[MI 151] Come mosto d'autunno

1
Traccia di mezzogiorno
palindromo
Sopra il tavolo della stanza di servizio il sergente maggiore Alessandro Beneiras mise la sua pistola d’ordinanza, estraendola dalla fondina di canapa e staccandola dal correggiolo appeso al collo.
-Finirà tutto molto presto- pensava.
Perché doveva finire così? Sapeva che si sarebbe distratto, che i pensieri lo avrebbero avvolto facendogli male. Ma la notte era giovane come dice l’allegria della vita, aveva appena eseguito il cambio della guardia e l’ispezione. Nessuno lo avrebbe disturbato fino alla sveglia, era solo. Ma era sempre stato solo. Avvicinò la pistola sotto il mento. Bella, nera, lucida, perfettamente oliata, inspirò a occhi chiusi l’odore del solvente, inebriante come il mosto in autunno. Doveva solo premere il grilletto. Rimise l’arma sul tavolo. Passò il dito sul manico zigrinato, piacevole al tatto. Lesse in un angolo la scritta: 1937 – XV E.F.
La guerra era finita da settanta anni, ma il loro scalcinato esercito aveva ancora quelle vecchie pistole, chissà a chi era appartenuta la sua, chissà quanto aveva sparato, forse ucciso. Ma certo non aveva ucciso chi la possedeva. Dicevano che c’era sempre una prima volta: le chiacchiere al caffè, al dopopranzo, il fumo della sala biliardo, l’angolo dei giornali…
Dalla finestra della sua stanza entrava una luce gialla, quella dell’androne che dava al corpo di guardia. Rumori attutiti dalla notte, gracidare di rane, il canto di un cuculo. Era indeciso se aspettare il prossimo cambio; i soldati insonnoliti con in bocca il gusto del caffè che si sarebbero preparati a rilevare i loro colleghi avrebbero sentito il colpo, si sarebbero precipitati da lui; forse avrebbe fatto in tempo a vederne qualcuno attraverso la nebbia della morte. Forse.
Ci teneva? Aveva paura, voleva calore umano? Nostalgia? Di cosa? Sarebbe stato lo stesso se fosse rimasto a casa a zappare nella sua isola di pietra e di mare anziché venire a morire ai confini d’Italia? Era sudato nonostante fosse inverno. Si allentò il fazzoletto al collo, con i colori neri e viola del suo battaglione. Guardò la bottiglia d’acqua. Bevve con avida disperazione. E acqua gli venne in mente, non solo del suo mare lontano ma di quella palude vicina a Venezia, intorno a quell’isolotto di conchiglie bianche dove andavano a sparare… Quanto era bello quel posto però, anche se non c’era niente, solo colline di conchiglie che odoravano di sole. Non era un pittore, avrebbe voluto esserlo, come tante altre cose in cui non era riuscito, ma aveva guardato con stupore tutte quelle divise verdi sopra il bianco delle conchiglie, una strana voluttà nel sentirne il crocchiare sotto gli scarponi e poi… E poi che bisogno c’era di aiutare Martinat ad attraversare quel piccolo guado?
Martinat, che lavorava con lui nel magazzino vestiario, che non vedeva l’ora di tornare a casa, che non capiva perché si trovava in divisa e che nonostante tutto rideva ancora come un bambino.
Era bello parlare con lui, anche in quello stanzone dalle pareti bianche piene di impronte di scarponi, calci dati con rabbia da generazioni di soldati in mezzo a montagne di coperte e alla puzza di naftalina.
Poi Martinat si era fatto degli amici. Ma andava bene. Poi era passato ai colleghi di Alessandro Beneiras e questo non andava bene. La mattina tornava con le occhiaie e Alessandro sapeva perché, non riusciva a dormire al pensiero e provava fastidio nel sentire i consigli di qualche collega anziano che gli diceva ridendo sotto i baffi di farsi una vita fuori dalla caserma.
