Traccia di mezzogiorno: Un uomo entra in un bar e...
Caffè letterario con volatile e donna
Augusto entra in un bar e ordina un caffè. Poi getta uno sguardo tra i tavoli e vede che Michele è già seduto e sta leggendo il giornale. Il fatto lo sorprende un pochino perché di solito agli incontri del sabato pomeriggio arriva sempre per primo lui. Pensa allora di aspettare il caffè al bancone e di portarselo da solo al tavolo, e prendere così due piccioni con una fava: innanzitutto perché gli piace fare tutto da solo (e non nel senso in cui in genere sono abituate le persone, a meno che non pensino di essere del tutto in balia del loro destino) e poi per avere occasione di osservare il suo autore in un momento di quotidianità. Michele non è granché diverso dal solito, ha modo di constatare. Legge il giornale con la sua solita aria sorniona, quella che usa quando si rivolge a lui per canzonarlo e ha il solito tic che lo costringe a strizzare gli occhi.
- Ecco il suo espresso, signor Augusto - dice il barista - Anche oggi caffè letterario con il signor Michele?
Ad Augusto pare di vedere in lui lo stesso sguardo canzonatorio del suo amato scrittore.
- Eh già, come tutti i primi sabati del mese - risponde Augusto mentre prende la tazzina per portarsela al tavolo.
Non può fare a meno di notare che questa tintinna vistosamente sul piattino. Colpa di quel maledetto tremolio di cui soffre e di cui si ripromette sempre di parlare a Michele. A lui non costerebbe nulla toglierglielo ma ogni volta non fa a tempo a parlarne che l'incontro vola via.
- Augusto carissimo! Vieni, accomodati. Ho un sacco di cose da dirti - esordisce Michele non appena lo vede avvicinarsi a lui.
Augusto si siede con un po' di timore: l'ultima volta che gli ha detto così ci ha lasciato le penne sua madre. Con la storia che i conflitti sono importanti non fa altro che procurargli dispiaceri e disgrazie.
- Su, non fare quella faccia, - dice Michele che, purtroppo per lui, ha il dono di leggergli il pensiero - Non morirà nessuno questa volta.
- Anche perché mi sa che hai già fatto fuori tutti. Mio padre era già morto perché sono mezzo orfano, poi hai ammazzato mia sorella e la mia fidanzata. Infine pure mia madre che, poverina, non c'entrava niente con la mia storia.
- Come non c'entrava? Una madre c'entra sempre. Mai sentito parlare del complesso di Edipo?
- Ecco, mi mancava pure questo.
- Dai, Augusto, non essere bacchettone, non cercare di limitare la mia creatività.
- Va bene, però se mia madre è morta nello scorso capitolo, come fai a riesumarla e addirittura a farmi innamorare di lei?
- Augusto, Augusto... Non pensare in maniera ottocentesca, la storia non deve per forza svilupparsi in ordine cronologico.
- E va bene, ho capito. Però ti faccio notare che questo genere di storie non piacciono molto. Che ne diresti di un'altra fidanzata, normale voglio dire?
- No, ho qualcosa di molto meglio.
- Davvero? Ma, senti, già che ci vediamo, ti volevo dire, non è che potresti togliermi un fastidio che ho... - dice Augusto mentre afferra la tazzina per mostrargli il suo disturbo.
- Ma che ore sono? Già le tre e un quarto? È un po' in ritardo, mi sa.
Una folata di freddo sulle spalle fa rabbrividire Augusto. Si gira e vede che la porta del bar è aperta, anche se non ha visto entrare nessuno.
- Oh, eccolo. È arrivato - esclama Michele con un gran sorriso.
- Ma chi, scusa? Non mi pare sia entrato nessuno. A parte quel gabbiano, ma guarda te... Barista! Cacci via quell'uccello!
- Stai calmo, è Amilcare, è venuto apposta per conoscerti.
- Per conoscere me? Un gabbiano? Michele, per favore, che storia è questa?
