[MI 156] L'ultimo giorno

1
Il mio commento
viewtopic.php?p=22907#p22907

Traccia di mezzogiorno:  Isolati.

    
—Svegliati Vittorio, svegliati!
 Le parole  provenivano da lontano, avvolte in un fiato di tabacco.
Il ragazzo sorrise a occhi chiusi riconoscendo il sergente Marco Ascarò che lo scuoteva sopra la sua branda di tela. Si alzò a sedere stropicciandosi gli occhi e guardando lo stanzone adibito a camerata dove potevano dormire venti soldati, se veniva considerato anche lui che era la mascotte del battaglione. 
Il sergente gli aveva ricavato quell’angolino,  recuperato una divisa della sua taglia, non ne esistevano per ragazzi di tredici anni e avevano dovuto adattargliene una alla meglio. Vittorio era molto fiero di quella divisa, quei soldati erano la sua famiglia e Marco anche qualcosa di più, perché era stato lui a trovarlo ferito sotto le macerie della  sua casa bombardata.
Suo padre, sua madre e le sue tre sorelle erano morti. Sembrava passato tanto tempo e invece erano  nemmeno sei mesi prima.
I soldati lo avevano portato con loro, si stavano ritirando e lui li aveva seguiti perché non avrebbe saputo dove andare. Marco gli era stato sempre vicino, pensava a lui, si assicurava che avesse da mangiare e da bere, anche se l’acqua era molto rara e cattiva in quel deserto.
I soldati, attaccati dal nemico che avanzava vittorioso ovunque nelle colonie, erano stati costretti a ritirarsi in un fortino diroccato che sorgeva ai margini del micidiale deserto. A Vittorio piaceva quel posto, sembrava il forte dei suoi libri di avventure che leggeva nel giardino di casa, sotto lo sguardo della mamma e tutti i soldati erano eroi che lo proteggevano.
Per alcuni giorni rimasero tranquilli, ignorati da tutti. Naturalmente avevano issato su un pennone della piazza interna la loro bandiera di guerra.
—Noi non ci nascondiamo. In ogni caso sanno dove siamo— aveva detto il maggiore comandante.
Il nemico transitava in lontananza con le sue colonne e quella bandiera in mezzo ai ruderi li divertiva. Avevano capito che si trattava di un gruppo di sbandati che non avevano più la forza per assalirli. Alla fine, forse per ingannare la routine, il nemico si avvicinò a loro.
Dalle feritoie degli spalti Vittorio, acquattato dietro a Marco, vedeva le colonne dei camion nemici che scaricavano uomini con divise kaki come le loro, che si mischiavano alla sabbia del deserto. Altri mezzi trainavano grossi cannoni.
—Perché non ci attaccano?— chiedeva Vittorio eccitato.
—Aspettano— rispondeva Marco guardando pensieroso, arrotolandosi una sigaretta.
—Mi fai fumare?
—Non ancora. C’è tempo.
—Mi dici sempre così. Dimmi quando.
—Quando ce ne andremo via di qui.
—Uff! Chissà quando!
Marco fumava assorto appoggiato al suo fucile. Altri soldati vicini a lui lo guardavano silenziosi, passandosi la lingua sulle labbra aride, aguzzando lo sguardo verso il deserto.
Venne un’ambasciata del nemico. Un ufficiale che parlava italiano  era entrato con una bandiera bianca in mano. Aveva parlato con il maggiore.
Dopo quel colloquio il maggiore aveva radunato in un corridoio i pochi ufficiali e sottufficiali di cui disponeva, fra i quali Marco, e aveva parlato con loro.
Vittorio non sapeva cosa avesse detto il comandante, ma aveva visto le facce serie di tutti, anche di Marco.
Tutto sembrava come sempre, ma si sentiva che c’era qualcosa di diverso, di cambiato. Passarono due giorni di calma sotto il sole rovente. Era possibile bere di più: un camion nemico si era avvicinato all’ingresso del fortino e aveva depositato delle taniche di acqua, sotto lo sguardo attento dei soldati dietro le feritoie. Mai bevuta un’acqua così buona e fresca.
Venne l’alba del terzo giorno. Fra poco ci sarebbe stata l’alzabandiera. Vittorio aspettava l’adunata seduto in un androne che dava nel cortile interno, circondato da  mura bianche di calce inondate dal sole,  sotto un cielo blu accecante.  La figura di Marco si stagliava nitida al centro del cortile, con l’uniforme che si confondeva con la sabbia e con il sole.  Venne verso di lui con calma, fucile a tracolla, pistola dentro la fondina, sigaretta in bocca, il fumo che usciva dal naso sopra i baffetti neri.
