L'escursione

1
L’escursione

Adesso la comitiva muove verso il tratto più alto del percorso. Michele osserva la valle: un’enormità disposta a conca, a contenere un lago di nuvole. Quanta magnificenza... Gli sembra quasi uno spreco, dal momento che non può condividerla con nessuno. Di certo non con la combriccola dei gitanti, la cui presenza al più lo disturba. Lo disturbano le domande sciocche dei bambini, che vagheggiano dell’apparire degli orsi, e le risate soddisfatte degli adulti. Solo lui, a quella vista, all’aprirsi delle montagne come drappi di palcoscenico sulla valle, non prova pienezza ma mancanza?
Michele affretta un po’ il passo e si distanzia dal resto del gruppo. Così ne evita il cicaleccio. Prosegue da solo per il sentiero di montagna. Certo, è un’imprudenza. Ma Michele è di questo umore: è come se volesse sfidare gli dei. Magari incontrerà gli orsi, si dice, e riesce almeno a sorridere un po’.
Inizia a scendere. La strada è sterrata e ripida, ma larga e costeggiata dalla roccia, cosicché non spaventa più di tanto. Le varie ipotesi di incidente mortale che si figura – cadere dal costone, fare un unico volo fino ai piedi del monte, inciampare e finire con la testa fracassata sulle pietre, essere aggredito da un animale selvatico – gli sembrano implausibili. Michele scende, ma intanto è sceso anche il sole dietro i massicci, e si è fatto più buio e più freddo. Così viene meno anche la spavalderia, ora Michele non scende più, ma sale: ha deciso di ricongiungersi al gruppo. Percorre a ritroso prima cinquanta metri, poi cento, poi sparge altri passi alla rinfusa. Il gruppo non è lì dove pensava.
Guai a sfidare gli dei, non si sa mai cosa possa accaderti. Sono passate due o forse tre ore, Michele non saprebbe dire. La valle non è più un palcoscenico di nuvole, non si distingue dal resto della notte. Ha pensato di proseguire per la strada che scende, che in qualche modo pure sarebbe arrivato alle pendici, ma è come un labirinto, perché talvolta il sentiero dapprima scende, ma poi riprende a salire. Al buio, le fantasie di morte non sembrano più così implausibili. Stare fermo e aspettare che qualcuno lo venga a cercare, che la notte passi, sembra l’unica possibilità. Ma i piedi si muovono, per l’impazienza e per il freddo.
Mentre Michele cammina a vuoto sulla montagna, da sotto hanno organizzato i soccorsi. Decine di operatori alpini, in pattuglie, e un elicottero. Ma Michele non si trova.
Michele è fuori dalla portata delle torce e dei fari che lo cercano. Prosegue a tentoni lungo i fianchi della caverna ancora qualche metro, poi, all’ennesimo inciampo, decide di fermarsi prima che si faccia male davvero. Non è il buio della notte, quello, è un buio ben più buio. Un buio d’orizzonte chiuso, senza stelle che orientino, senz’aria che si muove. Non vedendo, Michele sente. Sente il freddo della roccia sulla schiena, la sua durezza. Sente la costante centrifuga del vento intrappolato poco in là, fuori al cunicolo. Sente un forte odore di terra e di pietra bagnata. Ma soprattutto, sente il sibilo incessante del proprio respiro e il martellare inesauribile del proprio cuore. Presto divengono l’unico scenario della realtà: non c’è alcuna estensione, alcuna altezza, alcuna profondità, il mondo è fatto soltanto del suo cuore che batte e del suo respiro che si ripete. Michele se ne spaventa, non c’è altrove da se stesso, e da lì non può scappare.
