Re: I semi della Baba Jaga

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Scritto di getto nei primissimi giorni dell'aggressione russa in Ucraina , su ispirazione di un episodio narrato dalle cronache, che mi ha colpito profondamente.

I SEMI DELLA BABA JAGA

“Dovevo sparare in testa a quella strega ucraina, Igor”, disse Sergei, supino sul terreno del parco Sarzhin Yar di Kharkiv, dopo l’ultima raffica di mitra.
“Sei ferito?”, chiese Igor.
“No”
“E allora?”
“Non riesco ad alzarmi, guarda”. Sergei poggiò l’AK-12 sull’erba sotto di sé e cominciò a spingere con le mani per sollevarsi. Il suo viso, rivolto verso il basso, restò nascosto dall’elmetto mimetico; dopo qualche secondo, sbuffò e smise di sforzarsi.
Igor, accovacciato dietro di lui, nella posizione tattica che avevano provato mille volte ai campi di addestramento, rimase fermo.
Un altro sparo venne dall’alto e i due soldati russi risposero con raffiche brevi e precise dei loro fucili d’assalto al fuoco che proveniva dal palazzo affacciato sul parco. Rumore di vetri infranti, sbuffi di pallottole sulla facciata intorno alle finestre, l’eco del crepitio delle armi automatiche a perdersi nell’aria mattutina. Dopo quella furia breve e intensa, silenzio. Nell’aria, odore di cordite, terra umida e paura.
Passato qualche secondo, Igor guardò Sergei, ancora disteso a pancia in sotto, con il fucile puntato verso l’alto e gli disse: “Riprova ora, dai”.
“Non ci riesco!”, disse l’altro battendo più volte sul prato la mano guantata di grigioverde.
“Perché?”, chiese Igor incredulo. Sergei era un uomo formidabile, forse il più forte che lui avesse conosciuto in tutti i suoi anni di servizio militare. Vederlo dimenarsi a terra, impotente, faceva impressione. “Che ti succede?”, riprese.
“Sono pesantissimi”
“Cosa?”
“I semi di quella strega ucraina”, rispose Sergei sputando in terra, “li ho messi in tasca, e ora pesano come mille sassi, mi tengono inchiodato per terra. Dovevo proprio spararle in testa a quella strega”.
“Che dici, Sergei, sono solo semi!”, rispose Igor.
“Pensi che stia scherzando? Pensi che mi diverta a stare qui steso in piena vista, con quel cecchino che ci punta?”, disse rabbiosamente l’altro, accennando con la testa verso l’alto.
Prima che Igor replicasse, da un’altra finestra del palazzo scaturì una raffica di colpi, che si conficcarono nell’aiuola intorno ai due russi con il suono sordo della grandine pesante quando colpisce la terra.
I due soldati russi risposero al fuoco e sulla facciata del palazzo esplosero di nuovo schegge di vetro e di intonaco. Un riflesso, e il fucile sparì, l’ombra scomparve nel buio: il cecchino cercava una nuova posizione.
Tornò il silenzio.
“Aiutami, Igor, fammi alzare”, disse Sergei stringendo i denti.
L’altro esitò, scrutando le finestre buie da cui poteva arrivare in qualsiasi momento la morte.
Non aveva mai veramente pensato alla morte, Igor, il giovane di Volgograd, neanche quando sparava alle sagome nei poligoni di tiro, neanche quando tagliava la gola ai fantocci nelle simulazioni, neanche quando lanciava le granate da addestramento che esplodevano con scoppi soffocati. Sembrava tutto un videogioco, era divertente, faceva scorrere il sangue nelle vene. E Igor, il ragazzo nato all’ombra del Mamaev Kurdan, sognava, immaginava gonfiando il petto, il grande giorno in cui avrebbe massacrato il nemico per la gloria immensa della Grande Madre Patria Russa. Non poteva sapere, allora, che un giorno la morte lo avrebbe scrutato dalle orbite rettangolari e vuote della facciata di un anonimo palazzo di Charkov.
Charkov. Igor la chiamava così, con il nome russo, anche quando veniva in quella città a trovare il cugino Taras, il figlio maggiore della zia Nadia, sposata con Andriy, l’ingegnere ucraino che lavorava alle ferrovie. Era simpatico, Taras, parlava uno strano russo, come tutti in quella città, ma rideva sempre e giocava malissimo a pallone, e Igor vinceva sempre. Chissà dov’era, era tanto tempo che non lo vedeva, forse non si sarebbero neanche riconosciuti. Un pensiero lo gelò: Taras poteva essere lì, in quel momento, magari era proprio lui dietro il mirino di quel fucile che si nascondeva dietro le tende bruciate dai colpi dell’artiglieria russa.