—Vittorio, devo dirti una cosa.
Il ragazzo alzò la testa verso di lui, sorridendo.
Marco si sedette vicino a lui, pensieroso.
—Cosa devi dirmi?
Marco sospirò. —Io… Tu…— Sospirò ancora —E’ stato molto bello averti qui… per me… Lo sai…
—Si, lo so— Vittorio fece un viso serio guardando Marco negli occhi.
— Io vorrei che tu fossi felice un giorno, da grande.
—Non so… Io sono felice adesso.
Marco si guardò intorno come rassegnato.
—Vittorio, i soldati a volte non tornano a casa.
—Cosa vuoi dirmi?
—Io… vorrei che tu ti salvassi.
—Ci salveremo assieme noi  due e tutti gli altri, no?
Marco inspirò un’ultima boccata e gettò la sigaretta. Mise una mano dentro la giacca sgualcita e ne tirò fuori una pezza di lenzuolo bianco.
—Ascoltami. Non devi fare l’alzabandiera oggi. Lascia qui il moschetto, vai verso il portone, apri la porta piccola, esci fuori tenendo questo in mano. E’ molto importante. Devi andare verso il nemico con le mani alzate. Se vedono questo lenzuolo bianco non sparano. Capisci? Non sparano. Devi andare da loro.
Vittorio scuoteva il capo in continuazione e arretrava, come volesse spingere il muro alle sue spalle.
—E tu? Vieni con me? Vieni con me?—  ripeteva con angoscia.
—No. Devo stare qui. Ma tu dovrai correre, capito? Sei veloce, lo so, devi allontanarti al più presto…
—Ma io non voglio lasciarti… perché mi dici così?
—Voglio che ti salvi…
—No!— urlò Vittorio alzandosi di scatto. —Tu non mi vuoi più bene! Vuoi lasciarmi solo! Mi hai detto solo bugie! Sei cattivo!
Si alzò e si mise a correre.
—Vittorio! Vittorio! Per amor del cielo non fare così Vittorio!
Ma il ragazzo scomparve.
Il trombettiere suonò l’adunata. I pochi soldati rimasti del battaglione si radunarono nel cortile centrale, sotto il pennone.
Il sergente Marco Ascarò si mise stentatamente in fila con l’animo in subbuglio, girando lo sguardo intorno, cercando di rimanere immobile, mentre il viso si riempiva di lacrime.
Ma non fu notato, anche altri visi erano bagnati di lacrime. La voce del maggiore, ritto davanti a loro in alta uniforme, era commossa.
—Questo è l’ultimo giorno! Abbiamo tutti scelto di restare! Oggi non alzeremo la bandiera bianca come il nemico ha chiesto, ma la nostra bandiera! E’ stato per me un grande onore e un grande privilegio essere il vostro comandante!  Vi auguro buona fortuna, Dio vi benedica!
In quel momento comparve Vittorio in mezzo al cortile, come dal nulla. Il viso sporco, disfatto dal pianto, la mano che si asciugava le lacrime, il naso che tirava di continuo, il moschetto in mano con la cinghia penzoloni. Veniva verso gli uomini inquadrati. Il maggiore guardò per un attimo il sergente e Marco, con un guizzo di gioia e di dolore insieme, fece cenno di no: —Non ha voluto… Non ha voluto…
I soldati scalarono silenziosamente di posto, mentre Vittorio si allineava al fianco di Marco, mettendo il fucile calcio a terra in posizione di riposo.
Marco gli sistemò la cinghia del fucile, gli aggiustò la camicia e raddrizzò la bustina sul capo, messa di sghimbescio.
—Mi vuoi bene, Marco?— disse sottovoce Vittorio guardando fisso davanti a sé.
—Si  figlio mio. Ho voluto bene solo a te nella mia vita. Solo a te.
—Trombettiere! Alzabandiera! Presentate le armi!— urlò il maggiore con voce stentorea sfoderando la sciabola, mettendosi sull’attenti.
La bandiera si alzò sventolando lentamente al suono rauco della tromba.
Vittorio sorrideva felice presentando le armi, Marco, con le lacrime che scendevano fino al mento, sorrideva anche lui stringendosi quanto più possibile vicino al ragazzo mentre salutavano la bandiera rimanendo impettiti sull’attenti, faccia in alto, presentando i fucili. Soffiò un alito di vento caldo.
 
