[MI162] Ruspe

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traccia di mezzogiorno - Lei
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La cosa nuova era la poltrona sfondata sulla veranda, lo schienale appoggiato alla porta barricata.
Rivolta verso il vialetto sembrava aspettarmi accogliente e pericolosa come era sempre stata la mia famiglia.
Tutt’attorno la facciata decorata con le bombolette come a certificare lo stato di casa abbandonata.
È di similpelle screpolato e sotto al sole è rovente. Mi chiedo se le cosce si scotteranno. Sospetto di si, ma prima di provare faccio il giro dell’edificio. Sbircio dalle finestre impolverate. Tutte le stanze al pianterreno sono senza mobili, piene di immondizia. In un angolo c’è un materasso strappato, forse la cuccia di qualche barbone. Si intravvede la scala con i gradini divelti. Un sasso ha rotto la finestrella del bagno, lo vedo che riposa nel water senz’acqua come uno stronzo inanimato e senza odore, circondato da strisce di ruggine.
La poltrona è lì che mi aspetta, come se sapesse che obbedirò a mio padre.
Le sue ultime parole rimbombano nella mia testa, aveva un gran senso del melodramma:” Se uscite da quella porta per me siete morti e non rientratepiú! Avete capito? Morti e defunti! Comprerò una lapide da mettere in giardino e se mai vi rivedrò, vi tratterò come fantasmi, ingrati di merda che non siete altro!”
E invece sono morti loro, tutti e tre, uno dopo l’altro.
 
Sono in anticipo di un’ora almeno. Controllo la borsetta, i documenti ci sono ancora.
Insieme alla voce di mio padre vedo gli occhi acquosi di mia madre incorniciati di capillari e occhiaie. Le braccia lungo il corpo mi fissava, incapace di un gesto.
Volevo una madre con tutta me stessa, una madre che non avesse l’alito di mentine, che si preoccupasse dei miei voti a scuola, che dirimesse le liti fra me e mio fratello, che almeno qualche volta scegliesse la lavatrice invece della bottiglia.
 
Scotta davvero la poltrona, ma qualsiasi dolore è meglio dei miei ricordi.
A destra del vialetto c’era un’altalena sgangherata e di fianco lo stenditoio con i fili alti, tanto che fino ai dieci anni mi ci voleva uno sgabello per stendere. Mio fratello mi passava alle spalle e mi spingeva, però lo perdonavo perché mi faceva ridere. Quando i nostri genitori storditi dall’alcol venivano alle mani, capitava che mi portasse in veranda e imitasse mio padre dicendo:” Al contadino non far sapere, quanto è buono il formaggio nel sedere!” Subito dopo faceva la voce della mamma:” Eustacchio, non essere volgare!”, e rispondeva con la voce del babbo “Ho detto sedere, mica culo!” Ridevamo come matti, così tanto da non sentire le stoviglie rotte e le urla.
Pietro ha tenuto duro per me e per lui, lasciava che dormissi con lui ogni volta che i nostri genitori esageravano.
Chiedevamo a mia mamma, perché fosse così, la sua risposta era invariabilmente: “Non sono affari vostri!” accompagnato da un bicchiere di spritz.
Il giorno del suo trentunesimo compleanno se ne andò senza una parola, senza un messaggio, senza niente. Mi mancava da morire, allora andavo ad annusare l’Aperol che sapeva dei rari baci che mi dava.
Per mio padre, amante della birra giorno, del vino da quattro soldi alla sera, era chiaro: la colpa era nostra. Eravamo bambini troppo impegnativi per quella donna, che già era una rammollita di suo.
Così dalla sua poltrona istituì una dittatura fatta di stracci e schiaffi. Stracci per pulire e schiaffi per metterci in moto.
Eravamo due ragazzi pulitissimi, ordinatissimi, educatissimi e andavamo pure bene a scuola, senza amici, ci bastavamo noi due. Ci coprivamo le spalle a vicenda, nati per sopravvivere.
Una volta Pietro si è ribellato a nostro padre. Lui aveva sedici anni, io quindici. Mio padre l’ha ignorato, si è sfilato la cinghia e ha iniziato a picchiarmi a sangue freddo, con metodo. Ogni colpo diceva: “Hai capito come funziona Pietro? Tu fai cazzate e lei paga. Non ce l’ho a portata di mano? Fa lo stesso, paga dopo.” Sono rimasta a casa una per settimana prima che sparissero i segni dalle braccia e dalle gambe.
 
 
Mi sembra di essere seduta qui da una vita, invece mi rendo conto che sono passate solo due sigarette. Tanto vale continuare a rivangare il passato, non avrò altra occasione.
 
