Traccia di mezzogiorno: l'equivoco
Mi piacerebbe tu ascoltassi: Madrugada - Vocal
“Io non ce l’ho con i ciclisti e nemmeno con le biciclette, anzi. Amo le biciclette e i ciclisti, mi stanno sul cazzo solo gli “alieni”. I ciclisti della domenica, quelli che si mettono i tutù e i caschi a uovo per fare 10 chilometri, li vedi che affollano la strade, in due, in tre, in gruppo, da soli e sudano e sculettano e hanno bici che costano milioni. Ma tu te li ricordi Coppi e Bartali quando si passavano la borraccia? Ti ricordi come erano vestiti? E quelli lo facevano per mestiere, una vita passata in sella, a macinar chilometri e star zitti, a farci credere che fosse possibile, a insegnarci cosa fosse la fatica del salire e scendere, non solo dalle montagne e questi di adesso… colori fluo, magliette attillate, pantaloni tecnici con imbottitura gel 3d, ma non si vergognano? E poi li trovi sulle statali, in montagna, in collina, sulla ghiaia, sull’asfalto. Ovunque. Io li odio”.
Questo è quello che dice Cristian ogni volta che lo incontro, tutte le volte. Ce l’ha a morte con i ciclisti della domenica. Forse perché da sempre ha questa gran passione per il ciclismo, quello vero. Non si è mai perso un giro d’Italia.
Siamo “amici di bar”, ma comunque siamo amici. Lo conosco da... boh, venti, trent’anni, da quando ancora stava con la moglie. Un giorno se ne è andata con un altro, ciclista e ciao.
Lui beve, è irascibile, a volte litiga con qualcuno, ma è un buon amico, quando ho avuto bisogno di un posto dove stare lui me lo ha dato senza chiedere nulla in cambio solo che... si fissa.
Ora vuole vendicare la memoria di Johan van der Velde che non è neanche morto, tra l’altro. Mi ha detto lui chi è Johan van der Velde, io nemmeno mi ricordavo dell’olandese coraggioso, quello che sembrava facesse alpinismo estremo tra le inviolate vette del Pamir. Cristian ripete come un disco rotto: “Cima Coppi, era una giornata freddissima nonostante fosse giugno, l’aria rarefatta, - 4 gradi, nevicava…”, ormai la so a memoria la storia. A volte per prenderlo in giro gli offriamo un bicchiere di più e gli diciamo:
«Dai raccontaci del “tuo” van der Velde».
Cristian non aspetta altro, si alza in piedi e attacca:
«Arrivò in cima per primo in maniche corte senza neanche il casco, salvo poi fermarsi non si sa bene dove a bere grappa e punch. Non hanno mai saputo cosa fece esattamente, di certo è che arrivò al traguardo con quarantasette minuti di ritardo. Ma io lo so invece cosa fece: bussò a una roulotte parcheggiata e un angelo biondo venne ad aprire. Van der Velde sembrava un pupazzo di neve. Non parlava, tremava e rischiava l’assideramento. La ragazza era sveglia, capì al volo. Lo fece accomodare, gli riempì una tazza di tè bollente, ma Johan tremava troppo per portarsela alla bocca, allora la ragazza gli si avvicinò e lo abbracciò. Cercò di scaldarlo con il calore del suo corpo e compì un gesto eroico: si sollevò il maglione e gli sussurrò: “Legen Sie Ihre Hände hier” e lui, sorpreso da quello spettacolo inaspettato rinvenne, il sangue cominciò a circolare, il corpo rispose e, infilò le mani sotto al maglione. La ragazza ebbe un brivido, ma non si spostò, anzi, gli si fece più vicino. Si sentì profumo di arancia e cannella, un Natale fuori stagione».
È bravo Cristian a raccontare storie.
Il mese scorso insisteva perché qualcuno di noi andasse su in collina a buttare giù qualche ciclista “del cazzo”.
Dice che non può accettare che quegli alieni salgano e sulla salita di Castelmonte (618 metri sul livello del mare) come fosse il Gavia che se ne sta lassù a 2.621 metri.
Vuole colpirne uno per educarne cento, unum castigabis, centum emendabis.
