La Pubblica Moglie

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“Mamma!”
“Mamma!”. Sento gli occhi bruciare, gonfiarsi. Ho perso la mamma.
Mi guardo attorno, ma la folla del mercato m'impedisce di vedere. Corro, sbatto nelle gambe delle persone, cado a terra. Sanguino da un ginocchio. Un pollo strilla da una una gabbia, salto via impaurita. Qualcuno mi afferra il polso, ma non è mia madre. È una donna alta, magra, un turbante bianco le nasconde i capelli. Sorride.
“Stai calma” mi dice. Prende un manciata di piccoli frutti rossi da uno dei banchi accanto a noi, me li porge.
Esito un attimo, poi li accetto. Mi appiccicano le dita. È in quel momento che torna mia madre. Mi afferra per l'altro braccio. Le due donne restano un attimo immobili a guardarsi, una bolla silenziosa nel caos della piazza. Infine la donna dal turbante bianco mi lascia andare, e scompare fra la folla. Mi tuffo in bocca uno dei frutti. Non ha pagato la frutta.


Apro la porta e me lo trovo davanti. È tornato. Per l’ennesima volta. Dicono che è bello. Ha occhi grandi, braccia e gambe forti, e una voce come il tamburo. Così dicono.
“Ti piace" dice mia madre mentre lui e mio padre parlano attorno al vino. Dovrebbe essere una domanda, ma lei non ha chiesto. Io, però, lo so cos'ha davvero quest’uomo. Molti vacche e molto oro.
“Vai, va di là a farti vedere, anche tu sei molto bella". Dice mia madre, e torna a curare i fornelli. Lascio la cucina, ma non vado dagli uomini, me ne vado fuori. Mi perdo ai margini del borgo, dove le strade diventano piste. Si fa notte.
Il turbante bianco appare d’un tratto, sotto le fronde d’un sicomoro, come la luce di una lanterna. La donna si stacca dal tronco e s’allontana canticchiando. La seguo. Si ferma all’ingresso di un gruppo di case, un piccolo quartiere isolato dal resto. Si volta, mi guarda.
“Ti piace perderti” mi dice. Sono passati anni da quel giorno al mercato, ma si ricorda ancora.
“A casa ti staranno cercando "
“Tu non sei sposata?" le chiedo. Scuote la testa. Oltre di noi, nel cortile, una donna si affanna a caricare cose su un piccolo corretto.
“Oggi hanno portato un uomo per me, per questo sono" mi fermo, solo ora realizzo che sono scappata di casa. Ci sediamo in una nella sua casa. C'è un tappeto a terra, odore d'incenso. Dalle altre cose s'insinuano gemiti e grida soffocate.
La donna del turbante bianco indica il cortile, la donna che carica il corretto.
"Lei se ne va – mi dice porgendomi del vino – se non vuoi sposarti puoi prendere il suo posto". Mi guardo attorno. “Ma cos'è che fate qui?". Il vino è aspro, mi sembra che un serpente mi strisci sulla lingua. Lei butta giù in una volta sola.
“Lo sai quanti uomini ci sono in questo paese?”. Non rispondo.
“Settecento – dice – e quante donne?”
“No” dico, e butto giù un altro piccolo sorso.
“Trecento. E molti uomini ne tengono in casa più d’una. Noi, allora, siamo le mogli per tutti quelli che rimangono soli”. Bevemmo per un po’ in silenzio.
“Come si diventa” esito
“Pubblica moglie? Ascolta”. Si versa ancora vino e racconta.


