Alcune donne in ginocchio sul pavimento freddo, alcuni uomini nell’orgoglio umido del proprio bavero. Il peso della bara era evidente sulle spalle di chi la sorreggeva, ma i volti, fingendosi duri come le pietre che calpestavano, ne mitigavano il fardello.

 Il morto doveva essere stato un grande uomo. Un uomo amato, rispettato. Un uomo che aveva fatto qualcosa per gli altri. Un uomo gentile, simpatico, un uomo di spirito, che negli anni aveva guadagnato la fiducia delle persone, ne aveva ammaliato lo spirito ed ora era morto, ed eccolo lì, rimpianto dai debitori della sua gentilezza.

 All’apparenza, la bara di mogano poteva sembrare perfetta, lucida e santa. Ma l’occhietto rapace del pettirosso, su quel sarcofago, vide muoversi qualcosa, simile al lento spingersi degli insetti, che spesso attirava il suo sguardo senza che lui potesse contrastarne l’urgenza. Si tuffò dunque a capofitto sulla bara ancora circondata dai fedeli, e provò a beccare quella che in realtà era solo una lieve imperfezione del legno, sfuggita a chi ne aveva levigato la crosta.

 E in quel momento qualcuno lo vide. Un bimbo, che pareva l’avessero strappato da un dipinto della chiesa, con le guance rosse e le dita svelte, indicò il pettirosso, urlandone la presenza.

 Lo sguardo dei fedeli divenne predatore, e il pensiero di ognuno si spostò velocemente nella direzione che interpretava quel segno come un succedimento miracoloso. Pensarono tutti che l’anima del morto si fosse trasfigurata in quel pettirosso, comparso all’improvviso dal nulla. Che quell’anima di forma divina si fosse mutata in uccello. Tutti quindi presero ad indicare il pettirosso, esclamandone la particolarità, che si muoveva frenetico nella casa del signore, invece di stare impigliato tra gli alberi del bosco. Pensarono dunque dovesse trattarsi proprio di un atto divino. Della volontà in forma d’uccello che spesso si addita allo spirito santo. 

Il pettirosso, che purtroppo non aveva scovato l’insetto che pensava d’aver visto, si ritirò sul capitello di un alta colonna. Ma quando tutti iniziarono a puntarlo, a urlare, a sbraitare d’estasi, e vide gli occhi della gente sgranati a seguirlo in ogni pertugio in cui cercava rifugio, per un attimo pensò di gettarsi nella navata e cibarsi dell’orbita umida di qualcuno, ma l’agitazione scuoteva la chiesa come un’onda d’urto, che confondeva il suo piccolissimo cuore.

 Il pettirosso volò allora verso la porta da cui era entrato ma la trovò chiusa. Si diresse verso le finestre alla sommità della navata centrale, ma erano tutte sbarrate, e rimbalzando tra esse, sospinto e castigato dalle urla della folla, e dalla diavoleria del vetro, tentò invano l’ultima finestra, ma anche questa era chiusa e il pettirosso vi urtò rovinosamente contro. Forse si chiese perché il cielo non lo volesse più. 

Cadde subito. Sul pavimento bianco della chiesa. Dietro la sua testolina, leggermente, con tutta calma, si aprì una macchia di sangue che pareva un gioiello, mentre gli ultimi sospiri scuotevano le piume del petto. Morì poco dopo, nelle mani del bimbo che per primo l’aveva visto, ma la piccola macchia di sangue che conteneva la sua anima, segna ancora la pietra bianca della chiesa. 

Re: Il Pettirosso

2
Ciao, @Neuromante, felice di leggere qualcosa di tuo; ti lascio un breve commento sperando che ti sia utile.
Ti dirò, la prima impressione, anche durante la lettura, è di un racconto scritto da una persona con uno stile molto ordinato e molto chiaro; fa piacere leggerlo. Anche i termini e i sinonimi usati indicano qualcuno abituato a leggere o, per lo meno, a revisionare con la testa. Qualcosa di molto gradevole e curato.
Questo stile resta comunque molto "raccontato" e, ti dirò, in un racconto di questo tipo ci sta anche bene.
Se devo essere sincero e devo trovare qualcosa che, secondo me, è migliorabile, in alcuni punti la narrazione è un po' spezzata da alcuni incisi, mentre in altri le frasi sono lunghe e senza pause (punti o punti e virgola) tra diverse azioni. Per esempio (caso 1)
Neuromante ha scritto: Al pettirosso parve quasi di sentire lo scrosciare di un temporale improvviso, ma dalla porta, al posto della pioggia, entrarono quattro uomini, reggendo una pesante bara in legno.
e per esempio (caso 2)

