[Lab 3] Il rammendo

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Paris ha il fiato corto per la salita. Si toglie il cappello e passa una mano tra i capelli prima di decidersi a bussare. La donna socchiude la porta.
«Buongiorno, mi chiamo Paris Mondani. Mi manda Berto Alunni. Per la camera.» 
La padrona di casa esce sulla soglia. Il foulard di lana a piccoli fiori stampati annodato sotto la gola non lascia intuire il colore dei capelli, difficile stabilirne l’età. La donna si pulisce le mani sul grembiule da cucina. Lo squadra con una rapida occhiata: «Mi aspetti qui» risponde. Torna dopo poco con uno straccio e glielo porge. «Prima di entrare le pulisca» dice soffermandosi sulle sue scarpe infangate.
Adelina, così si chiama la locataria, lo fa accomodare in cucina dove la stufa a legna emana un tepore buono. Nell’aria, misto a un sentore di affumicato, aleggia un invitante profumo di sugo di pomodoro. Sulla mensola sopra la madia, Paris nota la cornice con la foto di un uomo giovane illuminata da una candela. 
«Lavora giù al cantiere?» gli chiede la donna.
«Sì, mi serve la camera per qualche settimana. Almeno fino a quando non ultimeremo il tratto di strada che va da Anghiari alla Chiassa.»
«Sono duecento lire a settimana, pagamento anticipato.»
Paris preleva dalla tasca della bisaccia un pacchetto avvolto in un foglio di giornale. Lo apre con misurata lentezza, estrae quattro banconote da cinquanta lire e le depone sul tavolo senza dire una parola.
Adelina le prende e lascia al loro posto una chiave.
   
La puzza di alcol e di vomito impregna l’aria della vecchia locanda. 
Un alone acre di fumo aleggia sopra le teste dei soliti clienti impegnati nella partita a carte. Dai vetri delle finestre, coperti da una patina densa di grasso ed escrementi secolari di mosche, spira un soffio gelido che fa svolazzare le tende lacere, nere come ali di pipistrello. Bestemmie e risate sguaiate fanno da sottofondo sonoro alla ennesima serata da ubriaconi.
La cameriera fa su e giù per la sala a riempire di vino scadente i bicchieri mentre cerca di schivare come può le mani che si allungano verso il culo al suo passaggio.
È già al terzo giro dei tavoli quando lo vede. La scarsa illuminazione del locale e il chiacchiericcio alcolico di sottofondo le impediscono di capire chi sia. Di certo non è un cliente abituale.
Sta seduto da solo, indossa una coppola di tweed, tiene i gomiti puntati sul ripiano, le mani sostengono il mento e la testa a tratti oscilla come se l’uomo seguisse un discorso interiore.
Siede composto, le gambe a squadra sotto il tavolino. I pantaloni, arricciati fino alla metà dei polpacci, sono sorretti da un elastico. Le scarpe sono spazzolate di fresco appena velate da un leggero strato di fanghiglia, inevitabile con le piogge degli ultimi giorni. I calzini sembrano quelli indossati da certi signori di città.
È già più di mezz’ora che sta fisso nella stessa posizione. La ragazza non lo perde di vista un istante, pronta a scattare come una gazzella a un semplice gesto di richiamo. 
Torna al bancone e riempie due bicchieri, li posa sul vassoio e si avvicina al cliente.
«Credo che entrambi abbiamo bisogno di un goccetto» gli dice a bassa voce.
L’uomo si alza di scatto, le fa un mezzo inchino e si toglie il cappello. Ha i capelli lucidi e neri come le piume di un corvo e una pettinatura ordinata con la divisa centrale. La ragazza si accorge che ai suoi piedi è caduta una fotografia. È piuttosto malridotta e strappata a metà. Fa per chinarsi, ma una mano la blocca con una stretta vigorosa: «Ci penso io» dice con voce dura. La raccoglie, la rimette dentro la fodera del cappello, lascia qualche spicciolo sul tavolo ed esce senza voltarsi indietro, seguito dalle risate sguaiate degli uomini seduti al tavolo a fianco. 
«E dai, Gina lascialo perdere. Con quello muori di fame!»
«È la prima volta che lo vedo. Lo conoscete?» risponde la cameriera riempiendo i bicchieri fino all’orlo.»
«È Paris, uno nuovo, lascialo perdere, non è per te» le risponde Berto, il più anziano del gruppo.

Le giornate trascorrono tutte uguali. Paris parte per il lavoro quando è ancora buio e la sera, quando rientra a casa, Adelina gli lascia sul tavolo una scodella di minestra e qualche patata bollita. La conversazione tra loro si limita al minimo richiesto dalla buona educazione.
Finito di cenare entrambi si ritirano nelle loro solitudini. 
Paris si chiude nella stanza, estrae dal cassetto del comodino una vecchia foto, la mette sul cuscino e resta per ore a fissare il soffitto prima di riuscire ad addormentarsi. 
Nel silenzio può sentire il bisbiglio di Adelina mentre recita il rosario.