Si sentirono dei rombi possenti in lontananza. Come i tuoni di un temporale di mezza estate in una campagna fresca e umida, con odore di paglia bagnata.
Tutto il mondo parve scoppiare all’improvviso nel piazzale, con  immensi boati, vampe di fiamme, nubi nere vorticose fino al cielo. Il fortino scomparve alla vista per sempre.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

3
Ciao @Alberto Tosciri , inizio col dire che il racconto è scritto molto bene. Una scrittura perfetta per il tema narrato. Asciutta, priva di fronzoli, pulita. Bravo, davvero.
La storia è una delle molte storie di guerra, vista attraverso la lente d'ingrandimento del rapporto tra Vittorio e Marco. Il che dà un tocco originale alla narrazione.
Bello anche l'inciso sull'acqua, prima cattiva da bere, poi, per un attimo (prima della battaglia finale, in realtà), buona.
Non mi è chiaro il perché i nemici abbiano deciso, infine, di sferrare l'attacco. Forse l'ambasciata è andata male? 
Bravo, i miei complimenti

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

4
Alberto Tosciri ha scritto: Il sergente gli aveva ricavato quell’angolino,  recuperato una divisa della sua taglia, non ne esistevano per ragazzi di tredici anni e avevano dovuto adattargliene una alla meglio. Vittorio era molto fiero di quella divisa, quei soldati erano la sua famiglia e Marco anche qualcosa di più, perché era stato lui a trovarlo ferito sotto le macerie della  sua casa bombardata.
Suo padre, sua madre e le sue tre sorelle erano morti. Sembrava passato tanto tempo e invece erano  nemmeno sei mesi prima.
Il sergente gli aveva ricavato quell’angolino e recuperato una divisa della sua taglia (non ne esistevano per ragazzi di tredici anni e avevano dovuto adattargliene una alla meglio), di cui era molto fiero. Adesso quei soldati erano la sua famiglia e Marco anche qualcosa di più, perché era stato lui a trovarlo ferito sotto le macerie della sua casa bombardata: suo padre, sua madre e le sue tre sorelle erano morti. Sembrava passato tanto tempo e invece erano  nemmeno sei mesi prima.
Alberto Tosciri ha scritto: —Si  figlio mio.
—Sì, figlio mio.

