Inseguendo Mirò
Inviato: mar ago 03, 2021 6:54 pm
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Inseguendo Mirò
Cominciai a non rispondere più. Neanche a me stesso. Raggomitolato in sogni diurni figli di un malessere appena percettibile, una formica su una foglia. Senza avere contatti, prendere le mani e non sentire più nulla. Forse un solo capolinea dove gettai me stesso alla mercé di qualcosa di indefinibile. A tratti paura. A volte angoscia.
Passai le giornate in meditazione cercando di annullare anche il respiro, nutrendomi delle sole molecole d’aria che riuscivano ad attraversare la bolla di solitudine rocciosa che avevo erto intorno a me.
E mi fu dolce il passare delle ore, ormai non più quantificabili. Farsi beffe del tempo e gridare: tu non esisti!
Poi venne la sete. Un’onda molle che fluiva dentro, accarezzandomi, per poi esplodere attraverso gli occhi, in mille gocce di pura bellezza. Spalancai i pori per farne entrare appena un pò. Ma la detestai presto.
Poi venne la fame. Sentii il corpo ribellarsi mille volte finché la lupa non scomparve.
Continuai a meditare senza contare, avevo annullato il tempo. Le pupille spalancate disegnavano nell’aria fredda del mattino una lunga linea nera che definiva i contorni dei desideri di una vita.
Quella volta che immaginai di volare ma non avevo le ali. La linea nera girò repentinamente su se stessa definendo uno spazio blu. E ricordai quella volta che imparai a saltare ma solo di un metro. Avrei voluto saltarne dieci o venti o addirittura percorrere un chilometro con un balzo. Allora la linea nera definì uno spazio arancione.
Un giorno pensai quanto sarebbe bello riuscire ad amare. Non lo feci mai. E la linea nera divenne sempre più marcata fino ad essere lo spazio nero del ricordo.
Il cielo era un’enorme tela da dipingere con cose che avrei voluto possedere, armi per offendere, spade per trafiggere. Tutto divenne color sangue.
All’improvviso il fuoco divorò il pensiero, la luce delle fiamme preannunciò l’avvento della fenice che portava sulle ali il peso della mia inutile esistenza.
Come fu vana e opaca e pregna di oggetti da attaccare al muro come tante statue immobili di duro granito, una vita da non raccontare per quanto fu folle.
Solo adesso capivo, riuscivo a capire, di aver passato il tempo a morire. Ora era il momento di rinascere.
Come una linea infinita, sottile, senza alcun colore. Solo una lungo, tortuoso, sogno che non terminerà mai.
E smisi di rispondere
A chiunque mi
rimproverò
.
Inseguendo Mirò
Cominciai a non rispondere più. Neanche a me stesso. Raggomitolato in sogni diurni figli di un malessere appena percettibile, una formica su una foglia. Senza avere contatti, prendere le mani e non sentire più nulla. Forse un solo capolinea dove gettai me stesso alla mercé di qualcosa di indefinibile. A tratti paura. A volte angoscia.
Passai le giornate in meditazione cercando di annullare anche il respiro, nutrendomi delle sole molecole d’aria che riuscivano ad attraversare la bolla di solitudine rocciosa che avevo erto intorno a me.
E mi fu dolce il passare delle ore, ormai non più quantificabili. Farsi beffe del tempo e gridare: tu non esisti!
Poi venne la sete. Un’onda molle che fluiva dentro, accarezzandomi, per poi esplodere attraverso gli occhi, in mille gocce di pura bellezza. Spalancai i pori per farne entrare appena un pò. Ma la detestai presto.
Poi venne la fame. Sentii il corpo ribellarsi mille volte finché la lupa non scomparve.
Continuai a meditare senza contare, avevo annullato il tempo. Le pupille spalancate disegnavano nell’aria fredda del mattino una lunga linea nera che definiva i contorni dei desideri di una vita.
Quella volta che immaginai di volare ma non avevo le ali. La linea nera girò repentinamente su se stessa definendo uno spazio blu. E ricordai quella volta che imparai a saltare ma solo di un metro. Avrei voluto saltarne dieci o venti o addirittura percorrere un chilometro con un balzo. Allora la linea nera definì uno spazio arancione.
Un giorno pensai quanto sarebbe bello riuscire ad amare. Non lo feci mai. E la linea nera divenne sempre più marcata fino ad essere lo spazio nero del ricordo.
Il cielo era un’enorme tela da dipingere con cose che avrei voluto possedere, armi per offendere, spade per trafiggere. Tutto divenne color sangue.
All’improvviso il fuoco divorò il pensiero, la luce delle fiamme preannunciò l’avvento della fenice che portava sulle ali il peso della mia inutile esistenza.
Come fu vana e opaca e pregna di oggetti da attaccare al muro come tante statue immobili di duro granito, una vita da non raccontare per quanto fu folle.
Solo adesso capivo, riuscivo a capire, di aver passato il tempo a morire. Ora era il momento di rinascere.
Come una linea infinita, sottile, senza alcun colore. Solo una lungo, tortuoso, sogno che non terminerà mai.
E smisi di rispondere
A chiunque mi
rimproverò
.