Le gocce mi colpiscono testa, spalle, braccia. La folla osserva mentre mi tingo di rosso. L’anatra sgozzata muore poco più in là nel disinteresse di tutti, mischiando il sangue che le avanza alla polvere.
Il vecchio si piazza in piedi di fronte a me. Ha un bastone, un occhio bianco e il suo alito puzza di di sudore.
“Accetterai tutti gli uomini del paese” dice
“Accetterò tutti gli uomini del paese”
“Per non più di tre monete”
“Per non più di tre monete”
“E anche coloro con cui condividi il sangue”. Guardo l’anatra. È morta, due uomini se ne stanno litigando il corpo. Sento schioccare uno schiaffo, una bestemmia, vedo esplodere uno sbuffo di piume. Un bambino e una donna ridono.
“Donna!” grida il vecchio, e mi alza il bastone sopra la testa.
“E anche coloro con cui condivido il sangue” ripeto. Su un lato del cerchio di folla, il gruppo dei giovani uomini grida di gioia, pesta i piedi per terra., alzando una nube rossa di polvere.
Altre donne vengono da me. Mi imbrattano di argilla e gesso, m’infilano bracciali e cavigliere.
La più anziana estrae da una cesta un lungo panno bianco, me lo intreccia sul capo.



“Adesso che sai, vuoi vedere quale sarebbe la tua casa?” mi chiede. Mentre ci alziamo giunge un urlo da una casa vicina. Lei sparisce nell’altra stanza. Torna e qualcosa le luccica nella mano. Un coltello. Esce, e io le vado dietro.
"Ma lei dove va?" le chiedo, mentre cammina furiosa, indicando la donna del carro.
“In città – mi risponde senza fermarsi – Anche lì c'è lavoro".

Quando rientro in casa le guance mi bruciano e sento un dolore fra le costole. Il mio corpo immagina da solo le botte di mio padre. Invece è tutto quieto. Il mio promesso sposo e mio padre dormono sui tappeti, avvolti dall’odore del vino, che spilla ancora da una coppa rovesciata. Dalla camera viene il singhiozzare stanco di mia madre. La ignoro,
Raccolgo le mie cose ed esco di nuovo. Torno al quartiere delle donne.
Al carretto ora è aggiogato un cavallo. Entro nella casa della donna dal turbante bianco. Il lungo pezzo di tela è disciolto sui cuscini. Dall'altra stanza viene un russare profondo. Il russare di un uomo.
Torno fuori. Nel cortile la donna sta salendo sul carro.
“Posso venire con te?" le chiedo.

Re: La Pubblica Moglie

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Ciao Tracker.

È il primo racconto tuo che leggo e poiché ho un rapporto complicato con la sintassi e le regole della grammatica, lascerò a chi ne sa meglio e più di me l’ingrato compito di farti le così dette “pulci”

Mi limito a rilevare tre cose che nella lettura mi sono saltate agli occhi:

- Ci sediamo in una (?) nella sua casa.
(Credo che qui ti sia rimasta una "sedia", o qualcosa di simile nella tastiera del PC.)

- corretto
(Piccolo scambio di tasto, una O al posto di una A)

- Le gocce mi colpiscono testa, spalle, braccia. ..............................La più anziana estrae da una cesta un lungo panno bianco, me lo intreccia sul capo.
(Tutto il brano dell’iniziazione della donna, a mio avviso dovrebbe essere compreso tra virgolette o segni distintivi similari, per indicare che è il racconto di un ricordo.
Scritto di seguito al testo della situazione presente alle due protagoniste, non si comprende in prima lettura che si stia rievocando un fatto accaduto nel passato.)

Con questo concludo i miei rilievi tecnici sul testo del tuo racconto.

Ora parliamo di quello che più, invece mi preme analizzare, ovvero il suo contenuto.
La storia che racconti possiede uno stile narrativo poetico, quasi onirico, alcuni passaggi sono di una raffinata qualità di scrittura.
Il brano d’introduzione, nel quale la protagonista bambina si perde nel mercato possiede un taglio cinematografico: la scena ha una dinamica tutta espressa nelle sensazioni della protagonista, che scandiscono attraverso le sue emozioni gli avvenimenti che la coinvolgono.
Un film introspettivo raccontato attraverso i suoi occhi e la sua mente.
“Le due donne restano un attimo immobili a guardarsi, una bolla silenziosa nel caos della piazza”
In questo passaggio il tempo dell’azione si arresta e si dilata, racchiusa in un silenzio mentale che la isola dalla vita che anima quella piazza.
Ci pare di vedere la macchina da presa che indugia, passando attraverso una inquadratura in primissimo piano, sugli sguardi delle due donne che si fronteggiano.

