[MI156] Nell'IKB
Posted: Sun Oct 17, 2021 11:37 pm
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Traccia di mezzogiorno "Colori Primari"
Blu.
Era questa la sensazione che provava, in uno spazio senza riferimenti. La ricercava nel mare, nell'universo, in un sogno o in una notte stellata di Van Gogh. E quando riusciva a percepirla, si sentiva a suo agio.
Un blu che riusciva anche gustare: due morsi di cielo e uno di mare.
Il sapore del cielo gli sembrava ceruleo, dolce con un retrogusto da anidride e le papille gustative si gonfiavano, stimolate dall'atmosfera speziata.
Il sapore del mare lo sentiva meduseo, gelatinato e logicamente: salato.
Si era perso. Si perdeva spesso, e cosa c'era di meglio per perdersi? Il giallo o il rosso? Nel blu poteva volare o nuotare; nel rosso o nel giallo solo ardere.
Un giorno lo trovarono seduto su una panchina di un giardino di Fidenza, che guardava le magliette blu di una squadra di pallavolo.; un'altra volta al passaggio a livello della stazione di Molinella, a fissare la divisa del capostazione; poi, ancora, al cimitero di Poggibonsi, di fronte a una lapide di sodalite.
“Gino! Torniamo a casa” diceva Marco prendendolo sotto braccio.
Lui ogni volta si lasciava portare. Non aveva mai opposto resistenza. Voleva solo perdersi, nel blu. E se lo chiudevi, si perdeva lo stesso.
Gli avevano dipinto la stanza di blu, i piatti, i bicchieri, anche il lavandino e il water. Dalla doccia l'acqua usciva blu, colorando pelle, capelli ed ogni sorta di pelo. Gli occhi, naturalmente, lo erano anche quelli, così intensi dalla sua venuta al mondo. Un segno premonitore.
Nella sua stanza, su un tavolo, c'era un blocco di grandi fogli e alcuni flaconi di colori diversi, anche se ogni giorno dovevano ricomprarne solo uno. Finito provvisoriamente il blu, Gino, ostinatamente provava a ricrearlo, mescolando gli altri colori con fare alchemico, e una volta, quasi riuscì ad avvicinarsi.
“È un colore primario e non si può ricreare” diceva Marco.
Quella frase lo aveva colpito: non si può ricreare... lui era convinto del contrario: per la sua legge tutto poteva diventare blu, anch'egli.
Quando entrava nella stanza non si percepiva più la sua presenza: si appoggiava al muro diventandone un tutt'uno. Solo quando apriva gli occhi si perdeva l'inganno.
Avrebbe voluto essere ricco, aristocratico, nobile, solo per vedere se il sangue sarebbe risultato davvero blu come si diceva. Lui ci provava lo stesso, ma ogni volta che faceva la barba un po' più a fondo, rimaneva deluso.
Usciva di casa nell'ora di maggiore luce con un quaderno e una biro per appuntare le gradazioni del blu che la natura poteva offrire e segnarle in una sua personale scala di colore, sempre alla ricerca della perfezione. Ma rimaneva puntualmente deluso: anche il mare e il cielo risultavano sbiaditi. E allora li rinvigoriva con delle pennellate di colore dal barattolo che teneva nel taschino, quello che più si avvicinava alla sua idea, frutto di anni di esperienza e miscelazione per raggiungere la perfezione che però ancora sembrava sfuggirgli.
Dove passava lasciava il segno: un'arancia blu nel banco ortofrutta, lo spritz del bar del corso o il ragù della trattoria di piazza VIII agosto.
Ma tutto ciò non lo soddisfaceva ed iniziò a peregrinare per il mondo per scoprire altri luoghi, città, piazze e musei dove trovare se stesso.
Un giorno un vigilantes lo vide tuffarsi. Diede l'allarme e arrivò la polizia. Ma di Gino non si ebbe più traccia. Solo quando, il giorno dopo, un trafiletto del giornale a pagina nove intitolava: Mistero al museo d'arte moderna: sparisce di fronte a un quadro di Yves Klein, Marco capì che finalmente aveva trovato il suo posto.