Il racconto è buono e ben riuscito, triste, epico e, sì, direi anche romantico. Mi ha un po' ricordato Leonida e i suoi trecento spartani nella battaglia dell Termopili.
Esistono molti mondi: reali, immaginari. Non importa la loro natura: da ognuno di essi si può apprendere qualcosa.
https://www.lestradedeimondi.com/

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

5
Ciao @Alberto Tosciri,
So che questi temi sono tra i tuoi preferiti. Sai rendere molto bene l'atmosfera e il contesto in cui si svolge l'azione.
Ho avvertito solo una mancanza nella trama, un particolare che a mio avviso avrebbe completato il racconto.
Quale motivo potevano avere quei soldati a dover resistere a tutti i costi andando incontro a morte certa?
L'eroismo deve avere una giustificazione, altrimenti rischia di rimanere un sacrificio inutile.

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

6
Grazie @Loscrittoreincolore 

Grazi@m.p.q.
m.q.s.Non mi è chiaro il perché i nemici abbiano deciso, infine, di sferrare l'attacco. Forse l'ambasciata è andata male?
I soldati nel fortino, per quanto mal messi, assolutamente non in grado di contrastare il nemico,  erano pur sempre armati e il nemico ha chiesto loro di depositare le armi e arrendersi. I soldati hanno rifiutato di arrendersi, pur sapendo che sarebbero stati spazzati via.

Grazie @M.T.  e grazie per avermi fatto notare gli sbagli. Ne terrò conto se revisionerò il testo.

Grazie @Poldo 
Si, queste ambientazioni mi piacciono, per quanto ritengo che sarebbero  anche più interessanti descrizioni di vita militare senza le guerre. Si poteva anche fare, ma un romanzo come il Deserto dei Tartari è difficile da riscrivere...
PoldoQuale motivo potevano avere quei soldati a dover resistere a tutti i costi andando incontro a morte certa?
L'eroismo deve avere una giustificazione, altrimenti rischia di rimanere un sacrificio inutile.
Qui non si tratta di eroismo e quel sacrificio, per quegli uomini, aveva una motivazione che valeva oltre che per la loro bandiera anche per loro stessi.
Mi permetto di spiegare con le mie modeste possibilità; penso non sia solo una morale, diciamo così, esclusivamente "militare".
Erano eroi  i primi cristiani che davanti alla possibilità di salvarsi la vita se avessero adorato gli dei pagani rifiutavano facendosi uccidere? Non erano eroi. Semplicemente non volevano vivere in un mondo che per loro sarebbe stato invivibile, orribile.
Per non parlare dei martiri odierni in varie parti del mondo,  anche cristiani, che muoiono pur di non rinnegare la loro fede, nell'indifferenza di tutto il mondo.

Nel mio racconto non si tratta di fede religiosa, anche il nemico poteva averne una, per quanto deformata dalla riforma protestante (i nemici sono inglesi, i soldati nel fortino italiani, la località un luogo ipotetico in A.O.I.). Qui si tratta della consapevolezza che il mondo che sarebbe sorto dopo la guerra  e dove avrebbero dovuto vivere non sarebbe stato sopportabile per loro. Certo, semplici soldati non potevano averne cognizione, se non a certi livelli, me ne rendo conto. Qui ho calcato la mano, esagerando questa consapevolezza che però non ho spiegato, non ho potuto per lo spazio...
È una mia fissazione e un mio tormento ormai inutile e fine a se stesso, perché i danni reali sono stati già  fatti da quel dì, fin dalla caduta dell'Impero Austro Ungarico nel 1918 almeno, ma anche prima. L'ultimo impero cristiano in Europa.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

7
Alberto Tosciri ha scritto: Qui non si tratta di eroismo e quel sacrificio, per quegli uomini, aveva una motivazione che valeva oltre che per la loro bandiera anche per loro stessi.
Mi permetto di spiegare con le mie modeste possibilità; penso non sia solo una morale, diciamo così, esclusivamente "militare".
Erano eroi  i primi cristiani che davanti alla possibilità di salvarsi la vita se avessero adorato gli dei pagani rifiutavano facendosi uccidere? Non erano eroi. Semplicemente non volevano vivere in un mondo che per loro sarebbe stato invivibile, orribile.
Ciao, @Alberto Tosciri   :)

per commentarti, mi aggancio alla tua spiegazione del motivo del sacrificio di quegli uomini.
Però, soprattutto se erano cristiani, dovevano rispettare il valore della vita - la loro e quella del povero ragazzo, di fatto plagiato dalla loro esaltazione al sacrificio. E alzare bandiera bianca per tutti, davanti alla situazione disperata.
Perché  il valore di ogni vita - o anche solo per rispetto di quella del ragazzo - era più importante della condizione futura della loro esistenza.

