[MI169] Cinque giugno

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Traccia di mezzanotte: la sera di festa
Cinque giugno

L’auto sbucò dal fondo di una curva. Sotto le ruote, il  brecciolino sull’asfalto sconnesso tintinnò come un borsello pieno di monete. La luce riposante del tramonto dava alla carrozzeria della vecchia auto un tono profondo che si sposava con i colori delle campagne circostanti. Già dai primi di maggio, le coltivazioni rigogliose regalavano uno spettacolo conciliante a chiunque le attraversasse per recarsi in città. Era molto che Saul non vi tornava.
Poco dopo, l’auto s'immise in Canal Road e l’asfalto si fece più liscio. Vecchi casali con tetti  sbilenchi e recinzioni di mattoni fecero comparsa ai lati della strada per poi lasciare il posto a un gruppetto di case che Saul sapeva dicessero Benvenuti a Castle Rock, milleduecento anime, la maggior parte esperti in commercio di legname o pesca di fiume, nonché in tracanno di whisky a buon mercato.
Canal Road terminava in un incrocio, dove l’insegna del bazar di Jimmy troneggiava su una saracinesca abbassata. In basso, un manifesto ricordava l’appuntamento annuale con la “Festa del Giorno degli Immoti”, che Saul chiamava “giorno della Medusa”. Festa non gli riusciva proprio di chiamarla.
Saul svoltò a destra e prese la via che conduceva alla piazza centrale del paese. Poco prima di averla percorsa, subito dopo il bar del vecchio Tommy che come ogni altro locale del paese era chiuso sin dal mattino, lo vide.
L’auto accostò e si fermò.
La porta si aprì. Saul uscì nel deserto della città. Nonostante il sole fosse ormai molto basso non c’era nemmeno un filo di vento serale e il caldo di giugno era opprimente. L’aria stessa sembrava stanca e come lui tutt’altro che partecipe del giorno di festa. C'era silenzio. Dovevano essere già tutti alla festa.
Saul s'appoggiò alla macchina e accese una sigaretta, con lo sguardo rivolto all’unica persona presente oltre lui che lo stava salutando.
Bill Dembrow, un uomo robusto dal viso lentigginoso e simpatico, con indosso una camicia a quadroni del tutto sbiadita e un paio di jeans molto rovinati stava immobile, sul ciglio della strada, con un braccio sollevato e il volto lievemente obliquo. Un piede era alzato nell’atto di poggiarlo sul marciapiede. Solo che non lo poggiava mai.
Era lì, in quella posa che poteva essere buffa, pensò Saul, se non fosse che non c’è nulla di divertente in un uomo morto.
Nessuno lo aveva toccato. Era uguale a come lo aveva visto l’ultima volta come essere vivente e la prima come… come… così.
Cinque giugno. Sei anni da allora.
Saul ricordò.

Al bar di Tommy c’erano quattro o cinque affezionati, per lo più taglialegna che già dal primo pomeriggio, quando il sole era ancora alto nel cielo, ordinavano da bere con la continuità con la quale un cane piscia nell’erba alla prima uscita dopo un temporale. Tra di loro Bill Dembrow e Tod Howard, un simpatico ragazzotto di cento chili, alle sette erano passati a fare a gara a chi buttava giù più hamburger col ketchup tra un bicchiere e l’altro, con Jimmy a fare da giudice.
Saul era arrivato insieme a lui da meno di un’ora. Come loro solito, i due fratelli avevano festeggiato la fine della giornata al bazar con qualche birra e un paio di piatti di anelli di cipolla.
Se Jimmy non aveva ancora intenzione di lasciare il locale – d’altronde lui non aveva nessuno ad aspettarlo per cena – il fratello salutò e uscì proprio quando gli ultimi raggi di sole accarezzarono Castle Rock. Entrò in auto, mise in moto e accese la radio. I Firegun suonavano Stone my heart. Solo molto più tardi Saul avrebbe notato quella coincidenza assurda.
Oh baby, your eyes stone my body
Medusa, your eyes stone my heart.
In quel momento anche Bill usciva dal bar. Saul se lo vide passare davanti, nella sua camicia a quadroni sporca di ketchup, col passo di chi aveva esagerato col whiskey. Lo salutò col clacson mentre innescava la prima e vide quello che si voltò per ricambiare il saluto mentre si apprestava a salire sul marciapiede…
In quel momento fu un lampo, una luce accecante che avvolse ogni cosa come se una supernova fosse esplosa davanti ai suoi occhi.
Dopodiché, di Bill era rimasta solo una buffa statua in carne e ossa, immobile nell’ultimo passo di una vita da ubriacone.
Come lui, altri quarantadue abitanti di Castle Rock erano finiti allo stesso modo. Seimila circa nella sola contea di Oxford. Tutti pietrificati in quel cinque di giugno che aveva lasciato più di mezzo miliardo di cadaveri non deperibili disseminati sull’intero pianeta in mezzo a miliardi di persone sconvolte.

