Quaccheri

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il mio commento


«Padre, vorrei vedere il mare». 
«Ѐ una lunga camminata, John, ma ci andremo domenica. Se il tempo lo permetterà».
Quella domenica non pioveva e non c’era nebbia. Riempite le bisacce di porridge per la colazione, la famiglia Dalton si mise in marcia all’alba per raggiungere Workington. John osservava l’azzurro del mare d’Irlanda e le barche dei pescatori ancorate in porto. Di domenica non si lavora, naturalmente, ma con gli occhi della mente John poteva vedere le reti lanciate in acqua e poi ritirate colme di pesce.
«Possiamo aspettare il tramonto, padre? Mi hanno detto che qui è bellissimo».
«Poi però dovremo camminare di buon passo. Domattina lavoro in filanda».
«Guarda il mare, John. Il sole sta calando e presto tutto si tingerà di giallo e poi di rosso».
«Che bello, il giallo. Ma non vedo nessun rosso, padre. Adesso tutto è grigio».
«Domani andrai a Pardshaw Hall, John. Lavorerai per mantenerti, ma ricorda sempre che il padrone compra le nostre braccia, non la nostra mente. Segui la tua voce interna. Ti dirà sempre cosa è giusto fare e cosa no».
Nel 1776 con le parole del padre bene impresse, John Dalton iniziò a soli dieci anni il servizio presso la Società Religiosa degli Amici. Dopo il lavoro frequentava gli incontri della Società e partecipava alle accese discussioni che seguivano. «Gli uomini nascono uguali davanti a Dio. Ricercare lusso ed eleganza, come fanno i signori anglicani, è peccato di vanità!»,  tuonava il quacchero  Elihu Robinson. «Potete essere orgogliosi soltanto del frutto del vostro lavoro». La voce interna spingeva John a cercare di comprendere la natura delle cose. Sotto la guida del quacchero Fletcher, leggeva fino a tardi gli Elementi della geometria di Euclide, divorando ogni singola idea che vi incontrasse.
John avrebbe voluto studiare legge o medicina, ma i dissenzienti come lui non erano ammessi alle università inglesi. Così, nel 1781, accettò entusiasta l’offerta del suo fratello maggiore, Jonathan. Si trattava di un lavoro come istitutore nella scuola quacchera di Kendall. Nel tempo libero avrebbe potuto frequentare le lezioni del quacchero cieco John Gough, e questo valeva molto più del modesto salario che gli sarebbe spettato.
Con Gough, Dalton studiò matematica, fisica e chimica. Nella biblioteca di Kendall lesse le opere di Boyle e di Lavoisier, si convinse che la materia non potesse essere divisa ad infinitum, che dovessero esistere frammenti indivisibili, gli atomi di cui per primo parlò Democrito. Soprattutto, John imparò come ogni intuizione e ogni idea dovessero essere verificate dall'esperimento e di come spesso le generalizzazioni conducano in errore. La maggior parte dei corpi si espande se riscaldata, tuttavia alcuni materiali si comportano all’opposto. John lavorò duramente con il caucciù sotto tensione per poter misurare questo effetto, oggi noto come effetto Gough-Joule. 
Gli anni trascorsi con Gough furono eccitanti, ma la scuola di Kendall attraversava un periodo di gravi difficoltà economiche e nel 1793 dovette chiudere i battenti. Raccomandati da Gough, i fratelli Dalton si trasferirono presso l'Accademia Dissenziente di Manchester. John insegnava in corsi avanzati di matematica e filosofia naturale: tanti studenti e tante lezioni da preparare per un salario appena sufficiente alle sue limitate esigenze di quacchero. Per adeguare il suo guardaroba al crescente prestigio dell'Accademia, tuttavia, John dovette comprare a  credenza dal sarto redingote, panciotto, camicie, calze e pantaloni.  
Al primo incontro dei docenti dell'accademia, John fu sorpreso di sentire il decano Barnes rivolgersi adirato verso di lui:
«Le tue calze non vanno bene, quacchero Dalton. Cos’è questo rosso? Vuoi scimmiottare i ricchi signori anglicani? La modestia è la nostra regola, e tu dovresti saperlo».
«Scusami, quacchero Barnes. Credevo che le mie calze fossero grigie, come tutti gli altri indumenti che indosso. In effetti, io le vedo grigie. Non è certo mia intenzione mettermi in mostra».
Più tardi John tornò nella stanza che divideva con il fratello. 
«Anch’io» disse Jonathan «vedo le tue calze grigie, com’è giusto che siano. Per tutti gli altri sono rosse, tuttavia».
«Evidentemente tu e io vediamo in modo diverso dagli altri. Hai notato come tutti mi osservavano? Il nostro deve essere un difetto di famiglia».
Da scienziato sperimentale qual era, John continuò a confrontare la sua visione dei colori con quella dei colleghi e degli studenti. Le conclusioni dello studio furono presentate qualche anno dopo in una comunicazione alla Società Letteraria e Filosofica di Manchester, «quella parte delle immagini che gli altri chiamano rosso mi appare come poco più che un’ombra, una mancanza di luce; inoltre l'arancione, il giallo e il verde mi sembrano essere un solo colore: li percepisco tutti come differenti gradazioni di giallo». Nella stessa memoria, Dalton attribuì il suo difetto ad una particolare colorazione del suo umor vitreo e ipotizzò che la causa fosse familiare, oggi diremmo genetica. Per volere testamentario, i bulbi oculari di John Dalton furono conservati, in modo che i posteri potessero verificare le ipotesi fatte intorno a ciò che oggi è in tutto il mondo noto come daltonismo. Soltanto in Inghilterra, i nobili snob si ostinano a non voler citare il quacchero figlio di un tessitore e chiamano il difetto “cecità per i colori”. 

