Re: [Lab2] La Trahison des images

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Mina ha scritto: Da grande sarò una pittrice. Fisso il foglio bianco e mi picchietto la gomma della matita in fronte. Non ricordo di che colore sono i miei occhi. Come posso anche solo iniziare un autoritratto? Fa niente se non lo colorerò, ma disegnarlo è di vitale importanza.
Forse meglio aggiungere questa precisazione?

Perché non mettere il titolo in italiano: Il Tradimento delle immagini?

Hai scelto la strada dell'horror, con le vittime che muoiono per i riflessi della luce o, come minimo, restano ciechi.

Ha scelto come protagonista una fanciulla che vuole diventare una grande pittrice, e insegue sino alla fine il suo sogno. Che perde nel momento
in cui vede il colore dei suoi occhi, riflesso in uno specchio.

Bellissimo il finale:
Mina ha scritto: Adesso so chi sono, adesso posso imprimermi sulla carta. Questo attimo sembra durare per sempre. È un peccato debba morire ora.
Ma non è tutto. Anche questo significa evitare la verità. Mi sembra di guardare dentro un abisso infinito. Sono stata una stupida, non importa niente. La verità è questa: alla fine un disegno è solo una figura di un nero vuoto e privo di significato. Quella nello specchio non sono io.
Solo luce riflessa. È solo luce riflessa.
Solo un piccolo suggerimento per l'ultima frase: mi pare le possa dare più enfasi. 

Bravo, @Mina. Un gran bel lavoro sul Pov in prima persona e sul tema dell'identità: quella apparente e quella reale.  (y)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Ciao @Mina

Il racconto è straniante. Non ci sono appigli per capire. È come trovarsi in mezzo all’oceano senza punti di riferimento. Un futuro oscuro?  Un sogno? Un videogame? Oppure sono vampiri?
 Certo,  ho trovato ben riuscite le descrizioni di ogni passaggio vissuto dalla protagonista. Hai fatto un ottimo lavoro tenendo sempre ben saldo il punto di vista e il racconto funziona. C’è un ottima tensione che pervade il testo, si è spinti ad andare avanti dalla curiosità di sapere cosa sia accaduto e cosa accadrà. Preso singolarmente, ogni momento lascia il segno.
Mina ha scritto: Fa niente se non lo colorerò, è di vitale importanza.
Qui sono inciampata. Cosa è di vitale importanza?  Che lei esegua l’autoritratto comunque, anche senza colorarlo? 
Mina ha scritto: l’unico suono che sento sono i mosconi. So che non devo guardarli, hanno migliaia di occhi.
Anche qui sono tornata indietro a rileggere. Se i mosconi hanno migliaia di occhi perché non dovrebbe guardarli?  Che possono farle gli occhi dei mosconi?
Mina ha scritto: Raccolgo dal divano la maschera per dormire e la guardo. È morbida e arcobaleno e a forma di unicorno 
Utilizzi spesso il verbo guardare (pensa che all’inizio credevo che la bambina fosse cieca) ma se c’è buio come fa a vederla arcobaleno? Se è un ricordo, lo espliciterei. Tipo: Ricordo che era arcobaleno altrimenti, leggendo, si va in confusione.
Mina ha scritto: Mi fermo un attimo a guardare il cielo. Se guardo in alto è sicuro, non c’è nessun riflesso, e
Altro passaggio che mi ha fatto impazzire. Lei esce da sola e indossa la maschera che (se ho interpretato bene) dovrebbe proteggerla dai riflessi di luce. Ma allora come lo guarda il cielo?  
Mina ha scritto: E neanche la mamma. Lei non è cieca, è morta. 
Lei non è cieca… Chi è cieco, allora?  

Nella parte finale mi sono completamente persa anche se la chiusa è d’effetto.

Forse sono troppo razionale e un testo di questo tipo non si può leggere cercando spiegazioni. Se si riesce a entrare nel flusso, ci si trova in un mondo onirico dove ogni cosa funziona a meraviglia. Mi sono sentita come Alice, catapultata in una realtà diversa che mi ha un po’  destabilizzata.
Ottimo il lavoro sul pov. 