Saul gettò la sigaretta, rientrò in auto e ripartì. Dopo poche centinaia di metri sostò dove alcune transenne delimitavano la piazza in cui era appena cominciata la cerimonia.
Nel cielo caldo e scuro che sovrastava la piazza si alzavano piccoli serpenti di fumo originati da centinaia di torce accese, ciascuna sostenuta da una mano. Saul, che assisteva per la prima volta alla festa, rimase impressionato dal colpo d’occhio di quella fiaccolata. Ciò che più gli metteva i brividi, però, era che la stessa scena si stava ripetendo nello stesso momento in ogni città del paese e non solo.
Dal campanile un rintocco scandì le parole dell’officiante che invitava i presenti a partecipare a un canto di ringraziamento. Nella litania che prese il via, Saul udì una voce alle sue spalle:
«Che mi venga un colpo! Saul!»
Sul volto ingrassato di Jimmy era visibile lo stupore nel vedere il fratello. Saul cercò di nascondere la delusione che provava. Jimmy stava invecchiando male.
Si scambiarono qualche parola per un po’ con lieve imbarazzo. A un certo punto però Jimmy passò all’attacco.
«Come si sta in esilio, eh, fratello?»
Saul se lo aspettava. Dopo l’ultima lite aveva lasciato tutto per ritirarsi in campagna, solo come un ladro, e non tornava in città da chissà quanto. Nessuno di loro riusciva a capire.
«Meglio che qui» fu l’unica risposta che riuscì a tirar fuori. Avrebbe voluto aggiungere con voi, ma si trattenne.
Anche così Jimmy si inalberò. «Come vedo non sei cambiato. Dopo tutto questo tempo ancora non hai fede! Sei un miscredente, ecco cosa.»
«Credere…»
Saul si limitò a dire questo. Qualcun altro attirò la sua attenzione.
Emily lo stava fissando. Lasciò Jimmy e le si avvicinò.
«Ciao».
Sul viso della moglie solo qualche ruga in più a testimonianza del tanto tempo passato. Per il resto:
«Non sei cambiata per niente» ed era vero, almeno fuori.
«Sei venuto anche tu per la festa?»
«No. Quelle persone sono morte, Emily. Cosa c'è da festeggiare? Io non lo capisco».
«I morti sono sottoterra, Saul. Loro sono ancora qui. E lo saranno sempre». C’era un senso di pace nella voce che a Saul trasmise un brivido. Forse ne provava invidia? Abbassò la testa. Stringeva i denti per la rabbia. Avrebbe voluto crederci anche lui. Avrebbe voluto festeggiare qualcosa, come tutti gli altri, ma la verità era che non riusciva a capire come facessero loro a non rendersi conto che senza una spiegazione e con tutti quei corpi davanti agli occhi nessuno superava il lutto, e questo li stava rendendo tutti pazzi.
«E allora perché sei qui?»
Senza alzare lo sguardo perché lei non vedesse che iniziava a piangere disse:
«Come sta?»
Le lo guardò per qualche istante, poi gli prese la mano.
«Vieni?»
Saul mormorò un sì. Tremando, la seguì. Si allontanarono in silenzio dalla piazza dove la folla avrebbe seguitato a celebrare, tra canti e preghiere, il cinque giugno. Giunsero a un’abitazione che fino a sei anni prima era stata casa loro e adesso era solo casa di Emily. 
Lei gli aprì la porta e lo condusse dentro, sempre in silenzio.
Camminavano a luce spenta, ma Saul ricordava ancora ogni centimetro.
«Liz, mamma è a casa, amore» disse lei. «E guarda un po’ che sorpresa, c’è anche papà! Finalmente è tornato per stare un po’ con te».
Saul avvertì una stretta nel petto.
Seduta su una sedia in cucina, nella penombra e davanti al televisore spento, la sua bambina era davvero ancora , come il cinque giugno di sei anni prima l’aveva trovata e lasciata per sempre.