Ma Alessandro non ci riusciva, non poteva, forse non voleva. Aveva paura e allo stesso tempo era affascinato all’idea che quella caserma in mezzo ai campi di granoturco, ai lati d’Italia, fosse diventata il suo mondo per sempre e che per lui ci fosse un solo modo per lasciarla. Quando Alessandro aveva visto il sergente maggiore Deneis attraversare il guado dell’isola delle conchiglie mettendosi a cavalcioni Martinat, quando li aveva visti ridere tutti e due di gioia senza nemmeno guardarlo mentre passavano, allora si era convinto che non sarebbe mai stato felice, che era in più nel mondo, incapace, oggetto di fastidio; che il regno dell’ordine dove lavorava, lo stanzone imbiancato a calce con l’odore di naftalina non era un mondo piacevole.
Poi aveva trovato Martinat che fumava con altri soldati, nascosti dietro i rottami di un barchino arrugginito. Fumavano e ridevano in quell’odore di incenso che sprigiona l’hashish. Alessandro guardava Martinat, come a chiedergli perché. Ed era comparso Deneis, che fumava anche lui.
-Gliel’ho fatta io la sigaretta- aveva detto con un ghigno cattivo. –Volevi essere tu a farla?- Poi si era avvicinato ad Alessandro e soffiandogli fumo nell’orecchio aveva sussurrato
-E volevi essere tu a mischiare la tua saliva con la sua? Perché non lo hai fatto tu?- E rideva. Ed era perfetto, assolutamente perfetto e l’unico fuori posto, fuori del mondo era lui, Alessandro Beneiras.
Non si poteva risolvere. O forse si, ma in quel mondo circoscritto sarebbe scoppiato il caos. Alessandro non amava, temeva il caos. Era ancora giovane, era scapolo, poteva dare le dimissioni, andarsene all’altro capo del mondo… Ma le rate da pagare, i debiti non tanto suoi ma della famiglia, come fare? No, abbandonare tutto no, per così poco poi? Avrebbe avuto un altro soldato magazziniere, qualcuno con cui passare le sue giornate, parlare, sorridere, sognare e forse… Forse l’inimmaginabile che tormentava i giorni e le notti insonni di Alessandro. Non succedeva mai, non era mai successo,  ma il pensiero lo manteneva vivo, febbrilmente vivo. Ma era già morto, lo sapeva bene. Il rituale quotidiano di quella maledetta caserma lo teneva in vita, gli diceva cosa fare in ogni momento, tutto era già scritto, dattilografato, firmato e timbrato. In fondo era più comodo vivere così, giorno dopo giorno, sempre uguale. C’era un motivo, un ordine. E il suo tormento.
Però Martinat non lo voleva più nel suo magazzino. Gli avrebbero dato un altro soldato, era naturale con i periodici congedamenti  e avvicendamenti degli scaglioni dei militari di leva. Ma non sarebbe stato lo stesso. Perché? Non voleva confessarlo nemmeno a se stesso il perché, ma Alessandro lo sapeva bene. Si era anche inventato e imposto due regole da un po’ di tempo, che contribuivano a mettere ordine nel tortuoso labirinto della sua mente assetata di vita e piena di disperazione.
Primo: Ricominciare tutto da capo. Sapeva che sarebbe avvenuto anche senza il suo intervento, tutto era già scritto…
Secondo: Non ce la faccio. Semplice. Definitivo.
E l’idea di come andarsene da tutto e da tutti gli venne passando davanti all’armeria, con i forti odori dei solventi per pulire le armi e degli oli per lubrificarle che emanavano un odore stordente, come il mosto d’autunno della sua infanzia perduta. Leggere nebbie che avvolgevano le case fino al mare, rumori ovattati nel mattino, salite di strade di pietra del suo paese, odori di fumo dai camini, risate di uomini e donne felici.
Ritornare al mosto d’autunno.
Ultima modifica di Alberto Tosciri il dom mag 23, 2021 8:55 pm, modificato 1 volta in totale.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