Re: [Lab2] La Trahison des images

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The day after di chissá cosa, dove il proprio riflesso uccide. Sopravvivono solo le persone prive di vanitá e quelli che si fanno la barba alla cieca.
Il racconto mi é piaciuto, mi é piaciuto il ritmo, la tensione che sale man mano che si capisce cosa sta succedendo. È credibile il bisogno di conoscere il proprio aspetto, di l'esigenza di fissarlo sulla carta per guardarsi, riconoscersi e non perdersi.
L'unico sapetto che mi lascia davvero perplessa é il contesto. Ne avrei voluto sapere di piú: quante persone sono sopravvissute alla prima mattina, alla prima passeggiata in centro? Quanti sono rusciti a soffocare l'abitudine di darsi un'occhiata nelle vetrine? Ma soprattutto vedendo tutti questi morti, chi sarebbe stato in grado di stabilire il nesso causa-effetto?
Bellissimo racconto, mi piacerebbe leggere anche tutto il resto.

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Razionalista anch'io, mi associo al commento di Monica  nel deplorare la mancanza di "appigli" e alcune oscurità o incongruenze. Quanto al contesto, più che notizie supplementari avrei gradito qualche aiuto iniziale per mettere in moto l'immaginazione.  La morte conclusiva  è insieme  rispecchiamento degli occhi,  lampo accecante e vuoto assoluto.  Che il tutto sia "straniante" è ovviamente un pregio, come la scrittura efficace rispetto alla storia.
" ...con mano ferma ma lenta sollevò la celata. L'elmo era vuoto." (Calvino)
Pagina autrice fb: virginialess/21 Blog "Noi nonne": https.//virginialess.wordpress.com

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Bello @Mina. Piaciuto davvero.
Climax elegante ed efficace. Invece che una prevedibile angoscia, disegni con mano decisa la desolazione.
Lo fai senza sconti, senza cedere a sentimentalismi.
Mina ha scritto: vorrei piangere ma ho paura delle lacrime.
Hai saputo giocare con la poesia più crudele
Mina ha scritto: Lei non è cieca, è morta. L’ha uccisa il suo riflesso in un bicchiere
e in brani come questo mi hai ricordato la delicatezza feroce dei Freaks di Tod Browning (è un film del 1932, se lo trovi non te lo perdere!)

Papà dice che gli altri superstiti si sono cavati gli occhi. Non so se proprio tutti tutti o solo alcuni. Be’, sarò comunque l’artista più grande di sempre, la bellezza di un’opera non dipende dallo spettatore. Chi se ne frega se sono tutti ciechi!

Non è solo ironia, piuttosto direi Ironoir. 
Per questo il racconto l'avrei chiuso qui.
Mina ha scritto: È un peccato debba morire ora.
(y)
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
https://www.facebook.com/profile.php?id=100063556664392
https://emanuelasommi.wixsite.com/manu

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Ciao @Mina 
Bella e allo stesso tempo tragica rappresentazione di un mondo “dopo” qualcosa di tremendo che è avvenuto, apocalisse o reset, che poi il risultato non cambia. Qui tutto è già avvenuto, rimangono pochi superstiti con aspettative di vita pari a una condanna a morte. Nei momenti successivi i superstiti si aggirano sul punto di impazzire per quello che sanno capiterà loro, prima o poi. Ho come la sensazione che la ragazza non rivedrà più il padre, lo nomina troppe volte per le sua azioni disperate o per la sua ricerca di acqua, ma è lontano, si avverte che non ce l’ha fatta nemmeno lui.
La ragazza sopravvive con i suoi sogni di vita infranta, terminata o chiaramente alla fine, anche questo è intuibile dalla sua solitudine, dalla sua fame non solo di cibo ma di una vita che avrebbe potuto essere, bella e desiderabile, ma che non sarà mai. Come poter vivere con quel dogma che se vedi la tua immagine, anche il riflesso, muori? Cavarsi gli occhi per la disperazione è eccessivo, basterebbe abbandonare i luoghi abitati, ma a un certo punto, anche per bere, bisognerà chinarsi su uno specchio d’acqua. A meno che non lo si faccia a occhi bendati. Ipotesi da non sottovalutare, eventualmente.
Non se ne esce da questa condanna o arma batteriologica davvero micidiale. Dispiace che alla fine la ragazza veda la sua immagine, gioisca per ricordare il colore dei suoi occhi, che voleva dipingere, e debba morire. Forse avrebbe potuto adattarsi a quella vita.
Bel racconto, pieno di misteri talvolta appena accennati, che lasciano immaginare paesaggi spaventosi.
Uno scrittore dell'Apocalisse prossima ventura, dunque.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Io ho trovato solo una cosa che mi stona,@Mina 
Mina ha scritto: Ma non è tutto. Anche questo significa evitare la verità. Mi sembra di guardare dentro un abisso infinito. Sono stata una stupida, non importa niente. La verità è questa: alla fine un disegno è solo una figura di un nero vuoto e privo di significato.
Questa frase, non sembra della stessa bambina. Cambia, anche se di poco, il registro.
Il resto è tutto molto bello. Come sempre.