Re: [MI169] Cinque giugno

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Joyopi, idea bella, raconto bello.
Peró i casali in Canal Road non si possono sentire.
Da accanita lettrice di Stephen King, appena ho sentito Castle Rock ho avuto un brivido di aspettativa.
Senza dubbio c'é materiale per unromanzo o racconto lungo. Giá solo perché ha colpito alcuni si e altri no, si decompongono o si conservano, puzzano? Gli devono rifare i vestiti doo ogni inverno oppure anche quelli subiscono una conservazione forzata.
Ma soprattutto qual'é l'obiettivo del nostro protagonista?
Questo  potrebbe essere l'incipit e io sarei tanto curiosa di sapere che direzione prende la tua storia.

Re: [MI169] Cinque giugno

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Joyopi ha scritto: Vecchi casali con tetti  sbilenchi e recinzioni di mattoni fecero la loro comparsa ai
Joyopi ha scritto: per poi lasciare il posto a un gruppetto di case che Saul sapeva dicessero Benvenuti a Castle Rock, milleduecento anime, la maggior parte esperti in commercio di legname o pesca di fiume, nonché in tracanno di whisky a buon mercato.
Anche se non è la stessa cosa, io ti suggerirei di sostituire quel "Saul sapeva dicessero" con "sembrava dicessero" e dopo metti i due punti.
Joyopi ha scritto: L’auto accostò e si fermò.
La porta si aprì. Saul uscì nel deserto della città. 
Non riesco a capire di che porta parli.
Joyopi ha scritto: ill Dembrow, un uomo robusto dal viso lentigginoso e simpatico, con indosso una camicia a quadroni del tutto sbiadita e un paio di jeans molto rovinati virgola stava immobile, sul ciglio della strada, con un braccio sollevato e il volto lievemente obliquo
La virgola che ti segnalo sopra è essenziale per completare l'inciso che hai iniziato con la prima virgola dopo "simpatico"
Joyopi ha scritto: Era lì, in quella posa che poteva essere buffa, pensò Saul, se non fosse che non c’è nulla di divertente in un uomo morto.
Devo ammettere che mi hai sorpreso! Bravo!
Joyopi ha scritto: il fratello salutò e uscì proprio quando gli ultimi raggi di sole accarezzarono accarezzavano Castle Rock. 
Non il passato remoto ma l'imperfetto in quell'azione sullo sfondo.
Joyopi ha scritto: dom giu 05, 2022 10:56 pmSeduta su una sedia in cucina, nella penombra e davanti al televisore spento, la sua bambina era davvero ancora , come il cinque giugno di sei anni prima l’aveva trovata e lasciata per sempre.
Anche il finale lo trovo in linea col racconto. Sei stato bravo  costruire questo horror-fantascientifico.
A proposito, dato che non è il mio genere preferito, hai attinto l'idea da grandi autori del genere, oppure c'è questa tua idea originale alla base del tuo racconto?
Devo essere sicura che sia tua l'idea, e non un rimestaggio, per farti i dovuti complimenti! @Joyopi   :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI169] Cinque giugno

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Joyopi ha scritto: I Firegun suonavano Stone my heart. Solo molto più tardi Saul avrebbe notato quella coincidenza assurda.
Oh baby, your eyes stone my body
Medusa, your eyes stone my heart.
Li ho cercati veramente su Spotify  :asd:

Che figata. Molto macabra, questa ricorrenza. Mi è piaciuta l'insensatezza dell'evento, che non ha potuto far altro che lasciare tutti quanti senza una spiegazione razionale. Anche la morte è così, no? E in fondo, non si può almeno non capire le motivazioni dietro alla nuova religione creatasi:
Joyopi ha scritto: «I morti sono sottoterra, Saul. Loro sono ancora qui. E lo saranno sempre». C’era un senso di pace nella voce che a Saul trasmise un brivido. Forse ne provava invidia?
La morte ti priva di tutto, cancella la tua identità, i tuoi ricordi, la tua mente, e il tutto marcisce assieme al tuo corpo. Questo evento inspiegabile da questo punto di vista è come un miracolo: preserva quei corpi intatti, per sempre; sono l'unica cosa non soggetta a mutazione o all'azione crudele del tempo, è una ribellione alle leggi stesse della natura, un'eccezione all'entropia
Ho visto un parallelismo con la risurrezione del cristianesimo: tutte quelle persone hanno bisogno di credere che, prima o poi, i loro cari ritorneranno, che si risveglieranno da quello loro strano sonno e tutto tornerà come prima, come se non fosse mai successo niente, come se il tempo non esistesse
Joyopi ha scritto: Visto che sull'idea di base di questo racconto mi sta balenando l'idea di scrivere un romanzo o un racconto lungo senza dover essere tanto contratto, fatemi sapere onestamente cosa ne pensate.
Sarebbe sicuramente interessare esplorare gli effetti che questo evento senza spiegazione ha avuto sulla vita quotidiana e sul modo di pensare delle persone. Saul è l'unico miscredente? Quanto potere ha questa religione, e cosa fa a chi non crede?
I miei consigli sono di pensare bene a un punto di vista tematico, in modo che questa storia possa comunicare qualcosa di potente a chi legge - come le riflessioni che ha suscitato in me - e di costruire un conflitto. L'idea di base è spettacolare, ma per una storia più lunga sai meglio di me che è necessaria della tensione narrativa
Fammi sapere, sono molto curioso  :D

Re: [MI169] Cinque giugno

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Ciao @Joyopi 

Argomento e storia molto interessante. Mi ricorda molta della società mondiale di questi ultimi anni dove le cose più assurde, fuori logica, senso e comprensione sono assurti a dogmi e chi se ne discosta o ha dubbi e domande viene guardato come un pazzo e talvolta rischia la vita.
Nel tuo racconto questo modo di vivere, questa “cappa” che è calata sugli abitanti di Castle Rock è diventata una vera e propria religione di fuorviati. O impestati.
Il nome del tuo protagonista, Saul, ha per me forti implicazioni bibliche, non tanto rimandi al re Saul, che disobbedì al volere di Dio, ma vi ho trovato più attinenza con Saulo di Tarso, San Paolo.
Attinenza non letterale ovviamente, intendo nel senso trasformabile del termine; anche Saulo inizialmente seguiva la corrente e perseguitava gli “strani”, gli “anomali”, cioè i primi cristiani, fino a quando sulla strada di Damasco comprese (non per suo ragionamento) di avere sbagliato tutto e abbandonò le vecchie credenze per diventare anche lui un reietto, uno “strano”.
Forse il mio ragionamento è estremamente forzato, da non prendere alla lettera ma come lontano spunto adattabile alla bisogna, siccome ho letto che vuoi fare qualcosa di più grande, un racconto lungo o romanzo.
Penso che il personaggio di Saul ha molte possibilità.
Questa volta non ho obiezioni per l’ambientazione americana, in genere preferisco ambienti mediterranei, ma dalle nostre parti il senso religioso non esiste più, mentre gli americani non lo hanno ancora perso del tutto e spesso anche i personaggi più insospettabili in situazioni estreme  conservano, manifestano ed esprimono in maniera eclatante modi di fare ieratici.
Questa sorte di morte che ha preso gli abitanti del villaggio lasciandoli apparentemente vivi ha qualcosa di fascinosamente sinistro, può portare a innumerevoli risvolti. Ti suggerirei, se posso permettermi, perché non sono un esperto, di costruire da certosino una buona impalcatura sia come personaggi che come ambiente; cioè esplicitare in dosi che riterrai opportune la causa della situazione che si è venuta a creare.
Potrebbe essere, ad esempio, una nuova arma biologica (qualcuno ne sente il bisogno ma se viene nominata si ride…), qualcosa che modifica il patrimonio genetico, non m’intendo di genetica ma qualsiasi fantasia sarà sempre al di sotto della realtà fidati. Chi ha predisposto, chi ha fatto in modo che accadesse questo? È qualcosa di contagioso? A quanto pare non sembrerebbe, visto che Saul non è rimasto contagiato o “convinto” da questa sindrome o malattia. Prova ad analizzare come mai. Dipende dal carattere o dal patrimonio genetico? Forse Saul ha una particolare discendenza, da ricercare, ipotizzo, magari nei nativi americani, che non sono i pellerossa che il generale Custer utilizzava come bersagli, ma ben altra cosa a livello genetico e storico… (altro filone immenso che per fortuna sta cominciando a emergere, assieme alla consapevolezza di molta più gente per la vera storia dell’umanità).
Insomma, con spunti di archeostoria definita eretica dagli ortodossi ci metti intrighi a non finire per un romanzo avvincente.
Devo dire che alla fine del racconto, dopo innumerevoli scene che per quanto brevi ho trovato molto scenografiche, come gli ubriaconi che rimanevano fermi nei loro gesti, scene che meritano approfondimenti, ulteriori dilatazioni descrittive, mi ha colpito il punto dove Saul incontra la moglie, definitivamente persa ma speriamo di no… dove vede la sua bambina come ancora viva pur sapendo che è morta… scena toccante, da lavorarci a lungo.
Tutta la storia merita di essere approfondita nel senso che tu auspichi.
Ma anche da questa che considero una sorta di ottima prova, da come hai esposto asciuttamente i fatti e i personaggi, sono molto fiducioso che ci riuscirai.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI169] Cinque giugno