Gli operai, giù al cantiere, lo chiamano “il mutolo”. Lavora tutto il giorno a capo basso e una ruga persistente gli solca la fronte. Né l’offerta un bicchiere di vino né una battuta sembra poterlo distrarre dai pensieri.
Ogni volta che nel gruppo si parla di donne, Paris trova la scusa per allontanarsi. Una volta Berto, il caposquadra lo aveva stuzzicato sull’argomento, Paris lo aveva preso per il colletto della giacca e strattonato davanti a tutti.
Un pomeriggio che piove a dirotto il caposquadra valuta che lavorare sulla strada in quelle condizioni sia troppo pericoloso. Gli operai approfittano di quella pausa insperata per una partita a carte alla locanda, ma Paris preferisce tornare a casa.
Il silenzio è rotto dal ticchettio di un orologio a pendolo. Adelina, i lunghi capelli neri raccolti in una treccia, siede sotto la finestra a cucire. Sembra quasi una bambina. Ago e filo danzano agili tra le sue dita; la donna trapunta il tessuto con gesti aggraziati ed esperti. 
Paris si sofferma a guardarla finché lei si accorge di essere osservata: «C’era un bel buco da rammendare» gli dice. 
Tra le mani stringe uno dei suoi calzini. Si sente avvampare. «Non doveva» le risponde con un filo di voce.
Adelina scuote la testa: «Non è un gran lavoro; una volta ero più brava.» 
Lo sguardo di Paris scivola sulla candela accesa sotto la foto del giovane uomo.
Adelina deterge una lacrima col dorso della mano. «Giuseppe morì in un pomeriggio di pioggia come questo» dice senza distogliere lo sguardo dal lavoro.
Paris prende un lungo respiro poi, fruga nella tasca della giacca e depone una manciata di castagne sul tavolo: «Le ho raccolte per strada, stamani.» 
Adelina si alza e le asciuga con un panno pulito. 
«Può metterle a cuocere sul piano della stufa» gli dice.
Lui annuisce ed, estratto il coltello dal taschino, pratica delle piccole incisioni a forma di croce sui gusci. In breve, il profumo di un ricordo satura la stanza. È il gusto ritrovato di una sera in famiglia.

Il lavoro al cantiere prosegue per qualche settimana, ma, alla fine, arriva il tempo lasciare la casa di Adelina. 
«Dai, Paris, sbrigati!» gli gridano i suoi compagni che lo aspettano in strada.
«Arrivo subito, aspettatemi!»
Paris chiude la bisaccia, prende dal cassetto del comodino la mezza foto che portava sempre con sé e la finisce di strappare. 
Adelina, coi capelli sciolti sulle spalle, continua a guardarlo dalla finestra di camera fin quando lo vede sparire dietro la curva.

Re: [Lab 3] Il rammendo

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@Monica ha scritto: Dai vetri Dagli spifferi delle finestre, dai vetri coperti da una patina densa di grasso ed escrementi secolari di mosche, spira un soffio gelido che fa svolazzare le tende lacere, nere come ali di pipistrello. Bestemmie
Suggerimento
@Monica ha scritto: La cameriera fa su e giù per la sala a riempire di vino scadente i bicchieri virgola mentre cerca di schivare come può le mani che le si allungano verso il culo al suo passaggio.
@Monica ha scritto: Le scarpe sono spazzolate di fresco virgola appena velate da un leggero strato di fanghiglia, inevitabile con le piogge degli ultimi giorni. I calzini sembrano quelli indossati da certi signori di città.
@Monica ha scritto: Ha i capelli lucidi e neri come le piume di un corvo e una pettinatura ordinata con la divisa centrale.
So che "divisa" è un termine corretto, ma trovo più chiara, per il lettore comune, "scriminatura".
@Monica ha scritto: Finito di cenare virgola entrambi si ritirano confinano nelle loro solitudini. 
Mentre leggevo questa frase, oltre alla virgola della pausa dopo "cenare", mi è venuto spontaneo correggerti come sopra. È un suggerimento per dare ancora più rilievo a questa abitudine.
@Monica ha scritto: estrae dal cassetto del comodino una vecchia foto, la mette sul cuscino e resta per ore a fissare il soffitto prima di riuscire ad addormentarsi. 
Il lettore era rimasto alla foto nella fodera del capello. Sembra un'altra foto... perché non averle entrambe vicino. Se è la stessa, perché non farlo capire?
@Monica ha scritto: Una volta Berto, il caposquadra virgola lo aveva stuzzicato sull’argomento
È un inciso lo specificare che Berto è il suo caposquadra, e, in quanto tale, va messo tra due virgole.
@Monica ha scritto: Un pomeriggio che piove a dirotto virgola il caposquadra valuta che lavorare sulla strada in quelle condizioni sia troppo pericoloso.
Come in altri passaggi, ogni volta che definisci un periodo di tempo, come dianzi "Finito di cenare" e adesso "Un pomeriggio che piove a diritto" non senti il bisogno di una pausa? 
@Monica ha scritto: Tra le mani stringe uno dei suoi calzini. Lui si Si sente avvampare. «Non doveva» le risponde con un filo di voce.
@Monica ha scritto: Paris prende un lungo respiro poi, fruga nella tasca della giacca e depone una manciata di castagne sul tavolo: «Le ho raccolte per strada, stamani.» 
 
Perché quella virgola dopo "poi" e basta? Ci va prima, anzi, ci va un punto e virgola. Così:

Paris prende un lungo respiro; poi, fruga nella tasca ecc. ecc.
@Monica ha scritto: Paris chiude la bisaccia, prende dal cassetto del comodino la mezza foto che portava sempre con sé e la finisce di strappare. 
Adelina, coi capelli sciolti sulle spalle, continua a guardarlo dalla finestra di camera fin quando lo vede sparire dietro la curva.
Un gran bel finale sul cambiamento di quest'uomo, che ha superato la perdita di un amore.
Adelina coi capelli sciolti non si era mai vista. Sono cambiati entrambi. 

