[MI 164 Fuori concorso] Puttangiro

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Traccia di mezzanotte: la prima volta

commento

Come tutte le sere, l’appuntamento era alle nove alle panchine dei giardinetti di piazza Brescia.
Era l’anno della maturità per tutti e quattro: per me e per Luigi quella scientifica, Gianni al classico e Guido al istituto tecnico periti chimici.
Doveva essere aprile, o forse i primi di maggio; ricordo solo che indossavo un giubbotto leggero di pelle, di quelli che andavano di moda allora.
Guido era già seduto alla panchina con l’immancabile Marlboro tra le labbra, Luigi arrivava dalla direzione opposta alla mia, mancava solo Gianni.
D’improvviso un clacson si mise a strombazzare malamente; una centoventotto verde pisello si era fermata al bordo dei giardini.
“E chi è quello stronzo?” fece Guido indicando col mento da quella parte.
Luigi guardò meglio. “Ma quella non è la macchina del padre di Gianni?”
“Ehi voi, banda di sfigati!” Era la voce di Gianni che proveniva dal finestrino della centoventotto.
Ecco, eravamo al completo, ma quella sera non doveva essere come le altre.
Gianni uscì dalla porta del guidatore sventolando la tesserina rosa. Ce l’aveva fatta a prendere la patente. Aveva quasi un anno più di noi che avremmo dovuto ancora aspettare per iscriverci alla scuola guida.
“Ma tuo padre te la lascia guidare?” chiese Guido ancora incredulo.
“Dai, salite che andiamo a farci un giro”
Avevo promesso a mia madre che sarei rientrato per le undici e mi sentivo un po’ a disagio. Gli altri erano già in macchina.
“E muoviti Marco, non fare il piagnone. Torniamo presto, non ti preoccupare.”
Mi scocciava fare sempre la solita figura di quello attaccato alle gonne di mamma, e in fondo quelli erano i miei amici, ma era la prima volta che salivo su una macchina senza la guida di un adulto.
Mi feci coraggio e mi sedetti dietro con Luigi, mentre Guido si era messo davanti.
“Dove andiamo?” chiese Luigi.
Gianni innestò la marcia e iniziò a girare intorno alla piazza.
“Lo so io.” disse Guido “Prendi per di là”. Poi girato un po’ verso di noi “Vi ricordate di Alfredo? Quel ragazzo più grande che faceva il bullo all’oratorio? Adesso lavora in fabbrica e lo incontro spesso quando esco da scuola. Lui i soldi ce li ha, mica come noi; e mi ha detto che almeno una volta al mese lui ci va con una di quelle.”
“Beato lui.” Intervenne Gianni, “Ma dove vuoi farmi andare?”
“Guarda, vai giù dalla fiera verso corso Sempione. Le più belle di Milano sono in via XX Settembre.”
“Ma perché, tu ce li hai i soldi?”
“Cinquecento lire, giusto per un pacchetto di Marlboro.”
“Possiamo sempre fare colletta e tirare a sorte. Voi là dietro quanto avete in tasca?”
“Ma che schifo. Dite sul serio?” risposi. Non mi andava di sacrificare l’unico biglietto con la faccia di Giuseppe Verdi.
“Io ne ho tremila.” disse Luigi. Suo padre era quello che se la passava meglio con la sua fabbrichetta.
“Dai Marco, non fare lo stronzo.” incalzò Guido “quanto hai?”
“Mille lire, ma io con quelle non ci vado.”
A quel tempo avevo una cotta per Cecilia e la sola idea mi faceva venire i brividi.
Tutti si misero a ridere come se mi avessero letto nel pensiero.
“Guarda che se aspetti che te la dia Cecilia diventi vecchio.” disse Gianni, “Comunque mi sa che non ci siamo. Quelle di XX Settembre vogliono almeno un deca. Ci sono quelle vicino alla ‘Centrale che costano meno, ma ha ragione Marco. Il mio coso lì dentro non ce lo metterei nemmeno se pagassero me.”
Via XX Settembre è un largo viale alberato in una zona abbastanza tranquilla e centrale; insomma, roba da ricchi. Ormai eravamo sul posto. Gianni guidava a passo d’uomo. Guido tirò fuori il pacchetto di sigarette e fece per accendersene una.
“Ma sei scemo?” lo rimproverò Gianni “Se mio padre sente l’odore di fumo in macchina mi fa un culo così.”
“E dai, la tengo fuori dal finestrino… Aspetta aspetta.” Guido si diede da fare con la manovella e una folata di aria fresca invase l’abitacolo. “Guarda là che spettacolo.”
Una minigonna rossa ondeggiava sopra un paio di calze a rete con la riga dietro, sorrette da due tacchi a spillo di un’altezza impressionante. La donna era di spalle e indossava un giubbetto bianco e lucido.
“Valle vicino che le chiedo quanto vuole.”
Gianni la raggiunse e accostò. Il viso della donna era coperto da un trucco pesante, in compenso la scollatura era particolarmente generosa.
Guido si sporse dal finestrino.
“Ehi bellezza. Quanto?”
“Ma avrà almeno quarant’anni.” commentò Luigi.
La donna scese dal marciapiede e si appoggiò alla portiera. Ci squadrò tutti e quattro.
“Mi spiace,” disse toccandosi un seno “ il latte l’ho finito. Andate a farvelo scrollare da mammina quando finite di pisciare.” Si allontanò mostrandoci il dito medio alzato.
Gianni ingranò la prima e ripartì facendo fischiare le gomme.
Stavamo crepando dal ridere.
Alla fine della via, la strada curva circondando una area verde.
“Guarda, là ce n’è un’altra.”
Sembrava una ragazza più giovane, vestita in modo meno appariscente di quella di prima. Era sbucata da dietro un cespuglio giusto in tempo perché la notassimo. Sventolava una piccola borsetta e sembrava proprio che volesse attirare la nostra attenzione.
Guido era pronto per un’altra bravata, ma quando la macchina si fermò rimase muto. La ragazza aveva un grosso livido vicino all’occhio sinistro.
“Vi prego, potete dare pasaggio?”
Aveva un accento straniero, ma quello che comunicava con l’espressione del viso lo si comprendeva benissimo. Era terrorizzata.
“Su, sali” disse Gianni.
Aprii la porta posteriore e mi feci più in la per farle posto.
“Che ti è successo?” chiese Guido.
“Quel maiale, ha preso tuti soldi, ha pichiato.”
“Ma non avete un protettore?”
“Lui pichiato me. Lui venuto in Moldavia, promesso bella vita, portato Italia, poi messo in strada a fare putana.”
“Ti portiamo alla polizia.” disse Gianni.
“No police, prego. No documenti. Porta stazione.”
“E di lì dove vuoi andare?”
“Via da Italia. A Trieste c’è amico che passa frontiera in Jugoslavia. Ma non ho più niente. Non ho  soldi per biglieto.”
Eravamo arrivati in Vittor Pisani. Si vedeva la Centrale illuminata in fondo al viale. Erano le undici e un quarto, mia mamma di certo era già in pensiero.
“Non s’era detto che dovevamo fare colletta?” disse Guido.
Mettemmo tutti mano al portafoglio e, chi più e chi meno, riuscimmo a tirare su settemilaottocentoquaranta lire. Ci stava il biglietto per Trieste e un panino al prosciutto.
Sulla strada di casa restammo quasi sempre in silenzio. Avevamo salutato un amica alla stazione, ma non sapevamo nemmeno il suo nome.