Mi dispiace per la scelta dell'epilogo (per come lo hai motivato in seguito) mentre ti faccio i complimenti  per la perfetta costruzione e per lo stile del tuo commuovente  racconto.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

8
ciao @Alberto Tosciri . Come al solito ecco un pezzo di storia :D ho pensato subito che fosse ambientato durante la guerra contro gli inglesi... ho pensato a El alamein.. o a qualcosa di simile..
Come traccia hai scelto l'isolamento e nel tuo racconto questa condizione non traspare a prima lettura, dato che vi è un dialogo stretto tra marco e Vittorio.. però ritengo che alla fine questo isolamento venga fuori anche in considerazione del tragico finale...
Scrittura scorrevole e piacevole... io avrei insistito maggiormente sulla solitudine a livello emotivo... ma è solo un mio parere... aiò!! ciao Tenente  (y)
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

9
Ciao @Poeta Zaza 
Grazie come sempre del tuo piacevole passaggio e apprezzamento anche se un po' dispiaciuto per l'epilogo...
Nel racconto ho cercato di far trasparire che il sergente, ma tutti i soldati, anche il comandante, volevano che Vittorio si salvasse. Nella riunione fatta dal comandante se ne era parlato,  tanto che il comandante guarda interrogativo il sergente quando vede il ragazzo che viene all'adunata. Il sergente gli dice che non ha voluto andarsene... Certo, forse Vittorio non è perfettamente consapevole che morirà, ma io voglio pensare che lo intuisse e lo accettasse. Avevano un'altra maturità a quei tempi, un'altra sensibilità.
Poi... certo erano cristiani, ma ho citato l'esempio dei martiri per dire che non erano eroi. Erano fedeli al loro ideale, ai loro compagni d'arme e non transigevano. Questi soldati non ho specificato chi fossero, di quali reparti facessero parte. Alcuni non si arresero fino alla fine e chi si arrese fu catturato allo stremo delle forze e con le munizioni esaurite. I nemici concessero l'onore delle armi a quei pochi prigionieri.
Sarebbe stata una bella fine, ora che ci penso. Magari scrivo un'altra versione a parte, più lunga.

Ciao @bestseller2020 
Grazie per il piacevole intervento e apprezzamento.
Hai visto bene El Alamein, che in arabo vuol dire "Le due bandiere" e due bandiere c'erano, una di battaglia e l'altra bianca... Io pensavo anche a Giarabub, di cui c'è anche il canto della "Folgore" che però magari non metto... sono tempi difficili... non s'isci mai, cancunu s'idda pode pigai... 
Si hai ragione anche sulla maggiore solitudine a livello emotivo, bellissima da descrivere nelle sue varie implicazioni, io sono uno specialista per carattere e per compiti passati in sta' roba... ci voleva più spazio però...
Ah...  grazie, mi hai promosso di un grado... ero... Luogotenente...  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

10
@Alberto Tosciri ambientazione e senso di oppressione senza via d'uscita sono i tratti distintivi di questo tuo bel racconto. Ho sentito il sapore della sabbia in bocca, la sete e il caldo opprimente del sole, insomma mi sono sentita catapultare in questa situazione senza via d'uscita. Anche a me era venuto in mente El Alamein (grazie a un film che è uscito qualche anno fa), ma insomma, al di là dell'ambientazione, la cosa importante mi è sembrata la percezione dell'assedio e il fatto di mantenere, nonostante tutto, un senso di umanità e fraternità fra i soldati. Molto interessante.  :)
Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

