[MI145] E tu che ci fai quaggiù?

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Traccia di mezzogiorno

Pettirossi, capinere e scriccioli hanno cominciato a cantare ancora prima del sorgere del sole. Resto qualche minuto in pace sotto alla corteccia marcescente. Quando ho trovato questa tana per la prima volta è stato un banchetto di larve di coleotteri, e da allora a volte attira ancora gustosi onischi.
Quando fuori inizia a far caldo, sporgo la testa e batto un paio di volte le palpebre. I raggi del sole filtrano a macchie sul piccolo prato. Sembra essere sicuro: non percepisco tracce di ricci, gatti, tassi o serpenti. Tra il veleno e la costrizione, i serpenti mi terrorizzano: uno dei miei peggiori incubi è che un colubro lacertino mi divori.
Striscio tra gli steli d’erba e lecco le goccioline di rugiada. Mi fermo in un angolino assolato per scaldare il mio corpo sinuoso. Poi andrò a caccia: non mi dispiacerebbe una limaccia, o qualche lombrico, visto che so scavare. Striscio sotto ai rovi e mi guardo attorno. Vedo una farfalla nera e arancione, con macchioline bianche, ma con quei colori non è il caso di assaggiarla. Più in là c’è una grossa mantide e giro alla larga: non è sicuro chi dei due diventerebbe la preda.
Un fruscio tra gli alberi, una macchia chiara e rapida: i miei muscoli si attivano da soli e scappo. Un’averla mi ha puntato: so che cosa fa alle sue prede, e non ci tengo a lasciarmi infilzare su un ramo. Mi nascondo in una crepa ai piedi di una parete rocciosa e vado più a fondo che posso. È buio qui, perciò non vedo la voragine: cado, scivolo, rotolo giù; cerco di salire, ma ogni movimento mi spinge sempre più nell’abisso.
Ci metto un po’ a realizzare che la caduta si è fermata e che miracolosamente non ho nulla di rotto. Una lama di sole penetra da un punto lontanissimo, in alto. La grotta è ampia e umida, attraversata da un vento fresco. L’uscita non dev’essere lontana, perciò mi rimetto in movimento. Quaggiù è silenzioso e ci vedo poco o nulla.
Striscio tra rocce nude, muschi e fango; salgo, scendo, avanzo senza sosta, e finisco per perdermi. Non avevo idea esistesse un posto così grande e intricato. C’è poco da mangiare qua sotto, e il poco che c’è è troppo in alto: zanzaroni, scorpioni, chiocciole. Mi fermo a guardare una chiocciola con le cornine fuori dalla conchiglia.
Sento pesanti passi da lontano e vado a nascondermi dietro a una roccia; non conosco l’ambiente, ma dovrei essere al sicuro qui. Capisco subito l’errore: l’enorme mostro arriva e punta la luce crudele contro di me.
Si abbassa, goffo, e allora tento il tutto per tutto: sgattaiolo tra le sue tozze gambe e striscio via a massima velocità. Si gira e il suo fascio di luce mi segue; cerco un anfratto in cui non possa raggiungermi. Se un animale maestoso come l’averla è in grado di torturare a tal modo le sue prede, cosa mi farà questo mostro orribile se mi cattura?
Quando l’ho seminato mi fermo a riprendere le energie. I miei sensi si stanno annebbiando, fa troppo freddo qui. Riprendo a muovermi: non ho scelta se voglio distanziare il mostro e trovare l’uscita. Una rana dalmatina mi vede avvicinare e si allontana a grandi salti. Deve avermi confuso per un serpente: è grave, per un orbettino come me, ma do la colpa al buio. Comunque è un segnale di speranza: se c’è una rana, l’uscita dev’essere vicina.
Poco dopo ho un altro colpo di fortuna: una grossa tegenaria sta immobile al centro della sua ragnatela. Mi avvicino alla preda, in silenzio. Ci sono quasi... Ma la luce ci investe e il ragno corre a nascondersi.
Non l’ho sentito arrivare, e ora il mostro è proprio sopra di me. Allunga un arto, rapido, e mi afferra. Mi agito, ma sono troppo debole; penso a staccarmi la coda, ma non ne ho motivo, visto che invece di mangiarmi mi intrappola in una piccola gabbia di vetro.
Non so quanto tempo passo qua dentro, in balia della paura e del freddo. Quando finalmente la gabbia viene riaperta, mi si presenta una strana scena. Sono in una grossa caverna e ci sono una decina di mostri con la luce in fronte, indaffaratissimi a far qualcosa con le salamandre di grotta: le passano da un bizzarro strumento a un altro, il tutto con la massima delicatezza.
Uno dei mostri mi prende tra le zampe aperte. Dovrei scappare, ma i suoi palmi sono così caldi e la grotta è così fredda. Striscio pigramente sulle sue zampe: non sembra minaccioso, e io inizio a scaldarmi. Dopo un po’ vanno a liberare le salamandre e raccolgono i propri strumenti, poi si rimettono in marcia e mi portano con sé.
Quello che mi tiene in mano mi solleva a una grandissima altezza: vorrei fuggire, ma se cadessi da qui non avrei speranze. L’aria si fa via via più calda e la luce via via più intensa. Ci siamo: una grossa apertura porta al mondo esterno.
Il sole splende nel cielo limpido, il vento fa frusciare le foglie dei faggi, gli uccelli cantano dai rami. Il mostro si abbassa e mi porta a livello del terreno: un prato alto, ricco di promesse. Colgo l’occasione per scappare e mi butto tra gli steli. La bocca del mostro si incurva all’insù: non so cosa sia, ma è disgustoso. Striscio via nell’erba.

