L'orologio di Nick

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Gli piaceva il bar di Stan. Ci passava davanti ogni mattina. Quando le mattine ancora non avevano diritto di chiamarsi così per via del buio che, specie d'inverno, ci metteva parecchio a levarsi di torno. Fosse stato per lui, ci sarebbe andato tutti i giorni, ma la cosa avrebbe implicato una serie di inconvenienti. Familiarità, confidenza e quindi intromissioni. Per questo il giro prevedeva un bar diverso ogni volta.
Da Stan ci capitava non più di una volta al mese. Del resto New York era la città che non dorme mai e da qualsiasi parte si andasse, c'era da scegliere.
Tutti uguali, almeno in periferia. Vetrina sulla strada, divanetti finta pelle, bancone con sgabelli a trespolo. Televisore, orologio, foto con soggetti vari. Ketchup, maionese, sale, pepe e tovagliolini di carta. Una o più cameriere di corporatura e umore variabile. Caldi d'inverno, freschi d'estate.
E giornali. Da Stan li consegnavano prima. Forse per questo lo preferiva agli altri.
Quando arrivava c'erano solo puttane esauste e operai ancora mezzo addormentati. In sostanza un posto tranquillo. Buono per chi ancora non dormiva o per chi aveva smesso di farlo. Come lui.
Non la chiamava più insonnia. Preferiva tempo per sé.
Mezzo mondo se ne stava ancora a letto, l'altra metà badava solo a se stessa. E andava bene così. A lui della gente non importava niente. Forse non gliene era mai importato. Sicuramente aveva smesso di farlo.
Camminava per ore. Attraversava la notte finché non cominciava a sbiadire. Solo allora si fermava. E aspettava.
Seduto accanto alla vetrata, guardò fuori. Fanali, insegne luminose. Il nero del cemento. Più su il sereno. Presto il sole.
«Altro caffè?»
Annuì e guardò il rivolo scuro tuffarsi nella tazza gorgogliando.
«Desidera altro? Spremuta, torta di mele, di ciliege, al cioccolato?»
Scosse la testa.
«Uova, patate, salsicce?»
Se avesse voluto parlare le avrebbe sorriso. Stava forse sorridendo?
«Strapazzate, fritte, saltate?»
Stava forse sorridendo? No. Finalmente lei capì e si allontanò.
La seguì con lo sguardo mentre andava verso gli altri tavoli. Stesso bricco, stessa domanda. Grembiule a righe celestine, cuffietta su capelli rosso stinto. Ciglia finte, labbra disegnate su un pettine di rughe, guance svuotate. Avesse avuto ancora l'età e il fisico, se ne starebbe seduta a farsi servire. Invece basta. Da anni basta. Meglio così. Almeno aveva smesso di prendere sberle. Forse non tante. Ma il fatto che fosse normale non le era mai andato giù. Quindi meglio così. Solo qualche pacca sul sedere di tanto in tanto. Roba da niente. Un'occhiataccia e finiva lì.
Avvicinò la tazza al naso e aspirò. L'ultimo odore della notte. Il primo della giornata.
«Che ora è?» Mary glielo chiedeva sempre. Non apriva nemmeno gli occhi. Non diceva nemmeno buongiorno. Ma doveva sapere l'ora.
«È ancora presto. Dormi.»
Era stato presto per anni. Adesso non importava.
Mise la mano in tasca. L'orologio di Nick. Sicuramente Topolino segnava le cinque e mezza. Sarebbe bastato dargli un'occhiata per saperlo. Non lo fece.
Guardò la sua immagine riflessa sul vetro. Corporatura media, lineamenti regolari. Castano. Come dire né chiaro né scuro. Irrisorio. Mediocre. Perfetto. Almeno per quello che doveva fare.
«Ancora caffè?» la donna incombeva con il bricco in una mano e l'altra poggiata sul tavolo. Stavolta non se ne sarebbe andata. Non senza la sua ordinazione.
Un'occhiata all'orologio sul muro: quasi le sei. Tra poco i giornali. Tanto valeva fare colazione.
«D'accordo.» fece allungandole la tazza «Spremuta e torta di mele.»
«Niente uova?»
«Va bene. Uova.»
«Come?»
«Strapazzate. Molto strapazzate.» disse sbirciandole il solco tra i seni. Non l'avrebbe toccata per niente al mondo, ma dire quella scemenza lo rendeva uguale agli altri. Cioè trasparente. E questo era un bene.
La donna riempì la tazza. Poggiò il bricco sul tavolo, tirò fuori un taccuino, ci scarabocchiò sopra e si allontanò.