3
Ciao @Alberto Tosciri, racconto che sembra vita vissuta, e lo intendo come il miglior complimento che si possa fare. Si percepisce tutto, dalla gelosia di Beneiras, alla cattiveria gratuita di Deneis, alla leggerezza di Martinat. Si percepiscono gli odori e si vedono le scene.
Ti segnalo solo una ripetizione, facile da aggiustare:
Alberto Tosciri ha scritto: E l’idea di come andarsene da tutto e da tutti gli venne passando davanti all’armeria, con i forti odori dei solventi per pulire le armi e degli oli per lubrificarle che emanavano un odore stordente, come il mosto d’autunno della sua infanzia perduta. Leggere nebbie che avvolgevano le case fino al mare, rumori ovattati nel mattino, salite di strade di pietra del suo paese, odori di fumo dai camini, risate di uomini e donne felici.
E forse il tema fine/inizio è un po' nascosto tra le righe.
Per il resto solo complimenti! :D 

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

4
Ciao @Alberto Tosciri, davvero un piacere leggerti! Il tuo racconto mi è sembrato...vivo. Come ha detto Shinobi qui su, si percepiscono gli odori, le scene sono chiare, i personaggi ben definiti, e non ho avuto nessuna difficoltà a immaginarmi le scene. Mi è piaciuta molto la scena iniziale della pistola, ho avuto modo di osservare da vicino parecchi militari, armati e non, e quelle prime parole che hai scritto mi hanno fatto tornare in mente loro, non so perchè.

Davvero un bel racconto, che ritrae una sensibilità, la tua, davvero preziosa. Non è molto chiaro il tema fine/inizio della traccia del MI, ma non per questo il racconto è scritto male, anzi.

Ci si legge in giro, complimenti! :)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

5
Ciao @Shinobi 
E grazie per l’apprezzamento.
Shinobi ha scritto: racconto che sembra vita vissuta
La vita è come un labirinto. Per uscirne devi passare in mille sentieri… Non è facile e non sempre ci riesci.
Shinobi ha scritto: Shinobiforse il tema fine/inizio è un po' nascosto tra le righe.
In effetti all’inizio (fine) e alla fine (inizio) non specifico se il grilletto viene premuto. Sempre auspicabile un ripensamento.
 
Ciao @Olafr (scusa, non riesco a taggarti)     
Grazie tante anche a te.
Ólafr ha scritto: Mi è piaciuta molto la scena iniziale della pistola, ho avuto modo di osservare da vicino parecchi militari, armati e non, e quelle prime parole che hai scritto mi hanno fatto tornare in mente loro, non so perchè.
Beh mi fa piacere che hai visto e ricordato immagini di militari.
Forse non ho passato invano la mia vita nell’Esercito allora… ;)
La sensibilità che hai visto in me più che altro sono ricordi. Forse romanzati, ma non più di tanto. Ricordi di altri tempi e altre vite in mezzo alle quali c’ero anche io.




Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

7
Alberto Tosciri ha scritto:
Si era anche inventato e imposto due regole da un po’ di tempo, che contribuivano a mettere ordine nel tortuoso labirinto della sua mente assetata di vita e piena di disperazione.
Primo: Ricominciare tutto da capo. Sapeva che sarebbe avvenuto anche senza il suo intervento, tutto era già scritto…
Secondo: Non ce la faccio. Semplice. Definitivo.
Perché imporsi due regole in contraddizione tra di loro? Per loro natura, le regole si danno (o ce le diamo) per essere seguite tutte o alcune, ma senza presentare mai conflitti tipo: o segui una o segui l'altra. Come qui.
Forse potevi scrivere:
- Si era dato da tempo due alternative: ecc ecc
Alberto Tosciri ha scritto:
E l’idea di come andarsene da tutto e da tutti gli venne passando davanti all’armeria, con i forti odori dei solventi per pulire le armi e degli oli per lubrificarle che emanavano un odore stordente, come il mosto d’autunno della sua infanzia perduta. Leggere nebbie che avvolgevano le case fino al mare, rumori ovattati nel mattino, salite di strade di pietra del suo paese, odori di fumo dai camini, risate di uomini e donne felici.
Ritornare al mosto d’autunno.
Bellissima chiusa!