Trovo molto interessante lo stile con cui scrivi, eccellente la scansione temporale con cui sposti con un taglio netto le percezioni della bimba persa al mercato, a quella della giovane ragazza proposta in sposa al ricco pretendente.

“Mi perdo ai margini del borgo, dove le strade diventano piste. Si fa notte."
Quando parlo di “stile narrativo poetico”, questo brano ne è un esempio.
Trovo prezioso questo divenire dove il tempo trascorso si legge nella strada fatta per sfuggire a quel destino precostituito: la strada del villaggio nell’ allontanarsene diviene pista, e le ore trascorse si mutano in tramonto e notte incombente.


Si respira nel racconto l’aria esotica di un luogo d’Africa che potrebbe essere un piccolo villaggio etiope o algerino.
In questo mi riporti alla mente gli ambienti che sono magistralmente descritti da Camus nella raccolta di racconti
“L'Exil et le Royaume”,
Ed è proprio in Camus che, leggendoti, trovo un autore che posso assimilare al tuo stile narrativo.

Infine un plauso per il recupero di un termine desueto, che personalmente mi richiama il De Andrè de: “La città vecchia”

“Vecchio professore cosa vai cercando
In quel portone
Forse quella che sola ti può dare
Una lezione
Quella che di giorno chiami con disprezzo
Pubblica moglie
Quella che di notte stabilisce il prezzo
Alle tue voglie”

Complimenti e a presto rileggerti.
Un saluto.

Re: La Pubblica Moglie

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Ciao @Nightafter ,

ti ringrazio per il tuo bel commento. Ho trovato gli errori che segnali e li correggerò.
Per quanto riguarda il brano da mettere tra virgolette o altro per segnalare che è un ricordo, avevo scelto di metterlo in corsivo, ma forse non basta.

Per il resto: mi dicono spesso che ho un taglio cinematografico. Da una parte è strano, perché guardare film non è (più) un mio hobby, dall'altra va detto che anni fa ho frequentato un master di scrittura per i prodotti audiovsivi, per cui credo che dipenda da quello.
La cosa che ti sorprenderà è che non ho mai (ecco che tutti mi odiano) letto Camus. Cercherò però di procurarmi il libro di cui parli, grazie del consiglio.

Per quanto riguarda il tema del racconto: il titolo è, sì, scelto ammiccando a De André, ma sono arrivato a questa storia perché volevo scrivere una storia a tema "ritorno", e stavo cercando informazioni sul rimpatrio di vittime di tratta in Africa. Spulciando fra gli articoli che mi ha passato un'amica esperta del tema, però, ne ho trovato uno che parlava della figura delle "public women"* in Africa occidentale nel periodo pre-coloniale, che mi ha molto affascinato e ho deciso di scrivere di questo.

La storia è sì, idealmente, ambientata in Africa, ma volutamente non ho inserito alcun rimando chiaro (forse l'unico è l'abero di SIcomoro, originario del continente) per lasciare libertà alla mente del lettore.

*Le "public women" erano donne che facevano un mestiere assimilabile alle sex-worker, ma con una funzione "sociale" molto più esplicita. Non ricevevano infatti pagamento (se non poche monete che dovevano comunque consegnare agli anziani del villaggio), ed erano tenute, inoltre, ad accettare chiunque come "cliente" anche i loro consanguinei. Vivevano in un quartiere appartato e la loro funzione era quella di offrire uno sfogo al forte sbilanciamento di genere che spesso affliggeva quelle comunità, dove c'erano più uomini che donne. Di contro potevano prendere ciò che serviva loro per sostentarsi senza pagare alcunché (vedi scena del mercato) sia dai banchi del mercato che dalle case dei loro concittadini, e quando dovevano ritirarsi causa invecchiamento ricevevano una sorta di pensione che consentiva loro di vivere tranquillamente.