Re: [MI145] E tu che ci fai quaggiù?

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Che bella la favola dell'orbettino che finisce in una grotta tra gli speleologi! :)
Ho notato l'accuratezza della descrizione, a inizio brano, del suo habitat, delle sue prede e dei suoi predatori.
Percorso da una vena ironica, il racconto ne beneficia appieno.
Grazie, @Mina .
(@Nerio avrà tirato un sospiro di sollievo ;) )
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI145] E tu che ci fai quaggiù?

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Delizioso. Forse ho usato un termine esageratamente zuccheroso, consono alla sensibilità femminile? Può darsi. Ma il tuo racconto, scritto davvero bene, continua ad apparirmi come qualcosa di delizioso. E intelligente, e originale. E anche umoristico:
La bocca del mostro si incurva all’insù: non so cosa sia, ma è disgustoso. Striscio via nell’erba.
Ho una piccolissima considerazione da condividere, su cui ragionavo tempo fa e che poi, per caso, ho letto che è condivisa anche da altri: ho notato che, in varie occorrenze, fai uso della sequenza di tre termini ripetuti. Anche a me capita spesso, e mi sono accorta che tale triplice successione è molto frequente in chi scrive. Ogni tanto va bene, ma se il trittico ricorre troppo spesso, soprattutto in scritti brevi, a mio avviso bisogna intervenire modificando qua e là la struttura ripetitiva: è sufficiente eliminare un elemento, o aggiungerne un altro. Mi riferisco anche a sequenze verbali, come la seguente:
Striscio tra rocce nude, muschi e fango; salgo, scendo, avanzo senza sosta,
Ora, quando scrivo, ci faccio caso, ma solo perché, avendo notato che è cosa comune, penso sia bene cercare alternative.
Un sonoro grazie per questo gioiellino, caro @Mina: è un piacere ritrovarti.
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Re: [MI145] E tu che ci fai quaggiù?

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Giá il titolo esprime la tenerezza che pervade tutto il racconto.
Mi é piaciuto questo orbettino che non si lascia distrarre dai mostri nella sua ricerca di caldo e cibo, ma più di tutto mi é piaciuto che non é necessario essere grati a esseri stomachevoli che piegano la bocca all'insù, soprattutto quando manca completamente la consapevolezza del rischio corso.
Ecco é proprio il fatto che questo orbettino ha una propria voce senza essere stato troppo umanizzato, l'aspetto che mi é piaciuto di più.