Traccia di mezzogiorno "Colori Primari"
Blu.
Era questa la sensazione che provava, in uno spazio senza riferimenti. La ricercava nel mare, nell'universo, in un sogno o in una notte stellata di Van Gogh. E quando riusciva a percepirla, si sentiva a suo agio.
Un blu che riusciva anche gustare: due morsi di cielo e uno di mare.
Il sapore del cielo gli sembrava ceruleo, dolce con un retrogusto da anidride e le papille gustative si gonfiavano, stimolate dall'atmosfera speziata.
Il sapore del mare lo sentiva meduseo, gelatinato e logicamente: salato.
Si era perso. Si perdeva spesso, e cosa c'era di meglio per perdersi? Il giallo o il rosso? Nel blu poteva volare o nuotare; nel rosso o nel giallo solo ardere.
Un giorno lo trovarono seduto su una panchina di un giardino di Fidenza, che guardava le magliette blu di una squadra di pallavolo.; un'altra volta al passaggio a livello della stazione di Molinella, a fissare la divisa del capostazione; poi, ancora, al cimitero di Poggibonsi, di fronte a una lapide di sodalite.
“Gino! Torniamo a casa” diceva Marco prendendolo sotto braccio.
Lui ogni volta si lasciava portare. Non aveva mai opposto resistenza. Voleva solo perdersi, nel blu. E se lo chiudevi, si perdeva lo stesso.
Gli avevano dipinto la stanza di blu, i piatti, i bicchieri, anche il lavandino e il water. Dalla doccia l'acqua usciva blu, colorando pelle, capelli ed ogni sorta di pelo. Gli occhi, naturalmente, lo erano anche quelli, così intensi dalla sua venuta al mondo. Un segno premonitore.
Nella sua stanza, su un tavolo, c'era un blocco di grandi fogli e alcuni flaconi di colori diversi, anche se ogni giorno dovevano ricomprarne solo uno. Finito provvisoriamente il blu, Gino, ostinatamente provava a ricrearlo, mescolando gli altri colori con fare alchemico, e una volta, quasi riuscì ad avvicinarsi.
“È un colore primario e non si può ricreare” diceva Marco.
Quella frase lo aveva colpito: non si può ricreare... lui era convinto del contrario: per la sua legge tutto poteva diventare blu, anch'egli.
Quando entrava nella stanza non si percepiva più la sua presenza: si appoggiava al muro diventandone un tutt'uno. Solo quando apriva gli occhi si perdeva l'inganno.
Avrebbe voluto essere ricco, aristocratico, nobile, solo per vedere se il sangue sarebbe risultato davvero blu come si diceva. Lui ci provava lo stesso, ma ogni volta che faceva la barba un po' più a fondo, rimaneva deluso.
Usciva di casa nell'ora di maggiore luce con un quaderno e una biro per appuntare le gradazioni del blu che la natura poteva offrire e segnarle in una sua personale scala di colore, sempre alla ricerca della perfezione. Ma rimaneva puntualmente deluso: anche il mare e il cielo risultavano sbiaditi. E allora li rinvigoriva con delle pennellate di colore dal barattolo che teneva nel taschino, quello che più si avvicinava alla sua idea, frutto di anni di esperienza e miscelazione per raggiungere la perfezione che però ancora sembrava sfuggirgli.
Dove passava lasciava il segno: un'arancia blu nel banco ortofrutta, lo spritz del bar del corso o il ragù della trattoria di piazza VIII agosto.
Ma tutto ciò non lo soddisfaceva ed iniziò a peregrinare per il mondo per scoprire altri luoghi, città, piazze e musei dove trovare se stesso.
Un giorno un vigilantes lo vide tuffarsi. Diede l'allarme e arrivò la polizia. Ma di Gino non si ebbe più traccia. Solo quando, il giorno dopo, un trafiletto del giornale a pagina nove intitolava: Mistero al museo d'arte moderna: sparisce di fronte a un quadro di Yves Klein, Marco capì che finalmente aveva trovato il suo posto.