La sua idea è: saliamo in auto lassù, lui guida, affianca un ridicolo “ciclista” e qualcuno di noialtri apre la portiera e gli dà un colpetto.
Ne abbiamo riso di gusto l’altra sera. Abbiamo anche proposto soluzioni alternative: senza colpetto, solo con il risucchio della portiera che si chiude e taac… giù!
Oppure basterebbe suonare la tromba, quella dei camion. Oppure far partire a tutto volume: J feel good tararararararà, il coglione si spaventa, sbanda, la ruota va sul brecciolino e cade.
O meglio ancora: lanciare uno scoiattolo, così non restano le prove; ce ne sono in giro di scoiattoli. Prendi lo scoiattolo, lo metti in macchina e quando passi vicino all’alieno abbassi il finestrino e glielo lanci addosso. Se sei fortunato lo becchi in faccia…
Certo, prima bisogna un po’ allenarsi a catturare lo scoiattolo; poi allenarsi nel lancio dello stesso dal finestrino. Quanto può pesare uno scoiattolo? Duecento, quattrocento grammi? Compri 3 etti di mortadella e li prendi come esempio. Poi avvolgi della carta stagnola, stesso peso, stessa forma di uno scoiattolo e vai a fare le prove in campagna.
E giù a ridere.
Il vino ci rende socievoli e pieni di inventiva.
Anche Cristian rideva. Una bella serata, solo che lunedì scorso sul giornale c’era un articolo: ciclista cade sulla salita di Castelmonte. Ricoverato in gravi condizioni nel nosocomio Friulano.
Per curiosità ho chiesto a Cristian dove fosse andato domenica e lui con un sorrisetto mi ha risposto:
«A Castelmonte», e mi ha fatto l’occhiolino.
Alcuni giorni fa... altro incidente, sempre sul quella salita.
Glielo richiedo:
«Dove sei stato?»
«A Castelmonte».
«Ma sei andato...», lo guardo sottintendendo quello che sappiamo tutti e due e lui ridendo mi risponde:
«Sì, ovvio».
Porca miseria, sento un gran peso nel cuore. Pensavo scherzasse, ma forse gli è partita la brocca… che faccio, lo denuncio? Taccio? Glielo chiedo direttamente?
Ne parlo con Paolo, l’altro amico del bar. Lui ride, non crede sia possibile.
«E chiediglielo!».
«Chiediglielo tu».
Chiamo Cristian.
«Senti, cosa sei andato a fare a Castelmonte?»
Ride.
«Dai che lo sai», risponde.
«Da solo?»
«Sì».
«E non ti senti in colpa?»
«No, neanche un po’, tanto quelle rimangono a terra».
«No, se non le butti giù tu».
«Quelle cadono da sole. Ma la smetti di farmi la morale?»
Resto senza parole.
Io lo vado a denunciare, penso. Non posso far finta di non sapere. Ne parlo con Maurizio, Paolo, Antonio.
Antonio glielo richiede una sera al bar:
«Sei andato a Castelmonte a fare che?»
«A pregare», risponde e mi fa l’occhiolino.
Per me è troppo. Gli dico che non deve mettermi in mezzo, io non voglio quella responsabilità addosso. Cristian rimane stupito.
Gli urlo che quella cosa è grave. Si può morire così.
Lui basito mi risponde:
«Per due castagne?»
«Non sono castagne! Piantala. Lo so che sei stato tu» .
«A far che?»
«A buttar giù quelle due» .
«Ma chi?»
«Le cicliste» .
Ride, ma un secondo dopo si acciglia, cambia espressione e si fa scuro in volto.
«Sei un coglione», mi urla.
«E tu sei peggio di me. Ma come puoi…»
I toni si alzano, ci prendiamo a spintonate, lui scivola all’indietro, si aggrappa ad una vetrina e ci casca sopra frantumandola, nel parapiglia si taglia uno zigomo. Cerca di rialzarsi, servono due persone a fermarlo. Lo portano via sanguinante e incazzato.
Pensano sia fuori di testa e lo credo anch’io.
Al bar non è più il benvenuto.
Lui è inferocito.
Ieri, per caso, leggo un trafiletto sul giornale. Ciclista denuncia il comune di Prepotto. Sulla strada che porta a Castelmonte, ci sono avvallamenti pericolosi per i ciclisti. Già accaduti diversi incidenti, alcuni anche gravi.