Il ragazzo entrò con il pacco «Giornali!» gridò sbattendolo sul bancone «Ultime notizie! Linciato dai clienti barista scoreggione!» prese una ciambella, uscì, montò in bicicletta e se ne andò zigzagando tra le macchine.
I giornali. Gli era sempre piaciuto leggerli. Prima. Specie la cronaca nera. Tutti amano la cronaca nera. Le disgrazie degli altri fanno stare meglio. E del resto l'umanità si divide in due: quelli che se le cercano e quelli che se le meritano. Ognuno ha ciò che gli spetta.
E poi c'è chi risolve problemi. Alla radice.
Per questo c'era l'Agenzia. E quelli come lui.
Lavoro pulito. Tariffe oneste. Quello che per qualcuno è una disgrazia, per qualcun altro è una benedizione. Giusto o sbagliato, aveva smesso di chiederselo. Aveva smesso molte cose da quando era successo. Si limitava a fare quello per cui lo pagavano. Niente di personale.
Finì le sue uova. Scostò il piatto di lato e avvicinò quello con la torta. Con la forchetta separò piccoli pezzi, li infilzò, li portò alla bocca e prese a masticarli. Lentamente. Guardando davanti a sé.
Non stava pensando niente di particolare. Il fatto che Nick fosse stupido non era un pensiero particolare. A volte i figli nascono così. E nemmeno il fatto che non avesse mai imparato ad attraversare la strada. Nemmeno quello era un pensiero particolare. Prima o poi sarebbe successo. Inutile recriminare. Come la faccenda dell'orologio. Otto dollari. Nick volle metterlo per farlo vedere a scuola. Quando il camion gli tranciò il braccio, volò dall'altra parte della strada. Topolino segnava le cinque e mezza. Lo avrebbe fatto per sempre.
Gettò un'occhiata al tavolo con i giornali. Quello che gli interessava lo stava leggendo un giovanotto in blu. Completo di buon taglio, cravatta classica, ventiquattr'ore di pelle. Era uno da tablet. Invece alle sei del mattino sfogliava un giornale in un bar di periferia. E ogni volta che girava la pagina lo guardava. Non era una coincidenza.
Vuotò il bicchiere. Arancio e plastica. Avrebbe dovuto ricordarselo. Spremuta d'arancia e arancia spremuta non sono la stessa cosa. Morte cerebrale e decesso nemmeno.
Mary pianse per una settimana. Poi smise. Smise del tutto. Di piangere. Di parlare. Di mangiare. Non di dormire. Fu l'unica cosa che continuò a fare. Solo quella.
Fu allora che cominciò a lavorare per l'Agenzia.
Il giovanotto chiuse il giornale. Prese il cellulare e compose un numero.
Quasi subito sentì vibrare il suo nella tasca dei pantaloni. Quando smise, vide il giovanotto pagare e uscire.
Si alzò, andò verso il suo tavolo. Sul sedile il volantino. Whole Control. Derattizzazione&Disinfestazione.
Lo prese, lo mise dentro al giornale e tornò al suo posto.
La cameriera si avvicinò con un vassoio «Porto via?»
Lui annuì e lei sgomberò il tavolo.
Sul volantino l'offerta speciale: Solo per questo mese intervento di terzo livello.
Terzo livello. Il più pagato perché il più rischioso. Specie per il coinvolgimento di terzi.
Terzo livello, coinvolgimento di terzi. I numeri hanno uno strano senso dell'umorismo.
Non gli piaceva. Preferiva lavorare da solo. Invece, per faccende come quella, ti affiancavano un Cleaner. Ti guarda le spalle. E alla fine passa a far pulizia. Non lo incontri mai. Nessuno incontra mai veramente qualcuno. Per questo funziona.
A meno che qualcosa vada storto. Allora il Cleaner dovrà occuparsi anche di te.
Mise una mano in tasca. L'orologio di Nick. Ogni giorno con le dita sentiva un pezzetto di vetro staccarsi dal quadrante e andare a rintanarsi sul fondo. Non stavolta. C'era qualcos'altro. Lo tirò fuori. Era il braccio di Topolino. Tirò fuori anche l'altro. Poi tutto l'orologio.
Non erano più le cinque e mezza. Non lo sarebbero state mai più.
Di Nick non era rimasto niente. E allora capì che era finita. Che quello sarebbe stato l'ultimo incarico. Le cose parlano. Basterebbe starle a sentire.
Terzo livello. E l'indirizzo.
22 di South Gramercy Park.
Lavoro pulito. Tariffe oneste.
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