La fantasia di morte che gli si apre alla mente, adesso, è ben diversa. Non è Michele a morire, ma il mondo attorno, e lui è tutto ciò che rimane. Il cuore galoppa, ma le gambe no, non obbediscono al comando di tornare fuori e riconquistare lo spazio, il tempo e la materia. Del corpo di Michele si muove solo ciò che non controlla, il resto è pietrificato: nulla è più terrificante che se stessi. Ora il tempo non va più in linea, ma si riproduce in circolo, in battiti e respiri. Michele resta lì, col volto fisso nel nulla in un’espressione che nessuno mai vedrà. Anzi, prova a visualizzarla lui stesso, nella mente, la propria espressione rivolta al nulla che lo circonda, ma gli sfugge, cambia ogni momento, a ogni pulsazione del cuore che sente persino nella punta del naso, a ogni sussulto del petto che gli sforma le guance. Michele non ha sembianze, è solo cuore e respiro. Non ne ha mai avute, adesso realizza. Non è mai stato fatto di materia solida. È a intermittenza. È come i suoi pensieri: muore appena si fa. Rimane solo il via vai, l’inspirare ed espirare, il battere e il levare. Michele ha il cuore oltre la gola, gli è salito per l’esofago e gli è arrivato in faccia e batte, e abbaia, e colpisce, e occupa tutto.
Sarà mica già morto? Michele se lo chiede, dal momento che il mondo è scomparso. E il cuore, quel cuore che gli cattura i sensi con prepotenza, sarà ancora il suo? Sarà ancora se stesso che palpita o è qualche altra cosa? Un demone, una forza aliena, un dio maligno...
Michele si addormenta.
Al suo risveglio la realtà delle cose è tornata. Vede la roccia della caverna nel grigio della penombra, distingue sassi sotto i suoi piedi laddove era un indistinto. Michele stesso è tornato ad essere una cosa estesa, non solo un pulsare di cuore e un respiro: ha mani che possono toccare, braccia che possono muoversi, gambe che possono farlo muovere. Il cuore che pulsa è tornato un semplice sottofondo. Michele distende le gambe e raddrizza la schiena, allunga il corpo sgranchendosi. La notte è trascorsa e lui è vivo. Lo attende, fuori alla grotta, la stessa difficoltà del giorno addietro. Dovrà ritrovare la strada. Ma questo non può spaventarlo: com’è che vada, esiste dell’altro da sé nel mondo. Michele cammina, non sono che pochissimi passi fino alla piccola luce del giorno che filtra, l’uscita.
Rivede ciò che quella notte era scomparso: gli spazi estesi allagati d’aria, un cielo azzurro e bianco posto sopra alle cose, le chiome degli alberi che, ondeggiando, frusciano e cambiano di colore, gli uccelli che le affollano e che a gruppi si alzano e tornano a posarvisi, i fili d’erba, le pietre, la terra, le formiche.
Michele di nuovo prende il sentiero che scende. Stavolta ha tutto un giorno di luce a disposizione per ritrovare la strada per la valle e, di lì, per la città. Più probabilmente incontrerà qualcuno che la strada gliela potrà indicare. Si immagina apparire delle macchie in lontananza, che come lui camminano. Si immagina sbracciarsi e urlare. Mentre cammina, a Michele sembra di muoversi verso quelle persone che incontrerà e che potranno aiutarlo. Immagina una donna mora, dai lunghi capelli, giovane, che lo ascolta attenta. Immagina un uomo con la barba bianca che ha l’aria di saper cosa fare. Li immagina con dei ragazzini, che magari parlano degli orsi. Racconterà della grotta, chiederà dell’acqua e del cibo, riceverà le comodità riservate agli esseri umani. Si immagina svoltare il costone e rimbattersi nella comitiva di gitanti, quella che tanto detestava, e poi urlare di gioia.
Michele svolta il costone, e il paesaggio si apre. Alla vista gli appare di nuovo la valle, per la prima volta da quando è uscito dalla caverna. L’orizzonte è limpido, il lago di nuvole è evaporato. Oltre le terre e i corsi d’acqua ora si scorge, appena levato nel cielo, un’ovale celeste. La luna, pensa Michele, già a quest’ora del mattino. Un’enorme luna azzurra, senza volto dolente da Monnalisa. Una luna con nuvole, mari e terre emerse. Qualcosa non torna.
Di nuovo il battere prepotente del cuore, ma il fiato è mozzato. Non è di certo la luna, quella; è un enorme sfera che reca figure informi, eppure troppo note perché Michele non le riconosca. A galla in mezzo agli oceani, l’enorme teschio bruno dell’Africa. Più su la mano aperta del Peloponneso, il triangolo della Sicilia, lo stivale dell’Italia. Poi nuvole.
Michele cammina, si agita, accelera il passo incespicando, ma a quel corpo sospeso nell’aria proprio non riesce ad avvicinarsi. Dovunque si trovi, non riesce a tornare sulla Terra.