12
Ciao @Alberto Tosciri. mentre leggevo non ho potuto fare a meno di pensare al tuo amato libro di Buzzati (mi ricordo da un tuo precedente commento).
Certo che non si può ricreare ma inconsciamente o consciamente mi sembra che lo hai voluto omaggiare.
Il racconto è come sempre ben scritto con le atmosfere che rendono molto bene il contesto. Un racconto comunque forte, che non lascia scampo e ti butta in faccia la tragedia della guerra.
Ho apprezzato.

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

13
Ciao @Alberto Tosciri,
Il tuo racconto mi è piaciuto. L'ambientazione ti è congeniale e nella lettura si percepisce quanto sia da te "sentita". Mi piace molto il contrasto che crei ogni volta in questo tuo genere di racconti tra la violenza anche sottesa della situazione e l'umanità dei personaggi, tra gli ideali militareschi e la fragilità delle persone. Questo contrasto è commovente e riesce ad avvicinare e coinvolgere lettori come me che non amano particolarmente i racconti di guerra.
Ottima prova!

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

15
Alberto Tosciri ha scritto: dom ott 17, 2021 9:23 pm
E tu? Vieni con me? Vieni con me?—  ripeteva con angoscia.
—No. Devo stare qui. Ma tu dovrai correre, capito? Sei veloce, lo so, devi allontanarti al più presto…
—Ma io non voglio lasciarti… perché mi dici così?
—Voglio che ti salvi…
—No!— urlò Vittorio alzandosi di scatto. —Tu non mi vuoi più bene! Vuoi lasciarmi solo! Mi hai detto solo bugie! Sei cattivo!
Si alzò e si mise a correre.
È impressionante come un dialogo ben costruito riesca a commuovere, anche se si tratta di situazioni lette tante volte o viste nei film. Sei sempre bravissimo nel raccontare queste realtà belliche. 
Ho notato qualche imprecisione nella struttura sintattica e nella punteggiatura, piccole cose che si sistemano con una rilettura.
Grazie per le emozioni che ogni volta ci regali, @Alberto Tosciri.
https://www.amazon.it/rosa-spinoZa-gust ... B09HP1S45C

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

16
Ciao @Kasimiro  grazie per il commento e l'apprezzamento.
Si hai ragione circa Buzzati, il suo Deserto dei Tartari mi ha sempre affascinato fin da ragazzino e mi ha aiutato anche nella mia vita militare. In parecchie occasioni ho "voluto rivivere" alcune situazioni del libro e ho trovato un buon appiglio e conforto.
Ma anche in innumerevoli altri libri di argomento militare che ora non cito perché la lista è lunga. 
Perché, vedi, non si tratta di infatuazione della forza bruta, della guerra e cose del genere, discutibili e per niente condivisibili, ma semplicemente osservare quel particolare tipo di vita, quell'ambientazione, quel comportamento assolutamente peculiare, unico, che comporta reazioni uniche, differenti dalla normale, quieta vita borghese. Le conseguenti rappresentazioni sono quindi diverse. So di essere noioso, ma prediligo quell'ambiente proprio per la sua assoluta peculiarità, unicità e non amo però rappresentare scene di guerra, se ci sono le metto in margine, non amo la guerra ma la vita di uomini racchiusi in un loro ordine. Come nella vita di un monastero, altro ambiente stupendo per descrivere i comportamenti degli uomini e delle donne che scelgono quell'ambiente per vivere.

Ciao @ivalibri 
Sono contento che ti sia piaciuta la mia rappresentazione che verteva più che altro sui comportamenti degli uomini,  certo in un ambiente militare ma senza nessuna esaltazione guerresca.

Ciao @Joyopi
contento che abbia provato reazioni emotive. Non si usano più certi eroismi come quelli che ho descritto, e, cosa più interessante dal mio punto di vista, non sono molti a trovarvi qualcosa di commovente.