Mi sento una merda.
Ho rovinato la vita al mio amico, non può più entrare al bar, voglio farmi perdonare.
Faccio un investimento e gli compro una storica Bianchi, è azzurra, bellissima; la parcheggio davanti alla casa di Cristian e sul grosso fiocco rosso appoggio un biglietto che dice così:
Questo è quello che dice Cristian ogni volta che lo incontro, tutte le volte. Ce l’ha a morte con i ciclisti della domenica. Forse perché da sempre ha questa gran passione per il ciclismo, quello vero. Non si è mai perso un giro d’Italia.
Siamo “amici di bar”, ma comunque siamo amici. Lo conosco da... boh, venti, trent’anni, da quando ancora stava con la moglie. Un giorno se ne è andata con un altro, ciclista e ciao.
Lui beve, è irascibile, a volte litiga con qualcuno, ma è un buon amico, quando ho avuto bisogno di un posto dove stare lui me lo ha dato senza chiedere nulla in cambio solo che... si fissa.
Ora vuole vendicare la memoria di Johan van der Velde che non è neanche morto, tra l’altro. Mi ha detto lui chi è Johan van der Velde, io nemmeno mi ricordavo dell’olandese coraggioso, quello che sembrava facesse alpinismo estremo tra le inviolate vette del Pamir. Cristian ripete come un disco rotto: “Cima Coppi, era una giornata freddissima nonostante fosse giugno, l’aria rarefatta, - 4 gradi, nevicava…”, ormai la so a memoria la storia. A volte per prenderlo in giro gli offriamo un bicchiere di più e gli diciamo:
«Dai raccontaci del “tuo” van der Velde».
Cristian non aspetta altro, si alza in piedi e attacca:
«Arrivò in cima per primo in maniche corte senza neanche il casco, salvo poi fermarsi non si sa bene dove a bere grappa e punch. Non hanno mai saputo cosa fece esattamente, di certo è che arrivò al traguardo con quarantasette minuti di ritardo. Ma io lo so invece cosa fece: bussò a una roulotte parcheggiata e un angelo biondo venne ad aprire. Van der Velde sembrava un pupazzo di neve. Non parlava, tremava e rischiava l’assideramento. La ragazza era sveglia, capì al volo. Lo fece accomodare, gli riempì una tazza di tè bollente, ma Johan tremava troppo per portarsela alla bocca, allora la ragazza gli si avvicinò e lo abbracciò. Cercò di scaldarlo con il calore del suo corpo e compì un gesto eroico: si sollevò il maglione e gli sussurrò: “Legen Sie Ihre Hände hier” e lui, sorpreso da quello spettacolo inaspettato rinvenne, il sangue cominciò a circolare, il corpo rispose e, infilò le mani sotto al maglione. La ragazza ebbe un brivido, ma non si spostò, anzi, gli si fece più vicino. Si sentì profumo di arancia e cannella, un Natale fuori stagione».
È bravo Cristian a raccontare storie.
Il mese scorso insisteva perché qualcuno di noi andasse su in collina a buttare giù qualche ciclista “del cazzo”.
Dice che non può accettare che quegli alieni salgano e sulla salita di Castelmonte (618 metri sul livello del mare) come fosse il Gavia che se ne sta lassù a 2.621 metri.
Vuole colpirne uno per educarne cento, unum castigabis, centum emendabis.
La sua idea è: saliamo in auto lassù, lui guida, affianca un ridicolo “ciclista” e qualcuno di noialtri apre la portiera e gli dà un colpetto.
Ne abbiamo riso di gusto l’altra sera. Abbiamo anche proposto soluzioni alternative: senza colpetto, solo con il risucchio della portiera che si chiude e taac… giù!
Oppure basterebbe suonare la tromba, quella dei camion. Oppure far partire a tutto volume: J feel good tararararararà, il coglione si spaventa, sbanda, la ruota va sul brecciolino e cade.