Sei stata brava, @@Monica , anche con il laboratorio dello "Show, don't tell".  (y)

Molto ben scritto. Perdonami le virgole ma, secondo me, proprio perché sei così brava, vanno a impreziosire ancora un racconto come il tuo.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab 3] Il rammendo

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@Monica ha scritto: «È la prima volta che lo vedo. Lo conoscete?» risponde la cameriera riempiendo i bicchieri fino all’orlo.»
Qui ci sono delle virgolette di troppo
@Monica ha scritto: Né l’offerta un bicchiere di vino né una battuta sembra poterlo distrarre dai pensieri
di un bicchiere
@Monica ha scritto: Una volta Berto, il caposquadra lo aveva stuzzicato sull’argomento,
Metterei una virgola dopo "caposquadra"
@Monica ha scritto: Paris prende un lungo respiro poi, fruga nella tasca della giacca e depone una manciata di castagne sul tavolo
Metterei la virgola prima di "poi", non dopo
@Monica ha scritto: arriva il tempo lasciare la casa di Adelina.
di lasciare

Molto delicato questo frammento di realtà che hai catturato. I sentimenti dei personaggi emergono piano e dolci tramite i loro gesti, trovo sia estremamente riuscito. Mi è piaciuta la relazione tra Paris e Adelina, forse l'avrei approfondita un filo in più, magari a scapito della scena nella locanda.
A presto!

Re: [Lab 3] Il rammendo

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@@Monica carissima ciao. Passo velocemente a causa del poco tempo. :)

Non ho potuto partecipare a questo labcontest sul "mostra, non raccontare". Nella discussione generale ho letto le varie opinioni e concordo che bisogna usare un certo equilibrio.  Nel tuo racconto questo quasi c'è. Dico quasi, perché la voce narrante è particolarmente "attiva". Secondo me non hai osato qualcosa di più nel mettere in "prima fila" i protagonisti. Qui si trattava di mettere in evidenza tale tecnica e non mettere in evidenza l'equilibrio che secondo il nostro parere è meglio adottare. Credo che anche l'epoca in cui si muovono i tuoi personaggi ( pare la fine del novecento, tenendo conto il valore della lira) non era adatto per mettere in scena la tecnica in questione. Sicuramente, un'ambientazione ai giorni nostri, avrebbe potuto favorire un racconto molto spigliato, magari nervoso, sotto certo punto di vista narrativo, ma comunque cogliendo la sfida della prova. Per il resto, tutto okay. Ciao  <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Ciao @bestseller2020 prima di tutto ti ringrazio di cuore del passaggio e terrò ben presenti alcuni dei tuoi spunti di riflessione.
Non è mia abitudine controbattere, figurati, ma il fatto che la storia sia degli anni 50 oppure degli uomini primitivi non scosta nulla, secondo me. 
Forse non ho interpretato bene la richiesta del laboratorio ricerca di un equilibrio tra narrato (che, in realtà è poco secondo me) e mostrato, ma qui attendo anche le opinioni di altri lettori. In ogni fase del Labocontest c’è un focus da rispettare ma non credo, e almeno fino a ora è stato così, che l’esercizio preveda di usare una sola tecnica. Per esempio, nel laboratorio sui dialoghi, nessuno o quasi ha scritto un racconto solo dialogato. L’importante era che la storia contenesse una buona parte di dialoghi il più possibile ben scritti, altrimenti questi esercizi a cosa servirebbero se non a creare un racconto di migliore qualità? Non so se sono riuscita a spiegarmi. Ma forse questo non è il luogo giusto. Magari se hai qualcosa da rispondermi, leggiamoci in off topic o nella discussione generale. Grazie ancora per il tuo tempo! 🙏💖