Re: Quaccheri

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Non sapevo questo aneddoto su Dalton, il padre del daltonismo! Grazie di avermelo svelato, @zio rubone  :)

Un piacere anche come scrivi, corretto e scorrevole.
Ho solo un suggerimento, per la punteggiatura: una virgola dopo l'anno, qui sotto.
zio rubone ha scritto: Nel 1776 con le parole del padre bene impresse,
Per il testo, devo dirti però che, più che un racconto, sembra un saggio biografico.
Comunque, grazie per la lettura!  :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: Quaccheri

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Ciao @zio rubone, credo di non aver letto mai nulla di tuo.
Mi ha fatto piacere passare di qui e leggere questo brano interessante, a livello personale non mi spiace la divulgazione (soprattutto matematica e storica) e in questo brano trovo una fusione tra un racconto come tale e la divulgazione. Quello che posso dirti è che mi è piaciuta questa storia, non la conoscevo e l'ho trovata interessante. D'altra parte - e consideralo il parere di un lettore - se mi permetti di muovere una critica, questo ibrido tra racconto e divulgazione risulta tanto e niente di tutti e due: come racconto appare (giustamente) pilotato e senza una vera e propria trama narrativa, mentre come divulgazione si avvicina più al racconto. Non voglio apparire ingeneroso nei tuoi confronti, ma questa forma offusca un po' la tua voglia di raccontare e divulgare: proverei a osare di più e a scostarmi di più dalla divulgazione e/o dall'elenco di fatti, cause e conseguenze. Ti direi quasi: se ti piace, osa e non trattenerti troppo.

Spero di aver reso il mio punto di vista e, soprattutto, che questo parere possa esserti utile. :libro: 
https://www.facebook.com/curiosamate

Re: Quaccheri

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Grazie, @bwv582 , per il tuo commento e per la tua critica. Probabilmente il racconto risente molto della mia formazione, sono uno scienziato e un insegnante. Mi sono dato regole piuttosto strette: rispettare la storia e inserire elementi di fantasia soltanto quando essi sono verosimili e non contraddicono i fatti noti. Qui il solo elemento che non risulta dai documenti disponibili è la gita a Workington, verosimile in quanto distante meno di10 km dalla casa in cui nacque Dalton. La trama, come tu dici, è debole perché è incentrata, più che sui personaggi, sullo sviluppo di un'idea e di un metodo in un ambiente culturale particolare e sorprendentemente aperto, qual era quello dei quaccheri inglesi. Ho pensato il tutto come una breve lettura su cui vorrei mio figlio si potesse soffermare frequentando la scuola media. Uno dei progetti che ho per mano è la stesura di una specie di "storia del pensiero scientifico" attraverso un serie di "racconti".  
Osare di più? Qui la brevità della storia e, soprattutto, la quantità di informazioni disponibili sul periodo rendono la cosa oggettivamente difficile. Raccontare storie remote nel tempo permette maggiori libertà e anche su questo mi sto cimentando. Per il momento poi sto per postare qui un "racconto" un po' selvaggio. Tre brevi monologhi: i protagonisti sono animali che agiscono come animali ma pensano con pensieri umani. 
Le tue osservazioni, @bwv582 , come vedi, mi saranno preziose.