Caro @Alberto Tosciri  :) 

Hai scelto di nuovo il tuo protagonista in un ambiente di caserma, e del tipo di cui preferisci trattare: emarginato, solo, con i ricordi più belli così lontani come gli odori dell'infanzia perduta.

La tua super penna non perde mai lo smalto  l'inchiostro.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

8
Ciao @Loscrittoreincolore 
Grazie del tuo gradimento e delle tue parole, mi hanno fatto piacere.
 
Ciao @Poeta Zaza 
Grazie per il tuo gradito commento.
Poeta Zaza ha scritto: Perché imporsi due regole in contraddizione tra di loro? Per loro natura, le regole si danno (o ce le diamo) per essere seguite tutte o alcune, ma senza presentare mai conflitti tipo: o segui una o segui l'altra. Come qui.
Si giusto. Ma il protagonista nella sua condizione mentale non voleva imporsi regole che avessero un criterio logico. La logica gli diceva di ricominciare daccapo. Ma intimamente sapeva già che si sarebbe risposto che era impossibile.
Ho scelto un militare come personaggio non tanto perché ho dimestichezza con quel mondo ma perché una storia del genere avrei faticato ad ambientarla che so, in un ufficio, in un market… Avevo bisogno di un ambiente chiuso, dove possono sorgere conflitti come quello che ho narrato. Avrei anche potuto ambientare in un monastero di clausura, ma avevo già scritto nel WD qualcosa del genere. Rimaneva il carcere, già scritto anche su quel posto.
Gira e rigira vado sempre a sbattere nelle caserme, ma giuro di limitare in futuro perché alla lunga può stancare.
Il fatto è che nell’ambiente delle città di oggi non mi viene in mente di scrivere nulla, il vuoto totale. Un ambiente chiuso, arcaico, ottuso offre molti più spunti per me.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

9
Alberto Tosciri ha scritto:
Forse non ho passato invano la mia vita nell’Esercito allora… ;)
La sensibilità che hai visto in me più che altro sono ricordi. Forse romanzati, ma non più di tanto. Ricordi di altri tempi e altre vite in mezzo alle quali c’ero anche io.
I ricordi sono davvero una fonte preziosissima per la scrittura, perchè come dicevo sopra rendono il tutto molto più "vero". Ho riletto il tuo racconto oggi pomeriggio, e ti rinnovo i complimenti.

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

10
Ólafr ha scritto: I ricordi sono davvero una fonte preziosissima per la scrittura, perchè come dicevo sopra rendono il tutto molto più "vero". Ho riletto il tuo racconto oggi pomeriggio, e ti rinnovo i complimenti.
Grazie ancora per il tuo intervento.
Lo diceva anche Hemingway; secondo lui bisognava scrivere solo di ciò che si era vissuto. Ma non tutti potevano, come lui, aver partecipato a 1^ e 2^ Guerra Mondiale, guerra Civile in Spagna nonché assistito a innumerevoli corride,  partecipato a safari in Africa, battute di pesca... Un bel passato da rievocare e lo fece magistralmente.
Il mio passato militare, a parte alcuni periodi  davvero drammatici è stato relativamente ordinario.
Con la tendenza a idealizzare sempre anche i momenti più quotidiani. 
Ti lascio il trailer, molto breve, di un film che ho amato molto, tratto da un libro per me impareggiabile, Il deserto dei Tartari, di Buzzati. Buzzati aveva anche lui esperienza militare, era stato ufficiale in guerra e sapeva costruire bene le atmosfere. Scrisse anche racconti di ambientazione militare.
Nella fortezza Bastiani non ci voleva andare nessuno perché isolata e perché non accadeva mai nulla. 
Ma poi una volta lì nessuno avrebbe voluto lasciarla...
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

11
@Alberto Tosciri 
Ho imparato a riconoscere il tuo stile e, come sempre, ad apprezzarlo.
Penso che tu abbia una capacità vivifica di far vedere gli ambienti e le atmosfere. Non so perché, ma mi fai venire sempre in mente enormi stanze bianche e vuote, abbagliate da un sole traverso e dall'odor di polvere secca (son strano lo so).
Per tutto questo, il racconto mi piace assai, ma devo dire: moltissimo la prima parte e il finale e "solo" molto ove esprimi le relazioni tra i protagonisti, un po' involute, quasi timorose della loro potenziale energia (son strano 2, lo so).