Re: La Pubblica Moglie

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Tracker ha scritto: mer feb 17, 2021 10:53 pm “Mamma!”
“Mamma!”. Sento gli occhi bruciare, gonfiarsi. Ho perso la mamma.
Mi guardo attorno, ma la folla del mercato m'impedisce di vedere. Corro, sbatto nelle gambe delle persone, cado a terra. Sanguino da un ginocchio. Un pollo strilla da una una gabbia, salto via impaurita. Qualcuno mi afferra il polso, ma non è mia madre. È una donna alta, magra, un turbante bianco le nasconde i capelli. Sorride.
“Stai calma” mi dice. Prende un manciata di piccoli frutti rossi da uno dei banchi accanto a noi, me li porge.
Esito un attimo, poi li accetto. Mi appiccicano le dita. È in quel momento che torna mia madre. Mi afferra per l'altro braccio. Le due donne restano un attimo immobili a guardarsi, una bolla silenziosa nel caos della piazza. Infine la donna dal turbante bianco mi lascia andare, e scompare fra la folla. Mi tuffo in bocca uno dei frutti. Non ha pagato la frutta.
Il ritmo e la punteggiatura evidenziano l’ansia eliminando l’olio della narrazione.
Sento gli occhi bruciare, gonfiarsi. È ovvio che sia io a sentire i miei occhi.
Gli occhi bruciano, si gonfiano.
Per analogia:
Sanguino da un ginocchio.
Il ginocchio sanguina.

Un pollo strilla da una una gabbia, Refuso!

Perché non evidenziare la differenza tra la “mia” ansia e la relativa tranquillità della donna col turbante?
Qualcuno mi afferra il polso. Qui finisce l’ansia.
Adesso vedo la donna “tranquilla”:
Non è mia madre, ma una donna alta e magra, con un turbante bianco che le nasconde i capelli. Sorride e mi dice: “Stai calma.” Prende un manciata di piccoli frutti rossi da un banco e me li porge.
È ovvio che il banco è “accanto a noi”: il lettore lo sa…

Adesso torniamo nell’ansia.
Esito un attimo, poi li accetto. Mi appiccicano le dita. È in quel momento che torna mia madre. Mi afferra per l'altro braccio. Le due donne restano un attimo immobili a guardarsi
Un attimo qui e un attimo là…
Esito, poi li accetto.

Mi appiccicano le dita.
Appiccicano le dita. Difficilmente potrebbero appiccicare le dita di un altro.

È in quel momento che torna mia madre.
Torna mia madre. Oppure, se vuoi Torna la mamma, come direbbe un bambino.
È in quel momento che è inutile: il momento del ritorno è ovvio.

Mi afferra per l'altro braccio
Mi afferra per il braccio
Mi prende (mi tira) per un braccio

Io so per quale braccio mi afferra: sembra che tu, scrittore, dica al lettore che il braccio è l’altro. Ma il lettore deve identificarsi con il personaggio.

Le due donne restano un attimo immobili a guardarsi, una bolla silenziosa nel caos della piazza.
Si guardano, una bolla silenziosa nel caos della piazza.
È ovvio che siano le due donne a guardarsi, e sembra che sia l’io. L’attimo si deduce dal ritmo.

Infine la donna dal turbante bianco mi lascia andare, e scompare fra la folla. Mi tuffo in bocca uno dei frutti. Non ha pagato la frutta.

La donna dal turbante mi lascia, e scompare tra la folla. Trangugio (ingoio) un frutto. Non ha pagato.
Infine? Perché? Forse potrebbe lasciarmi all’inizio?