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Ciao, @Joyopi.
Il tuo racconto mi ha ricordato Sleeping Beauties, con le donne che si addormentano avvolgendosi in un bozzolo, e un pò anche Under the Dome di King. Non la trama perchè tu, forse ,devi ancora scriverla, ma la modalità: "La Cosa brutta arriva in città" con gli abitanti che interagiscono per risolvere il problema, un pò mi ci ha fatto pensare. Le tua idea è molto bella, La cosa che pietrifica è ancora un mistero, l'implicazione della fede è intrigante e tutto invoglia a continuare la lettura, la scena della bambina mi è piaciuta molto. Hai creato subito empatia e questo è ottimo.
Se non hai letto i due romanzi di king ti consiglio di dare un'occhiata almeno a Sleeping Beauties, per scostarti dal tipo di scrittura dell'autore citato e non avvicinarti alla sua trama. Magari, basterà creare una storia avvincente nella storia della città invasa, maledetta, prescelta...
Comunque è un bell'inizio per scrivere un romanzo.

Re: [MI169] Cinque giugno

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Poeta Zaza ha scritto: Non riesco a capire di che porta parli.
La portiera dell'auto.  :)
Poeta Zaza ha scritto: Anche il finale lo trovo in linea col racconto. Sei stato bravo  costruire questo horror-fantascientifico.
A proposito, dato che non è il mio genere preferito, hai attinto l'idea da grandi autori del genere, oppure c'è questa tua idea originale alla base del tuo racconto?
Devo essere sicura che sia tua l'idea, e non un rimestaggio, per farti i dovuti complimenti! @Joyopi   :)
Ciao Zaza. L'idea di per sé dovrebbe essere originale, nel senso che non credo di aver mai letto qualcosa di simile. Un minimo di ispirazione però immagino di averla avuta mescolando un po' di cose che mi hanno colpito nel tempo. Ad esempio, una serie TV vista qualche anno fa (tratta da un romanzo), Leftover, in cui una piccola percentuale di popolazione scompariva nel nulla da un giorno all'altro lasciando una umanità sconvolta (mi pare che l'autore del romanzo volesse simboleggiare il vuoto rimasto dai morti dell'attentato alle Twin Tower, per l'appunto"scomparsi" da un momento all'altro) mi ha sempre lasciato la sensazione di voler raccontare qualcosa di simile. Oppure, come più giù ha notato Alba, tra altri un romanzo come The dome (in cui una cupola invisibile cala su una città isolandola dal resto del mondo) e più in generale uno scrittore che amo come King mi ha trasmesso la passione per gli eventi improvvisi e surreali che nel momento in cui accadono, pur senza dover per forza fornirne una spiegazione, vengono accettati come reali e creano un mondo che non è più quello del giorno prima, in cui le dinamiche sociali e le credenze vengono stravolte. La stessa dinamica l'ho trovata altre volte in romanzi di Ballard.
Senza dimenticare ovviamente il mito della Medusa e del suo sguardo che pietrifica...
Insomma, credo che l'idea di base possa essere definita originale, ma non nego che come in tante altre occasioni l'influenza di temi e storie che mi hanno appassionato in passato si sia fatta sentire. ;)
Grazie per il passaggio!