“Igor?”, la voce di Sergei lo scosse.
“Sì”
“Che fai? Vedi qualcosa?”, chiese l’altro.
“No, non si muove nulla”, rispose Igor.
“Aiutami allora, mi voglio alzare, voglio togliermi da qui. Igor!”. La voce di Sergei era sempre più rabbiosa.
Il ragazzo girò un ultimo sguardo verso l’alto, trattenendo il respiro; troppe finestre da tenere d’occhio. Al quarto o quinto piano, non riusciva a contare bene, ce n’era una aperta e la tenda si muoveva lentamente. Forse il vento, forse.
Dentro la pesante mimetica, i guanti militari, l’elmetto corazzato, ogni centimetro della sua pelle stillava sudore gelido.
Alla fine, si decise. Si avvicinò al compagno steso in terra, posò il fucile accanto ai propri piedi, pronto a imbracciarlo al minimo pericolo. Gli avevano insegnato a potenziare i sensi, al corso di sopravvivenza, ma allora era solo un gioco, e nulla era minaccioso come quel silenzio.
Igor afferrò la cintola di Sergei, fece un respiro profondo e mise tutta la sua forza nelle braccia e nelle gambe tirando verso l’alto.
Niente.
Sergei sembrava un macigno fuso nel suolo.
Igor mollò la presa e, guardando in alto, riafferrò l’AK-12, tornando alla posizione di combattimento, accovacciato poco dietro il compagno.
“Sergei, non ci riesco”, disse a bassa voce.
“Te l’avevo detto, Igor, quella strega ucraina, dovevo metterle una granata innescata in tasca e prenderla a calci fino all’inferno”, rispose Sergei che, dopo un breve suono amaro, proseguì: “Me lo diceva mia nonna, la Baba Jaga la chiamava, era proprio uguale a quella vecchia. I capelli bianchi, il vestito tutto nero e la voce da strega. Non prendere mai niente dalla Baba Jaga, mio piccolo Zaya, non prendere mai niente. Porta male, porta morte, la Baba Jaga, mi diceva mia nonna e mi teneva le mani”.
Igor strinse a sé l’arma, senza parlare.
“Non voglio morire, Igor, portami via da qui. Chiama aiuto, portami via di qui”, riprese Sergei.
Igor era paralizzato, ma trovò il fiato per dire: “Zaya? Coniglietto? Davvero tua nonna ti chiamava così?”.
Sergei fece uno sbuffo con la bocca e le sue spalle sussultarono: “Sì”, rispose ridendo.
Un sibilo, uno tonfo leggero e, poi, uno schiocco. I proiettili di un fucile di precisione viaggiano a due volte e mezzo la velocità del suono, lo sparo arriva all’orecchio dopo che il colpo è arrivato a segno.
Sergei individuò con un’occhiata il punto da cui era partito il tiro, prese rapidamente la mira e scatenò la potenza del suo AK-12 verso la finestra del terzo piano, al centro della facciata. Colpito! L’arma del cecchino rimase in bilico sul davanzale per pochi attimi, poi cadde roteando verso il basso, sul marciapiede.
“Beccato, Igor, l’abbiamo beccato!”, disse Sergei, alzandosi in ginocchio e rotolando dietro una panchina, l’arma stretta al corpo.
Ci mise un po’, Sergei, a realizzare che si era mosso liberamente, si era alzato, il peso che lo schiacciava a terra poco prima era svanito!
“Igor, Igor, hai visto?”, si voltò verso il compagno.
Il ragazzo di Volgograd, inginocchiato poco distante, lo guardava con gli occhi spalancati. Si teneva la mano sinistra sul collo, ma un fiotto rosso aveva già imbevuto il fazzoletto annodato sotto il viso e colava abbondante sulla mimetica; l’altra mano era aggrappata al fucile poggiato con il calcio a terra e la canna rivolta verso il cielo.
Igor aprì la bocca per dire qualcosa, ma riuscì solo a soffiare il suo ultimo respiro, misto a sangue. Poi cadde lentamente riverso, nella posa innaturale di chi muore in battaglia.
“Tieni questi semi, soldato”, aveva detto la Baba Jaga poche ore prima, “cresceranno nella nostra terra quando morirete”.
Con un brivido, Sergei infilò la mano destra nella tasca della mimetica, ne estrasse un granello marrone e beige, minuscolo tra il pollice e l’indice del guanto tattico: un seme di girasole.
Il soldato lo affondò, fra radi fili d’erba, nella terra imbevuta del sangue di Igor.