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Grazie mille del passaggio  :D
Poeta Zaza ha scritto: Perché non mettere il titolo in italiano: Il Tradimento delle immagini?
È il titolo di una famosa opera di René Magritte  :)
@Monica ha scritto: È come trovarsi in mezzo all’oceano senza punti di riferimento. Un futuro oscuro?  Un sogno? Un videogame? Oppure sono vampiri?
C'è stata un'apocalisse in cui guardare il proprio riflesso significava morire. Un sacco di gente è morta, la protagonista è sopravvissuta assieme al padre e vanno avanti usando una serie di precauzioni per evitare il proprio riflesso.
@Monica ha scritto: Qui sono inciampata. Cosa è di vitale importanza?  Che lei esegua l’autoritratto comunque, anche senza colorarlo?
Qui mi riferivo al sapere i colori dei propri occhi
@Monica ha scritto: Anche qui sono tornata indietro a rileggere. Se i mosconi hanno migliaia di occhi perché non dovrebbe guardarli?  Che possono farle gli occhi dei mosconi?
Possono riflettere la propria immagine, come specchi
@Monica ha scritto: Utilizzi spesso il verbo guardare (pensa che all’inizio credevo che la bambina fosse cieca) ma se c’è buio come fa a vederla arcobaleno?
C'è semibuio, perché alle finestre sono appese delle coperte, ma si riesce ancora a vedere abbastanza bene
@Monica ha scritto: Altro passaggio che mi ha fatto impazzire. Lei esce da sola e indossa la maschera che (se ho interpretato bene) dovrebbe proteggerla dai riflessi di luce. Ma allora come lo guarda il cielo?
Non l'ho esplicitato per non rendere ridondante il passaggio, ma la frase "Mi fermo un attimo a guardare il cielo" implica che nel farlo si sollevi momentaneamente la maschera, perché "Se guardo in alto è sicuro, non c’è nessun riflesso", e infatti poi quando riprende a camminare specifico "Mi rimetto la maschera e mi incammino"
@Monica ha scritto: Lei non è cieca… Chi è cieco, allora?
Mina ha scritto: Mi rimetto la maschera e mi incammino. Non è difficile, l’ho già fatto prima con papà. Il bastone picchietta per terra. Tic, tic, tic. È come faceva quel signore col cane, prima di tutto questo. Lo vedevo mentre andavo a scuola. Chissà come sta. Certo, con quello che è successo, la sua è una bella fortuna, ma mi dà fastidio il fatto che non potrà mai vedere i miei quadri.
Il signore col bastone e il cane guida che vedeva quando andava a scuola, prima dell'apocalisse
@Monica ha scritto: Nella parte finale mi sono completamente persa anche se la chiusa è d’effetto.
La ragazzina trova uno specchio e si suicida guardando il proprio riflesso
Non credevo fosse così ermetico, sicuramente è una mancanza mia nell'aver valutato male quanto dire e quanto dare per scontato  :facepalm:
Almissima ha scritto: quante persone sono sopravvissute alla prima mattina, alla prima passeggiata in centro? Quanti sono rusciti a soffocare l'abitudine di darsi un'occhiata nelle vetrine? Ma soprattutto vedendo tutti questi morti, chi sarebbe stato in grado di stabilire il nesso causa-effetto?
Quasi nessuno è sopravvissuto, proprio perché il nesso causa-effetto è tutt'altro che immediato; l'umanità è stata praticamente decimata
aladicorvo ha scritto: e in brani come questo mi hai ricordato la delicatezza feroce dei Freaks di Tod Browning (è un film del 1932, se lo trovi non te lo perdere!)
Lo voglio vedere da un po'; grazie!
Alberto Tosciri ha scritto: Cavarsi gli occhi per la disperazione è eccessivo, basterebbe abbandonare i luoghi abitati, ma a un certo punto, anche per bere, bisognerà chinarsi su uno specchio d’acqua. A meno che non lo si faccia a occhi bendati. Ipotesi da non sottovalutare, eventualmente.
Non ho voluto approfondire, ma il cavarsi gli occhi è anche una sorta di simbolo, di rito di passaggio a uno nuovo stile di vita. La protagonista e suo padre invece sono tra quelli che cercano modi più convenzionali per sopravvivere (gli occhi bendati, appunto)
Alberto Tosciri ha scritto: Dispiace che alla fine la ragazza veda la sua immagine, gioisca per ricordare il colore dei suoi occhi, che voleva dipingere, e debba morire. Forse avrebbe potuto adattarsi a quella vita.
Forse sì, e tutto sommato non ne condivido la scelta; c'è anche da dire però che ragionava a stento, vittima dei morsi della sete
Alba359 ha scritto: Questa frase, non sembra della stessa bambina. Cambia, anche se di poco, il registro.
Hai ragione, in quel passaggio infatti la voce dello scrittore (io) ha prevalso sulla voce narrante della protagonista  :facepalm: devo stare più attento
Grazie ancora a tutti!  <3