Prova a immaginare Jovanotti mentre legge: fra la folla. Mi tuffo in bocca uno dei frutti. Non ha pagato la frutta. Siamo in tempo di Covid…
Tracker ha scritto: Apro la porta e me lo trovo davanti. È tornato. Per l’ennesima volta. Dicono che è bello. Ha occhi grandi, braccia e gambe forti, e una voce come il tamburo. Così dicono.
“Ti piace" dice mia madre mentre lui e mio padre parlano attorno al vino. Dovrebbe essere una domanda, ma lei non ha chiesto. Io, però, lo so cos'ha davvero quest’uomo. Molti vacche e molto oro.
“Vai, va di là a farti vedere, anche tu sei molto bella". Dice mia madre, e torna a curare i fornelli. Lascio la cucina, ma non vado dagli uomini, me ne vado fuori. Mi perdo ai margini del borgo, dove le strade diventano piste. Si fa notte.
e una voce come il tamburo
e la voce come il tamburo
Non so se abbia una o più voci. Ma qui mi piacerebbe sapere che ne pensa @Marcello

“Ti piace." Dice mia madre
Se la “fanciulla” è innocente, forse preferibile la mamma

Dovrebbe essere una domanda, ma lei non ha chiesto.
È una domanda, ma lei non ha chiesto.
Il “dovrebbe essere” è una spiegazione al lettore, che capisce anche senza.

Io, però, lo so cos'ha davvero quest’uomo. Molti vacche e molto oro.
Perché “però”?
Interpreto: Lo so perché dovrebbe piacermi quest’uomo: molte vacche e molto oro.

“Vai, va di là a farti vedere, anche tu sei molto bella". Dice mia madre, e torna a curare i fornelli.
“Vai, va’ di là…” Va’, imperativo. Anche qui vedi tu se opportuno “la mamma”. Mia è un possessivo inutile perché ovvio.

Mi perdo ai margini del borgo, dove le strade diventano piste. Si fa notte.
Molto bello, poetico. Forse meglio “villaggio” al posto di “borgo”?
Il borgo suona più medievale.
Tracker ha scritto: Il turbante bianco appare d’un tratto, sotto le fronde d’un sicomoro, come la luce di una lanterna. La donna si stacca dal tronco e s’allontana canticchiando. La seguo. Si ferma all’ingresso di un gruppo di case, un piccolo quartiere isolato dal resto. Si volta, mi guarda.
“Ti piace perderti” mi dice. Sono passati anni da quel giorno al mercato, ma si ricorda ancora.
“A casa ti staranno cercando "
“Tu non sei sposata?" le chiedo. Scuote la testa. Oltre di noi, nel cortile, una donna si affanna a caricare cose su un piccolo corretto.
“Oggi hanno portato un uomo per me, per questo sono" mi fermo, solo ora realizzo che sono scappata di casa. Ci sediamo in una nella sua casa. C'è un tappeto a terra, odore d'incenso. Dalle altre cose s'insinuano gemiti e grida soffocate.
La donna del turbante bianco indica il cortile, la donna che carica il corretto.
Si ferma all’ingresso di un gruppo di case, un piccolo quartiere isolato dal resto.
Un gruppo di case o un piccolo quartiere? Sinonimi?
Si ferma all’ingresso di un gruppo di case isolate.
A meno che tu non voglia calcare la differenza.
Si ferma davanti a un gruppo di case isolate dal resto del mondo.

Ci sediamo in una nella sua casa.
Sediamo in (a) casa sua o Sediamo nella sua casa
Entriamo: un tappeto a terra e profumo d’incenso.

Oltre di noi non mi piace. Che vuoi dire?
Provo a proporre: Nel cortile (accanto), una donna si affanna a caricare un carretto.
Un carretto è “per forza” piccolo. Penso che dovresti rileggere prima di pubblicare il “caffè corretto”… Ah, cose è inutile!


La donna del turbante bianco indica il cortile, la donna che carica il corretto.
Ripeti ciò che hai scritto da poco: il lettore lo sa.