Neuromante ha scritto: Aveva rubato delle briciole di ostia dall’altare, beccato qualche tarlo dai piccoli fori nelle travi del soffitto, e si era diverto a sentire l’eco dei suoi svolazzi mentre si gettava a capofitto tra i banchi vuoti e lucidi della chiesa. 
(p.s. "divertito" al posto di "diverto")

Carina anche la storia, magari a tema con l'epoca storica - oggi si è tutti un po' più scettici, non si crede a segni di questo tipo - e anche con il comportamento del passerotto. In passato mi è capitata una rondine che si è sfasciata contro lo specchio della camera, mi è tornato in mente questo. In quel caso non ha lasciato macchie di sangue ma altri ricordi a terra... :s 

Alla prossima lettura. :libro: 
https://www.facebook.com/curiosamate

Re: Il Pettirosso

3
Ciao @Neuromante 
è la prima cosa che leggo di tuo, questo racconto ha nello stile narrativo un sapore vintage, che già appare nel titolo del racconto.

Non credo affatto che sia casuale, beninteso che sia uno stile di scrittura che t’appartiene, mi pare che volutamente tu abbia calcato la mano per renderlo tale.

Quello che ho letto mi porta a un clima narrativo favolistico che a esempio appartiene alle storie di Gianni Rodari.
Quindi un modo di raccontare che riporta alle letture scolastiche della nostra scuola elementare degli anni ‘50 o ‘60.

Bada bene con questo non intendo affatto svalutare o diminuire il valore del tuo racconto, che trovo assai ben scritto e molto piacevole alla lettura, ma intendo dire che tu hai (e ripeto) credo volutamente, effettuare un recupero di quel modo di raccontare una storia.
Vieppiù trattandosi di una storia delicata, poetica e soffusamente edificante.

In altre parole, poiché si tratta di una favola che ci porta in un contesto sociale e in un clima riconducibile alla prima metà del secolo scorso, quello che mi è piaciuto molto è l’operazione filologica compiuta, nel rendere il racconto fedele a quel modo e tempo di narrare.

Pertanto ti faccio i miei complimenti e mi auguro di leggere molte altre cose tue, che sono e saranno concepite con uguale felicità di scrittura.
Un saluto.

Re: Il Pettirosso

4
Ciao @bwv582@Nightafter
Grazie per aver letto il mio racconto. Sono contento che vi sia piaciuto. 
Avete ragione entrambi quando parlate di stile molto "raccontato" e favolistico. Nel caso di questa storia era esattamente il mio intento. 
Il racconto nasce proprio dopo aver visto un piccolo uccello, probabilmente un passero, volare dentro la chiesa di San Simeone Grande a Venezia, che a dispetto del nome è una chiesa molto piccola. 
L'accostamento a Gianni Rodari è super apprezzato. Aggiungo anche che una delle mie fonti di ispirazioni quando si tratta di racconti di questo tipo sono i fantastici 60 racconti di Buzzati. 
Ovviamente non scrivo solo racconti di questo genere, ma diciamo che ho una passione per i lunghissimi periodi e le poche virgole. 

Ciao!

Re: Il Pettirosso

5
@Neuromante, il tuo è un racconto che si prende il tempo di... raccontare. Indugia nei piaceri della descrizione, assapora le parole, e lo fa con maestria, perché riesce a non stancare. 
È furba l'idea di introdurre del movimento in un testo che altrimenti avrebbe corso il rischio di annoiare: seguendo, battito d'ala dopo battito d'ala, il pettirosso nell'esplorazione della chiesa, andiamo avanti quasi senza rendercene conto. Solo alcuni momenti li ho trovati un po' pesanti (stile a parte) e/o ripetitivi, te li segnalo qui di seguito (insieme ad altri che invece mi sono piaciuti particolarmente).
Neuromante ha scritto: quel luogo dove il cielo era solamente ambizione dei fedeli. 
Questa frase l'ho adorata. Molto bello il giro di pensieri.

Neuromante ha scritto: Le gote dell’uomo presentavano la stessa sfumatura sabbiosa delle piume pettorali del pettirosso
Qui non è chiarissimo. Il pettirosso è famoso per avere le piume... rosse. "Sfumatura sabbiosa" al massimo è gialla, ocra o marroncina. Il pettirosso ha anche quei colori, ma in questo caso ti suggerirei di modificare l'espressione "piume pettorali". Cita piuttosto le piume dei fianchi, dell'addome o del dorso.

Neuromante ha scritto: I suoi occhi erano nascosti da un nugolo di rughe, come se qualcuno ve li avesse spremuti dentro con le dita, e il cordone del suo saio scivolava fino a terra, strusciando sul pavimento, come si trattasse della coda di un animale mitologico.
Il resto della descrizione è WOW.