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Ciao @Mina 

Devo dire che la scelta del titolo del racconto: “La Trahison des images” ( Il tradimento delle immagini) che da il titolo a un famoso quadro del pittore surrealista René Magritte, denota una certa raffinatezza nel cercare i tuoi riferimenti.
L'opera, realizzata quando l'artista aveva trent'anni, raffigura inequivocabilmente l'immagine di una pipa dipinta su uno sfondo monocromo, seguita da una didascalia in un corsivo manierato che afferma: «Ceci n'est pas une pipe» («Questa non è una pipa»).

L'intento di Magritte è quello di sottolineare la differenza tra l'oggetto reale e la sua rappresentazione, rinnegando la pittura classica, secondo cui vi era un legame indissolubile tra l'immagine e la realtà.
Infatti, La Trahison des images non è di fatto quell'oggetto reale che chiamiamo «pipa», bensì una sua raffigurazione pittorica; l'equivoco è dovuto alla convenzione che lega a ogni oggetto un nome (secondo Magritte tutto il quadro, immagine e didascalia, non sono nell'ordine delle cose, bensì della rappresentazione).
In effetti, malgrado alla domanda «che cos'è?» si risponda «una pipa», l'oggetto reale e la sua raffigurazione hanno proprietà e funzioni spiccatamente differenti.
Questa dicotomia è stata sottolineata dallo stesso Magritte, che ha avuto modo di affermare: «Chi oserebbe pretendere che l'immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa»

Ora essendo io da oltre trent’anni un indefesso fumatore di pipa, non posso che concordare pienamente con il concetto filosofico espresso dal grande artista.

Il racconto (distopico) è scritto assai bene e getta il lettore in uno stato di crescente angoscia riga dopo riga.
Ottima la scelta, dopo le devastanti peripezie che subisce la giovane aspirante artista, di non lasciarle scampo con un finale consolatorio.
Oltre alla sfiga di essere sopravvissuta a una indefinita catastrofe, soffrire la fame, la sete, non poter osservare la luce del sole priva di maschera, la scomparsa della madre e poi del padre, ferita da una rovinosa caduta fra vetri taglienti, infine muore dopo aver finalmente visto il colore dei suoi occhi.
Sei stata di una crudeltà sopraffina.
Non avrei saputo concepire nulla di meglio, infatti ti invidio un po’.