Provo a riscrivere:
Sotto le fronde del sicomoro appare un turbante bianco come una lanterna. La donna si stacca dal tronco e s’allontana canticchiando. La seguo. Si ferma davanti a un gruppo di case isolate dal resto del mondo.
“Ti piace perderti” mi dice. Sono passati anni (da quel giorno al mercato), ma si ricorda ancora.“Ti staranno cercando."
“Non sei sposata?" chiedo.
Scuote la testa.
Nel cortile (accanto), una donna si affanna a caricare un carretto.
“Hanno portato un uomo per me. Per questo sono…" Solo ora realizzo che sono scappata.
Entriamo in casa: un tappeto a terra e profumo d’incenso.
La donna dal turbante indica il cortile.

Tracker ha scritto: "Lei se ne va – mi dice porgendomi del vino – se non vuoi sposarti puoi prendere il suo posto". Mi guardo attorno. “Ma cos'è che fate qui?". Il vino è aspro, mi sembra che un serpente mi strisci sulla lingua. Lei butta giù in una volta sola.
“Lo sai quanti uomini ci sono in questo paese?”. Non rispondo.
“Settecento – dice – e quante donne?”
“No” dico, e butto giù un altro piccolo sorso.
“Trecento. E molti uomini ne tengono in casa più d’una. Noi, allora, siamo le mogli per tutti quelli che rimangono soli”. Bevemmo per un po’ in silenzio.
“Come si diventa” esito
“Pubblica moglie? Ascolta”. Si versa ancora vino e racconta.
"Lei se ne va – dice porgendomi del vino – se non vuoi sposarti puoi prendere il suo posto". Mi guardo attorno. “Che fate qui?"
Il vino è aspro, sembra che un serpente strisci sulla lingua. Lei butta giù in una volta sola.


Inutile “mi” dice. Poco dopo ripeti il “mi” in “mi guardo attorno”.
“Ma cos'è che fate qui?" Ma, congiunzione avversativa che insinua il dubbio che lo scrittore esiti a collegare la domanda. “Cos’è” è inutile.
mi sembra che un serpente mi strisci sulla lingua. Il lettore sa che sembra a te, e che a te striscia.

Sai quanti uomini ci sono in questo paese?”
Non rispondo.
“Settecento – dice. – E quante donne?”
“No” dico, e butto giù un piccolo sorso.


“Lo” inutile e “altro” pure.

“Trecento. E molti uomini ne tengono (hanno) in casa più d’una. Noi siamo le mogli per quelli che rimangono soli.”
Beviamo per un po’ in silenzio.
“Come si diventa…” esito.
“Pubblica moglie? Ascolta.”
Si versa altro vino e racconta.


“Bevemmo” è un passato remoto “improvviso”.
Il vino non lo versa all’ospite.
Tracker ha scritto: Le gocce mi colpiscono testa, spalle, braccia. La folla osserva mentre mi tingo di rosso. L’anatra sgozzata muore poco più in là nel disinteresse di tutti, mischiando il sangue che le avanza alla polvere.
Il vecchio si piazza in piedi di fronte a me. Ha un bastone, un occhio bianco e il suo alito puzza di di sudore.
“Accetterai tutti gli uomini del paese” dice
“Accetterò tutti gli uomini del paese”
“Per non più di tre monete”
“Per non più di tre monete”
“E anche coloro con cui condividi il sangue”. Guardo l’anatra. È morta, due uomini se ne stanno litigando il corpo. Sento schioccare uno schiaffo, una bestemmia, vedo esplodere uno sbuffo di piume. Un bambino e una donna ridono.
“Donna!” grida il vecchio, e mi alza il bastone sopra la testa.
“E anche coloro con cui condivido il sangue” ripeto. Su un lato del cerchio di folla, il gruppo dei giovani uomini grida di gioia, pesta i piedi per terra., alzando una nube rossa di polvere.
Altre donne vengono da me. Mi imbrattano di argilla e gesso, m’infilano bracciali e cavigliere.
La più anziana estrae da una cesta un lungo panno bianco, me lo intreccia sul capo.
Le gocce mi colpiscono testa, spalle, braccia. La folla osserva mentre mi tingo di rosso. Nel disinteresse di tutti, l’anatra sgozzata muore poco più in là, mischiando il sangue alla polvere.
Fila meglio.