Neuromante ha scritto: l’occhietto rapace
Tecnicamente non è un rapace, anche se capisco quello che intendi.

Neuromante ha scritto: Lo sguardo dei fedeli divenne predatore, e il pensiero di ognuno si spostò velocemente nella direzione che interpretava quel segno come un succedimento miracoloso. Pensarono tutti che l’anima del morto si fosse trasfigurata in quel pettirosso, comparso all’improvviso dal nulla. Che quell’anima di forma divina si fosse mutata in uccello. Tutti quindi presero ad indicare il pettirosso, esclamandone la particolarità, che si muoveva frenetico nella casa del signore, invece di stare impigliato tra gli alberi del bosco. Pensarono dunque dovesse trattarsi proprio di un atto divino. Della volontà in forma d’uccello che spesso si addita allo spirito santo. 
Ecco, questo è il pezzo più ridondante. Ripeti diverse volte la stessa cosa, e non mi convince nemmeno l'espressione "esclamandone la particolarità".

Neuromante ha scritto: Forse si chiese perché il cielo non lo volesse più. 
Stringe il cuore questa frase. Bellissima.


Ottimamente riuscito anche il finale. Una macchia di sangue che diventa sfaccettata e preziosa (per il lettore) come un rubino. Sembra davvero di vederlo morire davanti ai propri occhi

Re: Il Pettirosso

6
Ciao @Neuromante ho letto con molto piacere questo tuo racconto. 
Passo a qualche dettaglio, personale, prima di considerazioni finali.
Neuromante ha scritto: Il piccolo pettirosso, dopo aver svolazzato per poco intorno alla facciata della chiesa, aveva scorto, nella tenda posta a difendere il luogo sacro dal freddo invernale, un piccolo pertugio attraverso cui entrare.
Sposterei la virgola da dopo "scorto" a dopo "tenda"
Neuromante ha scritto: La chiesa era vuota. La luce filtrava dalle finestre dando ritmo ai chiaroscuri di sculture e colonne. L’atmosfera sacra, di perenne penombra e umidità divina ricordava al pettirosso il fresco habitat del sottobosco.
Mi sono soffermato su queste due parole, cercando di coglierne la sensazione. Alla fine mi è arrivata, sottile. Metterei una virgola dopo divina.
Neuromante ha scritto: Così si era mosso con agilità e fermezza tra i pertugi, i capitelli e le cornici sporgenti dei dipinti.
Il senso di questa frase non mi è chiarissimo. Muoversi tra i capitelli mi sembra verosimile. Forse i pertugi e le cornici sporgenti dei dipinti non sono elementi così caratterizzanti all'interno di una chiesa.
Neuromante ha scritto: Muovendosi tra una navata e l’altra, aveva trovato, nell’angolo più luminoso della pala centrale,
La mia è pura curiosità. Da che cosa dipende l'angolo più luminoso? Dalla fonte di luce che arriva dal quadro? Oppure dalla luce esterna che in quel momento va a stagliarsi nell'angolo del dipinto? O c'è una motivazione simbolica?
Neuromante ha scritto: dove la cornice dorata toccava il marmo della cappella, un piccolo ragno saltatore. Nei numerosi occhi dell’insetto brillava il riflesso spento della tempera settecentesca. Nonostante la sua agilità, il ragno non riuscì a sfuggire al becco acuminato del pettirosso, che lo trafisse in una veloce stoccata, come fosse anche lui uno spadaccino dipinto sullo sfondo della tela. 
Bello questo passaggio.
Neuromante ha scritto: Subito dopo l’uccello si posò sulla statua del San Simeone, che giaceva supino e congelato nell’immobilità della roccia. Aveva saltellato beccando dei piccoli grani di polline che si erano invischiati nel saliscendi della barba scolpita del santo, per poi ripartire con slancio verso l’alto, dove aveva sentito il colpo di una mosca battere con insistenza contro il piccolo rosone della (facciata della) navata centrale.
Anche se può essere sottinteso.
Neuromante ha scritto: Al suonare delle campane la chiesa aveva iniziato a riempirsi, poco poco, come di sole al mattino che insegue i riflessi,
C'è qualcosa che non mi convince nella forma di questa frase, ma potrei anche sbagliarmi.
Neuromante ha scritto: Poco dopo era comparso anche il prete della Diocesi. Le gote dell’uomo presentavano la stessa sfumatura sabbiosa delle piume pettorali del pettirosso. I suoi occhi erano nascosti da un nugolo di rughe, come se qualcuno ve li avesse spremuti dentro con le dita, e il cordone del suo saio scivolava fino a terra, strusciando sul pavimento, come si trattasse della coda di un animale mitologico. 
Bella descrizione.
Neuromante ha scritto:  Il morto doveva essere stato un grande uomo. Un uomo amato, rispettato. Un uomo che aveva fatto qualcosa per gli altri. Un uomo gentile, simpatico, un uomo di spirito, che negli anni aveva guadagnato la fiducia delle persone, ne aveva ammaliato lo spirito ed ora era morto, ed eccolo lì, rimpianto dai debitori della sua gentilezza.
Sostituirei la virgola dopo morto con un punto o un punto e virgola.