Complimenti ottima prova.
Un abbraccio  <3

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Ciao, @Mina
Ottima tensione narrativa! Il testo si legge tutto d'un fiato perché si vuole capire. Ci si formano diverse idee in mente prima di capire che l'elemento scatenante le morti sia il riflesso della propria immagine. C'è una forte insistenza sulla cecità che un po' svia. Io, ad esempio, ho capito il motivo per cui il padre ha buttato via molti oggetti (perché lucidi e riflettenti) solo a lettura terminata e dopo aver letto la tua risposta ai commenti precedenti. 
Da un lato questa ambiguità va bene, perché invoglia alla lettura e crea tensione (oltre a creare molte bellissime e tremende immagini che impreziosiscono il testo!), dall'altra il rischio è quello di lasciare insoddisfatto il lettore. Siccome anch'io quando scrivo faccio un po' la stessa cosa, una volta mi è stato detto che il lettore ha il diritto di sapere... Chiaramente non è necessario spiegare tutto, ma forse almeno il nodo principale si. Un racconto davvero riuscito forse è quello in cui si brancola nel buio fino a una fine che fa ricomporre i pezzi. Qui c'è il riflesso finale, ma non basta, molti elementi rimangono irrisolti. Tuttavia credo che con poche aggiunte tu possa ovviare al problema. 
L'idea del proprio riflesso che uccide è molto bella e merita di essere approfondita. Altrimenti il tuo racconto rischia di essere una sorta di riscrittura di una distopia sulla cecità, ma su quel tema c'è già il bellissimo romanzo di Saramago, Cecità, appunto (il titolo originale in realtà è Saggio sulla cecità). Se non l'hai letto, te lo consiglio.
Comunque il tuo racconto mi è piaciuto. Hai una scrittura lineare ed espressiva che rivela una certa forza narrativa. 
Ciao 

Re: [Lab2] La Trahison des images

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Ciao.
 
Da grande sarò una pittrice.
Fisso il foglio bianco e mi picchietto la gomma della matita in fronte. Non ricordo di che il colore dei miei occhi. Come posso anche solo iniziare un autoritratto? Fa niente se non lo colorerò, è di vitale importanza.  
Mi fa male la testa, vorrei piangere ma ho paura delle lacrime. Sto sdraiata a pancia in giù sul tappeto del salotto, accanto al divano. Non sopporto questo semibuio. Avevamo un bel lampadario, ma papà l’ha buttato via. Ha buttato anche le finestre e ora restano solo delle coperte appese, che fanno filtrare appena la luce del sole.
Mi passo la lingua gonfia sulle labbra secche. Fa caldo e da fuori l’unico suono che sento sono i mosconi. So che non devo guardarli, hanno migliaia di occhi. Lascio a terra la matita e mi alzo in piedi. Le mensole di legno sono mezze vuote, restano solo alcuni libri. Quelle di metallo papà le ha buttate.
Raccolgo dal divano la maschera per dormire e la guardo. È morbida e arcobaleno e a forma di unicorno e ha un elastico da far passare dietro la testa. Me l’ha regalata mamma. La indosso ed esco dal soggiorno. Ormai ho imparato a orientarmi bene a tentoni. Ero sempre stata capace, in casa, ma nell’ultimo mese sono diventata bravissima.

 
1) Ho isolato la prima frase per risaltarla dal resto.
2) In un racconto in prima persona non c'è bisogno di sottolineare ogni volta "sento", "vedo", ecc, è sottointeso che se il protagonista descrive qualcosa è perché lo vede/udisce/prova.
 