Scrittore maledetto due volte

Re: L'escursione

2
Edu ha scritto:  È come i suoi pensieri: muore appena si fa muoiono appena si formulano. 
Edu ha scritto: È Sarà ancora se stesso che palpita o è qualche altra cosa? Un demone, una forza aliena, un dio maligno...
Edu ha scritto: com’è che vada, vada come vada, esiste dell’altro da sé nel mondo. Michele cammina, non sono che pochissimi passi fino alla piccola luce del giorno che filtra, l’uscita.
dopo "filtra" ti consiglio i due punti.
Edu ha scritto: appena levato nel cielo, un’ovale celeste.
Edu ha scritto: è un enorme sfera che reca figure informi,
"sfera" è femminile, devi scrivere con l'apostrofo: un'enorme. Un ovale è maschile e non vuole l'apostrofo.
Edu ha scritto: Michele cammina, si agita, accelera il passo incespicando, ma a quel corpo sospeso nell’aria proprio non riesce ad avvicinarsi. Dovunque si trovi, non riesce a tornare sulla Terra.
Carerrimo @Edu  :)

In questo finale, e in sottofondo a tutto il testo, ci scorgo l'inizio, il percorso e l'epilogo della malattia che fa rifiutare un mondo che non si riconosce più proprio, un mondo diventato diverso, i cui esponenti umani non sono visti come simili, bensì insopportabili alieni.
 Sino a quando il malato raggiunge davvero un altro mondo, un'altra orbita, e vede da lontano la Terra d'origine, cui non potrà mai più tornare.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: L'escursione

4
Bentornato @Edu in officina.
Torni in ottima forma, con un bel racconto poetico sulla vita e sulla morte.
Edu ha scritto: Ma Michele è di questo umore: è come se volesse sfidare gli dei.
Gli dèi.
Edu ha scritto: . Sente la costante centrifuga del vento intrappolato poco in là, fuori al cunicolo
Mi suona un po' strano: forse fuori dal cunicolo?
Edu ha scritto: Non è Michele a morire, ma il mondo attorno, e lui è tutto ciò che rimane. Il cuore galoppa, ma le gambe no, non obbediscono al comando di tornare fuori e riconquistare lo spazio, il tempo e la materia.
Questo rovesciamento, che mi pare il cuore del racconto, interroga sul significato della morte. Che sia così la vita nell'aldilà? Non una negazione del soggetto e della coscienza ma una negazione dell'altro da sé. Molto interessante e suggestivo. 
Edu ha scritto: Il cuore che pulsa è tornato un semplice sottofondo.
Bello anche questo. Solo nel silenzio riusciamo a distinguerlo.
Edu ha scritto: La luna, pensa Michele, già a quest’ora del mattino. Un’enorme luna azzurra, senza volto dolente da Monnalisa. Una luna con nuvole, mari e terre emerse.
Interessante anche che tu abbia scelto la luna come elemento straniante e perturbante. Non lo è immediatamente, infatti la luna può essere ben visibile in pieno giorno e con il cielo terso. Ma questa luna ha un aspetto insolito che fa svoltare il racconto verso il fantastico, coerentemente però con l'idea di morte che si deduceva più sopra.
Belle le descrizioni del paesaggio.
Ciao e a rileggerti!