Re: [MI 164 Fuori concorso] Puttangiro

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Ciao @Pold@Poldo 
Un racconto nostalgico, tipo Amarcord.
Mi sono piaciuti moltissimo i riferimenti agli oggetti del passato:la centoventotto verde pisello, le mille lire con la faccia di Verdi o il giacchetto di pelle. Ho rivisto situazioni e trame psicologiche di quei tempi; anche se ero una ragazzina mi son tornate in mente immagini di vita che mi scorreva intorno.
Ho apprezzato ogni parola che hai scritto, un bel tuffo nel passato.
Il tema del racconto è rimasto così attuale negli anni che potrebbe essere ambientato in qualsiasi tempo.
Questo mi fa riflettere: i nostri oggetti cambiano, la tecnologia fa passi da gigante ma gli errori si ripetono, sempre gli stessi.
Ti ho commentato altri raccont e riconosco nella tua scrittura una chiarezza e una coerenza ottime.
Grazie per averlo condiviso con noi.

Re: [MI 164 Fuori concorso] Puttangiro

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Ciao @Poldo 
Piaciuto anche a me, oltre per la chiarezza espositiva, per la rievocazione di quegli anni ahimè passati (ma sto lavorando perché ritornino, o almeno che ci ritorni io...  :D ) anche per il fatto che i ragazzi, alla fine dei bravi ragazzi, non abbiano poi portato a termine quello che volevano fare, cioè andare con quelle.
Sì, è il mestiere più vecchio del mondo, sì dicono che ci vanno tutti prima o poi, come se fosse un obbligo (ma non è vero) a me personalmente ha sempre dato fastidio che l'uomo consideri quell'uscita alla stessa stregua di andare alla giostra o al cinema... Basta pagare e gli spetta di diritto usufruire di qualcosa...
Non si tratta di civiltà, di religione bigotta, o di altro; non lo so come definire la cosa se non con il rispetto per esseri umani sfortunati che si fanno pagare per qualcosa che certo non li diverte, li fa anche soffrire e arricchire chi li sfrutta.
Mi è piaciuto che alla fine i ragazzi abbiano provato pietà per la ragazza picchiata e derubata dal suo sfruttatore e le abbiano pagato il biglietto per fuggire da quell'inferno.
Ecco, abitare in un posto bello, con una storia, una civiltà, tante cose belle e permettere che delle donne e uomini lo vivano come un inferno, nell'indifferenza e nel divertimento degli altri che si considerano "perbene" è una cosa triste.
Ho letto un buon messaggio. Peccato che non s'insegni il rispetto per i propri simili nelle scuole e un po' ovunque.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 164 Fuori concorso] Puttangiro

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Grazie @Poldo
gran bel racconto, un po' nostalgico, un po' malinconico e molto, molto umano.
Poldo wrote: Non s’era detto che dovevamo fare colletta?”
Mi è piaciuto moltissimo. Racchiude mille considerazioni, pensieri e...  tutti d'accordo. Bellissimo, ma questa volta non me lo tatuerò  ;)
Nessun timore, nessun favore, nessun rancore.

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