O meglio ancora: lanciare uno scoiattolo, così non restano le prove; ce ne sono in giro di scoiattoli. Prendi lo scoiattolo, lo metti in macchina e quando passi vicino all’alieno abbassi il finestrino e glielo lanci addosso. Se sei fortunato lo becchi in faccia…
Certo, prima bisogna un po’ allenarsi a catturare lo scoiattolo; poi allenarsi nel lancio dello stesso dal finestrino. Quanto può pesare uno scoiattolo? Duecento, quattrocento grammi? Compri 3 etti di mortadella e li prendi come esempio. Poi avvolgi della carta stagnola, stesso peso, stessa forma di uno scoiattolo e vai a fare le prove in campagna.
E giù a ridere.
Il vino ci rende socievoli e pieni di inventiva.
Anche Cristian rideva. Una bella serata, solo che lunedì scorso sul giornale c’era un articolo: ciclista cade sulla salita di Castelmonte. Ricoverato in gravi condizioni nel nosocomio Friulano.
Per curiosità ho chiesto a Cristian dove fosse andato domenica e lui con un sorrisetto mi ha risposto:
«A Castelmonte», e mi ha fatto l’occhiolino.
Alcuni giorni fa... altro incidente, sempre sul quella salita.
Glielo richiedo:
«Dove sei stato?»
«A Castelmonte».
«Ma sei andato...», lo guardo sottintendendo quello che sappiamo tutti e due e lui ridendo mi risponde:
«Sì, ovvio».
Porca miseria, sento un gran peso nel cuore. Pensavo scherzasse, ma forse gli è partita la brocca… che faccio, lo denuncio? Taccio? Glielo chiedo direttamente?
Ne parlo con Paolo, l’altro amico del bar. Lui ride, non crede sia possibile.
«E chiediglielo!».
«Chiediglielo tu».
Chiamo Cristian.
«Senti, cosa sei andato a fare a Castelmonte?»
Ride.
«Dai che lo sai», risponde.
«Da solo?»
«Sì».
«E non ti senti in colpa?»
«No, neanche un po’, tanto quelle rimangono a terra».
«No, se non le butti giù tu».
«Quelle cadono da sole. Ma la smetti di farmi la morale?»
Resto senza parole.
Io lo vado a denunciare, penso. Non posso far finta di non sapere. Ne parlo con Maurizio, Paolo, Antonio.
Antonio glielo richiede una sera al bar:
«Sei andato a Castelmonte a fare che?»
«A pregare», risponde e mi fa l’occhiolino.
Per me è troppo. Gli dico che non deve mettermi in mezzo, io non voglio quella responsabilità addosso. Cristian rimane stupito.
Gli urlo che quella cosa è grave. Si può morire così.
Lui basito mi risponde:
«Per due castagne?»
«Non sono castagne! Piantala. Lo so che sei stato tu» .
«A far che?»
«A buttar giù quelle due» .
«Ma chi?»
«Le cicliste» .
Ride, ma un secondo dopo si acciglia, cambia espressione e si fa scuro in volto.
«Sei un coglione», mi urla.
«E tu sei peggio di me. Ma come puoi…»
I toni si alzano, ci prendiamo a spintonate, lui scivola all’indietro, si aggrappa ad una vetrina e ci casca sopra frantumandola, nel parapiglia si taglia uno zigomo. Cerca di rialzarsi, servono due persone a fermarlo. Lo portano via sanguinante e incazzato.
Pensano sia fuori di testa e lo credo anch’io.
Al bar non è più il benvenuto.
Lui è inferocito.
Ieri, per caso, leggo un trafiletto sul giornale. Ciclista denuncia il comune di Prepotto. Sulla strada che porta a Castelmonte, ci sono avvallamenti pericolosi per i ciclisti. Già accaduti diversi incidenti, alcuni anche gravi.
Mi sento una merda.
Ho rovinato la vita al mio amico, non può più entrare al bar, voglio farmi perdonare.
Faccio un investimento e gli compro una storica Bianchi, è azzurra, bellissima; la parcheggio davanti alla casa di Cristian e sul grosso fiocco rosso appoggio un biglietto che dice così:
sono caduto
nel buco profondo di un errore.
Perdonami cavaliere
se puoi,
tu, tu che coltivi la malinconia
e la fatica di un buon colpo di pedale
monta sul tuo cavallo
e corri da me.