Ero terrorizzata dalla maggiore età di Pietro. Sarebbe stato libero, mi avrebbe lasciato da sola alla mercé di mio padre.
Invece no, è rimasto. Si è trovato un lavoro come muratore, metteva da parte i soldi per un appartamento per noi due.
Il 3 luglio sarei diventata maggiorenne.
Il 4 luglio uscivamo di casa valige in mano inseguiti dalle urla di mio padre. Era il nostro personale giorno dell’indipendenza.
 
Pietro ed io abbiamo avuto diversi anni belli. Sempre noi due e basta, fino a quando ha ceduto un’impalcatura. La mattina abbiamo bevuto il caffè assieme, mi ha accompagnato al negozio e poi non c’era più. In mezzo ai suoi libri ho trovato una lettera destinata a me.
“Sabrina,
prima o poi dovremo separarci. Ognuno dovrà fare la sua vita, crearsi una famiglia. Ci saremo sempre l’uno per l’altro, ma non so davvero come fare: io mi sono innamorato, ma ho paura a dirtelo e a lasciarti da sola.
Forse sono io ad avere paura di non riuscire a vivere senza di te, ma credo che adesso sia il momento e ”
 
Era datata una settimana prima dell’incidente, nemmeno era riuscito a finirla e lui aveva solo ventisei anni. Al funerale c’erano i suoi colleghi, dei miei genitori nemmeno l’ombra. Cercavo una donna, quella di cui era innamorato, vedova ancor prima di sposarsi. Invece si é avvicinato un ragazzo, dopo avermi fatto le condoglianze, mi dice che per qualsiasi cosa io abbia bisogno lui ci sarà.
“Vi siete amati tanto?” gli chiedo
“Allora te l’ha detto come mi aveva promesso.” Le sue lacrime sono le mie e riesco a piangere tutto il mio dolore.
Nemmeno un anno dopo, mentre esco dal supermercato mi sento chiamare da una donna. Sembra anoressica, quasi senza denti.
“Sei tu, Sabrina?” la voce roca rotta dall’emozione.
“Si?”
“Sono la mamma. Come stai?” Quel mucchio di ossa tremante devastato dall’alcol e da chissà che altro voleva farsi passare per mia madre?
“Scusi?”
“Forse sono cambiata un po’, ma sono la mamma. Pietro come sta?” Si era ingobbita, e puzzava.
“Senti Sabrina, ce l’hai una sigaretta o magari qualche moneta per aiutare tua mamma?”
Era diventata una barbona incrostata di lerciume che chiedeva la carità a sua figlia.
Le ho dato cinquanta euro che avevo nel portafoglio, si era già voltata per andarsene lanciandosi alle spalle un “Ciao, grazie!”
“Mamma, Pietro è morto.”
Non ho mai visto tanto dolore concentrato in una persona, era come se sbattessero mille porte.
Pochi giorni dopo se l’è portata via un’overdose. Non so nemmeno se abbia avuto un funerale, so solo che il comune ha mandato un conto equamente diviso fra me e mio padre.
 
Sei mesi fa è toccato a lui. Cirrosi epatica.
Ha sofferto per un anno in una casa di cura. Se c’era da pagare, ho pagato e nulla più. Non volevo vederlo per non provare rancore, per non ricordare.
Mentre lui era ricoverato hanno svaligiato diverse volte la casa, portandosi via qualsiasi cosa; e va bene così, perché non avrei avuto la forza di alzare un fazzoletto lì dentro.
 
“Signorina!”
Devo essermi addormentata su questa maledetta poltrona al sole.
“Mi scusi, se l’ho spaventata, ma non mi aspettavo che fosse in anticipo anche lei. Vuole seguirmi per cortesia, il notaio è giá arrivato.”
Mi alzo e con la borsetta in mano faccio per l’ultima volta questo vialetto lasciandomi alle spalle il passato.
Davanti a me il container dell’impresa a cui mancano i quattrocento metri quadrati di terreno edificabile di mio padre per poter infine realizzare il nuovo quartiere residenziale.
Metto sul tavolo l’atto di proprietà, il notaio e l’amministratore delegato verificano.
“È tutto pronto?” chiedo.
Me lo confermano.
Data: 4 luglio. Firmiamo e metto nella borsetta un assegno circolare da 750.000 euro.
 
Borsetta al braccio esco dal container, come segnale sventolo il mio cappello e le ruspe si avventano sulla mia personale Bastiglia, come d’accordo.