Ho sete, entro in cucina. Potrei togliere la maschera: non ci sono più il frigo e il forno, i cassetti sono senza pomelli e tutto è nascosto da coperte e tappeti. Ma ho paura.
Non ho niente da fare e allora apro una mensola, allungo il braccio, mi arrampico per arrivare al fondo. So che è vuota, ma almeno ci provo. Invece – sorpresa! – trovo qualcosa, avvolto nella carta di un tovagliolo. Lo prendo e sbircio: biscotti. Solo una piccola manciatina, non durano neanche un minuto. Sono buonissimi, anche se ormai molli. Quanto mi mancava il sapore dello zucchero! Però mi mettono ancora più sete.
Vado in bagno, apro i rubinetti ma non succede niente. Papà aveva detto qualcosa a proposito di una cisterna. È uscito per cercare l’acqua, ma è tanto che non torna, forse giorni, e io ho sete.
Entro in camera mia e mi siedo a bordo letto. Che noia. Avevo un pesce rosso, sul comò, ma adesso l’acquario non c’è più. I libri o li ho letti tutti o non mi piacciono. A disegnare non riesco, non finché non ricordo di che colore sono i miei occhi. Guardo le tele appese alle pareti. Ero brava! Certo, non perfetta, ma neanche Van Gogh è nato perfetto. Che fastidio! Era un colore chiaro, verde, azzurro? Almeno potessi guardare una mia foto, ma erano tutte sui telefoni e sul computer, e papà li ha buttati, assieme al televisore. Non può essere un dettaglio così stupido a impedirmi di diventare una grande artista. Beethoven era sordo! Ma io non sono Beethoven.
E poi chi è rimasto per vedere i miei quadri?
 
1) Il modo di esprimersi sembra quello di un adolescente, ma nella prima parte sembrava una bambina.
2) In generale i racconti al presente soffrono dell'effetto "telecronaca": "Mi alzo, mi vesto, vado in bagno, ecc". Una sequela di azioni dove si sente poco la voce del narratore.
 
NO!
Scuoto la testa, cercando di scacciare il brutto pensiero. Mi colpisco le guance con le mani, una, due, tre volte. Non devo perdere di vista l’obiettivo: Sarò la più grande artista che il mondo abbia mai conosciuto. Devo solo risolvere questo piccolo problema: il colore degli occhi significa tutto, significa chi sono. E poi non è solo quello. Come sono le mie labbra, i miei denti? Da che parte mi pende il naso? I pensieri sono scivolosi come il pesce rosso che papà ha buttato. Sarà la sete?