Re: I semi della Baba Jaga

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Ciao @Parsifal piacere di leggerti. Prima di esprimere un commento, parto con qualche piccolezza di punteggiatura.
Parsifal ha scritto: “Dovevo sparare in testa a quella strega ucraina, Igor”, disse Sergei, supino sul terreno del parco Sarzhin Yar di Kharkiv, dopo l’ultima raffica di mitra.
“Sei ferito?”, chiese Igor.
Un inizio accattivante che, abbinato al titolo, stimola interesse e curiosità.
Parsifal ha scritto: Il suo viso, rivolto verso il basso, restò nascosto dall’elmetto mimetico; dopo qualche secondo, sbuffò e smise di sforzarsi.
Togliere la virgola dopo secondo.
Parsifal ha scritto: Igor, accovacciato dietro di lui, nella posizione tattica che avevano provato mille volte ai campi di addestramento, rimase fermo.
Cambierei la forma: "Igor, accovacciato dietro di lui, rimase fermo nella posizione tattica che avevano provato mille volte ai campi di addestramento.
Parsifal ha scritto: Un altro sparo venne dall’alto
Mi sembra meglio: partì dall'alto.
Parsifal ha scritto: Nell’aria, odore di cordite, terra umida e paura.
Ho imparato un termine nuovo, grazie.
Parsifal ha scritto: Passato qualche secondo, Igor guardò Sergei, ancora disteso a pancia in sotto,
Meglio pancia in giù.
Parsifal ha scritto: “Non ci riesco!”, disse l’altro battendo più volte sul prato la mano guantata di grigioverde.
“Perché?”, chiese Igor incredulo. Sergei era un uomo formidabile, forse il più forte che lui avesse conosciuto in tutti i suoi anni di servizio militare. Vederlo dimenarsi a terra, impotente, faceva impressione.
Dopo il punto di incredulo, andrei a capo con Sergei; inizia un nuovo periodo.
Parsifal ha scritto: “Pensi che stia scherzando? Pensi che mi diverta a stare qui steso in piena vista, con quel cecchino che ci punta?”,
Toglierei.
Parsifal ha scritto: Un riflesso, e il fucile sparì, l’ombra scomparve nel buio: il cecchino cercava una nuova posizione.
Toglierei la virgola dopo riflesso.
Parsifal ha scritto: “Igor?”, la voce di Sergei lo scosse.
“Sì”
“Che fai? Vedi qualcosa?”, chiese l’altro.
“No, non si muove nulla”, rispose Igor.
Eliminerei, spezzano il ritmo e il dialogo è chiaro.
Parsifal ha scritto: “Non voglio morire, Igor, portami via da qui. Chiama aiuto, portami via di qui”, riprese Sergei.
Igor era paralizzato, ma trovò il fiato per dire: “Zaya? Coniglietto? Davvero tua nonna ti chiamava così?”.
Sergei fece uno sbuffo con la bocca e le sue spalle sussultarono: “Sì”, rispose ridendo.
Un sibilo, uno tonfo leggero e, poi, uno schiocco. I proiettili di un fucile di precisione viaggiano a due volte e mezzo la velocità del suono, lo sparo arriva all’orecchio dopo che il colpo è arrivato a segno.
Bello questo passaggio. La tragedia scocca nell'attimo in cui si erano distratti nel ricordo di un momento tenero. Potente e crudele.
Parsifal ha scritto: “Beccato, Igor, l’abbiamo beccato!”, disse Sergei, alzandosi in ginocchio e rotolando dietro una panchina, l’arma stretta al corpo.
Meglio esclamò Sergei.
Parsifal ha scritto: Poi cadde lentamente riverso, nella posa innaturale di chi muore in battaglia.
Sposterei la virgola dopo lentamente.