Re: [Lab 3] Il rammendo

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@Monica ha scritto: Buongiorno, mi chiamo Paris Mondani. Mi manda Berto Alunni. Per la camera.» 
La scelta di nomi e cognomi è piuttosto singolare. È voluta? Perché crea una sensazione un po' strana a inizio testo.
@Monica ha scritto: Adelina, così si chiama la locataria, lo fa accomodare in cucina dove la stufa a legna emana un tepore buono. Nell’aria, misto a un sentore di affumicato, aleggia un invitante profumo di sugo di pomodoro. Sulla mensola sopra la madia, Paris nota la cornice con la foto di un uomo giovane illuminata da una candela. 
Trovo tutta questa prima parte un po' troppo dettagliata. Capisco l'intenzione di collocare il racconto dal punto di vista temporale, però è un po' troppo. Quella candela mi stona: è sera? Tutto farebbe pansare di no, la donna vede le scarpe sporche di fango.
@Monica ha scritto: Paris preleva dalla tasca della bisaccia un pacchetto avvolto in un foglio di giornale. Lo apre con misurata lentezza, estrae quattro banconote da cinquanta lire e le depone sul tavolo senza dire una parola.
Adelina le prende e lascia al loro posto una chiave
Anche qui: tante azioni molto dettagliate. Perfetto come esercizio ai fini del contest, mi chiedo però se non sia un po' forzato. Se dovessi rivedere il racconto al di là dell'esercizio ti direi di alleggerire un pochino. 
@Monica ha scritto: La puzza di alcol e di vomito impregna l’aria della vecchia locanda. 
Un alone acre di fumo aleggia sopra le teste dei soliti clienti impegnati nella partita a carte. Dai vetri delle finestre, coperti da una patina densa di grasso ed escrementi secolari di mosche, spira un soffio gelido che fa svolazzare le tende lacere, nere come ali di pipistrello. Bestemmie e risate sguaiate fanno da sottofondo sonoro alla ennesima serata da ubriaconi.
Proprio una bettola!
Anche qui trovo la descrizione un po' troppo carica.
@Monica ha scritto: La cameriera fa su e giù per la sala a riempire di vino scadente i bicchieri mentre cerca di schivare come può le mani che si allungano verso il culo al suo passaggio.
A una prima lettura l'introduzione del personaggio della cameriera mi ha un po' destabilizzata. Capisco col senno di poi che hai voluto creare una sorta di contraltare di Adelina, per mostrare che il cuore di Paris è chiuso a chiave. Ma la cosa si apprezza a una seconda lettura. 
@Monica ha scritto: indossa una coppola di tweed, tiene i gomiti puntati sul ripiano, le mani sostengono il mento e la testa a tratti oscilla come se l’uomo seguisse un discorso interiore.
Siede composto, le gambe a squadra sotto il tavolino. I pantaloni, arricciati fino alla metà dei polpacci, sono sorretti da un elastico. Le scarpe sono spazzolate di fresco appena velate da un leggero strato di fanghiglia, inevitabile con le piogge degli ultimi giorni. I calzini sembrano quelli indossati da certi signori di città.
Anche qui: descrizione troppo dettagliata che snellirei. Le descrizioni di abbigliamento in genere è meglio usarle con parsimonia. 
@Monica ha scritto: già più di mezz’ora che sta fisso nella stessa posizione. La ragazza non lo perde di vista un istante, pronta a scattare come una gazzella a un semplice gesto di richiamo. 
Perché? Prova attrazione per lui? Se è così non risulta chiaro dalla descrizione che finora hai dato di lui. Rivedrei la descrizione più sopra, per fare emergere meglio ciò che può rendere l'uomo attraente agli occhi della ragazza. Io, da lettrice me lo sono chiesta.
@Monica ha scritto: dai, Gina lascialo perdere.
Virgola dopo Gina.
@Monica ha scritto: È Paris, uno nuovo, lascialo perdere, non è per te» le risponde Berto, il più anziano del gruppo.
Non ho capito questa affermazione. Poco sopra un altro avventore le ha appena detto che con lui morirebbe di fame.
@Monica ha scritto: Si sente avvampare.
Chi?
@Monica ha scritto: Paris prende un lungo respiro poi, fruga nella tasca della giacca e depone una
La virgola prima di poi.
@Monica ha scritto: Paris chiude la bisaccia, prende dal cassetto del comodino la mezza foto che portava sempre con sé e la finisce di strappare. 
C'è qualcosa che non mi è chiaro con la foto. Se la porta sempre con sé perché la prende dal cassetto? Infatti ho pensato a due foto diverse.
Il gesto di strapparla mi pare eccessivo, teatrale, ad uso del lettore. Capisco il volere mostrare ma mi pare poco verosimile. È un suo vecchio amore perduto, forse potrebbe semplicemente dimenticarla e non distruggerla. 
Cara Monica,
Nonostante le tante annotazioni che ti ho fatto, il racconto mi è piaciuto. Ho apprezzato moltissimo l'atmosfera antica, la semplicità e la delicatezza della storia. Mi ha ricordato tanto un bel romanzo: Il dolore perfetto di Ugo Riccarelli, sia per le atmosfere e l'ambientazione che per la storia d'amore delicata con cui inizia.
Un racconto maturo che con pochi aggiustamenti rivelerebbe ancor più la sua forza.
Ciao!

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Grazie @ivalibri per le tue preziose annotazioni. Nel mio immaginario, la cameriera “arrotondava” lo stipendio con lavoro extra. È attratta dal nuovo cliente che pare avere qualche soldo (almeno dall’abbigliamento) oltre che bisogno di “consolazione”. È evidente che non sono riuscita a veicolare bene il messaggio. La foto è La stessa, avete ragione dovrei fare in modo che si capisca meglio.  Di nuovo grazie per le tue utili sensazioni di lettore. 🌷🌺

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Ciao @Monica, 
inizio con te il giro dei commenti e proverò a segnalarti le parti del brano nelle quali ho "visto", come fosse un film, le immagini e le scene, e le parti in cui ho "sentito" i profumi e le emozioni dei personaggi, perché credo che mostrare significhi far recepire senza spiegare, quindi, narrare. Premetto però che non sono certo un'esperta della difficile tecnica dello "show, don't tell" e pertanto mi affiderò quasi esclusivamente alla sensibilità, che è personale, questo si sa, e potrebbe divergere da quella di altri lettori. 

@Monica ha scritto: Si toglie il cappello e passa una mano tra i capelli prima di decidersi a bussare.
Subito avverto la sensazione di un tizio affannato, certo, ma anche un po' agitato, nel senso di timido, introverso, che vuole fare una buona impressione. 


@Monica ha scritto: Il foulard di lana a piccoli fiori stampati annodato sotto la gola non lascia intuire il colore dei capelli, difficile stabilirne l’età. La donna si pulisce le mani sul grembiule da cucina. Lo squadra con una rapida occhiata: «Mi aspetti qui» risponde. Torna dopo poco con uno straccio e glielo porge. «Prima di entrare le pulisca» dice soffermandosi sulle sue scarpe infangate.
Adelina, così si chiama la locataria, lo fa accomodare in cucina dove la stufa a legna emana un tepore buono. Nell’aria, misto a un sentore di affumicato, aleggia un invitante profumo di sugo di pomodoro. Sulla mensola sopra la madia, Paris nota la cornice con la foto di un uomo giovane illuminata da una candela. 
Adelina: donna di casa, per nulla incline alla vanità, che vive di riti e ritmi sempre uguali difficilmente scalfibili dagli altri, che, al contrario, devono adattarsi loro al suo "equilibrio". E poi, l'impatto col focolare di Adelina: confortante per Paris, ho pensato subito. 