Re: [MI169] Cinque giugno

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Ciao @Joyopi, ho apprezzato questo tuo racconto. Parte con una bella descrizione, riesci a trasmettere tutte le atmosfere del luogo.
Poi trovo questo passaggio che mi ha sorpreso positivamente, con quella punta di sarcasmo:
Joyopi ha scritto: Saul s'appoggiò alla macchina e accese una sigaretta, con lo sguardo rivolto all’unica persona presente oltre lui che lo stava salutando.
Bill Dembrow, un uomo robusto dal viso lentigginoso e simpatico, con indosso una camicia a quadroni del tutto sbiadita e un paio di jeans molto rovinati stava immobile, sul ciglio della strada, con un braccio sollevato e il volto lievemente obliquo. Un piede era alzato nell’atto di poggiarlo sul marciapiede. Solo che non lo poggiava mai.
Era lì, in quella posa che poteva essere buffa, pensò Saul, se non fosse che non c’è nulla di divertente in un uomo morto.
Nessuno lo aveva toccato. Era uguale a come lo aveva visto l’ultima volta come essere vivente e la prima come… come… così.
Cinque giugno. Sei anni da allora.
Forte!
Joyopi ha scritto: Emily lo stava fissando. Lasciò Jimmy e le si avvicinò.
Se lei si stava avvicinando a Saul credo vada messo gli.

Poi, tutta l'evoluzione verso il finale...piaciuto.
Per me è molto interessante un futuro sviluppo. Ci sarebbero tante cose che potrebbero snocciolarsi, magari con un percorso a ritroso.
Alla prossima

Re: [MI169] Cinque giugno

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Questo racconto caro  @Joyopi  lo trovo perfetto.

Devo dire che nel genere dei racconti distopici è il genere di distopia che prediligo.
Potrei dire che ci troviamo nel pieno del “Gotico Americano” per il clima e
lo scenario nel quale ambienti i fatti narrati.

Non starò a citarti esempi di storie simili che appartengono a memorie della collana Urania, di cui ho nutrito gran parte della mia giovinezza, poiché ormai rimbambito come sono non me ne sovviene alla mente uno tra i tanti.
Ma di certo questa tua storia non sfigurerebbe fra quelle dei più qualificati autori di quella collana.

Anzitutto è eccellente lo stile asciutto della narrazione, secco ed efficace, senza fronzoli e sbavature.

Questo personaggio schivo e chiuso, assorto nei pensieri e nei ricordi di un’esistenza passata, dove la vita procedeva senza scosse all’interno di una piccola comunità agricola del Maine, è resa con grande efficacia.
Mi è molto piaciuta l’aperture descrittiva del luogo, con questa vecchia auto che con una sequenza filmica procede lungo la strada che porta in città, mentre sfilano paesaggio ed elementi caratterizzanti locali.
Perfetta la temperatura del posto: dove l’elemento climatico concorre a creare lo stato d’animo del protagonista.

“Nonostante il sole fosse ormai molto basso non c’era nemmeno un filo di vento serale e il caldo di giugno era opprimente. L’aria stessa sembrava stanca e come lui tutt’altro che partecipe del giorno di festa.”

Ecco che irrompe, in questo scenario dall’apparente tranquilla normalità, il fatto improvviso che modifica e ribalta la natura delle cose e il tema stesso del racconto.
E’ un’ottima scelta quella di aver creato questo “strappo”, questo incidente inspiegabile, che ci precipita in una dimensione di angoscia surreale, dove riprendono vita le risposte più ataviche e irrazionali degli esseri umani di fronte a un mistero di cui non trovano spiegazione: la religiosità e la superstizione come rifugio all’arcano e al soprannaturale.
Ottima perché non sei ricorso a una motivazione d’ordine catastrofico-scientifico per giustificare l’evento, ma lo hai risolto come un fenomeno paranormale, togliendo al lettore il problema di una plausibilità sulla meccanica del fatto.

Emblematico che questi morti “pietrificati” non vengano rimossi, ma divengano segni, monito di un messaggio e forse di un castigo oscuro, pertanto manifestazioni di una forza e una volontà che travalica la comprensione umana e la percezione del reale conosciuto.