Basta, ho bisogno di risposte. Papà sicuramente si ricorda. Mi alzo in piedi. Glielo chiederò e poi berremo trenta litri d’acqua a testa. Mi sistemo la maschera a forma di unicorno, prendo il bastone da passeggio ed esco di casa.
Il cuore mi batte forte in petto, è la prima volta che esco da sola. Cioè, la prima volta da quel giorno. Mi fermo un attimo a guardare il cielo. Se guardo in alto è sicuro, non c’è nessun riflesso, e mi sento libera. Il cielo è sempre uguale, nonostante tutto. È blu infinito, senza una nuvola. Fa un caldo infernale, non c’è un alito di vento, tutto tace. Mi gira la testa.
Mi rimetto la maschera e mi incammino. Non è difficile, l’ho già fatto prima con papà. Il bastone picchietta per terra. Tic, tic, tic. È come faceva quel signore col cane, prima di tutto questo. Lo vedevo mentre andavo a scuola. Chissà come sta. Certo, con quello che è successo, la sua è una bella fortuna, ma mi dà fastidio il fatto che non potrà mai vedere i miei quadri.
E neanche la mamma. Lei non è cieca, è morta. L’ha uccisa il suo riflesso in un bicchiere e io e papà siamo rimasti soli. Ma poi l’acqua ha smesso di arrivare in casa e lui è uscito a cercarla. In che direzione è andato? Al supermercato no, ci sono gli altri superstiti, e papà dice che devo stargli lontana. Forse la cisterna... Dov’è, e com’è fatta? Ho bisogno di bere.
Mi sto allontanando dalla nostra zona, di qua si va verso il centro città. Non sono troppo lontana dal punto in cui io e papà abbiamo fatto la fossa comune per la gente del quartiere. L’ho aiutato a prendere i corpi e buttarli giù, assieme a tutto il resto. Molti li conoscevo, ma ero bendata. Forse c’è anche mamma laggiù. Ho la bocca secca e mi sento la testa scottare per il caldo. Tiro dritto, la strada mi è sempre meno familiare ma la maschera non la tolgo.
Papà dice che gli altri superstiti si sono cavati gli occhi. Non so se proprio tutti tutti o solo alcuni. Be’, sarò comunque l’artista più grande di sempre, la bellezza di un’opera non dipende dallo spettatore. Chi se ne frega se sono tutti ciechi! Ma allora per chi è che dipingo? Per papà? E dopo che sarà morto anche lui? Per me? Ma se non mi ricordo neanche il colore dei miei occhi!
Non è giusto, era la mia certezza. Se non posso essere un’artista, cosa resta? Una bambina senza mamma? Una ragazzina alla ricerca di papà? Forse è quello che vedrebbero gli altri, ma qualsiasi definizione provo a dare non mi sembra abbastanza. Forse...
Qualcosa in mezzo alla strada che non avevo sentito col bastone. Apro la bocca, ma non faccio in tempo a fare niente e inciampo. Allungo le mani, ma c’è del vetro a terra, mi entra nei palmi e urlo. Il bastone rotola via. Le lacrime mi impiastrano gli occhi, tiro su col naso, mi mordo il labbro inferiore.
Mi accuccio sull’asfalto e cerco di togliere i frammenti dalle mani. È difficile. Vetro! Devo riuscire. Se no non potrei più guardarmi le mani. E se col tempo dimenticassi anche il loro aspetto? E se non riuscissi più a disegnarle? E se la ferita fosse troppo grave e perdessi l’uso delle mani? Piango sempre più forte.
Smettila, smettila! Devi andare avanti. Alzati, trova l’acqua, trova papà. Ci penserà lui a te. Andrà tutto bene. Ti medicherà le mani e ti dirà di che colore hai gli occhi e allora potrai tornare a disegnare.
Tolgo le schegge più grosse e mi alzo. Ho perso il bastone, ma non voglio cercarlo a tentoni, rischierei di ferirmi ancora di più. Avanzo tastando l’asfalto con le scarpe. Il sole mi farà impazzire, ho bisogno di un po’ d’ombra. Forse so dove mi trovo, c’erano un sacco di negozi in questa via. Il panificio, l’edicola, il parrucchiere.
Entro in un edificio. C’è una grande puzza, dolciastra, dev’essere morto qualcuno. Allungo le mani e cammino pian piano. Scavalco un paio di ostacoli, penso cadaveri. Le mie mani incontrano una superficie liscia e fredda. Mi ci schiaccio contro, cercando un po’ di sollievo dalla calura. So che cos’è. Ma invece di avere paura sorrido. Non posso aspettare, mi servono risposte.
Abbasso la maschera.
Ah, ecco di che colore erano. È ovvio! È la mia faccia. Ora sì che posso farmi un ritratto. Chi meglio di me? Di sicuro non questo specchio. Adesso so chi sono, adesso posso imprimermi sulla carta. Questo attimo sembra durare per sempre. È un peccato debba morire ora.
Ma non è tutto. Anche questo significa evitare la verità. Mi sembra di guardare dentro un abisso infinito. Sono stata una stupida, non importa niente. La verità è questa: alla fine un disegno è solo una figura di un nero vuoto e privo di significato. Quella nello specchio non sono io. Solo luce riflessa.
 
1) Ho tagliato alcune frasi sentite troppe volte: descrizioni sul cielo, sul cuore che batte, commenti della protagonista verso la propria persona.
 
L'idea del racconto - vedere il proprio riflesso = morire -  è interessante, così come la costruzione. Rivedrei la narrazione - il tempo presente lo trovo statico - e l'età della protagonista.
 

Re: [Lab2] La Trahison des images

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@Nightafter @ivalibri @Rob grazie mille del passaggio e delle vostre opinioni  :love:
Nightafter ha scritto: L'opera, realizzata quando l'artista aveva trent'anni, raffigura inequivocabilmente l'immagine di una pipa dipinta su uno sfondo monocromo, seguita da una didascalia in un corsivo manierato che afferma: «Ceci n'est pas une pipe» («Questa non è una pipa»).