In piedi davanti a me, il vecchio con il bastone ha un occhio bianco e l’alito che puzza di sudore.
Fila meglio. Di solito, le ascelle puzzano di sudore, e l’alito di fogna!

“Donna!” grida il vecchio, e mi alza (solleva?) il bastone sulla testa.
Oppure:
“Donna!” grida il vecchio, e solleva il bastone sulla mia testa. Se solleva il bastone dopo il grido.
“Donna!” grida il vecchio sollevando il bastone sulla mia testa. Se solleva il bastone mentre grida.

Nel cerchio di folla, i giovani uomini gridano di gioia (esultano?) pestando i piedi in una nube di polvere rossa.

Su un lato del cerchio di folla, ricorda Nel mezzo del cammin di nostra vita.
Il gruppo dei giovani uomini è un po’ tortuoso, e anche il resto non entusiasma.

Altre donne vengono da me. Mi imbrattano di argilla e gesso, m’infilano bracciali e cavigliere.
La più anziana estrae da una cesta un lungo panno bianco, me lo intreccia sul capo.
Vedi tu se è il caso di “rivedere” la punteggiatura. Punti e virgole, in situazioni analoghe, sono “trattati” diversamente.
Forse preferibile:
Altre donne vengono da me. Mi imbrattano di argilla e gesso, e m’infilano bracciali e cavigliere.
La più anziana estrae da una cesta un lungo panno bianco, che mi intreccia sul capo.

Questione di gusti. Puoi definire diversamente il “lungo panno”?
Tracker ha scritto: “Adesso che sai, vuoi vedere quale sarebbe la tua casa?” mi chiede. Mentre ci alziamo giunge un urlo da una casa vicina. Lei sparisce nell’altra stanza. Torna e qualcosa le luccica nella mano. Un coltello. Esce, e io le vado dietro.
"Ma lei dove va?" le chiedo, mentre cammina furiosa, indicando la donna del carro.
“In città – mi risponde senza fermarsi – Anche lì c'è lavoro"
“Adesso che sai, vuoi vedere (quale sarebbe) la tua casa?” chiede.
Forse puoi eliminare un inutile “quale sarebbe” e l’ennesimo “mi”.

Mentre ci alziamo, giunge un urlo da una casa vicina. Lei sparisce nell’altra stanza. Torna con qualcosa che le luccica in mano: un coltello. Esce, e la seguo.
Una virgoletta e qualche ritocco.

"Ma lei dove va?" chiedo indicando la donna del carro mentre cammina furiosa.
Fila meglio. Se la “nostra” è al seguito, come scrivi in precedenza, per chi indica?

“In città – risponde senza fermarsi – Anche lì c'è lavoro."
Puoi eliminare il “mi”: non risponde ad altri…
Tracker ha scritto: Quando rientro in casa le guance mi bruciano e sento un dolore fra le costole. Il mio corpo immagina da solo le botte di mio padre. Invece è tutto quieto. Il mio promesso sposo e mio padre dormono sui tappeti, avvolti dall’odore del vino, che spilla ancora da una coppa rovesciata. Dalla camera viene il singhiozzare stanco di mia madre. La ignoro,
Quando rientro in casa, le guance bruciano e sento un dolore tra le costole. Il (mio) corpo immagina le botte di mio padre. Invece è tutto quieto. Il promesso sposo e mio padre dormono sui tappeti, avvolti dall’odore del vino. Dalla camera viene il singhiozzare (pianto?) stanco della mamma. Lo ignoro.