Re: Quaccheri

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Ma lo sai che non lo sapevo proprio che l'origine del termine daltonismo venisse da qui! Bene, se non altro mi hai insegnato una cosa nuova!
Ciao @zio rubone , non credo che ci siamo mai incrociati prima, piacere di leggerti  :)
Prima di parlare del racconto, parliamo della scrittura. L'ho trovata praticamente ineccepibile e molto fluida. La cosa non era scontata, perché ti sei sforzato di usare un lessico che si adattasse all'epoca passata di cui parli, e ci seri riuscito molto bene. Anche i dialoghi sono ricercati e fanno intravedere alcune conoscenze storiche di fondo. Ad esempio, da ignorante in materia, io non mi sarei mai sognato di inserire nei dialoghi "quacchero Tizio" e "Quacchero caio". Non so se era effettivamente l'uso di quelle comunità, ma so che nelle tue righe suona molto plausibile e ben congegnato.
Fermo restando il plauso sulla forma, ti faccio qualche piccola pulce
zio rubone ha scritto: Domattina lavoro in filanda».
Questa frase, inserita nel dialogo tra padre e figlio, mi sembra poco realistica. Non irrealistica, non impossibile, eh... ma poco realistica: il ragazzo sa bene dove lavora il padre, dunque è un'informazione che tu vuoi dare a noi lettori, ma tra padre e figlio suona un po' (non molto) forzata. Immagino molto più realistico che il padre dica "Domattina lavoro" stop. Oppure, anche, che dica "Domattina vado in filanda". Ecco, messa così informeresti il lettore del lavoro del padre (un po' come il ragazzo, il lettore intuisce in filanda cosa ci va a fare). 
zio rubone ha scritto: Nel 1776 con le parole del padre bene impresse, John Dalton
Qui mi sa che ti è sfuggita una virgola di apertura dell'inciso, dopo 1776.
Un'altra cosa, quell' "a soli dieci anni" lo sposterei dopo 1776, unendo le indicazioni di tempo.
zio rubone ha scritto: John avrebbe voluto studiare legge o medicina, ma i dissenzienti come lui non erano ammessi alle università inglesi. Così, nel 1781, accettò entusiasta l’offerta del suo fratello maggiore, Jonathan. Si trattava di un lavoro come istitutore
Se non fosse un racconto biografico qui ti avrei detto che suona implausibile che il protagonista a soli 15 anni pensasse di andare all'università o fare l'istitutore... e invece...



Per quanto riguarda trama e struttura, invece, devo dirti che non tutto mi ha convinto.
Ok, stai raccontando la storia di uno scienziato realmente esistito, dunque non puoi inventarti molto. Puoi però colorare (lo so, parlando di daltonismo sembra una provocazione  :P) Ed effettivamente, a inizio racconto, a colorare colori: mi riferisco all'incipit con il padre, la passeggiata sino al mare e i dialoghi tra i due. Lì c'è narrazione. Poi la voce del narratore torna alla fine, con la considerazione circa lo snobismo dei compatrioti, unici a non designare il daltonismo con il nome di Dalton. Nel mezzo (e qui concordo con i commenti precedenti che ho sbirciato) prevale troppo la fredda nota biografica, e lo stacco è netto. è come se ci fosse una parte iniziale che si ascrive al racconto, un prosieguo tutto biografico, e una chiusa che torna a parlare con voce di narratore.
Questo, direi, il limite del racconto nel suo corpo centrale: un po' troppo compilativo e poco "romanzato" (passami il brutto termine, è per intenderci).
Proverei a lasciare inalterato ciò che funziona (il lessico e l'accuratezza con cui descrivi il microcosmo quacchero) dando un carattere e una vita ai personaggi. Magari inserendo qua e là anche un po' di invenzione, senza violare la verità storica dei fatti.
Spero che queste poche considerazioni ti tornino utili, a rileggerti ;-) 
Scrittore maledetto due volte