Un racconto potente nella sua semplicità, con questa incursione leggendaria e fiabesca che predice scenari drammatici a cui l'uomo, a quanto pare, non riesce a porre fine.
Uno spaccato che si adatta, purtroppo, a qualsiasi teatro di guerra che si ripete nella storia dell'uomo.
Lo hai reso chiaro, semplice ed efficace nei dialoghi, nei ricordi affettuosi dei protagonisti, nell'insensatezza della guerra.
Il finale amaro, lapideo, non ha niente da aggiungere.
Mi è piaciuto, anche nell'immediatezza della scrittura. come hai ricordato. Un racconto fresco e drammatico.
Complimenti. A rileggerti.

Re: I semi della Baba Jaga

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@Kasimiro mille grazie per la lettura attenta, e per i commenti.



Farò tesoro del tuo editing, mi sembrano tutti suggerimenti corretti e appropriati, che confermano per l'ennesima volta quanto sia utile un contributo critico attento e competente.


  ha scritto: Uno spaccato che si adatta, purtroppo, a qualsiasi teatro di guerra che si ripete nella storia dell'uomo.
Lo hai reso chiaro, semplice ed efficace nei dialoghi, nei ricordi affettuosi dei protagonisti, nell'insensatezza della guerra.
Il finale amaro, lapideo, non ha niente da aggiungere.
Mi è piaciuto, anche nell'immediatezza della scrittura. come hai ricordato. Un racconto fresco e drammatico.
Complimenti. A rileggerti.
Ti ringrazio anche per aver colto a pieno lo spirito del racconto. Comunque la si pensi, la guerra è sempre orrenda.

Ne ho un altro sullo stesso tema, ispirato allo stesso modo da una situazione reale. Magari prossimamente pubblico qui anche quello.

Ciao e Buone Feste!

Re: I semi della Baba Jaga

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Ciao @Parsifal 

Credo sia la prima volta che leggo qualcosa di tuo, devo dire che me ne dispiaccio, perché scrivi davvero bene, in ogni caso, meglio tardi che mai.
Il racconto è eccellente: hai mescolato con sapienza un tema da instant book come il conflitto russo-ucraino, senza entrare nel merito politico del fatto, ma facendo immergere il lettore nel dramma realistico di due soldati coinvolti in un episodio di scontro a fuoco.

Sei entrato con realismo ed efficacia narrativa nella psicologia del personaggio narrante, mostrandone, senza fronzoli epici le tensioni emozionali e la paura concreta, di chi si trova a vivere una situazione di combattimento estrema.
Dove il personaggio affronta in maniera diretta e violenta, un confronto tra l’esperienza virtuale di un addestramento a uccidere e la realtà, cruda e terrificante dell’uccidere o essere ucciso.

Ho trovato accurati anche i riferimenti alle armi di dotazione dei personaggi, che conferiscono una nota in più di realismo alla storia narrata.

Ottimo l’inserimento di un tema “occulto”, ispirato alla mitologia slava
che costituisce la spina dorsale della storia, conferendo una luce cupa e tenebrosa alla vicenda raccontata.
La Baba Jaga che si trova nelle fiabe russe, polacche, slovacche, bulgare, ceche e bielorusse: è una creatura leggendaria, un personaggio dei rituali magici, uno spirito della notte in Serbia, Croazia e Bulgaria.
Descritta come mostruosa vecchietta dotata di poteri magici, spesso paragonata a una strega o a un'incantatrice, è un personaggio per lo più negativo che a volte agisce in qualità di aiutante del protagonista del mito, spesso con funzioni iniziatiche.
Si tratta di una delle figure più enigmatiche e controverse del panorama mitologico europeo, la cui origine risale probabilmente all'Età proto-storica.

Tutti i miei complimenti per l’idea del soggetto e lo stile asciutto e ficcante con chi lo hai realizzato.