@Monica ha scritto: La puzza di alcol e di vomito impregna l’aria della vecchia locanda. 
Un alone acre di fumo aleggia sopra le teste dei soliti clienti impegnati nella partita a carte. Dai vetri delle finestre, coperti da una patina densa di grasso ed escrementi secolari di mosche, spira un soffio gelido che fa svolazzare le tende lacere, nere come ali di pipistrello. Bestemmie e risate sguaiate fanno da sottofondo sonoro alla ennesima serata da ubriaconi.
La cameriera fa su e giù per la sala a riempire di vino scadente i bicchieri mentre cerca di schivare come può le mani che si allungano verso il culo al suo passaggio.
È già al terzo giro dei tavoli quando lo vede. La scarsa illuminazione del locale e il chiacchiericcio alcolico di sottofondo le impediscono di capire chi sia. Di certo non è un cliente abituale.
Sta seduto da solo, indossa una coppola di tweed, tiene i gomiti puntati sul ripiano, le mani sostengono il mento e la testa a tratti oscilla come se l’uomo seguisse un discorso interiore.
Siede composto, le gambe a squadra sotto il tavolino. I pantaloni, arricciati fino alla metà dei polpacci, sono sorretti da un elastico. Le scarpe sono spazzolate di fresco appena velate da un leggero strato di fanghiglia, inevitabile con le piogge degli ultimi giorni. I calzini sembrano quelli indossati da certi signori di città.
È già più di mezz’ora che sta fisso nella stessa posizione. La ragazza non lo perde di vista un istante, pronta a scattare come una gazzella a un semplice gesto di richiamo. 
Torna al bancone e riempie due bicchieri, li posa sul vassoio e si avvicina al cliente.
«Credo che entrambi abbiamo bisogno di un goccetto» gli dice a bassa voce.
L’uomo si alza di scatto, le fa un mezzo inchino e si toglie il cappello. Ha i capelli lucidi e neri come le piume di un corvo e una pettinatura ordinata con la divisa centrale. La ragazza si accorge che ai suoi piedi è caduta una fotografia. È piuttosto malridotta e strappata a metà. Fa per chinarsi, ma una mano la blocca con una stretta vigorosa: «Ci penso io» dice con voce dura. La raccoglie, la rimette dentro la fodera del cappello, lascia qualche spicciolo sul tavolo ed esce senza voltarsi indietro, seguito dalle risate sguaiate degli uomini seduti al tavolo a fianco. 
«E dai, Gina lascialo perdere. Con quello muori di fame!»
«È la prima volta che lo vedo. Lo conoscete?» risponde la cameriera riempiendo i bicchieri fino all’orlo.»
«È Paris, uno nuovo, lascialo perdere, non è per te» le risponde Berto, il più anziano del gruppo.
Vedo la scena, avverto la cappa di fumo che rende l'aria della locanda quasi irrespirabile, e le voci e le risate sguaiate dei clienti in sottofondo a riempire il vuoto della mia immaginazione. Ecco, colgo l'occasione per dire la mia sul concetto di "show", ribadendo la premessa dell'inizio: per come la vedo io, questa tecnica non andrebbe utilizzata esclusivamente per snocciolare le azioni dei personaggi, ma anche, (e perché no?) per mostrare ambientazioni. Diviene tutto più suggestivo, e quindi più vero agli occhi di chi legge, se scrivo: "Dai vetri delle finestre, coperti da una patina densa di grasso ed escrementi secolari di mosche, spira un soffio gelido che fa svolazzare le tende lacere, nere come ali di pipistrello", invece che, per esempio, informare semplicemente di vetri unti  e non lavati da chissà quanto tempo, o di un vento forte, lì fuori, che entra dagli spifferi di finestre malandate, oltre che sporche. E credo anche che la scelta di un'ambientazione dal sapore antico nulla abbia a che fare con la giustezza, passami il termine, della tecnica dello "show, don't tell", perché qui, a mio parere, mostri in maniera efficace la scena, anche se non è ambientata nel ventunesimo secolo!  :P

Andiamo ora a Paris: mostrato anch'egli nei dettagli che danno ulteriori elementi sia della sua personalità, tutta d'un pezzo, sia del suo stato d'animo, legato inevitabilmente a quella foto strappata a metà... Ho trovato fuorviante invece la figura della cameriera della locanda, che mi ha distratta e fatto pensare che c'entrasse qualcosa con la storia. 

@Monica ha scritto: Le giornate trascorrono tutte uguali. Paris parte per il lavoro quando è ancora buio e la sera, quando rientra a casa, Adelina gli lascia sul tavolo una scodella di minestra e qualche patata bollita. La conversazione tra loro si limita al minimo richiesto dalla buona educazione.
Finito di cenare entrambi si ritirano nelle loro solitudini. 
Paris si chiude nella stanza, estrae dal cassetto del comodino una vecchia foto, la mette sul cuscino e resta per ore a fissare il soffitto prima di riuscire ad addormentarsi. 
Nel silenzio può sentire il bisbiglio di Adelina mentre recita il rosario.
In questo passaggio sembra che fra i due non sia nato alcun tipo di rapporto, e che, quindi, la vita dell'uno non riesca a influenzare la vita dell'altra; anime sole, refrattarie a qualunque tipo di cambiamento. Anime "chiuse" che non nutrono alcun interesse a socializzare. Il narrato, lo dico qui ma lo penso in generale e non solo per questo stralcio, lo trovo ben bilanciato e non disturba il mostrato, al contrario, lo esalta quando c'è. Trovo sia necessaria qualche frase narrante, giusto per tenere le fila della trama. Brava. 