E' necessario esplicitarti i miei complimenti? 
Sì, certo: complimenti.

Ci si incrocia a piè sospinto!

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

12
Sai, @Alberto Tosciri,  il mondo dei maschi è sempre un mistero per me. Non riuscirei mai a scrivere di loro in un contesto dove le donne, per forza di cose, non siano presenti. Nel film "Il nome della rosa" tratto dal libro di U. Eco ho provato la stessa sensazione. Qualcosa, particolari invisibili e ignoti mi si celano, certo, forse succede soltanto perché io sono femmina, ma ti giuro che vorrei percepire i sentimente di Alessandro, leggendo il tuo bellissimo racconto con gli occhi di un uomo. Sento che mi perdo i brividi che gli passano sotto i peli degli avambracci, i lampi gelosi nelle sue iridi. Io, con lo sguardo di donna non posso che immaginare, ma non credo sia la stessa cosa. Coglierei forse, una potenza diversa, dell'amore? della solitudine? Della paura, ecc. ? Io penso di si. Ma è intrigante sapere che non potrò mai saperlo.
Bellissimo racconto, come sempre offri storie originali. Il titolo è un piccolo capolavoro:  l'odore  del mosto d'autunno è la chiave di questo racconto. Io adoro i titoli studiati e messi a punto per integrare il testo.  Hai fatto un lavoro superbo, complimenti! :flower:

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

14
@Alba359 non sono Alberto e non posso parlare per lui, ma non credo il punto sia proprio l'essere uomo o donna, quanto l'aver vissuto una relazione che fosse speciale per te, ma meno per l'altra persona, che comunque non desiderava ferirti, e per questo, e per carattere, non cercare di imporsi e tenersi tutto dentro in modo autolesionistico. Per me è stato questo punto che ha reso l'immagine così vivida e piuttosto commovente.

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

15
@Shinobi  ciao.
Io non volevo sottolineare nessun punto.
La tua risposta mi sorprende, non capisco.
Quello che volevo comunicare è che le emozioni viste attraverso occhi diversi acquistano o perdono intensità secondo la pelle. Il racconto di Alberto è talmente bello che non vorrei aver  perso nulla di quello che riesce a trasmettere. Era più una riflessione la mia. Sono femmina, e mi domando: posso davvero cogliere per intero il dramma di Alessandro? Un suicida è un suicida, sia che sia maschio o femmina. Ma cos'è che non conosco dei tormenti di un uomo? Di un militare, del suo mondo e del duo modo di vederlo? Io posso solo immaginarlo da donna e sono consapevole che mi perdo un po' della bellezza di wuesto racconto. 

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

17
Ciao @Alberto Tosciri
Credo di averti manifestato più volte l’apprezzamento per lo stile. Questo racconto è un esempio mirabile delle tue indiscusse capacità. Atmosfera, sensazioni tattili, odori, emozioni si fondono. Prendi per mano il lettore e lo trasporti nel tuo mondo.
Un mondo tanto distante dal mio, ma che, nonostante ciò, riesco a percepire vividamente.
Difficile entrare nella testa di un suicida, comprendere quel “click” che fa scattare il pulsante dell’auto distruzione. C’è una folle lucidità nel tuo protagonista che forse aveva questo proposito in testa già da tempo. La miccia era pronta, mancava la scintilla ed ecco che entra in gioco quello speciale profumo del “mosto d’autunno”. 