Un saluto e alla prossima.  (y)

Re: I semi della Baba Jaga

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@Nightafter ti ringrazio di cuore per il tuo lusinghiero giudizio! 
In effetti, è il mio primo racconto pubblicato su questo interessante forum, e mi riprometto di continuare, cercando di mantenere o migliorare il livello. D'altra parte, si sa che i lettori più esigenti sono gli scrittori.
La Baba Jaga è una reminescenza delle mie letture e tu la descrivi con esattezza. 
Mi fa piacere, tra l'altro, che tu abbia colto l'assenza di politica nel racconto, anche se io non sono per nulla "equidistante" in merito a questa tragica invasione: la guerra è orribile qualunque sia il fronte dal quale si combatte. 
Grazie ancora e a presto! 

Re: I semi della Baba Jaga

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@Parsifal 
Mi è piaciuto. E' scritto bene, con una buona idea di base ben sviluppata. Buona anche l'ambientazione, che mi fa pensare che dietro ci sia stato da parte tua anche un impegno a documentarsi. Mi è parso di cogliere una sola contraddizione tra la posizione iniziale di Sergei, supino, e le fasi successive in cui spinge con le mani sul terreno per alzarsi o quando spara verso il cecchino, tutte cose che difficilmente si possono fare sdraiati sulla schiena (e immobilizzati in quella posizione). Buono anche il passaggio che entra nel personale e rende l'idea di come quella che è anche una guerra civile sia in grado di minare i rapporti sociali insinuando la diffidenza anche in quelli più stretti. Una buona lettura, grazie.

Re: I semi della Baba Jaga

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@Parsifal ti ringrazio per questo racconto, senza giudizi eppure di impatto, fatto di persone prima di tutto. Così dolorosa la parentesi di Taras, così amara la frase di Baba Jaga, riesce a esprimere una valanga di sentimenti. 
A pensarci bene, io un'opinione dietro le righe la sento, ma sarà una mia mera interpretazione? Visto che sono di parte?
Ti faccio un solo appunto: zaya vuol dire coniglietto, è vero, ma in questa forma è usata più spesso al femminile. Rivolta a un bambino, probabilmente sarebbe stato "zaichik".

Re: I semi della Baba Jaga

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Molto ben scritto. Fila che è una meraviglia e il finale è perfetto.
Se proprio devo dire qualcosa direi che forse varrebbe la pena di espanderlo e farne un racconto più consistente, magari arricchendo il dialogo tra i due; per esempio, in un momento così tragico e vulnerabile, si raccontano aneddoti sulla propria infanzia, i propri affetti, i sogni e così via. Ti dico questo perché il corpo e il finale mi sembrano degni di un maggiore "impegno" quantitativo. Ma anche così è molto convincente. 


GP

Re: I semi della Baba Jaga

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Bob66 ha scritto: @Parsifal 
Mi è piaciuto. E' scritto bene, con una buona idea di base ben sviluppata. Buona anche l'ambientazione, che mi fa pensare che dietro ci sia stato da parte tua anche un impegno a documentarsi. Mi è parso di cogliere una sola contraddizione tra la posizione iniziale di Sergei, supino, e le fasi successive in cui spinge con le mani sul terreno per alzarsi o quando spara verso il cecchino, tutte cose che difficilmente si possono fare sdraiati sulla schiena (e immobilizzati in quella posizione). Buono anche il passaggio che entra nel personale e rende l'idea di come quella che è anche una guerra civile sia in grado di minare i rapporti sociali insinuando la diffidenza anche in quelli più stretti. Una buona lettura, grazie.
Ti ringrazio @Bob66  , anche per la segnalazione dell'errore di cui non mi ero accorto: hai ragione, supino è sbagliato, dovrò correggere in "prono", perché ovviamente il soldato spara con il ventre poggiato a terra.
Per il resto, il dramma della guerra tra popoli vicini, largamente intrecciati tra loro, mi era stato riferito anche prima dello scoppio di questa guerra insensata da persone che vivono in Ucraina; le cronache di questi mesi, poi, lo hanno tragicamente confermato.
Grazie ancora!