I dialoghi con le persone famigliari di un tempo, mostrano il solco profondo che si è creato tra chi, come il protagonista, subisce quella realtà sconvolgente rifiutandone però gli atti consolatori che società ha messo in atto per esorcizzarli, e quelli che hanno accettato l’inaccettabile rivestendolo di un rituale che attiene al magico e al miracolistico.

Un solco tra chi ha scelto di continuare a vivere oscurando la propria coscienza critica e chi come il protagonista non adeguandosi passivamente a quella esistenza.

Fantastica in fine l’agnizione di chiusura con la bimba morta, nella posizione davanti alla TV di sei anni.
Qui il sentimento della nostalgia, del rimpianto, del dolore per ciò che è avvenuto, cambiando per sempre l’esistenza tocca un vertice elevatissimo.

Complimenti vivissimi amico mio. (y)

Re: [MI169] Cinque giugno

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@Joyopi  ciao bellissimo uomo. :muu: 

Avevo scritto un commento di due chilometri e mi si è chiuso tutto :facepalm: 
Mi tocca ricominciare, ma sarò più sintetico.
Scusa in anticipo se ti farò le pulci, come si suol dire (come si Saul dire): devo pubblicare.
Joyopi ha scritto: La luce riposante del tramonto dava alla carrozzeria della vecchia auto un tono profondo (virgola) che si sposava con i colori delle campagne circostanti.
Joyopi ha scritto: Vecchi casali con tetti  sbilenchi e recinzioni di mattoni fecero comparsa ai lati della strada (virgola) per poi lasciare il posto a un gruppetto di case
Joyopi ha scritto: Nonostante il sole fosse ormai molto basso (virgola) non c’era nemmeno un filo di vento serale e il caldo di giugno era opprimente.
Joyopi ha scritto: con lo sguardo rivolto all’unica persona presente oltre lui che lo stava salutando.
La frase suona male così. Toglierei quel "che lo stava salutando". Oppure riformulerei. Alcuni esempi buttati lì:
con lo sguardo rivolto alla persona che lo stava salutando, l'unica presente oltre a lui.
con lo sguardo rivolto all'unico presente, che lo stava salutando.
con lo sguardo rivolto all'unica persona presente. L'altro lo stava salutando.
eccetera.
Joyopi ha scritto: Bill Dembrow, un uomo robusto dal viso lentigginoso e simpatico, con indosso una camicia a quadroni del tutto sbiadita e un paio di jeans molto rovinati stava immobile, sul ciglio della strada, con un braccio sollevato e il volto lievemente obliquo. 
Non ho niente contro le frasi lunghe, ma questa la spezzerei.
Bill Dembrow, un uomo robusto dal viso lentigginoso, se ne stava immobile sul ciglio della strada, con un braccio sollevato e il volto obliquo. Indossava una camicia...
joyopi ha scritto:[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Un piede era alzato nell’atto di poggiarlo sul marciapiede. Solo che non lo poggiava [/font][font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]mai[/font][font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif].[/font]
Se il soggetto è il piede, credo tu debba scrivere "nell'atto di poggiarsi" e "solo che non si poggiava mai".
Altrimenti:
Teneva un piede alzato nell'atto di poggiarlo sul marciapiede. Solo che...
Joyopi ha scritto: Era lì, in quella posa che poteva essere buffa, pensò Saul, se non fosse che non c’è nulla di divertente in un uomo morto.
Per evitare la ripetizione del verbo essere:
Saul pensò che quella posa poteva sembrare (sarebbe sembrata?) buffa, se non fosse che non trovava nulla di divertente in un uomo morto.
(ora però ho dei dubbi sui tempi verbali, io e i verbi litighiamo spesso)
Joyopi ha scritto: Era uguale a come lo aveva visto l’ultima volta come essere vivente e la prima come… come… così.
A parte la ripetizione del come, la frase suona strana. Se è uguale a com'era prima di immobilizzarsi, è naturale che sia uguale anche al momento in cui restò immobilizzato. Scriverei:
Era uguale all'ultima volta che lo aveva visto in vita.
Era uguale alla prima volta che lo aveva visto... così.
Era uguale alla prima volta che lo aveva visto in quello stato.
Joyopi ha scritto: ordinavano da bere con la continuità con la quale un cane piscia nell’erba alla prima uscita dopo un temporale.
Paragone strano. Non so se mi convince. Se vuoi tenerlo, sostituirei "continuità" con "frequenza". Tu vuoi dire che il cane alza e abbassa la gamba molte volte. Se dici continuità mi fai pensare a una lunga pisciata che scorre senza fine. Con questa sostituzione toglieresti anche un po' del fastidio che viene da quel con con con.
Joyopi ha scritto: Tra di loro Bill Dembrow e Tod Howard, un simpatico ragazzotto di cento chili, alle sette erano passati a fare a gara a chi buttava giù più hamburger col ketchup tra un bicchiere e l’altro, con Jimmy a fare da giudice.
Altra frase che spezzerei. 
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Tra di loro Bill Dembrow e Tod Howard, un simpatico ragazzotto di cento chili. Erano passati per fare a gara a chi buttava giù più hamburger col ketchup, tra un bicchiere e l'altro. Jimmy faceva da giudice.[/font]
Joyopi ha scritto: il fratello salutò e uscì proprio quando gli ultimi raggi di sole accarezzarono Castle Rock.
e uscì proprio mentre gli ultimi raggi del sole accarezzavano Castle Rock.
Joyopi ha scritto: Tutti pietrificati in quel cinque di giugno che aveva lasciato più di mezzo miliardo di cadaveri non deperibili disseminati sull’intero pianeta in mezzo a miliardi di persone sconvolte.
Mi sembra superflua l'ultima parte. Se vuoi tenerla, trova un modo di spezzare la frase con la punteggiatura.
Joyopi ha scritto: non riusciva a capire come facessero loro a non rendersi conto che (virgola) senza una spiegazione e con tutti quei corpi davanti agli occhi (virgola) nessuno superava il lutto, e questo li stava rendendo tutti pazzi.
Virgole mancanti a parte, questa frase dovrebbe essere il fulcro del racconto. Ci spiega perché Saul non la pensa come gli altri. Merita sicuramente più spazio, anche all'interno di un racconto di 8000 caratteri. Il mio consiglio: taglia un po' la parte in cui Saul ricorda la brutta fine del suo amico Bill. Non è così importante, rispetto al resto. Un fenomeno sconosciuto ha chiuso migliaia di persone in uno stato di paralisi, che alcuni interpretano come una morte, altri come un'immortalità. Come si scontrano queste due visioni opposte? È qui che devi martellare.