L'uccello intanto fa uno svolazzo e si appollaia sulla sedia libera accanto a Michele. Si siede come può, con le zampe a penzoloni e le ali appoggiate sul tavolo, infine punta un occhio verso Augusto.
- Un gabbiano a chi? E io dovrei lavorare con questo ignorante, caro il mio Michele?
Al sentire la voce gracchiante uscire dal lungo becco di Amilcare, Augusto lascia cadere la tazzina che stava ancora reggendo in mano.
- Un gabbiano, tsè. Ma ti pare? Uè, bello, sono un airone io. Ma 'sti cazzi.
- Ma come, parla? Ed è pure maleducato - riesce a dire Augusto.
- Calma, ragazzi, calma, non litigate – lo interrompe Michele – ognuno di voi avrà un ruolo importante nel romanzo, non c’è bisogno di essere gelosi l’uno dell’altro. Intanto Amilcare dovrebbe ordinare qualcosa. Cosa prendi? Tranquillo, offro io, ovviamente. Un caffè?
- Non bevo certe porcate, non sono mica un umano. Però prenderei volentieri un po’ di sushi.
- Certo, sushi. Beppe, porta un piattino di sashimi al mio ospite!
Augusto guarda incredulo le scene che seguono: il barista che prende l’ordinazione, sashimi e sushi di salmone al sesamo senza salsa wasabi, il medesimo barista che porta il piatto, Amilcare che armeggia con le ali le bacchette e spilucca con il suo lungo becco la pietanza.
- A chi può essere venuta in mente un’idea del genere? Un airone, in un bar? – sbotta allora Augusto, esasperato non tanto dal bizzarro comportamento del volatile ma piuttosto dalla nonchalance con cui Beppe e Michele lo trattano.
- Sì, lo so, sono un genio, – risponde Michele – finalmente la svolta da dare al libro. Basta con queste storie introspettive, basta con i personaggi mediocri alle prese con lutti e disgrazie. Un airone è un personaggio nobile, colto, lontano da qualunque stereotipo. La presenza animale irrompe nel quotidiano e ne stravolge le regole. E poi l’animale parlante ha una illustre tradizione letteraria: Esopo mica era un cialtrone qualsiasi.
- Ve bene, va bene, abbiamo capito, – dice Amilcare – un romanzo surrealista in cui l’animale dimostra la propria superiorità sull’essere umano, certo. Quello che mi sfugge è il senso di questo incontro. Perché ci siamo dovuti incontrare?
- Eh, Amilcare, è una tradizione. Io e Augusto ci vediamo una volta al mese per discutere, sai, per vedere che direzione prendere.
- Metaletteratura, sì, lo so. È che in realtà non mi aspettavo un tale personaggio come spalla.
- E secondo te, io me lo aspettavo? – urla Augusto – E poi cos’è questa storia della spalla?
Un’altra folata di vento fa rabbrividire di nuovo Augusto. Anche Amilcare pare risentirne da come gonfia il piumaggio. Questa volta alla porta appare una presenza femminile.
- Oh, - esclama Michele – è arrivata Camilla, scusate, ma devo proprio andare.
- E chi è? Un altro personaggio?
- No, Augusto, è la mia fidanzata e le ho promesso che l’avrei accompagnata a fare shopping. Ma voi rimanete pure, cari. Parlate, fate conoscenza, prendete appunti se vi vengono delle idee.
Detto questo, Michele va a pagare alla cassa e se ne esce a braccetto con Camilla.
Per alcuni lunghi istanti Augusto e Amilcare restano attoniti a fissare un punto dinnanzi a sé, senza osare guardarsi in faccia. È Amilcare a rompere il silenzio imbarazzante:
- Quindi di che ti occupi, visto che non sei di certo un ornitologo?
- Lavoro al catasto.
- E che è?
- Lascia stare, è un lavoro palloso.
- Potremmo dire a Michele di cambiartelo.
- Macché, guarda, lui fa il democratico, dice ci vediamo, decidiamo insieme, ma poi fa di testa tua. È meglio che ti abitui subito.