Il solito “mi” di troppo,
Il tuo corpo immagina “da solo”? Intendi senza la mente? Specifichi che il corpo è “mio”: la frase si capisce anche senza dirlo…
Dal racconto si desume anche di chi sia il promesso sposo: un possessivo inutile, ameno che tu non voglia reiterare mio promesso sposo e mio padre.
Temo che una coppa rovesciata si vuoti subito, e che il vino non possa continuare a spillare come da una botte.
Non vedi la mamma, che è nell’altra stanza. Come puoi ignorarla se non la vedi? Ignori il singhiozzare, o il pianto stanco della mamma. Quindi “lo ignoro”.
Tracker ha scritto: Raccolgo le mie cose ed esco di nuovo. Torno al quartiere delle donne.
Al carretto ora è aggiogato un cavallo. Entro nella casa della donna dal turbante bianco. Il lungo pezzo di tela è disciolto sui cuscini. Dall'altra stanza viene un russare profondo. Il russare di un uomo.
Torno fuori. Nel cortile la donna sta salendo sul carro.
“Posso venire con te?" le chiedo.
Raccolgo le mie cose ed esco. Torno al quartiere delle donne.
Un cavallo è aggiogato al carretto. Entro nella casa della donna dal turbante bianco. La pezza di tela è disciolta sui cuscini. Dall'altra stanza viene un russare profondo. Il russare di un uomo.
Torno fuori. Nel cortile la donna sta salendo sul carro.
“Posso venire con te?" le chiedo.


Il lettore sa che esci “di nuovo”, che “ora” vedi il cavallo aggiogato, che il turbante è “bianco” e che la pezza (non il pezzo…) è lunga.
Altra questione è “disciolto/a”. Mi ricorda la neve al sole. Ho verificato: https://www.treccani.it/vocabolario/disciogliere/ e funziona. Ma è equivocabile. Forse cercherei di scriverlo altrimenti.
Ultima notula: “Torno” al quartiere delle donne e “Torno” fuori molto vicini.


Il racconto mi è piaciuto. Buono lo spunto, meglio l’idea, hai avuto troppa fretta di pubblicare.
Stile asciutto, pochi fronzoli, qualche incertezza di punteggiatura e qualche refuso di troppo nulla tolgono alla trama, bella e che merita più tempo e pazienza.
Dovresti cercare di immedesimarti nel lettore. Troppe volte sembra che tu voglia spiegare l’ovvio, forse per paura di non esserti “spiegato”. I “ma”, gli “invece”, i “di nuovo”, e gli incisi che si potrebbero lasciare nella tastiera denotano insicurezza: io non spiego e tu non capisci!
Non è così. Spieghi benissimo, il racconto funziona e il lettore capisce. Anzi, lascia spazio alle “interpretazioni”, affinché ci metta del suo. Non devi dirgli tutto.
Complimenti.
Ti rileggerò volentieri.

Re: La Pubblica Moglie

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@Fraudolente

mi lusinga che tu abbia scritto un commento così lungo e accurato. Lo prendo come un segno (ma d'altronde lo dici tu) che ti è piaciuto.
Adesso purtroppo è quasi l'una, ma domani ti prometto una risposta esaustiva. Per ora ti dico solo che sì, siccome in gioventù mi han detto molte volte che certe cose nei miei racconti non si capivano, ho sempre paura che sia così e quindi tendo a lasciare quelle due parole in più.
Grazie ancora, a domani.

Re: La Pubblica Moglie

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Ciao Tracker, ho letto il racconto e mi è piaciuto. L'ho trovato molto evocativo.
Avevo individuato dei refusi, ma dopo l'esaustivo commento di Fraudolente non mi sento di aggiungere altro.
Non so quale siano i tuoi autori di riferimento, ma ti consiglio di leggere minimalisti come Carver ("Cattedrale", per esempio): secondo me hai una prosa affine alla loro e potrebbero aiutarti a superare la paura - se così posso definirla - di non esserti spiegato.
Dirò un'ovvietà, ma la critica che ti è stata mossa dipende da chi ha letto i tuoi testi: erano lettori forti oppure no?

Un saluto e a rileggerti ;).
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