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

18
Ma grazie @L'illusoillusore  :)
L ha scritto: Penso che tu abbia una capacità vivifica di far vedere gli ambienti e le atmosfere. Non so perché, ma mi fai venire sempre in mente enormi stanze bianche e vuote, abbagliate da un sole traverso e dall'odor di polvere secca (son strano lo so).
Bella suggestione questa della enorme stanza bianca, non ci crederai ma già vissuta realmente, per me niente di strano: erano enormi camerate dove alloggiavano truppe in caserme di addestramento in località sperdute e isolate, molto comuni dalle mie parti e misconosciute ai più. Le ho viste e vissute tante volte e non ti dico le storie che se ne potrebbero ricavare... Storie di umanità composita incredibili. Ma all'epoca non scrivevo, archiviavo vedute e particolari nella mia mente. 
L ha scritto: esprimi le relazioni tra i protagonisti, un po' involute, quasi timorose della loro potenziale energia (son strano 2, lo so).
 Non sei strano. Al più ho difettato io nel non poter approfondire i pensieri dei vari protagonisti. Non c'era spazio per un romanzo Ciao e grazie ancora per l'apprezzamento!  :)


Ciao @Alba359  grazie per il bellissimo e struggente commento... 
Io penso che i meravigliosi mondi degli uomini e delle donne siano solo parzialmente esplorati da entrambi, non è possibile sapere tutto, non tanto per consuetudini e tradizioni ma proprio per i misteri stessi della Natura che nessun essere umano può approfondire oppure accomunare in un tutto unico come si sta facendo oggi nel mondo... operazione alquanto innaturale a mio modesto parere, perché snatura l'anima. Ma questo è un altro discorso. 
Hai citato il nome della Rosa come esempio di universo maschile misterioso e condivido: ho ancora la prima edizione del libro che uscì negli anni Ottanta, letta e riletta non so quante volte e idem per il film, visto e rivisto tanto che lo conosco a memoria. Figurati cha tanti anni fa, quando mi iscrissi al WD avevo come avatar il personaggio di Adso. Mi commuoveva la sua scelta di vita definitiva, irrevocabile nonostante le tentazioni. 
Ti metto  quella scena, ma la conoscerai senz'altro benissimo, giusto per creare un po' di atmosfera... metto spesso trailer di film a significare momenti particolari, quasi un sostituto della scrittura, come se fosse un dialogo...

 
Alba359 ha scritto: Sento che mi perdo i brividi che gli passano sotto i peli degli avambracci, i lampi gelosi nelle sue iridi. Io, con lo sguardo di donna non posso che immaginare, ma non credo sia la stessa cosa. Coglierei forse, una potenza diversa, dell'amore? della solitudine? Della paura, ecc. ? Io penso di si. Ma è intrigante sapere che non potrò mai saperlo.
Se seguo il mio istinto sto fino a sera scrivendo risposte... Alessandro è molto complesso. Come ho detto a @L'illusoillusore  lo avrei dovuto approfondire, ma non c'era spazio. Non c'è mai spazio per tutto quello che voglio dire... Ma non pensare che per il fatto di essere donna non puoi immaginare la psicologia, il comportamento di un uomo. Lo fece magistralmente,  con toni scarni e austeri una scrittrice sarda sconosciuta, Grazia Deledda, che vinse il Nobel della letteratura nel 1926 (e aveva studiato solo fino alla quinta elementare). Scrisse innumerevoli romanzi e novelle, quasi tutte di ambientazione sarda, dove assieme a personaggi femminili memorabili descrive personaggi maschili in modo straordinario, nell'introspezione, nei comportamenti, nelle esigenze istintive degli uomini. Spesso vi faccio riferimento in qualcosa che scrivo. 
Alba359 ha scritto: offri storie originali. Il titolo è un piccolo capolavoro:  l'odore  del mosto d'autunno è la chiave di questo racconto. Io adoro i titoli studiati e messi a punto per integrare il testo. 
Ritengo i titoli qualcosa di molto importante: un anticipo di atmosfera. Spesso i titoli scaturiscono da frasi particolari del testo che hanno o dovrebbero avere una particolare rilevanza. Ti ringrazio per i tuoi complimenti che mi hanno fatto molto piacere. 
@Monica ha scritto: Credo di averti manifestato più volte l’apprezzamento per lo stile.
Ti ringrazio, mi metti in imbarazzo... Sono contento se hai percepito un mondo, un'ambientazione diversi dal tuo. In fondo questo dovrebbe anche essere, assieme ad altre qualità, il compito di chi scrive qualcosa. Il "mosto d'autunno" può essere certamente la molla che fa scattare il tutto. Come i biscottini di Proust nella sua Recherche... Ti ringrazio ancora  :)
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