Grazie @Ippolita 
Contento che abbia apprezzato. Certo ci sono delle cose da sistemare, hai ragione; non farò mai un lavoro perfetto  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

17
Alberto Tosciri ha scritto:
tato sempre vicino, pensava a lui, si assicurava che avesse da mangiare e da bere, anche se l’acqua era molto rara e cattiva in quel deserto.
I soldati, attaccati dal nemico che avanzava vittorioso ovunque nelle colonie, erano stati costretti a ritirarsi in un fortino diroccato che sorgeva ai margini del micidiale deserto
Ho evidenziato la parola deserto perchè troppo ravvicinata, al posto della ripetizione potevi usare "territorio inospitale" o altre varianti simili.
Dallo svolgimento dei fatti, deduco che il ragazzo fosse un abitante del luogo, quindi il nome Vittorio gli sarà stato dato da Marco, ma non lo hai detto quindi mi ha spiazzato un po' (ho fatto fatica ad accettarlo). 
Finito con i cavilli ti dico che il tuo racconto è bellissimo e scritto molto bene. Vittorio sceglie di morire con Marco e con i soldati che lo hanno accolto per dare valore alla sua morte. Ormai è parte integrante e integrata del gruppo, non è più solo. Se si consegnasse al nemico quale sarebbe la sua sorte? Non lo sa, ma non gli interessa saperlo, nel fortino c'è "il suo secondo padre, Marco" l'ultimo affetto che Vittorio ha su questa terra. Che i soldati abbiano deciso di sacrificarsi lo trovo plausibile. Hanno resistito sperando magari "nell'arrivo dei nostri", ma alla fine si sono trovati intrappolati. Basta non fare in tempo a ricongiungersi con un altro battagione e si rimane isolati, e a quel punto o ti arrendi al nemico che di certo (soprattutto in territori come quelli) non ti tratterà con i guanti bianchi oppure scegli di morire da soldato, a testa alta, un tutt'uno con i tuoi compagni. Rifiutano per tutto questo l'invito ad arrendersi giunto loro con il messaggero inviato dai nemici. 
Ottimo anche parlare delle lacrime sui volti dei soldati, perchè è vero che si può morire con orgoglio, ma il sentimento che ci lega alla vita è di una potenza unica (per questo si parla di eroi quando dei soldati si sacrificano). La tua storia è densa di significato e ricca di emozioni. L'ambientazione è perfetta, asciutta ma non incompleta. Tutto il necessario è lì sotto gli occhi del lettore. Bravo, d'altronde questo è lo stile e il mondo in cui ti muovi con maggiore sicurezza per conoscenza diretta. Molto bravo. Sempre un piacere leggerti.

Re: [MI 156] L'ultimo giorno

18
Grazie @Adel J. Pellitteri,  molto contento che il racconto ti sia piaciuto, mi ha fatto piacere.
Giustamente la parola "deserto" è troppo vicina all'altra, si deve trovare un termine equivalente.
In quanto al nome Vittorio ti do perfettamente ragione, infatti non è un nome indigeno, è italiano anche lui.
La storia è inventata, avrei dovuto dare troppe spiegazioni per giustificare che Vittorio poteva essere figlio di coloni italiani mandati in Africa, e se aveva un giardino in casa dove poter leggere libri di avventure, come ho accennato nel rievocare suoi ricordi, doveva trattarsi di gente benestante, forse il figlio di qualche funzionario importante, ma sarebbe stata una trattazione lunga e non sono perfettamente al corrente se siano accaduti episodi come quello che descrivo, mi sono tenuto volutamente nel vago.
Talvolta m'immagino un mondo parallelo, uno dei tanti dove poter ambientare storie anche con un passato storico conosciuto. Ma forse qualcosa del genere è davvero successo, chissà...
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
Rispondi

Torna a “Racconti”