Ciao, mi è piaciuto questo tuo racconto. Scritto con delicatezza e attenzione ai particolari. Una situazione assolutamente verosimile, come da tuo ricordo. A qualcosa di analogo è capitato di assistere anche a me, quando una rondine è entrata all'interno di un tendone dove si stava svolgendo uno spettacolo teatrale e ha svolazzato per tutto il tempo, quasi fosse parte dello spettacolo.
Dall'ingresso della bara, dal mio punto di vista, il racconto prende uno slancio maggiore con un crescendo fino all'inevitabile finale. Una scrittura semplice e ricca con diversi rimandi e riflessioni. Ho apprezzato l'impronta favolistica e ci leggo anche un messaggio a tal proposito: quando l'uomo vuole entrare forzatamente in dinamiche della natura che non gli appartengono, il risultato gioca sempre a sfavore di chi subisce la mano di quest'ultimo.
Piaciuto. A rileggerti





 

Re: Il Pettirosso

7
@Neuromante

Il racconto è scritto in maniera egregia. Le descrizioni, molto accurate e curate, mostrano il saper adeguare lo stile al contenuto.
Altri hanno fatto l'editing del testo, piaciuto a tutti. A me, il giudizio riguarda il mio parere, sono gradite le storie, oltre che ben scritte, che siano relative ad illuminazioni o a fatti che possano accadere. Voglio dire che non ci vedo l'aspetto della favola ma l'essere in grado di costruire una trama da un fatto, capitato, dimostrando bell'espressione e aderenza agli accadimenti. Complimenti, quindi. Altro non ho da aggiungere. 

Re: Il Pettirosso

8
@Neuromante ti dico subito che il racconto è piaciuto anche a me, trovo anch'io il tipo di narrazione aderente al periodo "storico" e adatto alla trama. Si percepisce chiaramente cha hai una mano felice, il testo risulta scorrevole, gradevole, pennellato da belle descrizioni. Quindi: Bravo!
Detto questo, siamo qui per fare le pulci, il che non significa criticare "ad muzzum" (lingua siciliana) ma aguzzare la nostra vista di lettori/narratori al fine di migliorarsi a vicenda. Si tratta più semplicemente di piccole sviste, inesattezze (giacchè non tutti possiamo sapere tutto). 
La nostra passione, la narrativa, ci obbliga ad inventare una realtà che non esiste, ma che, per essere credibile, deve attenersi fedelmente alla realtà stessa (fantasy e fantascienza esclusi).
Tutta questa tiritera, un po' spocchiosa  :D, lo ammetto, per darti un mio suggerimento.
Neuromante ha scritto: Aveva rubato delle briciole di ostia dall’altare,
Per quanto carina e ben riferibile al beccare di un uccellino, ciò sarebbe impossibile perchè prima della "frazione del pane" (cioè quando il prete spezza l'ostia), il prelato stende sull'altare un piccolo tovagliato bianco, inoltre spezza l'ostia sopra il calice affinché neppure una briciola vada dispersa. Il tovagliato viene poi rimosso e sull'altare non resta proprio nulla. 

Secondo punto: qualcuno ti ha detto
bwv582 ha scritto: Questo stile resta comunque molto "raccontato" e, ti dirò, in un racconto di questo tipo ci sta anche bene.
 Anch'io sono dello stesso parere, ma credo sia possibile animare la scena proprio quando il bambino avvista l'uccellino. Fallo parlare con un "Guardate, guardate!" o quello che vuoi tu, poi fai parlare la folla, ora uno ora l'altro affermado che si tratta dell'anima benedetta del morto; fai sentire lo stupore, ma anche l'ingenuità del popolo a riguardo. Con la tua capacità descrittiva puoi fare moltissimo. 
Spero di non essere risultata antipatica. I commenti mettono i commentatori sempre un po' a rischio, soprattutto quando non ci si conosce.
Leggerti è stato un piacere e con piacere tornerò a leggerti quando ti cimenterai in altro.
Rispondi

Torna a “Racconti”

cron