19
ciao @Alberto Tosciri . Io che a cinque anni ero già un soldatino non ho problemi a mandar giù questa tua storia, senza afferrare tutte quelle situazioni che si provano dentro a una caserma. Pochi lo sanno , ma la caserma è uno dei luoghi di lavoro più deprimenti in assoluto. Pochi sanno dell'elevato numero di suicidi tra i militari. Quando il servizio militare era obbligatorio, molti ragazzi ne uscivano profondamente cambiati. Oggi, per fortuna, ci si và solo come volontari e si diventa di professione. A parte il tema che hai toccato, noto il tuo bel scorrere narrativo che cattura. Forse la trama non è delle più belle o intriganti, però va bene così. Condivido pure la questione posta dagli amici sopra sulla fine/ inizio, mi pare troppo morbido il capovolgimento temporale. Ciao Alberto...365 giorni all'alba... :D
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

20
ciao @bestseller2020 
bestseller2020 ha scritto: Io che a cinque anni ero già un soldatino non ho problemi a mandar giù questa tua storia, senza afferrare tutte quelle situazioni che si provano dentro a una caserma.
Non so cosa intendi ma allora ero anche io un soldatino: da bambino vedevo divise tutti i giorni, da mio padre in poi. Vivevo in una caserma Carabinieri. 
bestseller2020 ha scritto: Pochi lo sanno , ma la caserma è uno dei luoghi di lavoro più deprimenti in assoluto. Pochi sanno dell'elevato numero di suicidi tra i militari. Quando il servizio militare era obbligatorio, molti ragazzi ne uscivano profondamente cambiati.
Lo so bene. Anzi: molto bene. Ho avuto a che fare con ragazzi che non ce la facevano e alcuni se ne sono voluti andare nel peggiore dei modi purtroppo. 
In quanto alla depressione, certamente è un ambiente diverso dalla vita esterna, ma non uno dei peggiori. Dipende dalla maturità delle persone, dalla capacità di adattamento, dalla comprensione per  quel compito. Ai tempi della leva non tutti lo capivano. Per chi non ne voleva sapere ogni giorno era un inferno, sia per lui sia per chi doveva controllarlo. 

Prova però a vedere su FB le innumerevoli pagine di ex militari di leva degli anni Settanta e Ottanta. Dico leva. Oggi sono sulla sessantina e tutti parlano con grande nostalgia di quei tempi, postano moltitudini di foto di quando erano in uniforme, rievocano episodi e provano nostalgia addirittura per i superiori che all'epoca apparivano più duri... Fanno raduni e visitano le loro vecchie caserme, molte dismesse e abbandonate, ci entrano, le filmano, ci sono filmati, e provano addirittura dispiacere per quelle mura ormai fatiscenti.  Incide molto che all'epoca avevano 18, 19, 20 anni, certamente. Ma si adattavano. Non è un concetto difficile. È implicito nella natura umana adattarsi a condizioni anche avverse.
E poi ci sono ragazzi che si suicidano anche fuori  senza nemmeno sapere cosa sia una divisa mi pare e senza che nessuno gli abbia tolto tutte le cose belle ed essenziali della loro vita: cellulari,  comodità, le ragazze e le abitudini varie, oggi alquanto limitate da cause di forza maggiore.
 Mi pare che si suicidino anche fuori però, stando alle cronache dei giornali locali.
Cosa li ha depressi? Il male di vivere non ha confini purtroppo.