Re: L'escursione

6
Edu ha scritto: La fantasia di morte che gli si apre alla mente, adesso, è ben diversa. Non è Michele a morire, ma il mondo attorno, e lui è tutto ciò che rimane. 
Immagine fantastica.
Edu ha scritto: Sarà mica già morto? Michele se lo chiede, dal momento che il mondo è scomparso. E il cuore, quel cuore che gli cattura i sensi con prepotenza, sarà ancora il suo? Sarà ancora se stesso che palpita o è qualche altra cosa? Un demone, una forza aliena, un dio maligno...
Michele si addormenta.
Qui l'addormentarsi mi sembra debole considerando il paragrafo che lo precede,  avrei visto meglio un "Michele crolla esausto e si addormenta. (o qualcosa di simile)
Edu ha scritto:
Al suo risveglio la realtà delle cose è tornata. Vede la roccia della caverna nel grigio della penombra, distingue sassi sotto i suoi piedi laddove era un indistinto. Michele stesso è tornato ad essere una cosa estesa, non solo un pulsare di cuore e un respiro: ha mani che possono toccare, braccia che possono muoversi, gambe che possono farlo muovere. Il cuore che pulsa è tornato un semplice sottofondo. Michele distende le gambe e raddrizza la schiena, allunga il corpo sgranchendosi. La notte è trascorsa e lui è vivo. Lo attende, fuori alla grotta, la stessa difficoltà del giorno addietro. Dovrà ritrovare la strada. Ma questo non può spaventarlo: com’è che vada, esiste dell’altro da sé nel mondo. Michele cammina, non sono che pochissimi passi fino alla piccola luce del giorno che filtra, l’uscita.
Ottimo questo ritorno alla vita.
Edu ha scritto: il lago di nuvole è evaporato.
Bellissima immagine
Edu ha scritto: Un’enorme luna azzurra, senza volto dolente da Monnalisa. Una luna con nuvole, mari e terre emerse. Qualcosa non torna.
Di nuovo il battere prepotente del cuore, ma il fiato è mozzato. Non è di certo la luna, quella; è un enorme sfera che reca figure informi, eppure troppo note perché Michele non le riconosca. A galla in mezzo agli oceani, l’enorme teschio bruno dell’Africa. Più su la mano aperta del Peloponneso, il triangolo della Sicilia, lo stivale dell’Italia. Poi nuvole.
Michele cammina, si agita, accelera il passo incespicando, ma a quel corpo sospeso nell’aria proprio non riesce ad avvicinarsi. Dovunque si trovi, non riesce a tornare sulla Terra.
Caspita che finale!
Scorrevolissimo
Un racconto ricco di immagini, avvolgente per le sensazioni, ciò che prova Michele lo prova anche il lettore. 
Metafora del distacco che l'uomo ad un certo punto avverte nei confronti della vita (qui si palesa l'incidente, ma possiamo anche intravedere altro) fino alla morte. Il passaggio è in tre fasi: Vita, agonia, morte. Tutto scorre normalmente, Michele a una gita è accodato con gli altri, ma si sente già estraneo a quella realtà (non sappiamo bene il perché), si dissocia prendendo le distanze fisiche. Si incammina per un altro sentiero, fino a ritrovarsi solo, a meditare su se stesso. Lui è ancora vivo mentre il mondo non c'è più, in questo passaggio io riconosco l'agonia. Poi tutto sembra rinascere davanti ai suoi occhi, Michele si ritrova a guardare il mondo mentre è sospeso nell'aria, ormai solo anima senza più corpo. 

I refusi ti sono già stati segnalati.
Trama originale con ampio sottotesto. Bravissimo. Mi è piaciuto molto.
Rispondi

Torna a “Racconti”