Re: I semi della Baba Jaga

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PersonalCanis ha scritto: @Parsifal ti ringrazio per questo racconto, senza giudizi eppure di impatto, fatto di persone prima di tutto. Così dolorosa la parentesi di Taras, così amara la frase di Baba Jaga, riesce a esprimere una valanga di sentimenti. 
A pensarci bene, io un'opinione dietro le righe la sento, ma sarà una mia mera interpretazione? Visto che sono di parte?
Ti faccio un solo appunto: zaya vuol dire coniglietto, è vero, ma in questa forma è usata più spesso al femminile. Rivolta a un bambino, probabilmente sarebbe stato "zaichik".
@Canis  grazie anche a te per l'apprezzamento. E anche per la precisazione semantica: confesso di non conoscere il russo e di aver utilizzato il traduttore online.
Io ho un'opinione molto netta su questa guerra insensata, ma non la esprimo. Non voglio sottrarmi a un dibattito, semplicemente credo che la politica sia meglio tenerla fuori da un forum dedicato alla passione per la scrittura.

Re: I semi della Baba Jaga

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Gran Passo ha scritto: Molto ben scritto. Fila che è una meraviglia e il finale è perfetto.
Se proprio devo dire qualcosa direi che forse varrebbe la pena di espanderlo e farne un racconto più consistente, magari arricchendo il dialogo tra i due; per esempio, in un momento così tragico e vulnerabile, si raccontano aneddoti sulla propria infanzia, i propri affetti, i sogni e così via. Ti dico questo perché il corpo e il finale mi sembrano degni di un maggiore "impegno" quantitativo. Ma anche così è molto convincente. 


GP
@Gran Passo  grazie anche a te per l'apprezzamento, è sempre un piacere.
Quanto al tuo suggerimento di espandere la narrazione, te ne sono grato e lo prenderò in considerazione.
In effetti, il racconto l'ho immaginato e scritto come una scena fulminante e densa che lascerei così per non privarla di impatto (e anche per un mio gusto personale).
 Forse, però, quell'approfondimento potrebbe essere compiuto in un prologo (i due soldati parlano a bordo del mezzo che li porta sul luogo della battaglia, oppure durante una sosta del pattugliamento, magari mentre bevono della vodka e fumano una sigaretta). 
Grazie ancora!

Re: I semi della Baba Jaga

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Parsifal ha scritto: @Gran Passo  grazie anche a te per l'apprezzamento, è sempre un piacere.
Quanto al tuo suggerimento di espandere la narrazione, te ne sono grato e lo prenderò in considerazione.
In effetti, il racconto l'ho immaginato e scritto come una scena fulminante e densa che lascerei così per non privarla di impatto (e anche per un mio gusto personale).
 Forse, però, quell'approfondimento potrebbe essere compiuto in un prologo (i due soldati parlano a bordo del mezzo che li porta sul luogo della battaglia, oppure durante una sosta del pattugliamento, magari mentre bevono della vodka e fumano una sigaretta). 
Grazie ancora!
Esatto. Secondo me potresti provare. 
Lo vedo benissimo come scena cinematografica. 
Anche io scrivo racconti e spesso li immagino come short film, con tanto di attori che potrebbero interpretarli.   
Nel tuo ci vedo bene Bardem e Harrelson giovani  :)
Ciao!

GP

Re: I semi della Baba Jaga

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Gran Passo ha scritto: Esatto. Secondo me potresti provare. 
Lo vedo benissimo come scena cinematografica. 
Anche io scrivo racconti e spesso li immagino come short film, con tanto di attori che potrebbero interpretarli.   
Nel tuo ci vedo bene Bardem e Harrelson giovani  :)
Ciao!

GP
Accidenti! Bardem e Harrelson significherebbe film con produzione multimilionaria!  :D
Scherzi a parte (sognare è bello, ma sarebbe, per l'appunto, un sogno), grazie ancora.
Appena ho tempo, cerco qualche tuo racconto qui, così mi faccio un'idea anche io di questa tecnica... e sicuramente imparo qualcosa.
Ciao!
Parsifal

P.S.: Il tuo nome è riferito ad Aragorn, suppongo. Nel caso, è di gran lunga il mio personaggio preferito della saga dell'anello, mentre non ho mai sopportato più di tanto gli Hobbit
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