Io ero di "carriera" come si dice fra il vago sfottò, ma non un "firmaiolo". Non dovevo nemmeno andare di leva, in quanto congedato a casa per soprannumero. Mi arruolai come allievo sottufficiale e feci un corso durissimo di un anno solo per diventare sergente e da lì iniziare. Anche lì c'erano degli insofferenti a tutto e venivano subito buttati fuori dalla scuola dicendo loro che nessuno li aveva chiamati.
Se c'era scritto nelle aule e nelle camerate "vietato fumare" non dovevi fumare e basta. Senza porti problemi esistenziali o che qualcuno ti limitava la libertà. Fumavi  fuori e allo spaccio. Era così semplice che alcuni non lo capivano e sbraitavano. Ne ho visti diversi sbattuti fuori per motivi idioti anche inferiori a questo...
Uh... quanto potrei parlare, al limite del logorroico e grazie alla mia velocità nel battere sui tasti... :D

Ti ringrazio per aver apprezzato, condivido che la trama non è avvincente, ho scritto anche di peggio: Riflessioni e fantasie di un soldato di guardia a una tramoggia per rifiuti da cucina dentro una caserma...
Che poi ero io da ragazzo che per passare le due ore di notte mi imbarcavo sulla fantasia trasfigurando tutti gli squallidi particolari di un cortile...  :D Quasi quasi lo riscrivo... :D

Capovolgimento temporale morbido ok. Ma potrei disquisirne sottilmente... Comunque accetto tutto.

L'alba. Io non la volevo vedere l'alba. Guarda  in che  razza di società viviamo... Ti sembra un'alba?  :D

A no si biri :D
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

21
Che bello anche questo racconto. Quando ti leggo mi sembra di leggere un libro e poi rimango dispiaciuta a chiedermi cos'altro accade ai tuoi personaggi. Anche questo mi sembra lo stralcio di un libro, mi fa dimenticare il contest, la traccia e tutto il resto. Ti trovo su questo forum ma potrei trovarti in libreria. Bello, bello. Bello.
"Fare o non fare, non c'è provare." Yoda - Star Wars

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

23
Un racconto intimista nel quale si colgono le atmosfere del romanzo di Buzzati, da te citato. Concordo, bellissimo.
Si percepisce il vissuto, e chi meglio può trasmettere le sensazioni provate sulla propria pelle? Ti invito, dal mio punto di vista, a non abbandonare il raccontare di situazioni, anche se pensi di averlo fatto abbastanza, legate alla propria esperienza di vita; perché ogni volta possono essere arricchite, snocciolate, impreziosite di particolari che non si finisce mai di trasmettere. E questa è una risorsa.
Bel pezzo.
A rileggerti @Alberto Tosciri

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

24
Grazie @Kasimiro 
Mi piace l'accostamento con Buzzati, ho letto quasi tutto di lui, mi piace il suo stile e le sue ambientazioni.
Ho la tendenza, non sempre positiva forse dal punto di vista letterario, di utilizzare le tracce degli MI e anche dei Lampi di poesia per trasformarle in qualcosa di vagamente o marcatamente "casermesco", stante le mie esperienze nelle quali a mio parere e per esperienza vissuta anche in un ambiente chiuso si possono rappresentare tutte le bellezze ma anche tutti i drammi della vita.
Penso che si possa adattare tutto e riportare anche in altri specifici contesti, dovrei fare delle prove, nel passato le ho fatte, devo sforzarmi di più.
Grazie ancora per le belle parole.
Ciao.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 151] Come mosto d'autunno

25
oh madonna santa, @Alberto Tosciri , ho i brividi. Porca miseria... cos'è un racconto perfetto? Alberto Tosciri quando non fa il brontolo ma si lascia guardare in petto. Racconto bellissimo, emozionante in più punti. Traccia rispettata, ma che te lo dico a fare. Scrittura... vabbé, che te lo dico a fare. Ora mi metti in difficoltà perché dovrò fare fuori dalla terna un racconto bellissimo, ma questo è il più bello di tutti


P.s. Hai commesso un'ingenuità: 
Alberto Tosciri ha scritto: ai lati d'Italia
per quanto raffinatissima, l'espressione palindroma non soddisfa la boa, che chiedeva una parola all'incontrario (va bene anche palindroma). Ti salvi in corner perché qualche "non" pure l'hai scritto, e tanto basta: era una boa impossibile da lisciare, in realtà. ;-)
Scrittore maledetto due volte
Rispondi

Torna a “Racconti”