Ricordo solo vagamente cosa significa partecipare a un MI. Poco spazio e ancora meno tempo. E qui si sente. Diciamo che sai scrivere meglio di così: la prosa è da rivedere, la storia poteva essere compressa (e quindi compresa) meglio. Comunque, complimenti per l'idea. Lavoraci su, sarò felice di leggere il romanzo o racconto lungo che ne trarrai.

Re: [MI169] Cinque giugno

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Ciao @Joyopi 

L'idea alla base del racconto è sicuramente interessante. Complimenti

Mi ha ricordato "Cecità" di José Saramago, anche se lì l'evento "miracoloso" coinvolgeva praticamente l'umanità intera.
Inoltre, lì una prosa molto elaborata - anche abbastanza particolare - era al servizio di un romanzo altamente simbolico e davvero paradossale, ma che comunque sembrava verosimile (se non realistico) grazie alla perizia dell'autore.
Per quanto riguarda invece lo sviluppo della tua idea penso che - romanzo o racconto lungo che sarà - sicuramente gioverà una prosa asciutta e scarna, come quella che hai messo in campo in questo breve racconto.

Ovviamente ci saranno mille aspetti da approfondire: le reazioni all'evento nel resto del mondo, i suoi impatti sulla società, le ripercussioni sulle chiese tradizionali, se e come l'essere umano cambia atteggiamento rispetto alla morte, l'eventuale ruolo della tecnologia.
Molto importante sarà da vedere se nell'arco di questi sei anni (non sono pochi) c'è stato chi ha cercato di esplorare i motivi di questo evento e se ha tentato di 'invertirlo'.

Un'ultima cosa: capisco che siamo in "gotico americano", ma le caratteristiche dell'ambientazione mi sembrano un po' troppo stereotipate: la piccola cittadina abitata da hillibillies, i vestiti a quadroni, gli ubriaconi del sabato sera...
Ci mancano solo i Quaccheri... A proposito, che fine hanno fatto?

Saluti e buon lavoro
R. B.
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