Re: [MI145] E tu che ci fai quaggiù?

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Grazie a tutti del passaggio e delle belle parole <3
Poeta Zaza ha scritto:(@Nerio avrà tirato un sospiro di sollievo )
Immagino di sì :lol:
Ippolita ha scritto: Delizioso. Forse ho usato un termine esageratamente zuccheroso, consono alla sensibilità femminile? Può darsi. Ma il tuo racconto, scritto davvero bene, continua ad apparirmi come qualcosa di delizioso. E intelligente, e originale. E anche umoristico
Delizioso è un termine che mi piace parecchio, quindi ti ringrazio :love:
Ippolita ha scritto: Ho una piccolissima considerazione da condividere, su cui ragionavo tempo fa e che poi, per caso, ho letto che è condivisa anche da altri: ho notato che, in varie occorrenze, fai uso della sequenza di tre termini ripetuti. Anche a me capita spesso, e mi sono accorta che tale triplice successione è molto frequente in chi scrive. Ogni tanto va bene, ma se il trittico ricorre troppo spesso, soprattutto in scritti brevi, a mio avviso bisogna intervenire modificando qua e là la struttura ripetitiva: è sufficiente eliminare un elemento, o aggiungerne un altro. Mi riferisco anche a sequenze verbali, come la seguente:
Striscio tra rocce nude, muschi e fango; salgo, scendo, avanzo senza sosta,
Ora, quando scrivo, ci faccio caso, ma solo perché, avendo notato che è cosa comune, penso sia bene cercare alternative.
Non ci avevo mai fatto caso, grazie di avermelo fatto notare :o ora sicuramente sarò più parsimonioso anche io, quando scrivo. Non so, tre mi sembra un buon numero per elencare qualcosa quando si descrive, e mi sono un po' lasciato sfuggire la mano :facepalm: grazie mille, davvero!
Poldo ha scritto: in genere non amo l'antropomorfismo se non nei cartoni animati
Anche a me di solito non fa impazzire; ho provato a tenerlo il meno umano possibile, ma non ci sono riuscito del tutto :hm: grazie dell'osservazione
Bef ha scritto: Potrei obiettare sul fatto che un orbettino riconosca al primo d'occhio una quantità straordinaria di specie, e ne conosca addirittura il nome ufficiale che l'uomo ha dato a quelle specie, ma a che pro?
Be', avresti assolutamente ragione :P almeno non li chiama con la nomenclatura binomia :asd:

Re: [MI145] E tu che ci fai quaggiù?

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ciao @Mina . Però così non si fa! Qui ci vuole Piero Angela a capire in cosa corrispondono i personaggi... scherzo! :asd: il racconto più che scorrere, striscia. L'idea è buona ma immedesimarsi in un orbetto è davvero un'impresa interpretativa che ti è anche venuta bene. Non è il genere che mi aspettavo basato sulla traccia del labirinto. Mi hai sorpreso. ciao
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI145] E tu che ci fai quaggiù?

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bestseller2020 ha scritto: gio feb 25, 2021 7:11 pm ciao @Mina . Però così non si fa! Qui ci vuole Piero Angela a capire in cosa corrispondono i personaggi... scherzo! :asd: il racconto più che scorrere, striscia. L'idea è buona ma immedesimarsi in un orbetto è davvero un'impresa interpretativa che ti è anche venuta bene. Non è il genere che mi aspettavo basato sulla traccia del labirinto. Mi hai sorpreso. ciao
Grazie mille :sss:
Ero lì lì per scrivere un racconto sull'onda di come la mia vita sia finita a rotoli intrappolandomi in un labirinto etc... Poi mi sono ricordato di quella volta in cui abbiamo trovato un orbettino in grotta e l'abbiamo salvato :D
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