@Monica ha scritto: Un pomeriggio che piove a dirotto il caposquadra valuta che lavorare sulla strada in quelle condizioni sia troppo pericoloso. Gli operai approfittano di quella pausa insperata per una partita a carte alla locanda, ma Paris preferisce tornare a casa.
Il silenzio è rotto dal ticchettio di un orologio a pendolo. Adelina, i lunghi capelli neri raccolti in una treccia, siede sotto la finestra a cucire. Sembra quasi una bambina. Ago e filo danzano agili tra le sue dita; la donna trapunta il tessuto con gesti aggraziati ed esperti. 
Paris si sofferma a guardarla finché lei si accorge di essere osservata: «C’era un bel buco da rammendare» gli dice. 
Tra le mani stringe uno dei suoi calzini. Si sente avvampare. «Non doveva» le risponde con un filo di voce.
Adelina scuote la testa: «Non è un gran lavoro; una volta ero più brava.» 
Lo sguardo di Paris scivola sulla candela accesa sotto la foto del giovane uomo.
Adelina deterge una lacrima col dorso della mano. «Giuseppe morì in un pomeriggio di pioggia come questo» dice senza distogliere lo sguardo dal lavoro.
Paris prende un lungo respiro poi, fruga nella tasca della giacca e depone una manciata di castagne sul tavolo: «Le ho raccolte per strada, stamani.» 
Adelina si alza e le asciuga con un panno pulito. 
«Può metterle a cuocere sul piano della stufa» gli dice.
Lui annuisce ed, estratto il coltello dal taschino, pratica delle piccole incisioni a forma di croce sui gusci. In breve, il profumo di un ricordo satura la stanza. È il gusto ritrovato di una sera in famiglia.

Il lavoro al cantiere prosegue per qualche settimana, ma, alla fine, arriva il tempo lasciare la casa di Adelina. 
«Dai, Paris, sbrigati!» gli gridano i suoi compagni che lo aspettano in strada.
«Arrivo subito, aspettatemi!»
Paris chiude la bisaccia, prende dal cassetto del comodino la mezza foto che portava sempre con sé e la finisce di strappare. 
Adelina, coi capelli sciolti sulle spalle, continua a guardarlo dalla finestra di camera fin quando lo vede sparire dietro la curva.
"Piove a dirotto" proprio no. Va bene il narrato, ma, date le tue capacità espressive, avresti potuto trovare parole più incisive e meno scontate per mostrare un temporale, che, in qualche modo, a me è sembrato la chiave di volta, l'evento fortuito attraverso il quale però, Adelina e Paris si influenzeranno vicendevolmente e che segnerà, appunto, la svolta in entrambi i personaggi, decretandone il mutamento che mostri poco dopo. Su tutti: i capelli finalmente fluenti di Adelina, le sue "vampate", e Paris, che strappa la foto sgualcita liberandosi da quel cupo e avvilito stato d'animo che lo teneva ancora legato a un amore finito. 


Le quisquilie sulla punteggiatura le lascio agli altri, che ho già notato essere più bravi e puntuali di me. 
Ti ringrazio per aver scritto!  <3

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Ciao Monica.
Cerco di commentarvi tutti e ho pochissimo tempo per farlo, non leggerò i commenti sopra per lo stesso motivo. Scusami se mi ripeterò e dirò cose che già ti hanno detto.
Inizio chiarendo che Show don'tell, secondo me non è una nuova tecnica da seguire alla lettera ma un promemoria da tenere a mente mentre si scrive.
Per me, il testo narrativo, più è mostrato e più è coinvolgente ed emozionante, quindi ognuno può raccontare o mostrare a suo piacimento. Si trattta di andare verso una corrente letteraria che si avvicina ai lettori con maggiore forza empatica.
Ti dico questo perchè nel tuo racconto ho trovato poca trama e molti dettagli mostrati ma molti inutili, come i calzini. Ti ripeto, è solo un mio punto di vista non una critica vera e propria. Dopo aver letto, studiato e fatto esercizio, mi sono convinta che Show sia spettacolo, scena in atto.
Ti faccio un esempio per spiegarmi meglio:
@Monica ha scritto: Paris ha il fiato corto per la salita. Si toglie il cappello e passa una mano tra i capelli prima di decidersi a bussare. La donna socchiude la porta.
«Buongiorno, mi chiamo Paris Mondani. Mi manda Berto Alunni. Per la camera.» 
Ansima, percorre gli ultimi metri a schiena piegata, Davanti la porta si toglie il cappello e passa una mano tra i capelli. Le dita  sfiorano l'anta, Le nocche colpiscono piano il legno. La donna apre ma resta nell'ombra dietro l'uscio accostato.
«Buongiorno, mi chiamo Paris Mondani. Vengo per la camera, mi manda Berto Alunni.
La padrona di casa esce sulla soglia...

Ecco a me hanno spiegato, una cosa del genere. Lo spettacolo deve apparire. Se dici che lui passa una mano fra i capelli prima di decidersi a bussare, lo stai raccontando, non sta accadendo, devi mostrare la sua indecisione, appunto come ho provato a fare io e nemmeno bene.
Insomma, sfiora la porta con le dita, poi chiude il pugno e bussa piano. Dimmi se secondo te ho mostrato l'indecisione col gesto della mano che prima sfiora aperta la porta, si chiude e bussa.
Lo so, è davvero difficile, perché per ogni pensiero bisogna trovare il modo migliore di mostrare e non raccontare.
Il racconto ha una bella idea di fondo ma va data più forza alla trama e meno a dettagli che possono passare inosservati.
Mi dispiace ma non ho colto il cambiamento né nella situazione né nei personaggi. È venuto a galla qualcosa che poteva determinare una svolta nei due riservati personaggi ma nulla che li abbiacveramente cambiati. Lei vedova fedele, e lui cuore infranto sono rimasti. 
Spero di non averti urtato col mio esempio, Ho sempre timore a mettere mano sullo scritto di altri, in questo caso, per farmi capire, non avevo scelta.

