Kosmas vedeva i suoi piedi mettere un passo davanti all’altro taccheggiando l’asfalto con scarpe dalla suola di cuoio. Non le sue preferite, ma ci si abitua presto quando tocca metterle. Nemmeno i calzoni erano proprio i suoi preferiti, ma delle poche cose scelte da lei per le occasioni importanti erano gli unici rimasti. A pensarci bene anche le scarpe le aveva comprate in sua compagnia, per non dire su sua indicazione. La giacca invece era proprio scomoda, non era su misura e mai ne aveva provata una su misura, ma doveva esserci una differenza enorme, evidentemente. Questa tirava troppo dietro le spalle e non seguiva la sciancratura della vita come avrebbe dovuto, ma completava comunque decentemente la figura, secondo lei. La cravatta quella no, lui non l’aveva digerita, anche se era sempre stato molto accondiscendente verso l’idea di outfit che lei aveva per il suo uomo. Effettivamente lo aveva preso e ripulito, vestito, aveva tirato a lucido la parte più conforme di lui. E lui aveva sempre lasciato fare, anzi, di buon grado si era prestato a quei cambiamenti.
Kosmas vedeva allo specchio una figura che non aveva messo su peso dalla scomparsa di lei, come se il dolore avesse contribuito a mantenerlo in linea, nutrendosi di lui e delle sue calorie. Quindi il completo andava ancora a pennello. Si chiedeva camminando se fosse oggi distinguibile dall’uomo che era prima, perché c’era innegabilmente un prima e un dopo. Forse se avesse incontrato un conoscente di vecchia data, che non fosse al corrente degli ultimi sviluppi, non avrebbe notato differenze e costui gli avrebbe anche potuto dire “ti vedo bene, sempre in forma”. Molti gli dicevano che non dimostrava i suoi anni e che non invecchiava mai. Eppure, la consapevolezza di aver attraversato apparentemente indenne un periodo di lutto così devastante per la vita di chiunque non lo riempiva di orgoglio.
Kosmas pensava che forse qualche capello bianco, una ruga di sofferenza a lato degli occhi, o anche solo un vestito sgualcito avrebbero reso un più degno omaggio alla memoria di lei e avrebbero dato a lui la sensazione di essere più onesto. Invece lui era nell’aspetto uguale a prima e il lutto lo portava nel cuore, un sasso calcificato lì, nascosto, in quel muscolo solo un poco meno agile nel complesso. Kosmas era deciso però a cambiare, adesso. Avrebbe smesso di vivere sempre in volo, avrebbe smesso di andare veloce e avrebbe cominciato ad invecchiare, probabilmente; rallentando la prospettiva di vita poteva solo aumentare e quindi era probabilmente la cosa giusta. Cambiare lavoro era la prima cosa da fare. Basta tossicomani di adrenalina, personaggi iperattivi operativi, basta con gli aerei e tutto quello che ci gira intorno. Voleva una vita tranquilla adesso. Come avrebbe voluto lei, per altro. In quel giorno calcava una strada nuova, mai percorsa; aveva un appuntamento, un colloquio di lavoro e non voleva tardare. Le sue giornate avrebbero dovuto essere molto diverse d’ora in poi.
Kosmas vedeva la valigia saltellare allegramente sulle rotelle e si sentiva anche lui allegro, quel giorno, grato a tutti a sé stesso e all’universo di avergli concesso la serenità di poter cambiare la propria vita come fosse un gioco. Avrebbe venduto anche la casa, probabilmente si sarebbe spostato all’occorrenza, sempre in affitto o in albergo. Avrebbe svuotato gli armadi, li avrebbe venduti con tutti gli altri mobili a un qualche rigattiere, o magari in blocco assieme alla casa. Non avrebbe avuto problemi nel farlo, la montagna di vestiti e ricordi accumulati nella vita di prima avrebbero preso il volo, senza rimorso, senza mancanza di rispetto per nessuno. Lei diceva sempre che i morti vanno lasciati stare e lui da quel giorno l’avrebbe fatto. La vita continua e in quel giorno c’era il sole, il cielo era sereno la temperatura ideale, nessun fastidio fisico e si sentiva ancora giovane.