L'intento di Magritte è quello di sottolineare la differenza tra l'oggetto reale e la sua rappresentazione, rinnegando la pittura classica, secondo cui vi era un legame indissolubile tra l'immagine e la realtà.
Infatti, La Trahison des images non è di fatto quell'oggetto reale che chiamiamo «pipa», bensì una sua raffigurazione pittorica; l'equivoco è dovuto alla convenzione che lega a ogni oggetto un nome (secondo Magritte tutto il quadro, immagine e didascalia, non sono nell'ordine delle cose, bensì della rappresentazione).
In effetti, malgrado alla domanda «che cos'è?» si risponda «una pipa», l'oggetto reale e la sua raffigurazione hanno proprietà e funzioni spiccatamente differenti.
Questa dicotomia è stata sottolineata dallo stesso Magritte, che ha avuto modo di affermare: «Chi oserebbe pretendere che l'immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa»

Ora essendo io da oltre trent’anni un indefesso fumatore di pipa, non posso che concordare pienamente con il concetto filosofico espresso dal grande artista.
Beccato, hai colto in pieno il perché del titolo  :D <3 Quello che Magritte ha detto con la sua opera ho voluto reinterpretarlo a modo mio in questo racconto. Noi non siamo la nostra immagine, non siamo il nostro riflesso, non siamo la nostra rappresentazione. Il linguaggio incasella la realtà in schemi, ma è inevitabile ci sia sempre un certo grado di semplificazione. Il linguaggio è un modello della realtà.
ivalibri ha scritto: Da un lato questa ambiguità va bene, perché invoglia alla lettura e crea tensione (oltre a creare molte bellissime e tremende immagini che impreziosiscono il testo!), dall'altra il rischio è quello di lasciare insoddisfatto il lettore. Siccome anch'io quando scrivo faccio un po' la stessa cosa, una volta mi è stato detto che il lettore ha il diritto di sapere... Chiaramente non è necessario spiegare tutto, ma forse almeno il nodo principale si. Un racconto davvero riuscito forse è quello in cui si brancola nel buio fino a una fine che fa ricomporre i pezzi.
Grazie mille! Sono d'accordissimo con la tua opinione; nella pratica faccio molta fatica a trovare un equilibrio. Il lettore ha diritto di sapere, ma non voglio neanche dire più del necessario o ripetere in modo palese i concetti, sarebbe un insulto all'intelligenza del lettore. Sto cercando un equilibrio tra le due cose. Alla fine, anche secondo me è essenziale che tutto ciò che è necessario per comprendere un'opera sia all'interno dell'opera stessa, e se in questo caso non è così è una mia mancanza, perché nelle mie intenzioni doveva essere tutto chiaro, e se non sono riuscito a seguire le mie intenzioni vuol dire che qualcosa è andato storto.
Poi dipende, diversi lettori danno importanza a diverse cose. Io adoro brancolare nel buio, e la mia serie tv preferita è Lost, anche se alla fine le risposte non arrivano. Ma capisco il perché infastidisca  :asd:
ivalibri ha scritto: Altrimenti il tuo racconto rischia di essere una sorta di riscrittura di una distopia sulla cecità, ma su quel tema c'è già il bellissimo romanzo di Saramago, Cecità, appunto (il titolo originale in realtà è Saggio sulla cecità). Se non l'hai letto, te lo consiglio.
Non ho mai avuto occasione di leggerlo; grazie del consiglio, lo farò  :arrossire:
Rob ha scritto: Il modo di esprimersi sembra quello di un adolescente, ma nella prima parte sembrava una bambina.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Nelle mie intenzioni la protagonista era una preadolescente; è[/font] un po' un mio punto debole, quando devo immedesimarmi in altri personaggi uno dei passaggi che trovo più difficile è la barriera dell'età. Tu che consigli? Come fare per ragionare con la testa di una persona di un'altra età?

Grazie ancora!

Re: [Lab2] La Trahison des images

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@Mina ciao e complimenti per il tuo racconto.
Vorrei potermi specchiare in esso, ma non oso  :aka:
A parte gli scherzi, hai descritto in maniera incalzante e con un buon ritmo un contesto catastrofico e angosciante.
Mi sono gustato la progressione descrittiva e lo svelamento della verità (un’idea davvero brillante!). 
Ho letto il testo ad alta voce a mia figlia che ha apprezzato altrettanto, quindi complimenti doppi!
In particolare abbiamo trovato veramente efficace il finale, che valorizza appieno il percorso che fai fare al lettore!

Alla prossima!
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