 

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Grazie @Alba359
credo di aver capito cosa dici e ti ringrazio per il passaggio. In realtà non condivido le tue osservazioni. La scena del calzino è fondamentale per il mutamento. La donna si prende cura di lui come uomo e, forse, era da tanto che nessuno faceva qualcosa di simile per lui. 
Comunque non voglio spiegare il racconto, se non è arrivato devo prenderne atto. 
Non condivido neppure quanto dici rispetto al passare le mani tra i capelli ecc. proprio no. Ma il lettore, come il cliente, ha sempre ragione.🌺🌼

Re: [Lab 3] Il rammendo

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@monica
Il tuo racconto mi ha trasportato in quei luighi e tempi, dove l'amore è un reciproco sodddisfare bisogni senza grandi smancerie.
Lei si prende cura di lui attraverso il rammendo di un calzino, lui ricambia con una manciata di castagne. Con questo è detto tutto, non è necessario altro per aprire uno spiraglio d'intimità che permette loro di consolarsi a vicenda.
Mi è piaciuta la trama, mi sono piaciuti i personaggi quasi disegnati al carboncino, min sono arrivati anche i paesaggi non facili all'interno dei quali si muovono Adelina e Paris.
E' un racconto d'altri tempi che parla di lutto e speranza, ma principalmente d'amore.
Molto bello e toccante.

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Ciao carissima @MonicaX1974 

Un piccolo capolavoro questo racconto cara Monica.
Cronin del «Le stelle stanno a guardare» ed Émile Zola di «Germinal», lo apprezzerebbero molto e io con loro.
Hai scritto questa storia con una misura millimetrica dei gesti e delle parole, mostrando un controllo stilistico eccellente della tua scrittura, dove è evidente che hai voluto dare alla storia un respiro e un passo che la farebbero ben figurare fra le pagine di un classico del primo novecento.
Hai saputo dipingere un epoca e un ambiente con magistrale cura, ma mantenendo sempre un rigore nel mostrare l'essenziale e l'utile, senza mai abbandonarti a fronzoli o cedimenti stilistici.
Ne è nato un racconto quasi ruvido, dove tutto è mostrato in maniera efficace e scabro, le psicologie e i sentimenti dei personaggi non sono indagati, ma mostrati con gesti e parole misurate e significanti.

Direi, a mio avviso, che hai centrato pienamente il tema dello show don't tell, tecnica non semplice da praticare all'interno di un racconto come questo che hai creato. 

Tutti i miei complimenti e un abbraccio.  <3

Re: [Lab 3] Il rammendo

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@Monica ha scritto: La donna socchiude la porta.
«Buongiorno, mi chiamo Paris Mondani. Mi manda Berto Alunni. Per la camera.» 
La padrona di casa esce sulla soglia
Ciao Monica!

Innanzitutto complimenti per aver saputo dare al tuo racconto un'atmosfera d'altri tempi che lo rende davvero interessante. 
Qua però avrei dato innanzitutto l'informazione che ad aprire la porta è la padrona di casa, poi avrei ripreso specificando "la donna esce sulla soglia". Tu invece hai fatto il contrario .
@Monica ha scritto: Sulla mensola sopra la madia, Paris nota la cornice con la foto di un uomo giovane illuminata da una candela. 
Qui sei riuscita a mostrare bene l'altarino casalingo che la vedova Adelina ha costruito per il marito defunto. 
@Monica ha scritto: La puzza di alcol e di vomito impregna l’aria della vecchia locanda. 
Anche qui devo farti i complimenti perché hai saputo mostrare bene il locale malfamato fin da subito. A volte abbondi forse un po' troppo con i dettagli, però qui hai fatto bene.
@Monica ha scritto: La cameriera fa su e giù per la sala a riempire di vino scadente i bicchieri mentre cerca di schivare come può le mani che si allungano verso il culo al suo passaggio.
Qua noto una piccola incongruenza. La cameriera è infastidita dalle avances degli uomini.
E ci sta.
Poco dopo, però, la vediamo fare lei stessa delle avances a Paris. Quindi ci fai capire, tra le righe, che la ragazza all'occasione si prostituisce per arrotondare un po'. Ma se è così come mai tanto fastidio per le "mani lunghe" dei clienti? Dovrebbe essere il contrario, se mai.
@Monica ha scritto: Paris si chiude nella stanza, estrae dal cassetto del comodino una vecchia foto, la mette sul cuscino e resta per ore a fissare il soffitto prima di riuscire ad addormentarsi. 
Nel silenzio può sentire il bisbiglio di Adelina mentre recita il rosario.
Ho apprezzato anche questa parte perché ci mostra due solitudini "vicine", che in qualche modo si parlano senza venire a contatto tra loro.
@Monica ha scritto: Tra le mani stringe uno dei suoi calzini. Si sente avvampare. «Non doveva» le risponde con un filo di voce.
Anche qui noto una piccola incongruenza: Paris ha i calzini bucati. Il che ci fa collocare il personaggio tra le classi meno abbienti, oltre al fatto che lavori come operaio. Però in precedenza la cameriera lo aveva notato anche per i suoi bei calzini "da signore", tanto che aveva pensato che avesse abbastanza soldi da provarci. Mi è parsa un po' stonata la cosa. Non impossibile, ma stonata sì. 
@Monica ha scritto: Paris chiude la bisaccia, prende dal cassetto del comodino la mezza foto che portava sempre con sé e la finisce di strappare. 
Adelina, coi capelli sciolti sulle spalle, continua a guardarlo dalla finestra di camera fin quando lo vede sparire dietro la curva.
Ottima chiusa. 
Il tuo racconto non ci descrive chissà quale mutamento radicale dei personaggi, anzi. Chiuso il cantiere l'uomo se ne va e le vite dei due torneranno, presumibilmente, quelle di prima. Però intanto Paris straccia la fotografia della donna, segno che ha superato finalmente il tormento amoroso che lo turbava. E vediamo Adelina con i capelli sciolti, forse un po' meno in lutto per la morte di Giuseppe. 