Re: Quaccheri

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Grazie, @Edu , per il tuo commento accurato che sicuramente mi sarà utile per una successiva stesura. Mi fa anche piacere che dalla storiella tu abbia tratto qualcosa, in fondo l'ho scritta perché tutti abbiamo da imparare da fatti poco noti perché volutamente dimenticati.
Giustamente osservi che l'espressione che uso, "il quacchero Tizio", probabilmente non è di quelle che oggi ti possano venire facilmente in mente. Infatti, l'ho trovata ripetuta quasi ossessivamente nei documenti quaccheri originali che ho consultato. Tutt'oggi. comunque è frequente che in comunità molto caratterizzate si adoperino appellativi per così dire "identitari", vedi "fratello" o "sorella" nelle comunità religiose cattoliche. 
Adesso andiamo ai punti specifici che hai sollevato:
1) "[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Domattina lavoro in filanda", hai ragione: "[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Domattina vado in filanda" avrebbe funzionato meglio. Che il padre vi svolgesse un lavoro manuale, in fondo, è detto alla fine.[/font][/font]
2) Sì, mi è sfuggita una virgola. Grazie per la correzione.
3) Tutt'ora, nei paesi anglosassoni è frequente leggere di persone che hanno conseguito lauree in giovanissima età. Non è la normalità, ci riescono soltanto persone eccezionali. Tale era appunto John Dalton, a15 anni possedeva la maturità necessari per iniziare quel tipo di studi e ne era perfettamente consapevole. E' stata semmai un fortuna per tutti noi che non lo abbia potuto fare, forse gli inglesi ci avrebbero guadagnato un avvocato e un politico illuminato e intelligente, ma l'umanità avrebbe perso il padre della chimica.
Un'ultima cosa su quella che tu chiami freddezza del racconto. Avrò anche torto, ma non aderisco ai canoni della "scrittura immersiva". Mi rendo conto di andar contro i dogmi della narratologia oggi di moda, ma al lettore non chiedo di immedesimarsi nei miei personaggi, ammesso pure che Dalton possa in qualche modo essere "mio", ma piuttosto di osservarli dall'esterno, di comprenderli prima di amarli/odiarli.

Re: Quaccheri

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Ciao @zio rubone 

Vengo con un po’ di ritardo a leggere e commentare questo tuo racconto.
Non posso che scusarmi con te per il ritardo, e con me, per essermi privato così a lungo dal leggere qualcosa di tanto interessante e scritto con mano di ottima qualità.

La storia, poiché di storia reale si tratta, è narrata con raffinato gusto compositivo, dove la fantasia si intreccia in maniera esemplare con per il racconto divulgativo.
Pertanto si ha la sensazione di leggere un testo che va ben oltre l’ambito del racconto, ma ha anche una missione propedeutica, così come la puntata di una trasmissione di Alberto Angela va oltre lo spettacolo, per diffondere un messaggio culturale si un dato argomento.

Questo per significarti che oltre al contenuto informativo, di per sé affascinante e indubbiamente poco noto, se non ha lettori particolarmente interessati alla cronaca scientifica e medica, ciò che si apprezza è lo stila di scrittura così asciutto, puntuale ed essenziale, ma piacevolmente scorrevole e
brillante nel catturante l’attenzione del lettore.

Questa tua abilità e vocazione, fossi in te la impiegherei per votarmi alla narrativa divulgativa,
dove con il giusto respiro di spazio e tempo potresti ottenere sicure soddisfazioni.

Non sono solitamente prodigo di complimenti nel giudicare gli scritti altrui e lo sono ancor meno nel giudicare i miei, ma quando leggo qualcosa di sicura qualità, mi piace scevro da piaggeria, esprimere il mio riconoscimento.

Ancora complimenti, e scusa il ritardo.
Alla prossima amico mio.

Re: Quaccheri

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Ciao, @Nightafter .
Grazie per aver letto con attenzione il mio racconto e grazie anche per i tuoi complimenti generosi, ben al di là di quanto io potessi meritare.
I personaggi delle mie storie sono molto spesso idee più che persone. Non vado a ricercare l'immedesimazione del lettore quanto piuttosto quello straniamento che possa permettergli di valutare i fatti e costruirsi una propria idea. La letteratura a mio avviso dovrebbe essere soprattutto diffusione di idee e non già la ricerca della "meraviglia" a tutti i costi.  
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