- Mi sa che hai ragione. Ma non ci possiamo ribellare? Potrebbe scrivere due romanzi diversi.
- Figurati, ora ha pure la fidanzata, non ci considererà nemmeno.
Amilcare si accoccola sconsolato, piegando il collo e arruffando le piume. Poi domanda:
- Ma secondo te, almeno un favore glielo posso chiedere?
- Cosa?
- Avrei un fastidio alla zampa sinistra, si contrae ogni tanto contro la mia volontà. Non è che potrebbe togliermelo?
- Ecco il suo espresso, signor Augusto - dice il barista - Anche oggi caffè letterario con il signor Michele?
Ad Augusto pare di vedere in lui lo stesso sguardo canzonatorio del suo amato scrittore.
- Eh già, come tutti i primi sabati del mese - risponde Augusto mentre prende la tazzina per portarsela al tavolo.
Non può fare a meno di notare che questa tintinna vistosamente sul piattino. Colpa di quel maledetto tremolio di cui soffre e di cui si ripromette sempre di parlare a Michele. A lui non costerebbe nulla toglierglielo ma ogni volta non fa a tempo a parlarne che l'incontro vola via.
- Augusto carissimo! Vieni, accomodati. Ho un sacco di cose da dirti - esordisce Michele non appena lo vede avvicinarsi a lui.
Augusto si siede con un po' di timore: l'ultima volta che gli ha detto così ci ha lasciato le penne sua madre. Con la storia che i conflitti sono importanti non fa altro che procurargli dispiaceri e disgrazie.
- Su, non fare quella faccia, - dice Michele che, purtroppo per lui, ha il dono di leggergli il pensiero - Non morirà nessuno questa volta.
- Anche perché mi sa che hai già fatto fuori tutti. Mio padre era già morto perché sono mezzo orfano, poi hai ammazzato mia sorella e la mia fidanzata. Infine pure mia madre che, poverina, non c'entrava niente con la mia storia.
- Come non c'entrava? Una madre c'entra sempre. Mai sentito parlare del complesso di Edipo?
- Ecco, mi mancava pure questo.
- Dai, Augusto, non essere bacchettone, non cercare di limitare la mia creatività.
- Va bene, però se mia madre è morta nello scorso capitolo, come fai a riesumarla e addirittura a farmi innamorare di lei?
- Augusto, Augusto... Non pensare in maniera ottocentesca, la storia non deve per forza svilupparsi in ordine cronologico.
- E va bene, ho capito. Però ti faccio notare che questo genere di storie non piacciono molto. Che ne diresti di un'altra fidanzata, normale voglio dire?
- No, ho qualcosa di molto meglio.
- Davvero? Ma, senti, già che ci vediamo, ti volevo dire, non è che potresti togliermi un fastidio che ho... - dice Augusto mentre afferra la tazzina per mostrargli il suo disturbo.
- Ma che ore sono? Già le tre e un quarto? È un po' in ritardo, mi sa.
Una folata di freddo sulle spalle fa rabbrividire Augusto. Si gira e vede che la porta del bar è aperta, anche se non ha visto entrare nessuno.
- Oh, eccolo. È arrivato - esclama Michele con un gran sorriso.
- Ma chi, scusa? Non mi pare sia entrato nessuno. A parte quel gabbiano, ma guarda te... Barista! Cacci via quell'uccello!
- Stai calmo, è Amilcare, è venuto apposta per conoscerti.
- Per conoscere me? Un gabbiano? Michele, per favore, che storia è questa?
L'uccello intanto fa uno svolazzo e si appollaia sulla sedia libera accanto a Michele. Si siede come può, con le zampe a penzoloni e le ali appoggiate sul tavolo, infine punta un occhio verso Augusto.
- Un gabbiano a chi? E io dovrei lavorare con questo ignorante, caro il mio Michele?
Al sentire la voce gracchiante uscire dal lungo becco di Amilcare, Augusto lascia cadere la tazzina che stava ancora reggendo in mano.
- Un gabbiano, tsè. Ma ti pare? Uè, bello, sono un airone io. Ma 'sti cazzi.