Ti faccio solo un appunto: ho notato dialoghi scritti in un italiano molto corretto e forbito, da persona colta. Il che stona un po' con il contesto sociale da cui provengono entrambi i protagonisti e anche i personaggi secondari.
In fondo si parla di un operaio e di un'affittacamere che, negli anni dell'immediato dopoguerra, con tutta probabilità non avranno avuto una grande istruzione.
Io avrei inserito qualche sgrammaticatura, qualche costruzione della frase un po' incerta, soprattutto per quanto riguarda Adelina. Ancora meglio: qualche espressione regionale o qualche parola nel dialetto locale.
Ma è solo un mio consiglio, per il resto una lettura piacevole. Grazie!

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Ciao @@Monica,  il tuo racconto è toccante, nella sua pacatezza arriva a dire qualcosa al cuore. Mi è piaciuto molto. Trovo la tua tecnica dello scrivere molto consapevole e matura, misurata, curata.
Show don't tell: molto bene utilizzato, a parte rare frasi raccontate molto brevi il resto è tutto mostrato.
Il tema della mutazione è secondo me evidente. I piccoli particolari con cui mostri la mutazione sembrano a tutta prima piccoli... ma fanno capire che la mutazione è interiore e di grande portata. Fanno presagire che le due persone cambieranno modo di vedere la vita, si riapriranno alla vita. È come se il racconto proseguisse e il lettore vedesse uno spiraglio di speranza nella vita di queste due persone sole.

Il verbo "socchiudere", che utilizzi all'inizio quando Adelina apre la porta, mi fa pensare più a una porta aperta che si chiude parzialmente, che non a una porta chiusa che si apre parzialmente. Lo cambierei con qualcosa che renda meglio l'atto dell'aprire parzialmente.

Unica nota che trovo stonata: trovo un pò teatrale che Adelina si deterga una lacrima mentre Paris guarda la foto del giovane, mi sembra una reazione un po' forzata nell'economia di un racconto pacato, dove la tristezza corre sottotraccia (ed è toccante proprio per questo). Al posto della lacrima io mostrerei un altro segno di tristezza, di una tristezza pacata in linea con quella che traspare dal resto del tuo racconto.

Molto bello in finale.

Re: [Lab 3] Il rammendo

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Stile, cara @Monica. Ce l'hai e si sta affinando ogni volta di più. Non avessi letto il tuo nome, ti avrei riconosciuta comunque. 
Solo pochi riescono a danzare tra prosa e poesia come te, a coniugare con tanta misura delicatezza e intensità.
E dunque lo SdT  sembra il tuo elemento naturale. Gestito con tanta naturalezza, da rendere ogni descrizione, ogni gesto, parlante: non semplice cornice né addobbo, ma storia.
Visioni sensoriali. Il contrasto tra il tepore buono della cucina di Adelina e il puzzo di alcool e vomito della vecchia locanda. Il silenzio quieto contro il fracasso sgangherato. 
E quelle foto, custodi delle loro solitudini. Paris e Adelina. Si sfiorano, si sentono, alla fine si trovano.
@Monica ha scritto: Il silenzio è rotto dal ticchettio di un orologio a pendolo. Adelina, i lunghi capelli neri raccolti in una treccia, siede sotto la finestra a cucire. Sembra quasi una bambina. Ago e filo danzano agili tra le sue dita; la donna trapunta il tessuto con gesti aggraziati ed esperti. 
Paris si sofferma a guardarla finché lei si accorge di essere osservata: «C’era un bel buco da rammendare» gli dice. 
Tra le mani stringe uno dei suoi calzini. Si sente avvampare. «Non doveva» le risponde con un filo di voce.
Adelina scuote la testa: «Non è un gran lavoro; una volta ero più brava.» 
Lo sguardo di Paris scivola sulla candela accesa sotto la foto del giovane uomo.
Adelina deterge una lacrima col dorso della mano. «Giuseppe morì in un pomeriggio di pioggia come questo» dice senza distogliere lo sguardo dal lavoro.
Paris prende un lungo respiro poi, fruga nella tasca della giacca e depone una manciata di castagne sul tavolo: «Le ho raccolte per strada, stamani.» 
Adelina si alza e le asciuga con un panno pulito. 
«Può metterle a cuocere sul piano della stufa» gli dice.
Lui annuisce ed, estratto il coltello dal taschino, pratica delle piccole incisioni a forma di croce sui gusci. In breve, il profumo di un ricordo satura la stanza. È il gusto ritrovato di una sera in famiglia.
Bellissimo!
Come quell'addio silenzioso, quel portarsi nel cuore un calore nuovo.
@Monica ha scritto: Adelina, coi capelli sciolti sulle spalle, continua a guardarlo dalla finestra di camera fin quando lo vede sparire dietro la curva.
Mi piace pensare che abbiano passato la notte insieme, la prima, forse l'unica.
Un dubbio così carico di promesse che sarebbe un peccato sciogliere.

Brava, bravissima, @Monica(y)

@
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