Racconto a tinte giallo cadavere
Posted: Thu May 13, 2021 12:19 pm
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Racconto a tinte giallo cadavere
Carlo e la sua sottomissione. Ogni giornata poteva essere l’ultimo apostrofo. Di un racconto a tinte giallo cadavere. Come ogni insetto che considerasse casa un qualsiasi accumulo di spazzatura. Ma non tutti gli uomini sono nati soli.
Aveva avuto le sue occasioni, con una moglie. A cui non aveva mai voluto bene e di questo ringraziava se stesso. Un monolite.
Giada era stata la sua compagna di scuola, solo questo. Era nata per insegnare e cercava di farlo sempre. Anche con lui. Si erano sposati in un giorno di troppo sole e questo poteva costituire un indizio di una vita in comune, troppo vita.
I primi giorni furono dolori senza gioie, a cominciare dal pasto del mattino. Abbondante per lui, reciso per lei. Fondute di nulla in oceani di insalate magre che lui aborriva. Ma Carlo ci credeva e posticipava. Pensava nei momenti di solitudine. Rari. Quegli attimi in cui lei decideva di uscire, lasciandolo con una lista fitta di cose da fare. Ormai la casa dipendeva da lui. Era ciò che avevano deciso tempo prima. Lei con il suo lavoro da insegnante e lui fermo, a badare alla casa.
Certo, il sussidio di infermità mentale faceva comodo a entrambi. Costituiva una rendita sicura a cui lui non aveva mai attinto. Salvo a Natale, quando lei gli prometteva un regalo, modesto, che puntualmente si trasformava nell’ennesimo maglione di lana comprato durante una svendita estiva al centro commerciale. Molto utile per chi non usciva mai di casa.
L’ultimo dicembre, Carlo riuscì ad alzare la voce. Aveva sempre desiderato un telescopio, da piccolo. Gli fu negato dalla madre e più volte dalla moglie. Fino a che decise di fare lo sciopero della fame finché non gli fosse stato concesso.
Ottenne il desiderato. Fu felice, miseramente. Gli sguardi di sufficienza della moglie che gli chiedeva cosa se ne poteva mai fare un ritardato mentale di un simile attrezzo. Concludendo che, visto il costo notevole, gli sarebbe bastato per due o tre natali consecutivi.
Carlo fu contentissimo del regalo. In effetti non gli servì mai per rimirare le stelle. Ma per fantasticare su come fosse mai fatta una donna al di sotto dei vestiti che indossava. Non ne aveva mai vista una, dal vivo s’intende. Perché sul web poteva trovare di tutto e soddisfare le curiosità più spinte. Giada si spogliava in bagno. Poi si ficcava a letto col pigiama, anche d’estate e non si faceva sfiorare dal marito, mai. Così la curiosità crebbe in lui. Cominciò ad osservare la gente in strada col suo telescopio meraviglioso. Adorava fantasticare sulle forme delle donne che vedeva, immaginando che tutte si muovessero al ritmo di una filastrocca che risuonava nella sua testa da quando era nato. Dalla finestra vedeva tutte le forme che voleva, che danzavano sotto i suoi occhi come tante fiammelle. E la cosa gli piaceva fino a ridere a crepapelle quando gli occhi si soffermavano su quelle vestite in modo stravagante. E si convinceva di non essere l’unico ritardato. Forse il solo a passare il tempo alla finestra a guardare il mondo attraverso la lente di un telescopio. La filastrocca andava e diveniva sempre più frenetica man mano che passavano le ore. Solo in un’occasione rallentò. Vide la ragazza bellissima, attraversare la strada. I capelli lunghi, il viso dolce e quella stupenda gonna gialla che le svolazzava intorno, perfettamente a tempo con la musica che aveva in testa. E continuò a vederla ogni giorno alle dieci del mattino. Attraversare la solita strada vestita in modo sempre diverso. Ma a lui piaceva la gonna gialla. Perché in quel momento la musica rallentava fino a sparire del tutto. Carlo era veramente felice quando succedeva. Dimenticava chi era e si trasformava nel principe azzurro delle favole. E lei era la sua principessa con la gonna gialla. Giorno dopo giorno, mattina dopo mattina. All’infinito.
Un martedì principessa non passò. Per tutto il giorno. Neanche in quelli successivi. Carlo impazzì di dolore. Immaginò mille motivi che l’avevano spinta lontano da lui. Pensò anche al vento o alla pioggia o a mille altre possibilità. Alla fine concluse, dopo un mese in cui la musica era tornata prepotentemente a fargli male, che la principessa era morta. Come nelle favole.
Decise di raggiungerla. Ormai nulla poteva avere più senso. Neanche continuare a vivere nell’infelicità più completa.
Attese il ritorno di Giada, come tutti i giorni. Le preparò la cena al meglio che poteva e fu carinissimo per tutto il tempo. Anche quando lei non finiva di disprezzarlo e di urlargli contro per ogni cosa. Sembrava che Carlo fosse il responsabile della notte e del giorno, della luce e del buio.
Giada si mise a dormire alle undici, come d’abitudine. Carlo attese che la moglie si addormentasse e, verso mezzanotte, prese il cuscino e la soffocò.
Fu soddisfatto di se stesso e la musica nella sua testa rallentò di colpo. Spogliò Giada riuscendo a vedere, per la prima volta, come era fatta sotto i vestiti. La musica divenne ancora più leggera. Trovò una maglietta gialla nel guardaroba e gliela adagiò sulle gambe. Poi si sdraiò accanto alla principessa e chiuse gli occhi, felice di averla ritrovata.