- Ma come, parla? Ed è pure maleducato - riesce a dire Augusto.
- Calma, ragazzi, calma, non litigate – lo interrompe Michele – ognuno di voi avrà un ruolo importante nel romanzo, non c’è bisogno di essere gelosi l’uno dell’altro. Intanto Amilcare dovrebbe ordinare qualcosa. Cosa prendi? Tranquillo, offro io, ovviamente. Un caffè?
- Non bevo certe porcate, non sono mica un umano. Però prenderei volentieri un po’ di sushi.
- Certo, sushi. Beppe, porta un piattino di sashimi al mio ospite!
Augusto guarda incredulo le scene che seguono: il barista che prende l’ordinazione, sashimi e sushi di salmone al sesamo senza salsa wasabi, il medesimo barista che porta il piatto, Amilcare che armeggia con le ali le bacchette e spilucca con il suo lungo becco la pietanza.
- A chi può essere venuta in mente un’idea del genere? Un airone, in un bar? – sbotta allora Augusto, esasperato non tanto dal bizzarro comportamento del volatile ma piuttosto dalla nonchalance con cui Beppe e Michele lo trattano.
- Sì, lo so, sono un genio, – risponde Michele – finalmente la svolta da dare al libro. Basta con queste storie introspettive, basta con i personaggi mediocri alle prese con lutti e disgrazie. Un airone è un personaggio nobile, colto, lontano da qualunque stereotipo. La presenza animale irrompe nel quotidiano e ne stravolge le regole. E poi l’animale parlante ha una illustre tradizione letteraria: Esopo mica era un cialtrone qualsiasi.
- Ve bene, va bene, abbiamo capito, – dice Amilcare – un romanzo surrealista in cui l’animale dimostra la propria superiorità sull’essere umano, certo. Quello che mi sfugge è il senso di questo incontro. Perché ci siamo dovuti incontrare?
- Eh, Amilcare, è una tradizione. Io e Augusto ci vediamo una volta al mese per discutere, sai, per vedere che direzione prendere.
- Metaletteratura, sì, lo so. È che in realtà non mi aspettavo un tale personaggio come spalla.
- E secondo te, io me lo aspettavo? – urla Augusto – E poi cos’è questa storia della spalla?
Un’altra folata di vento fa rabbrividire di nuovo Augusto. Anche Amilcare pare risentirne da come gonfia il piumaggio. Questa volta alla porta appare una presenza femminile.
- Oh, - esclama Michele – è arrivata Camilla, scusate, ma devo proprio andare.
- E chi è? Un altro personaggio?
- No, Augusto, è la mia fidanzata e le ho promesso che l’avrei accompagnata a fare shopping. Ma voi rimanete pure, cari. Parlate, fate conoscenza, prendete appunti se vi vengono delle idee.
Detto questo, Michele va a pagare alla cassa e se ne esce a braccetto con Camilla.
Per alcuni lunghi istanti Augusto e Amilcare restano attoniti a fissare un punto dinnanzi a sé, senza osare guardarsi in faccia. È Amilcare a rompere il silenzio imbarazzante:
- Quindi di che ti occupi, visto che non sei di certo un ornitologo?
- Lavoro al catasto.
- E che è?
- Lascia stare, è un lavoro palloso.
- Potremmo dire a Michele di cambiartelo.
- Macché, guarda, lui fa il democratico, dice ci vediamo, decidiamo insieme, ma poi fa di testa tua. È meglio che ti abitui subito.
- Mi sa che hai ragione. Ma non ci possiamo ribellare? Potrebbe scrivere due romanzi diversi.
- Figurati, ora ha pure la fidanzata, non ci considererà nemmeno.
Amilcare si accoccola sconsolato, piegando il collo e arruffando le piume. Poi domanda:
- Ma secondo te, almeno un favore glielo posso chiedere?
- Cosa?
- Avrei un fastidio alla zampa sinistra, si contrae ogni tanto contro la mia volontà. Non è che potrebbe togliermelo?