Re: [MI162] Ruspe

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ciao @Almissima 
ero curioso di leggere i racconti a tema "Lei", perché la traccia/non traccia mi è piaciuta davvero molto. Quindi è con grande interesse che mi sono approcciato a questo tuo racconto! Per prima cosa, ho notato che, pur in modi diversi, entrambi abbiamo collegato l'immagine-traccia a un conto aperto con la bottiglia. Nel tuo racconto, che oltre a essere un racconto è anche un concentrato di dolore purissimo (ma cos'altro sono i racconti riusciti, dopotutto?), la narratrice si lascia andare al ricordo di una giovinezza rovinata, rovinata da chi avrebbe dovuto volere lei più bene. Un racconto potente, che mi è piaciuto molto.
Da un punto di vista formale, mi resta un dubbio sull'incipit: perché inizi la narrazione al passato? Secondo me, visto che poi opti per il presente, sarebbe meglio attaccare direttamente con quel tempo verbale.
Bello anche il finale, che è un po' la chiusura del cerchio: la ragazza taglia, per così dire, il cordone con la casa e con il passato il 4 luglio, data che, per lei e il fratello, ha sempre significato libertà.
Brava
Ciao!

Re: [MI162] Ruspe

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@Almissima un racconto di una drammaticità quasi inverosimile ma che temo non sia così rara, anzi. Forse sono troppi gli eventi tragici in così poche righe, non si ha neanche il tempo di soffermarsi a pensare che si è subito sopraffatti dagli accadimenti successivi.
Ma il finale...bello: la liberazione e la rinascita.
Non mi sorprende che spesso i geni o gli artisti abbiano avuto esperienze drammatiche nella loro vita. 
Letto d'un fiato, con la tua scrittura sempre coinvolgente.
Almissima ha scritto: Volevo una madre con tutta me stessa, una madre che non avesse l’alito di mentine, che si preoccupasse dei miei voti a scuola,
Chiudo con una leggerezza: credo che oggi accada esattamente il contrario.
Ciao

Re: [MI162] Ruspe

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@Almissima ciao... ma che brutta infanzia  :( 

Trovo il racconto molto sofferto  indirizzato su un argomento che appassiona sempre: la propria infanzia. Non so se è frutto di una tua esperienza ma se lo fosse ti dico " benvenuta! sei tra noi"..  :hug:
Per il resto mi accodo ai commenti positivi che hai ricevuto... ciao e a presto.. <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI162] Ruspe

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Ciao @Almissima 
Racconto veramente drammatico, che si fa leggere tutto d'un fiato. Che storia! Quanto dolore pur frammisto a tenerezza e amore, che dramma! Un'umanità davvero ai limiti di tutto eppure è commovente lo sforzo dei due fratelli per andare avanti, proteggersi a vicenda a cominciare dai loro genitori, dal padre in particolare. Quell'incontro miserevole  alla fine con la madre barbona mi ha davvero stretto il cuore...
Hai creato uno spaccato di vita altamente drammatico e alla fine, pur con la rinascita rimane la consapevolezza che tanto dolore non sarà mai dimenticato.
Molto brava.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI162] Ruspe

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@Almissima non ero intervenuta nel commentare il tuo racconto al MI precedente. Lo faccio ora, ma garantisco che l'avevo letto e che mi è piaciuto subito. 
Trovo che a volte sia difficile scrivere storie piene di sofferenza, forse perché si corre il rischio di sfociare nello stile simil romanzo di appendice dell'ottocento (senza nulla togliere, intendiamoci). Nel tuo caso invece credo tu sia riuscita a tratteggiare benissimo i caratteri dei personaggi, le loro tragedie piccole e grandi e il loro modo di reagire e di distaccarsi dal passato. Mi è piaciuto in particolare il modo in cui hai descritto il legame che si stabilisce fra i due fratelli, che quasi si bastano l'uno all'altro per necessità. Sarà che io ho un rapporto quasi inesistente con i miei fratelli nel mondo reale, ma quando riesco a intuire che legami simili esistono per davvero, anche solo in un racconto, mi emoziono sempre tantissimo. Per questo motivo ogni strappo della protagonista con i suoi affetti è lacerante come se lo stessimo vivendo in prima persona. E, ripeto, è tutto scritto in modo veritiero, senza esagerazioni, con le parole necessarie e senza niente in eccesso. 
Il finale è quello che ci si aspetta, un giorno dell'indipendenza diverso da quello che la protagonista si sarebbe aspettata ma l'unico finale che ci poteva essere. Perché a volte bisogna recidere invece che innaffiare, in un certo senso. 
Ottimo lavoro, stile asciutto come un racconto di vita vero, personaggi a tutti tondo e un senso di immedesimazione anche da parte di chi ha vissuto un'infanzia felice. 
Tra l'altro, a parlare di giorno dell'indipendenza, mi è venuta in mente questa canzone. 

Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)

Re: [MI162] Ruspe

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@Almissima sono contenta di aver letto questo tuo bellissimo racconto. Le dinamiche familiari sono nelle mie corde. in un breve testo hai saputo farci entrare tutta la storia di questa disgraziata famiglia. i personaggi pur appena accennati si concretizzano nella loro essenza. il quadro che ne esce è completo e realistico, ed è per questo che conquista. C'è anche il bel finale che gratifica il lettore. Seppure non cancella il passato almeno indennizza. Brava  :rosa:
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