E la musica terminò.
Racconto a tinte giallo cadavere
Carlo e la sua sottomissione. Ogni giornata poteva essere l’ultimo apostrofo. Di un racconto a tinte giallo cadavere. Come ogni insetto che considerasse casa un qualsiasi accumulo di spazzatura. Ma non tutti gli uomini sono nati soli.
Aveva avuto le sue occasioni, con una moglie. A cui non aveva mai voluto bene e di questo ringraziava se stesso. Un monolite.
Giada era stata la sua compagna di scuola, solo questo. Era nata per insegnare e cercava di farlo sempre. Anche con lui. Si erano sposati in un giorno di troppo sole e questo poteva costituire un indizio di una vita in comune, troppo vita.
I primi giorni furono dolori senza gioie, a cominciare dal pasto del mattino. Abbondante per lui, reciso per lei. Fondute di nulla in oceani di insalate magre che lui aborriva. Ma Carlo ci credeva e posticipava. Pensava nei momenti di solitudine. Rari. Quegli attimi in cui lei decideva di uscire, lasciandolo con una lista fitta di cose da fare. Ormai la casa dipendeva da lui. Era ciò che avevano deciso tempo prima. Lei con il suo lavoro da insegnante e lui fermo, a badare alla casa.
Certo, il sussidio di infermità mentale faceva comodo a entrambi. Costituiva una rendita sicura a cui lui non aveva mai attinto. Salvo a Natale, quando lei gli prometteva un regalo, modesto, che puntualmente si trasformava nell’ennesimo maglione di lana comprato durante una svendita estiva al centro commerciale. Molto utile per chi non usciva mai di casa.
L’ultimo dicembre, Carlo riuscì ad alzare la voce. Aveva sempre desiderato un telescopio, da piccolo. Gli fu negato dalla madre e più volte dalla moglie. Fino a che decise di fare lo sciopero della fame finché non gli fosse stato concesso.
Ottenne il desiderato. Fu felice, miseramente. Gli sguardi di sufficienza della moglie che gli chiedeva cosa se ne poteva mai fare un ritardato mentale di un simile attrezzo. Concludendo che, visto il costo notevole, gli sarebbe bastato per due o tre natali consecutivi.
Carlo fu contentissimo del regalo. In effetti non gli servì mai per rimirare le stelle. Ma per fantasticare su come fosse mai fatta una donna al di sotto dei vestiti che indossava. Non ne aveva mai vista una, dal vivo s’intende. Perché sul web poteva trovare di tutto e soddisfare le curiosità più spinte. Giada si spogliava in bagno. Poi si ficcava a letto col pigiama, anche d’estate e non si faceva sfiorare dal marito, mai. Così la curiosità crebbe in lui. Cominciò ad osservare la gente in strada col suo telescopio meraviglioso. Adorava fantasticare sulle forme delle donne che vedeva, immaginando che tutte si muovessero al ritmo di una filastrocca che risuonava nella sua testa da quando era nato. Dalla finestra vedeva tutte le forme che voleva, che danzavano sotto i suoi occhi come tante fiammelle. E la cosa gli piaceva fino a ridere a crepapelle quando gli occhi si soffermavano su quelle vestite in modo stravagante. E si convinceva di non essere l’unico ritardato. Forse il solo a passare il tempo alla finestra a guardare il mondo attraverso la lente di un telescopio. La filastrocca andava e diveniva sempre più frenetica man mano che passavano le ore. Solo in un’occasione rallentò. Vide la ragazza bellissima, attraversare la strada. I capelli lunghi, il viso dolce e quella stupenda gonna gialla che le svolazzava intorno, perfettamente a tempo con la musica che aveva in testa. E continuò a vederla ogni giorno alle dieci del mattino. Attraversare la solita strada vestita in modo sempre diverso. Ma a lui piaceva la gonna gialla. Perché in quel momento la musica rallentava fino a sparire del tutto. Carlo era veramente felice quando succedeva. Dimenticava chi era e si trasformava nel principe azzurro delle favole. E lei era la sua principessa con la gonna gialla. Giorno dopo giorno, mattina dopo mattina. All’infinito.
Un martedì principessa non passò. Per tutto il giorno. Neanche in quelli successivi. Carlo impazzì di dolore. Immaginò mille motivi che l’avevano spinta lontano da lui. Pensò anche al vento o alla pioggia o a mille altre possibilità. Alla fine concluse, dopo un mese in cui la musica era tornata prepotentemente a fargli male, che la principessa era morta. Come nelle favole.
Decise di raggiungerla. Ormai nulla poteva avere più senso. Neanche continuare a vivere nell’infelicità più completa.
Attese il ritorno di Giada, come tutti i giorni. Le preparò la cena al meglio che poteva e fu carinissimo per tutto il tempo. Anche quando lei non finiva di disprezzarlo e di urlargli contro per ogni cosa. Sembrava che Carlo fosse il responsabile della notte e del giorno, della luce e del buio.
Giada si mise a dormire alle undici, come d’abitudine. Carlo attese che la moglie si addormentasse e, verso mezzanotte, prese il cuscino e la soffocò.
Fu soddisfatto di se stesso e la musica nella sua testa rallentò di colpo. Spogliò Giada riuscendo a vedere, per la prima volta, come era fatta sotto i vestiti. La musica divenne ancora più leggera. Trovò una maglietta gialla nel guardaroba e gliela adagiò sulle gambe. Poi si sdraiò accanto alla principessa e chiuse gli occhi, felice di averla ritrovata.
E la musica terminò.